Permesso di costruire in sanatoria e sequestro preventivo
di Rosa BERTUZZI
Corte di Cassazione n. 13861 del 24 marzo 2014 – Regolarità del sequestro dell’immobile –
Corte di Cassazione n. 14444 del 27 marzo 2014 –
Corte di Cassazione n. 11969 del 13 marzo 2014 -
La Suprema Corte, con la prima sentenza in oggetto indicata, ha precisato : “ La mera presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria non è, di per sé, idonea ad escludere il pericolo che la libera disponibilità dell'immobile abusivamente realizzato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito ovvero agevolarne la commissione di altri . In ogni caso, il permesso di costruire in sanatoria non estingue i reati edilizi in materia antisismica e in materia di opere in cemento armato, sicché, anche il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (nella fattispecie relativo ad un solo muro di contenimento) è circostanza del tutto ininfluente ai fini del mantenimento del vincolo reale, persistendo gli altri reati che pure sono stati consumati con la sua costruzione.”
Il fatto prende le mosse quando un soggetto realizzava, in una abitazione , in zona sismica e con opere di cemento armato, un ampliamento del tutto abusivo dell’immobile, nello specifico fabbricato agricolo, aumentandolo di metri cubi 200, oltre che la realizzazione di una scala esterna e l’elevazione di un muro di contenimento. Il G.I.P., a seguito la comunicazione di notizia di reato della Polizia Locale, aveva sottoposto a sequestro preventivo le opere edilizie. La richiesta di riesame del provvedimento di sequestro presentata dall’interessato veniva respinta. Veniva, pertanto, condannato, dal Tribunale, poi confermato anche in sede di appello, per i reati di cui all’art. 44 del Testo Unico, per aver realizzato opere in assenza di permesso a costruire, senza aver fatto denuncia, ne averne dato avviso agli uffici competenti, oltre che i reati relativi alla realizzazione di opere in cemento armato in zona sismica , nonché per aver abusivamente ampliato un preesistente fabbricato agricolo. Nonostante la richiesta di sanatoria da parte dell’interessato, non è stato comunque concessa l’estinzione del reato, ma essa riguardava esclusivamente il procedimento sanzionatorio amministrativo. Inoltre non è stato concesso il dissequestro dell’immobile , nemmeno parziale, perché l’ampliamento costituiva corpo unico con l’intero preesistente fabbricato. Ad abundantiam, il Tribunale evidenziava che, giusta giurisprudenza della Corte, il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere effettuato anche su immobili già ultimati e rifiniti laddove ola loro libera disponibilità possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul cd. Carico urbanistico.
A seguito il ricorso alla Corte di Cassazione, la stessa ha stabilito che il sequestro preventivo di cui all’art. 321 del c.p.p. era legittimo in quanto “ la mera presentazione della richiesta di permesso a costruire in sanatoria non è, di per se, idonea ad escludere il pericolo che la libera disponibilità dell’immobile possa aggravare le conseguenze dell’illecito”, confermando, quindi, il sequestro preventivo. Inoltre il pagamento della sanzione di cui all’art. 34, comma 2, D.P.R. 380, non ha alcuna efficacia sanante dei reati ipotizzati a carico del ricorrente, poiché si tratta di norma che si applica ai soli interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio, non anche a quelli ( come nella specie ) eseguiti in assenza di permesso a costruire. Sicchè oltre a non spiegare alcun effetto sostanziale l’accettazione del pagamento da parte dell’autorità comunale non può essere legittimamente intesa come manifestazione di “ tolleranza “ delle opere nello stato in cui si trovano, posto che, per tali opere, l’articolo 31 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevede esclusivamente la demolizione e il ripristino dello status quo ante ( comma 2) e, in caso di inottemperanza, l’acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune. Tali conseguenze possono essere evitate solo con il permesso in sanatoria rilasciato all’esito del positivo accertamento di conformità di cui all’art. 36 D.P.R. 380/2001 . Ma anche detto accertamento soggiace al controllo di legalità del giudice penale che ove rilevi la non conformità dell’opera alla disciplina edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda, deve comunque ritenere la sussistenza del reato indipendentemente dal giudizio , seppur positivo, espresso dalla Pubblica Amministrazione. Pertanto, l’accettazione della pagamento della somma di cui all’art. 34 del Testo Unico, “INTERVENTI ESEGUITI IN PARZIALE DIFFORMITA’ DEL PERMESSO A COSTRUIRE “ è circostanza che , ponendosi completamente al di fuori dello schema legale tipico sopra delineato, non è affatto suscettibile di essere valutata alla stregua di un giudizio di “tolleranza” dell’opera, men che meno di assenza di concreta offensività della condotta.
Ulteriormente il ricorrente propone altre questioni che, sebbene riguardino il fatto, inducono la Corte a riaffermare principi già espressi in precedenza , in particolare la Corte ha riaffermato il principio secondo il quale in tema di reati edilizi, ai fini del concetto di ultimazione dei lavori, non basta che siano portate a compimento le strutture essenziali della costruzione, ma occorre, altresì, che non si rendano necessari ulteriori lavori di completamento. L’attività criminosa permane anche in tal caso, realizzandosi lo scopo economico-sociale in modo non conforme con la tutela degli interessi pubblici connessi alla disciplina del territorio. La tecnica moderna consente, infatti, di poter realizzare anche in tempi molto brevi le strutture essenziali di un manufatto (che in termini economici rappresentano soltanto una parte del costo complessivo) , lasciandosi in un momento successivo il completamento (pavimenti, servizi, intonacatura).
La Corte ha inoltre il modo di precisare che le valutazioni in questione del Giudice penale hanno ad oggetto un giudizio che, riguardando il momento consumativo del reato, sono riservate al Giudicante penale. E’ quindi lo stesso Giudice, e non la Pubblica Amministrazione, o la Polizia Giudiziaria i quali possono descriverne lo stato delle cose, ma non trarne le relative conseguenze, che ha l’esclusivo onere di decidere sulla questione. Nel caso di specie il Giudicante di primo grado, secondo la Corte, ha ben operato nel non tener conto di una specifica nota dell’Ufficio Tecnico dalla quale “ l’immobile in questione doveva considerarsi ultimato secondo i diffusi principi della normativa vigente”. La Suprema Corte, quindi, rigetta il ricorso confermando le condanne ed il relativo sequestro preventivo.
A conferma di quanto sopra è intervenuta, coeva, la sentenza , sempre della Corte di Cassazione, n. 14458 del 27 marzo 2014, la quale stabiliva, sempre in merito ad un sequestro preventivo di un’opera edilizia, questa volta soggetta a DIA, che il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il decidente, quindi, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare la integrazione o meno della fattispecie penale in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela. E' la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo. Non sarebbe, infatti, soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all'aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. 2/5/1996, n. 4421), dovendo, di contro, accertare la conformità dell'intervento ai parametri di legalità (Cass. 29/1/2001, n. 11716). Il reato di esecuzione di lavori edilizi in difetto di titolo abilitativo può, quindi, ravvisarsi anche in presenza di un permesso a costruire illegittimo, senza che occorra fare ricorso alla procedura di disapplicazione dell'atto amministrativo, essendo sufficiente la sola valutazione della sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, atteso che la conformità della costruzione e del detto permesso alla normativa urbanistica è elemento costitutivo dei reati contemplati in materia urbanistica, stante la individuazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia quale ulteriore interesse protetto dalle disposizioni in questione. Di poi, osservasi, quanto all'elemento psicologico, come, secondo la giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente, non indicando l'art. 321 c.p.p., gli indizi di colpevolezza tra le condizioni di applicabilità del sequestro, ai fini della adozione della misura cautelare reale sia sufficiente la sussistenza del fumus commissi delicti, cioè l'ipotizzabilità in astratto del reato. Di tal che il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti ravvisabile in concreto e indipendentemente dall'accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'agente o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea alla adozione della misura cautelare reale.
La Cassazione penale , inoltre, con Sentenza n. 14444 del 27 marzo 2014 , sempre in merito al sequestro preventivo operato dalla Polizia Locale , ha stabilito che a seguito di una mirata ed esaustiva analisi delle emergenze istruttorie acquisite (verbale di sequestro; rilievi fotografici in atti; deposizione dell'agente verbalizzante), il reato di abuso edilizio in assenza di permesso a costruire era del tutto confacente al sequestro preventivo operato.
Sempre la Suprema Corte, con Sentenza n. 11969 del 13 marzo 2014, ha stabilito che il reato urbanistico ha natura di reato permanente la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva e che si è precisato che la cessazione dell'attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio. Si è inoltre chiarito che l'ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi quando, cioè, l'immobile possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come desumibile dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 25, comma 1, che fissa "entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento" il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità.