COVID-19 e gestione dei rifiuti. Cosa cambia. Emergenza permanente?
di Gianfranco AMENDOLA
pubblicato su Questione Giustizia del 13 maggio 2020
1. Premessa
La pandemia da COVID-19 ha apportato e sta apportando profonde modifiche nel nostro sistema di vita quotidiano con notevoli ripercussioni in vari settori, fra cui quello, poco studiato[1], relativo alla gestione dei rifiuti. E non solo per la ovvia problematica della raccolta e dello smaltimento di rifiuti a rischio infettivo ma anche e soprattutto perché, al di là della emergenza, sta mettendo in chiara evidenza la generale e non temporanea inadeguatezza del sistema rifiuti nel nostro paese.
In proposito, a livello pubblico si registrano i seguenti interventi[2]:
1) “Rapporto” ISS (Istituto Superiore di sanità) COVID-19 n. 3/2020 aggiornato al 14 marzo 2020 con “indicazioni ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus sars-cov-2 “ che fornisce le linee di indirizzo per la raccolta dei rifiuti extra-ospedalieri da abitazioni di pazienti positivi al COVID-19, in isolamento domiciliare, e dalla popolazione in generale.
2) Documento approvato dal Consiglio SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) in data 23 marzo 2020 con “Prime indicazioni generali per la gestione dei rifiuti - emergenza CoViD-19” che, partendo dal rapporto ISS, formula alcune considerazioni aggiuntive sulla raccolta e gestione dei rifiuti urbani in questo periodo evidenziando altresì ulteriori problematiche nel settore dei rifiuti connesse con le carenze dell’attuale sistema di fronte alla nuova situazione di emergenza.
3) Circolare del Ministero dell’ambiente del 27 marzo 2020, relativa a “Criticità nella gestione dei rifiuti per effetto dell’Emergenza COVID 19 – indicazioni” ove si suggerisce alle Regioni di adottare ordinanze contingibili ed urgenti per derogare alla disciplina vigente al fine di ampliare il deposito, lo stoccaggio, il recupero e lo smaltimento di rifiuti.
4) Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27 , recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” che sancisce la proroga di alcuni adempimenti relativi alla normativa ambientale (art. 113) e, soprattutto, amplia in via definitiva termini e quantità previsti dal D. Lgs 152/06 per il deposito temporaneo di rifiuti (art. 113-bis).
In questo quadro, appare opportuno procedere ad un approfondimento delle problematiche oggetto degli interventi sopra ricordati che, in sostanza, si riferiscono a due filoni distinti e connessi, il primo relativo alla gestione dei rifiuti urbani in periodo di possibile contaminazione da virus, ed il secondo relativo a deroghe e proroghe della attuale disciplina sui rifiuti, finalizzato ad evitare vuoti di tutela provocati dall’aumento di rifiuti connesso alla emergenza pandemica.
Approfondimento che appare doveroso, in particolare, con riferimento alla loro operatività e compatibilità con il vigente quadro normativo; soprattutto se si considera che i primi tre interventi non hanno valore di legge, e, quindi, di per sé, non possono apportare modifiche o deroghe all’attuale assetto legislativo della materia.
2. La gestione dei rifiuti urbani: il problema della operatività delle indicazioni sanitarie
Come già accennato, i primi due documenti citati contengono specifiche indicazioni relative alla gestione dei rifiuti urbani per limitare al massimo ogni pericolo per la salute e per l’ambiente nel periodo di diffusione della pandemia,[3].
A tal fine, si distinguono due categorie di rifiuti urbani:
a) quelli prodotti nelle abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o quarantena obbligatoria;
b) quelli prodotti dalla popolazione generale, in abitazioni dove non soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o quarantena obbligatoria. Rifiuti che, pur destando, ovviamente, minore preoccupazione, non possono essere considerati “sicuri” perché non si può escludere che provengano da abitazioni dove soggiornino soggetti contagiati ma non sintomatici; e, pertanto, non testati con tampone e non riconosciuti.
La differenza principale per la raccolta dei rifiuti di queste due categorie consiste principalmente nella indicazione secondo cui nel primo caso deve essere interrotta la raccolta differenziata, ove in essere, e tutti i rifiuti domestici, indipendentemente dalla loro natura e includendo fazzoletti, rotoli di carta, i teli monouso, mascherine e guanti, devono essere considerati indifferenziati; e pertanto raccolti e conferiti insieme, con particolari modalità espressamente specificate[4]. Essi, inoltre, dovrebbero essere ritirati da un apposito “servizio dedicato” da parte di personale opportunamente addestrato
Nel secondo caso, invece, si raccomanda di mantenere le procedure in vigore nel territorio di appartenenza, non interrompendo la raccolta differenziata; ma “a scopo cautelativo fazzoletti o rotoli di carta, mascherine e guanti eventualmente utilizzati, dovranno essere smaltiti nei rifiuti indifferenziati”, utilizzando, anche in tal caso, “almeno due sacchetti uno dentro l’altro o in numero maggiore in dipendenza della resistenza meccanica dei sacchetti”.[5]
Appare, quindi, evidente, che, applicando queste indicazioni, si realizza, comunque, un aumento della quantità di rifiuti “indifferenziati”, correlato soprattutto al numero dei soggetti soggetti positivi al tampone in isolamento o quarantena obbligatoria .
Quanto al loro smaltimento, il documento Snpa dispone che i rifiuti indifferenziati provenienti da abitazioni in cui sono presenti soggetti positivi al tampone, in quarantena obbligatoria (prima categoria), qualora raccolti “con giro dedicato”, siano prioritariamente avviati a incenerimento senza alcun trattamento preliminare, e che “laddove tale modalità di gestione non possa essere attuata, i rifiuti sono conferiti agli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) se garantiscono l'igienizzazione del rifiuti nel corso del trattamento biologico (bioessicazione o biostabilizzazione) e la protezione degli addetti dal rischio biologico, agli impianti di sterilizzazione o direttamente in discarica, senza alcun trattamento preliminare (previo eventuale inserimento dei sacchetti integri all'interno di appositi big-bags), limitando il più possibile, nella fase di coltivazione della discarica, la movimentazione dei rifiuti che andranno possibilmente confinati in zone definite della discarica. Deve essere garantita la copertura giornaliera dei rifiuti con adeguato strato di materiale protettivo, tale da evitare ogni forma di dispersione”.
In tutti gli altri casi i rifiuti urbani indifferenziati verranno gestiti secondo le normali procedure[6].
Si pone, a questo punto, il problema della operatività e della cogenza di queste indicazioni “sanitarie”. Esse, infatti, sono solo dei suggerimenti, pur se provenienti da fonti autorevoli e qualificate, ma, per diventare operative (e cogenti) dal punto di vista normativo, devono essere inserite in qualche provvedimento idoneo da parte delle autorità competenti, altrimenti non hanno alcun valore. Osservazione che, ovviamente, riguarda sia le strutture pubbliche sia i privati. Ad esempio, cioè, se un soggetto, positivo al tampone e in quarantena, non ottempera alla indicazione del “tutto indifferenziato” non commette alcun illecito qualora tale indicazione non sia stata recepita in un provvedimento formale della Pa.; solo qualora ciò sia avvenuto, si può ipotizzare l’illecito di “deposito incontrollato” di rifiuti.
Lo stesso problema, si pone, peraltro e soprattutto, a proposito delle modalità di smaltimento dei rifiuti urbani della prima categoria (quelli, cioè, prodotti nelle abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o quarantena obbligatoria) che, secondo le indicazioni sanitarie sopra ricordate, devono essere avviati ad incenerimento senza alcun trattamento preliminare, ovvero, qualora ciò non sia possibile vanno conferiti in TMB, agli impianti di sterilizzazione o “direttamente in discarica senza alcun trattamento preliminare”.
Secondo la normativa vigente, infatti, essi sono considerati “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” (art. 2, comma 1, lett. d del dpr 254/2003 “Regolamento recante la disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179”) in quanto trattasi di rifiuti che “provengono da ambienti di isolamento infettivo e siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto dai pazienti isolati”[7]; e, pertanto, andrebbero raccolti e movimentati in appositi imballaggi a perdere (artt. 8 e 9 Reg. cit.): e, soprattutto, “devono essere smaltiti mediante termodistruzione in impianti autorizzati…” e, più in particolare in “impianti di incenerimento di rifiuti urbani e in impianti di incenerimento di rifiuti speciali” (art. 10). Solo qualora ciò non sia possibile e si tratti di rifiuti sterilizzati, essi “previa autorizzazione del presidente della regione, possono essere sottoposti al regime giuridico dei rifiuti urbani e alle norme tecniche che disciplinano lo smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi” (art. 11).
Appare, quindi, evidente, che le indicazioni sanitarie per l’emergenza Covid non coincidono con quanto prescritto dalla legge in via ordinaria per quel tipo di rifiuti. Circostanza, peraltro chiaramente riconosciuta anche dall’ISS il quale, nel suo documento, dopo aver premesso che “la situazione ideale sarebbe riferirsi al DPR 254/2003”, evidenzia che tale normativa, al momento attuale, “potrebbe essere di difficile attuazione”; e pertanto fornisce le indicazioni alternative sopra riportate, considerate “sufficientemente protettive per tutelare la salute della popolazione e degli operatori del settore dell’igiene ambientale”.
Esse, tuttavia, possono essere applicate solo se inserite in un provvedimento idoneo a derogare alla disciplina in vigore, quale, ad esempio, una ordinanza regionale contingibile ed urgente (di cui si dirà appresso)[8]. Altrimenti si rischia di commettere un illecito perseguibile penalmente[9].
3. Deroghe e proroghe. Il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti e il decreto Cura Italia
Come già si è accennato, vi è, poi, un secondo filone di indicazioni relative alla gestione dei rifiuti in tempo di COVID-19, che tende ad ampliare il più possibile l’ambito di operatività della normativa connessa con le capacità di stoccaggio e smaltimento sotto il profilo temporale e quantitativo.
Un primo accenno con indicazioni in proposito, pur se molto generico, è contenuto nella seconda parte del documento Snpa del 23 marzo (“Ulteriori problematiche nel settore dei rifiuti”) mentre se ne occupa in particolare la circolare del Ministero dell’ambiente del 27 marzo 2020, relativa a “Criticità nella gestione dei rifiuti per effetto dell’Emergenza COVID 19 – indicazioni”, allo scopo di “prefigurare la possibilità di addivenire a regimi straordinari, temporalmente circoscritti alla durata dell’emergenza” per quanto concerne capacità di stoccaggio impianti (aumento fino al 50%), deposito temporaneo di rifiuti (aumento quantità fino al doppio, temporale fino a 18 mesi), deposito di rifiuti urbani presso i centri di raccolta comunali (aumento capacità stoccaggio fino al 20%, temporale fino al doppio), impianti di incenerimento (massima capacità termica) e smaltimento in discarica (aumento tipologia di rifiuti consentite).
Lo strumento indicato è quello delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’art. 191 d.lgs. n. 152/06 cui si dovrebbe associare, per lo stoccaggio e lo smaltimento in discarica (fasi che abbisognano di autorizzazione), la procedura della SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990, che “rappresenta la modalità maggiormente semplificata che l’ordinamento conosce per rilasciare titoli abilitativi”, accompagnata da apposita relazione di tecnico abilitato.
Già questa indicazione desta perplessità. Una circolare ministeriale, cioè, non può mai avere valore di legge né, a maggior ragione, modificare o integrare una legge, anche se molto spesso il Ministero dell’ambiente ha preferito ignorare questo elementare principio costituzionale; e non solo con circolari ma anche con “note”, “interpretazioni” o decreti ministeriali contrari al dettato legislativo[10]. E pertanto, nonostante l’indicazione ministeriale, sarebbe giuridicamente irrilevante, in quanto non prevista dalla legge, l’assenza della Scia in questo tipo di ordinanze; tanto più che non si tratta, ovviamente, di chiedere ed ottenere una modifica dell’autorizzazione ma di consentire di operare, per un periodo limitato, in deroga all’autorizzazione.
Sembra, invece, del tutto condivisibile il suggerimento finale della circolare di inserire in queste ordinanze contingibili ed urgenti le (sopra ricordate) indicazioni ISS sui rifiuti urbani provenienti dalle abitazioni in cui sono presenti soggetti positivi al tampone, in isolamento o in quarantena obbligatoria in quanto esse prefigurano un trattamento che “può ritenersi adeguato nella presente straordinaria situazione, anche se derogatorio rispetto alla norma vigente, in quanto in grado di garantire il miglior risultato in termini di tutela dell’ambiente e della salute umana”.
In questo quadro, rinviando per i dettagli alla circolare in esame, appare opportuno ricordare che lo strumento delle ordinanze contingibili e urgenti, suggerito dal Ministero, è stato più volte oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza, amministrativa e penale, specie perchè è stato spesso utilizzato da Regioni e Comuni in modo improprio, onde sottrarsi alla disciplina “normale” sui rifiuti.
Il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti[11] è previsto attualmente dall’art. 191 d.lgs n. 152/06, il quale fissa precisi presupposti e impone dettagliate condizioni e limiti per il suo esercizio, in assenza dei quali la ordinanza si considera illegittima; ed anche, sotto il profilo penale, la costante giurisprudenza della suprema Corte, partendo dalla premessa che l’ordinanza di necessità non costituisce un titolo di legittimazione sostitutivo dell’autorizzazione regionale, bensì una causa speciale di giustificazione per quelle attività di smaltimento di rifiuti non autorizzate che diversamente integrerebbero un’ipotesi di reato, afferma che “il giudice penale ha il potere-dovere di verificare la legittimità formale e sostanziale delle ordinanze contingibili ed urgenti, e, in caso di illegittimità, la conseguente disapplicazione (recte: l'inefficacia del provvedimento ad integrare la causa di esclusione della tipicità) comporta l'integrazione dei reati in materia di smaltimento illecito di rifiuti”[12], quali, ad esempio, il reato di discarica abusiva o di stoccaggio abusivo.
Appare, quindi, evidente che l’indicazione alle Regioni di ricorrere ad ordinanze contingibili ed urgenti contenuta nella citata circolare del Ministero dell’ambiente deve essere sempre coniugata con la esigenza del rispetto di tutti i requisiti, formali e sostanziali, di cui all’art. 191 d.lgs n. 152/06. Esigenza, peraltro, sottolineata e dettagliata proprio dal Ministero dell’ambiente in altra articolata “circolare” (stranamente mai ricordata nella circolare Covid in esame), prot. 0005982/RIN del 22 aprile 2016 (“chiarimenti interpretativi relativi alla disciplina delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’art. 191 d.lgs 152/06”)[13], ove, in 5 paragrafi e 10 pagine, vengono analizzati in maniera approfondita l’ambito applicativo della norma ed il suo rapporto con altri strumenti emergenziali, il contenuto dei provvedimenti contingibili ed urgenti, i presupposti per la loro adozione, il rispetto del principio di proporzionalità, i requisiti formali e la durata delle ordinanze. E dove, tra l’altro, si mettono in evidenza i requisiti - “pena la radicale illegittimità” dell’ordinanza - della esistenza di “adeguata istruttoria tecnica”[14] e del rispetto del “principio di proporzionalità” secondo cui “le misure oggetto delle ordinanze in commento devono essere proporzionate alla concreta situazione da fronteggiare” in modo da “comportare il minor sacrificio possibile per gli interessi concorrenti”. Insomma, devono essere contenute al minimo indispensabile per far fronte all’emergenza.
Infine, come già accennato, deve essere menzionato l’unico provvedimento legislativo che si occupa della gestione dei rifiuti nell’emergenza Covid, e cioè il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, coordinato con la legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, c.d. “Cura Italia” (“Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l'adozione di decreti legislativi”[15]), con gli art. 113 e 113 bis che riportiamo integralmente:
Art. 113
Rinvio di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti
Sono prorogati al 30 giugno 2020 i seguenti termini di:
a) presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) di cui all'articolo 6, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70;
b) presentazione della comunicazione annuale dei dati relativi alle pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell'anno precedente, di cui all'articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, nonche' trasmissione dei dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili, industriali e per veicoli ai sensi dell'articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188;
c) presentazione al Centro di Coordinamento della comunicazione di cui all'articolo 33, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49;
d) versamento del diritto annuale di iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali di cui all'articolo 24, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 3 giugno 2014, n. 120[16].
Art. 113 bis
Proroghe e sospensioni di termini per adempimenti in materia ambientale
Fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di prevenzione incendi, il deposito temporaneo di rifiuti, di cui all'articolo 183, comma 1, lettera bb), numero 2), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e' consentito fino ad un quantitativo massimo doppio, mentre il limite temporale massimo non puo' avere durata superiore a diciotto mesi.
In proposito, vale la pena di notare che, a parte le proroghe di cui all’art. 113, l’articolo successivo (aggiunto dalla legge di conversione) riprende integralmente, con valore legislativo, l’indicazione (sugli aumenti) fornita alle Regioni nel n. 2 della circolare Covid sul deposito temporaneo, senza tuttavia limitare la deroga al periodo dell’emergenza. Trattasi, quindi, di modifiche apportate in modo permanente all’art. 183, comma 1, lett. bb), n. 2, che ora, per la qualificazione come “deposito temporaneo” richiede (in parentesi la dizione originaria) che “2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 60 (30) metri cubi di cui al massimo 20 (10) metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore a diciotto mesi (ad un anno)”.
Di modo che oggi, e senza limitazioni temporali per l’emergenza, è consentito depositare nel luogo di produzione, senza richiedere alcuna autorizzazione (e, quindi, senza le prescrizioni dell’autorizzazione e senza comunicazione alla P.A.), rifiuti fino a 60 metri cubi (di cui 20 pericolosi) e fino a 18 mesi, purchè, in sostanza, ciò avvenga senza commistioni e per categorie omogenee; e, quanto ai rifiuti pericolosi, rispettando solo le norme tecniche per etichettatura, deposito ed imballaggi di rifiuti pericolosi. In totale contrasto con l’art. 2 D. Lgs. 36/2003, comma 1, lett. g (sulle discariche) che qualifica addirittura come discarica “qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”.
Si palesa, quindi, quanto mai opportuno ricordare la precisazione della suprema Corte secondo cui “il deposito temporaneo, inteso quale raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dall'art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006 (tra cui l'osservanza delle relative norme tecniche), è comunque soggetto al rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva che le direttive comunitarie impongono agli stati nazionali in forza dell'art. 130 (ora art. 174) del Trattato CE (v. Corte di Giustizia Europea, Sez.4, del 5.10.1999, Lirussi e Bizzaro, cause riunite C-175/98 e 177/98); di qui, dunque, la necessità, addirittura intrinseca ad un deposito che, come quello temporaneo, è preliminare o preparatorio alla gestione, che i rifiuti siano conservati con modalità adeguate allo scopo”[17]; e che, comunque, l’onere della prova in ordine al rispetto delle (poche) condizioni previste dalla legge ricade sul produttore di rifiuti[18].
4. Emergenza Covid o emergenza continua?
A questo punto dobbiamo dire la verità: dopo aver diligentemente riassunto le novità sui rifiuti connesse all’emergenza Covid, ci viene il dubbio che, in realtà, a parte le (doverose) indicazioni igienico-sanitarie, l’aumento spropositato che oggi si consente per stoccaggio e smaltimento di rifiuti sia dovuto ad una emergenza rifiuti di tipo strutturale e permanente che va ben oltre la Covid. Anzi, la lettura delle motivazioni addotte per questo aumento e delle richieste che lo hanno invocato fa sorgere il sospetto che qualcuno voglia aggirare i limiti imposti dalla disciplina vigente a tutela della salute e dell’ambiente, utilizzando questa emergenza per rimediare ad una situazione già, di per sé, in molte Regioni al limite della sostenibilità. Tanto è vero che, in una legge come la Cura Italia, nata per l’emergenza - la cui validità e ragion d’essere, quindi, non può che essere strettamente limitata all’emergenza - stranamente compare una gravissima norma derogatoria permanente in tema di rifiuti.
Non a caso, peraltro, la necessità di consistenti deroghe quantitative per stoccaggio e smaltimento di rifiuti in concomitanza con l’emergenza Covid, era stata pesantemente agitata per evitare danni irreparabili da alcuni comparti di settore già in difficoltà a prescindere dalla pandemia. Specie per i rifiuti urbani e specie per quelli riciclabili[19]. E non a caso la circolare del Ministero dell’ambiente in tema Covid sembra voler favorire soprattutto modalità in deroga di stoccaggio e smaltimento di rifiuti urbani in quantità e durata molto superiori al consentito richiamando “le criticità del sistema impiantistico nazionale” che sarebbero ulteriormente aggravate a causa delle indicazioni ISS e per la “impossibilità di inviare i rifiuti prodotti verso gli altri Stati membri anche in seguito alla scelta autonoma di alcuni impianti di adottare scelte restrittive per il principio di precauzione“.
Se approfondiamo queste motivazioni, in primo luogo, non sembra che l’emergenza Covid abbia provocato sconvolgimenti per la gestione dei rifiuti tali da giustificare deroghe di tale ampiezza se solo si ricorda che le indicazioni ISS, in sostanza, aumentano solo la quantità dei rifiuti urbani da smaltire come indifferenziati e solo con riferimento ai soggetti riconosciuti positivi, che, sotto il profilo quantitativo, costituiscono una parte minima rispetto alla popolazione complessiva[20].
Ben più illuminante appare, invece, la motivazione della circolare circa la attuale impossibilità di inviare rifiuti all’estero, che appare, in realtà essere quella dominante[21]; chiaro riconoscimento che buona parte dei nostri rifiuti, prima della emergenza Covid, finiva all’estero. Con buona pace di chi sbandierava dati mirabolanti sulle quantità di rifiuti che il nostro paese riciclerebbe, figurando fra i primi in Europa. E pertanto l’emergenza ha solo fatto emergere anticipatamente un nodo che già stava pesantemente condizionando tutto il settore; quello, cioè, relativo alla preesistente e crescente difficoltà di alcune filiere del recupero e del riciclo di determinate frazioni di rifiuti (specie provenienti dalla raccolta differenziata urbana) a trovare una collocazione, a causa della scarsa qualità della raccolta che spesso non è affatto differenziata e che tanto spesso hanno portato a smaltire contra legem (inclusi gli incendi e i roghi tossici) rifiuti che figurano destinati al recupero. Soprattutto ora che la plastica, l’acciaio e il legno trovano poca o nulla applicazione, come riciclato, nel comparto dell’imballaggio, mentre carta e vetro, essendo molto utilizzati per la produzione di imballaggi alimentari, la cui richiesta a seguito dell’emergenza è cresciuta, registrano paradossalmente proprio in questa fase delicata una ripresa della domanda. Già prima dell’emergenza Covid, del resto, circa il 40-50% della plastica proveniente dalla raccolta differenziata non poteva andare a riciclo e finiva (nella migliore delle ipotesi) in discariche, termovalorizzatori e cementifici; oppure, sempre più spesso in paesi esteri[22] di scarsissima affidabilità e sprovvisti di seri apparati di controllo. Oggi, con l’emergenza Covid, nessuno di questi paesi vuole più ricevere rifiuti dall’Italia e così sta emergendo la vera natura dell’economia circolare all’italiana dove, a volte anche approfittando di una normativa di favore, si dice che si ricicla tutto o quasi. Ma, se vengono meno le esportazioni di rifiuti, tutto ci ricade addosso[23]. E allora le alternative sono due: o, come si sta facendo, si deroga alla legge con notevoli pericoli per la salute e per l’ambiente o si ricorre in modo ancora più pesante agli smaltimenti illegali. Mentre, invece, a nostro avviso, la strada da seguire dovrebbe essere ben diversa e di tipo strutturale: rivedere tutto il sistema della filiera dei rifiuti urbani, dei Consorzi di settore, e dei contributi e finanziamenti erogati, con accurati controlli non sulla carta ma su quanto avviene nella realtà. E nel contempo intervenire seriamente sulle prime due opzioni previste dalla gerarchia comunitaria dei rifiuti, e cioè la prevenzione (“il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”) e il riciclo come materia, senza cambiamento di stato; controllando quanto viene realmente riciclato, non quanto figura raccolto in modo differenziato.
Una ultima osservazione.
Giustamente, come abbiamo visto, il Ministero dell’ambiente nella sua circolare del 2016 sulle ordinanze contingibili ed urgenti sottolinea con forza che la legge richiede per la loro legittimità che (tra l’altro) esse siano fondate su una valutazione degli organi tecnici locali e che siano improntate al principio di proporzionalità rispetto alla reale portata di novità connessa con una emergenza.
E se pure è vero che è stata dichiarata una emergenza nazionale, è anche vero che, per emettere un provvedimento di urgenza a livello regionale, occorre anche che gli organi tecnici locali esaminino e valutino la situazione locale in tema di rifiuti, e che di questa valutazione si dia obbligatoriamente conto nella motivazione del provvedimento. Anche perché è solo in base a questa valutazione che si può decidere quali e quante deroghe siano strettamente necessarie, caso per caso, per evitare danni e pericoli maggiori connessi con la specifica emergenza; ricordando sempre che “il ricorso al provvedimento d’urgenza non può essere invocato, in mancanza di situazioni eccezionali, per risolvere l’ordinaria esigenza di smaltimento dei rifiuti”[24] e che, come si legge nella circolare ministeriale del 2016, la deroga deve essere ridotta al minimo indispensabile con riferimento proprio alla situazione eccezionale e non a quella “normale”. Tanto più che, ragionando su base locale, nella maggior parte delle Regioni italiane (specie del Sud) il contagio COVID-19 è stato di minima entità.
In caso contrario, si rischia - lo abbiamo visto e lo dice giustamente il Ministero - la “radicale illegittimità” del provvedimento di urgenza, con tutte le conseguenze a livello amministrativo e penale, relativamente alle quali, di fronte al proliferare di ordinanze regionali emesse per la emergenza in atto, è auspicabile un adeguato controllo, anche in sede giudiziaria, per verificare il rispetto di quanto previsto dalla legge per la loro emanazione, soprattutto con riferimento agli aspetti appena richiamati.
Altrimenti non usciremo mai dall’emergenza.
[1] Per un primo quadro espositivo V. Vattani, La gestione dei rifiuti al tempo dell’emergenza connessa alla diffusione del virus Covid 19 in www.dirittoambiente.net, 31 marzo 2020.
[2] Tutti reperibili nei relativi siti istituzionali (i primi tre sono riportati anche in www.dirittoambiente.net).
[3] Il rapporto ISS richiama espressamente “l’esigenza di dettare modalità operative per la gestione dei rifiuti urbani improntate sul principio di cautela su tutto il territorio nazionale, come da DPCM 9 marzo 2020”.
[4] Secondo l’ISS, “per la raccolta dovranno essere utilizzati almeno due sacchetti uno dentro l’altro o in numero maggiore in dipendenza della loro resistenza meccanica, possibilmente utilizzando un contenitore a pedale.
Si raccomanda di:
chiudere adeguatamente i sacchi utilizzando guanti mono uso;
non schiacciare e comprimere i sacchi con le mani;
evitare l’accesso di animali da compagnia ai locali dove sono presenti i sacchetti di rifiuti;
smaltire il rifiuto dalla propria abitazione quotidianamente con le procedure in vigore sul territorio (esporli fuori dalla propria porta negli appositi contenitori, o gettarli negli appositi cassonetti condominiali o di strada)”.
[5] si raccomanda, altresì, “ di chiudere adeguatamente i sacchetti, utilizzando guanti monouso, senza comprimerli, utilizzando legacci o nastro adesivo e di smaltirli come da procedure già in vigore (esporli fuori dalla propria porta negli appositi contenitori, o gettarli negli appositi cassonetti condominiali o di strada)”.
[6] Per completezza, si segnala che il rapporto ISS contiene anche “ Raccomandazioni per gli operatori del settore di raccolta e smaltimento rifiuti” e “Raccomandazioni per i volontari”
[7] Anche se prodotti al di fuori di strutture sanitarie (art. 15)
[8] Come si vedrà, questo è il suggerimento contenuto nella circolare del Ministero dell’ambiente. E’ appena il caso di ricordare, in proposito, che le prescrizioni di tali ordinanza sono assistite, in caso di inosservanza, da sanzione penale ai sensi dell’art. 650 c.p.
[9] In proposito, vale la pena di ricordare che recentemente la Cassazione ha ritenuto essere traffico illecito di rifiuti lo smaltimento di rifiuti di migranti (considerati indiscriminatamente rifiuti pericolosi a rischio infettivo) in discarica per urbani. Per approfondimenti e richiami, si rinvia al nostro Migranti e traffico illecito di rifiuti, prime note a caldo su un caso anomalo, in Questione Giustizia online, 29 novembre 2018, e, da ultimo, Migranti e traffico di rifiuti. Una discutibile sentenza della Cassazione, ivi , 18 novembre 2019.
[10] In proposito, si rinvia tra l’altro, con riferimento ad alcuni casi specifici, ai nostri Fine rifiuto (EoW) caso per caso: questa volta il Ministero dell’ambiente ha esagerato, in www.industrieambiente.it, dicembre 2016 e in www.lexambiente.it, 13 gennaio 2017; ID., ”L’interpretazione delle leggi compete alla magistratura, non al Ministero dell’ambiente, in Questione Giustizia, 26 maggio 2017; ID, Codici a specchio. Meno male che la Cassazione c’è !, in www.lexambiente.it, 1 agosto 2017, dove si richiama la osservazione di Cass. pen, sez. 3, 27 luglio 2017, n. 37460, secondo cui gli interventi esplicativi del Ministero dell’ambiente sono “del tutto irrilevanti perché non vincolanti ed espressione di una semplice opinione”; ID., End of waste, recupero di rifiuti e Consiglio di stato. Chiariamo le responsabilità in www.rivistadga.it, 2018, n. 3 ove (nota n. 16) l’operato del Ministero viene duramente criticato dal Consiglio di Stato in quanto “non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da circolari emanate dal Ministero dell’ambiente…”.
[11] In dottrina, per approfondimenti, anche dal punto di vista storico, A. Carapellucci, Le ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti: la nuova declinazione di un istituto controverso in www.ambientediritto.it, 2009
[12] Da ultimo, Cass. pen. sez. 3, 11 febbraio-13 aprile 2016, n. 15410 in www.lexambiente.it, 18 aprile 2016
[13] consultabile sul sito del Ministero
[14]“il provvedimento contingibile ed urgente è necessariamente adottato sulla base del parere rilasciato dagli organi tecnici o tecnico sanitari locali chiamati ad esprimersi con specifico riferimento alle conseguenze ambientali”
[15] in GU n.110 del 29-4-2020 - Suppl. Ordinario n. 16
[16] Cui si deve aggiungere la circolare n. 4 del 23 marzo 2020 con cui l’Albo nazionale gestori ambientali (in www.dirittoambiente.net) ha fornito precisazioni in merito.
[17] Cass. pen., sez. 3, 1 luglio- 7 ottobre 2014, n. 41692, Ciampa, in www.lexambiente.it, 4 novembre 2014
[18] Cass. pen., sez. 3, 15 gennaio- 8 febbraio 2013, n. 6295, Zangirolami, in www.lexambiente. it, 21 febbraio 2013: giurisprudenza costante.
[19] Basta leggere, ad esempio, le dichiarazioni (ADN Kronos, 27 marzo 2020) del presidente CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), il quale, dopo aver premesso che “la compromissione delle attività presidiate da Conai può mettere a repentaglio la raccolta differenziata, inficiando i positivi risultati che siamo riusciti ad ottenere negli anni e determinando conseguenze gravissime sull’intero sistema di gestione dei rifiuti urbani, già congestionato”, evidenziava di avere richiesto di inserire nel D.L. Cura Italia “almeno quattro modifiche. Innanzitutto aumentare la capacità annua e istantanea di stoccaggio di tutti gli impianti già autorizzati alle operazioni di gestione dei rifiuti, fino a raddoppiarla. Aumentare poi anche la capacità termica, consentita dalla legge, di tutti i termocombustori esistenti, fino a saturazione. Semplificare in terzo luogo le procedure burocratiche necessarie per l’accesso alle discariche. E infine autorizzare spazi e capacità aggiuntive per il trattamento e lo smaltimento delle frazioni non riciclabili, che in questa fase non trovano sbocco a termovalorizzazione”. Analoghe richieste sono state inoltrate, tra l’altro, da Assorimap (Associazione per il riciclo delle materie plastiche), Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta ed il riciclo degli imballaggi di plastica) e Utilitalia (Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell'Acqua, dell'Ambiente, dell'Energia Elettrica e del Gas).
[20] Alla luce di queste semplici considerazioni, appare ancora più ingiustificato l’aumento dei termini ed il raddoppio, per legge e per sempre, delle quantità di rifiuti per il deposito temporaneo (che interessa soprattutto i rifiuti speciali).
[21] Cfr. anche la risposta del Ministero alla nota Utilitalia del 15 marzo 2020 ove si premette che “nella nota è evidenziato che le maggiori difficoltà si riscontrano nella impossibilità di inviare i rifiuti prodotti verso gli altri Stati membri”
[22] La migliore conferma, peraltro, viene da una richiesta formale per “individuare al più presto rilevanti spazi a termovalorizzazione e/o a smaltimento” in deroga alla legge, inoltrata il 19 marzo 2020 al Ministero dell’ambiente da Corepla (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica) perché “il principale problema operativo, al momento, riguarda la gestione degli scarti non riciclabili prodotti dai Centri di selezione (il cd. Plasmix) essendo venuti meno, pressoché subitaneamente, rilevanti sbocchi sia italiani che esteri”.
[23] In proposito, si rinvia ai nostri L'allegra economia circolare all'italiana, in www.lexambiente.it, 30 novembre 2018, e Viva la allegra via italiana alla economia circolare, ivi, 21 dicembre 2018, di cui riportiamo la conclusione “ E' vero, invece, che, troppo spesso, il riciclo esiste solo sulla carta, al fine di lucrare contributi pubblici. Ma, se poi si fanno controlli adeguati (oggi quasi inesistenti), si scopre che, in realtà, molti rifiuti conteggiati come riciclo o recupero, tramite vari giri e girobolla, cambiano pelle e finiscono in inceneritori o in discariche più o meno abusive (nazionali ed estere), magari mascherati da fanghi di depurazione; ovvero, se proprio non si può fare altro, scompaiono in qualche incendio provvidenziale di impianto (più di 400 negli ultimi 3 anni). Tanto c'è l'autocombustione. Ma questa non è economia circolare, e non è neppure allegra. E' traffico illecito di rifiuti”.
[24] Cass. pen., sez. 3, 14 ottobre-2 dicembre 2004, n. 46735, Rv 23085, Di Girolami, in www.lexambiente.it.