Cass. Sez. III n. 1344 del 14 gennaio 2022 (CC 28 set 2021)
Pres. Di Nicola Est. Gentili Ric. Aresu
Urbanistica.Strutture abitative temporanee
In tema di temporaneità di determinate strutture abitative si rileva, pur preso atto della intervenuta modifica normativa in base alla quale non vi è la necessità del permesso a costruire anche nel caso di installazioni “collocate, anche in via continuativa, in strutture all’aperto per la sosta ed il soggiorno dei turisti”, in base al novellato contenuto dell’art. 3, comma 1, lettera e), n. 5, del dPR n. 380 del 2001, che la caratteristica della temporaneità nell’ancoraggio al terreno, non è in contrasto con quello della continuità della installazione, posto che il dato della continuità è legato esclusivamente ad una durata cronologica, mentre quello della temporaneità dell’ancoraggio è concetto da intendersi in senso funzionale, con ciò volendosi intendere che è destinata a soddisfare un’esigenza non meramente temporanea la struttura che presenti un “collegamento di natura permanente al terreno”, dovendosi per tale considerare non solo ed esclusivamente la struttura solidamente ancorata al suolo attraverso opere murarie di considerevoli dimensioni, ma anche quella che, per essere dotata di “attacchi” od “allacci” non precari ad altre strutture logicamente non momentanee ma tendenzialmente stabili e permanenti, mutua da quelle le medesime caratteristiche di stabilità e permanenza. In altre parole, si intende significare che delle installazioni dotate di collegamenti sia alla rete elettrica che a quella idrica di abduzione e di smaltimento dei reflui, tanto più ove queste ultime siano in una loro significativa parte interrate, sono sicuramente da qualificarsi a loro volta non temporanee.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari reali, ha, con ordinanza del 6 maggio 2021, rigettato la richiesta di riesame formulata da Aresu Giampaolo, in qualità di legale rappresentante della Società cooperativa Cooreyturs, la quale gestisce da anni un campeggio denominato “Le dune”, in Comune di Muravera, località Piscina Rei, avente ad oggetto il provvedimento di sequestro preventivo, disposto dal Gip del Tribunale di Cagliari in data 9 aprile 2021, di n. 137 case mobili e n. 10 strutture lignee realizzate ed installate all’interno del predetto campeggio in data antecedente e prossima al 19 marzo 2021.
Il Tribunale del riesame - dato atto che a carico dell’Aresu, nella citata qualità, è stata elevata la provvisoria imputazione relativa alla violazione della normativa in materia edilizia, per avere realizzato, secondo la pubblica accusa, attraverso la installazione dei manufatti sequestrati, una lottizzazione abusiva del terreno ove era esclusivamente autorizzato l’insediamento di un campeggio e per avere, con la medesima condotta, violato, trattandosi di zona sottoposta a vincoli, delle norme paesaggistiche – ha osservato che sussistevano gli estremi del fumus delicti avendo le citate case mobili della caratteristiche che le rendevano esulanti rispetto a quelle tipicamente finalizzate ad un uso momentaneo, proprio dei campeggi ed essendo comunque le stesse ubicate in maniera tale da consentire la presenza di persone in misura maggiore rispetto a quella per la quale il camping era autorizzato; relativamente al pericolo nel ritardo il Tribunale lo ha ricondotto all’appesantimento del carico urbanistico che sarebbe derivato dalla perdurante utilizzazione della struttura ricettiva in questione.
Ha interposto ricorso per cassazione avverso la ordinanza del Tribunale del riesame la difesa dell’Aresu, affidando le proprie doglianze a due articolati motivi.
Il primo è riferito, in primo luogo, alla violazione di legge per avere il Tribunale, nell’emettere la ordinanza impugnata fatto riferimento ad una versione dell’art. 3, comma 1, lettera e), n. 5, del dPR n. 380 del 2001 non più vigente; in particolare il Tribunale non avrebbe tenuto conto della modifica legislativa apportata alla norma citata, con la entrata in vigore della legge n. 120 del 2020, di conversione del decreto-legge n. 76 del 2020, allorquando, nell’occuparsi della cosiddetta edilizia libera in materia di strutture ricettive all’aria aperta, ha sostituito, rispetto al previgente testo l’espressione “siano ricompresi” con l’espressione “siano collocate anche in via continuativa”, in tal modo estendendo la disciplina della edilizia libera a tali manufatti a condizione che “non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e non presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”.
Ha affermato la difesa del ricorrente che l’avere considerato un testo normativo nella versione non più attuale ha indotto in errore il Tribunale sardo il quale ha escluso che le strutture in esame esulassero riaspetto alla cosiddetta edilizia libera.
Ha aggiunto il ricorrente che il Tribunale avrebbe, altresì, errato nel ritenere che ogni singola casa mobile doveva essere autorizzata e che non si dovesse fare riferimento alle complessive autorizzazioni rilasciate dalle autorità locali di cui era dotato il camping in esame.
Ulteriore doglianza formulata dalla ricorrente difesa attiene alla mancanza del requisito della proporzionalità nel provvedimento confermato dal Tribunale del riesame, requisito che deve essere presente non soltanto nei provvedimenti cautelari personali ma anche in quelli reali, essendo stato operato il sequestro in relazione a tutti i manufatti, senza considerare che taluni di essi non erano destinati alla ricezione dei turisti, dovendo essere di lì a poco rimossi, ed altri ancora non erano stati installati; non ha neppure considerato che buona parte delle strutture in questione erano dotate di ruote, sicchè le stesse erano facilmente amovibili essendo solo poggiate al suolo e non ad esso ancorate tramite strutture fisse.
Ha aggiunto il ricorrente che il Tribunale ha ulteriormente errato allorchè ha considerato che il requisito della temporaneità, cioè le “esigenze meramente temporanee” che le strutture sono destinate a soddisfare, deve intendersi riferito alla temporaneità dell’uso che i singoli fruitori ne possono fare, requisito pacificamente soddisfatto dalla circostanza che il campeggio è aperto per pochi mesi nel corso dell’anno, e non alla temporaneità della collocazione di esse, collocazione che può essere facilmente rimossa, anche per le strutture dotate di allacciamenti alle reti idriche, elettriche e fognarie, trattandosi di allacciamenti non fissi ma agevolmente suscettibili di essere distaccati.
Quanto al fatto che la capienza del campeggio sia superiore a quella autorizzata, si tratta, per il ricorrente, di questione avente esclusivamente un rilievo amministrativo, la cui vicenda trova la sua eventuale conclusione nella irrogazione di una sanzione pecuniaria di carattere non penale.
Il ricorrente ha, pertanto, rilevato, con il secondo motivo di ricorso, che il Tribunale ha ulteriormente errato nel ritenere ravvisabile nella condotte dell’Aresu il fumus commissi delicti, posto che l’insediamento in questione è privo del carattere della stabilità, come è evidenziato dal fatto che non vi sia la presenza, al momento della esecuzione del sequestro, di alcuna persona soggiornante nella struttura ricettiva; ha precisato che non vi è nel caso alcuno degli indici sintomatici che questa Corte ha ritenuto deporre nel senso della natura stabile e non temporanea del tipo di installazioni ora in esame.
Ha, infine, precisato il ricorrente che buona parte delle case mobili oggetto di sequestro sono state collocate nel periodo in cui era vigente la legge della Regione Sardegna n. 21 del 2011, dichiarata parzialmente incostituzionale solo con sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2016, in base alla quale le strutture ora in discorso non avevano rilevanza urbanistica e paesaggistica.
Il fatto che la maggior parte di tali case mobili siano state collocate nel periodo di vigenza di tale legge escluderebbe la rilevanza penale della loro messa in opera anche sotto il profilo paesaggistico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso laddove non è risultato manifestamente infondato, è risultato inammissibile, sicchè lo stesso va per tale dichiarato.
Invero - esaminando globalmente i due, articolati, motivi di impugnazione presentati dalla ricorrente difesa - osserva questa Corte, in via preliminare, che, come è stabilito espressamente dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., la possibilità di impugnare in sede di legittimità le ordinanze emesse in materia cautelare reale è limitata alla sola allegazione del vizio di violazione di legge, essendo, pertanto, inibito censurare il provvedimento del tipo sopra indicato sotto il profilo del vizio di motivazione, fatta eccezione per il solo caso in cui la motivazione sia del tutto mancante, ovvero sia meramente apparente, tale cioè da non consentire la ricostruzione dell’iter logico-giuridico che il decidente ha percorso al fine di emettere il provvedimento in questione; tale, solo apparente, eccezione al limite in materia di praticabili ambiti di impugnazione si giustifica sulla base del rilievo che, a mente dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., le sentenze e le ordinanze emesse nel corso del giudizio debbono essere, a pena di nullità, corredate da motivazione, di tal che il provvedimento decisorio che non presenti una motivazione ovvero la presenti ma essa non sia tale da ostendere le ragioni che hanno condotto alla adozione del provvedimento stesso, sia cioè una motivazione solo apparente ma non reale difettando essa della funzione cui la motivazione degli atti è preposta, prima ancora di essere caratterizzato da un vizio di motivazione è viziato per violazione di legge, essendo tale provvedimento carente di un suo elemento fondamentale, la cui mancanza ne determina, come segnalato, per espressa volontà legislativa la nullità.
Ciò posto si osserva che effettivamente dalla lettura della ordinanza impugnata risulta che il Tribunale di Cagliari, che pure ha formulato il proprio giudizio in data 6 maggio 2021, ha riportato uno stralcio dell’art. 3, comma 1, lettera e), n. 5, del dPR n. 380 del 2001 secondo una versione di esso che non era, al momento in cui è stata pronunziata la ordinanza impugnata, più vigente, essendo stato, in parte, novellato a seguito della entrata in vigore dell’art. 10 del decreto legge n. 76 del 2020, convertito con modificazioni con la legge n. 120 del 2020; rileva tuttavia il Collegio che la pur intervenuta modificazione, la quale ha comportato che nel testo previgente fra le parole “esigenze meramente temporanee” e le parole “in strutture ricettive all’aperto”, siano state inserite le espressioni “o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa,”, non è tale da avere legittimato la realizzazione di strutture fisse stabilmente destinate ad abitazione, come è evidenziato dalla circostanza che, per un verso, il legislatore si è preoccupato di chiarire che le “unità abitative mobili” debbono comunque avere i “meccanismi di rotazione in funzione” e che, per altro verso, deve trattarsi di strutture previamente autorizzate, dovendosi intendere rilevante anche la autorizzazione sotto il profilo quantitativo, cioè entro il limite numerico di installazioni consentite, “che non posseggano alcun collegamento di natura permanente con il terreno”.
Sotto il descritto profilo, che sarà di seguito ulteriormente esaminato, deve pertanto, rilevarsi che la normativa novellata non presenta alcuna modificazione rispetto a quella previgente, dovendosi, pertanto, intendere rientranti fra gli interventi di nuova costruzione, secondo appunto la previsione di cui alla disposizione legislativa contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera e), n. 5, del dPR n. 380 del 2001, tutte le strutture che siano dotati di un ancoraggio tendenzialmente stabile con il terreno.
Al riguardo, in conclusione, l’errore in cui è incorso il Tribunale sardo è sostanzialmente irrilevante.
Nessuna importanza hanno, ai fini delle evidenziazione di un preteso errore nell’applicazione della legge in cui sarebbe incorso il giudice del riesame, i plurimi atti autorizzatori minutamente elencati del ricorso presentato dalla difesa dell’indagato; infatti, tutti gli atti elencati, nella parte in cui gli stessi sono rilevanti, presuppongono la conformità delle installazioni operate dall’Aresu, nella qualità da lui ricoperta, alla vigente normativa di carattere urbanistico e paesaggistico, circostanza che, costituendo il nucleo della indagine da svolgere, non può essere dimostrata sulla base della predetta documentazione che, invece, è, semmai, essa condizionata nella sua validità ed efficacia dal complessivo rispetto dei restanti parametri di legalità.
Quanto alla asserita violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della misura, su cui si incentra un ulteriore aspetto della doglianza mossa dal ricorrente, si osserva che, sebbene sia pur vero che la regola della necessaria proporzionalità fra l’oggetto della misura cautelare disposta e la finalità che attraverso di essa si intende perseguire - nel senso che la misura deve essere il meno afflittiva possibile pur consentendo la tutela della esigenza alla cui tutela essa stata è preordinata - deve essere applicata non solamente alle misure cautelari personali ma anche a quelle reali, quale è la misura ora in discorso (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione V penale, 5 maggio 2021, n. 17586), si rileva che nel caso in esame la provvisoria contestazione è riferita ad una lottizzazione abusiva, alla quale, in ipotesi di accertamento del fatto costituente reato, dovrebbe conseguire la confisca obbligatoria, ai sensi dell’art. 44, comma 2, del dPR n. 380 del 2001, dei terreni abusivamente lottizzati e della opere a tal fine realizzate.
Dall’elemento di fatto che precede, ritenuto che la lottizzazione avrebbe ad oggetto non le singole installazioni ma l’intera struttura abusivamente realizzata, emerge che nella fattispecie non vi sarebbe stata alcuna violazione del principio di proporzionalità fra la misura e lo scopo cui essa è sottesa, atteso che la eventuale confisca andrebbe a riguardare l’intera struttura turistica.
Né ha un qualche rilievo che la condotta potrebbe essere stata legittimata per un breve periodo di tempo - come segnalato dal ricorrente e come, invece, argomentatamente smentito nella ordinanza impugnata - posto che, in ogni caso, come anche infra sarà ribadito, tale situazione sarebbe cessata a decorrere dal 27 luglio 2016, sicchè la perdurante situazione di fatto sarebbe comunque, a partire da tale data, nuovamente caratterizzata dalla permanente e generale illegittimità, in tal modo giustificando l’adozione del complessivo provvedimento di sequestro.
La natura cautelare del provvedimento, infine, legittima anche il sequestro delle case mobili non ancora installate ma già allocate all’interno della struttura in esame, essendo logicamente prevedibile per le stesse la medesima destinazione di quello già installate.
Quanto al tema della temporaneità delle strutture abitative in questione si rileva, pur preso atto della intervenuta modifica normativa in base alla quale non vi è la necessità del permesso a costruire anche nel caso di installazioni “collocate, anche in via continuativa, in strutture all’aperto per la sosta ed il soggiorno dei turisti”, in base al novellato contenuto dell’art. 3, comma 1, lettera e), n. 5, del dPR n. 380 del 2001, che la caratteristica della temporaneità nell’ancoraggio al terreno, non è in contrasto con quello della continuità della installazione, posto che il dato della continuità è legato esclusivamente ad una durata cronologica, mentre quello della temporaneità dell’ancoraggio è concetto da intendersi, come d’altra parte segnalato anche nella impugnata ordinanza sulla scorta della giurisprudenza amministrativa formatasi al riguardo, in senso funzionale, con ciò volendosi intendere che è destinata a soddisfare un’esigenza non meramente temporanea la struttura che presenti un “collegamento di natura permanente al terreno”, dovendosi per tale considerare non solo ed esclusivamente la struttura solidamente ancorata al suolo attraverso opere murarie di considerevoli dimensioni, ma anche quella che, per essere dotata di “attacchi” od “allacci” non precari ad altre strutture logicamente non momentanee ma tendenzialmente stabili e permanenti, mutua da quelle le medesime caratteristiche di stabilità e permanenza.
In altre parole, si intende significare che delle installazioni dotate, come quelle oggetto del presente giudizio, di collegamenti sia alla rete elettrica che a quella idrica di abduzione e di smaltimento dei reflui, tanto più ove queste ultime siano in una loro significativa parte interrate, sono sicuramente da qualificarsi a loro volta non temporanee.
Irrilevante è, a questo punto, il dato offerto dalla valenza esclusivamente amministrativa o, come invece, ritenuto in termini non implausibili dal Tribunale anche penale, dell’avvenuto superamento del limite dimensionale della possibile destinazione del solo 25% dei posti letto disponibili nella intera struttura ai fruitori della case mobili.
Infatti - anche a non voler rilevare che il limite in questione si pone come elemento condizionante, in quanto incidente sulla regimentazione dell’assetto del territorio, essendo evidente il maggiore impatto che le case mobili anno sull’ambiente, rispetto ad altre strutture ricettive più “leggere”, la complessiva legittimità dell’intervento urbanistico in tal modo realizzato – i rilievi dianzi segnalati in ordine alla non temporaneità delle installazioni operate dall’Aresu, rendono non significativo ai fini della sussistenza del fumus delicti il dato evidenziato dalla ricorrente difesa.
Venendo a questo punto ad esaminare gli ultimi punti sottoposti all’esame di questo Collegio dalla ricorrente difesa, si rileva, quanto alla sussistenza del fumus commissi delicti in provvisoria contestazione all’Aresu, che è fattore del tutto non significativo la circostanza che al momento del sopralluogo all’interno degli spazi adibiti allo stallo della case mobili né all’interno di esse sia stato trovato chicchessia, posto che la commissione del reato in provvisoria contestazione prescinde, evidentemente, dall’utilizzo degli spazi oggetto di una sostanziale ed indebita modificazione urbanistica del territorio.
Non risolutivo, nel senso della fondatezza del ricorso è, infine, l’ampio richiamo giurisprudenziale riportato nell’atto impugnatorio, posto che, proprio alla luce di essa (si tratta della sentenza di Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 novembre 2015, n. 45906) fra gli indici rivelatori della natura abusivamente lottizzatorio d un insediamento di case mobili privo di autorizzazione urbanistica ed edilizia, indici di cui la citata sentenza fa un elenco tratto dalla precedente giurisprudenza di legittimità che, oltre a non essere necessariamente esaustivo, non impone che essi siano tutti presenti nelle singole fattispecie perché la figura contravvenzionale sia presente, vi sono sia lo stabile e non temporaneo collegamento delle singole strutture abitative con le reti dei servizi primari e secondari (cosa che nella specie, come dianzi rilevato, è stata riscontrata nella ordinanza impugnata), sia la esistenza di altre opere permanenti o a corredo o a servizio delle singole piazzole o postazioni di sosta (opere nella specie ravvisabili nella incontestata esistenza delle, richiamate dal Tribunale di Cagliari, “10 strutture destinate all’ombreggio, formate da pali lignei, direttamente infissi al suolo, ricoperti da canne per una superficie totale di circa 1.100 mq” che per tipologia descritta e dimensione appaiono esse stesse esulare rispetto ad interventi di “edilizia libera”).
Anche alla luce, pertanto, della giurisprudenza della Corte la qualificazione del fatto, tanto più nella presente fase cautelare, in termini di rilevanza penale non costituisce un vizio della ordinanza impugnata.
Quanto all’ultimo argomento dedotto da parte ricorrente, cioè che, essendo state installate una parte delle case mobili durante la vigenza della legge regionale n. 22 del 1984, nel testo modificato dalla legge n 21 del 2011 secondo il quale non sarebbe stato necessario, per tutto il tempo di vigenza di tale normativa (dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 189 del 2016, della Corte costituzionale), il nulla-osta paesaggistico per la realizzazione di strutture del tipo di quelle ora in questione, la installazione di esse non avrebbe costituito comunque reato, si osserva, senza doversi addentrare nella problematica riguardante la valenza scriminante in materia penale di una normativa di rango non statale, si osserva che, in ogni caso, che la irrilevanza ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici delle strutture in questione era limitata a determinate categorie di manufatti, che lo stesso ricorrente elenca, le cui caratteristiche, per quanto dianzi illustrato, non corrispondono a quelle delle case mobili ora oggetto di sequestro.
Per tutti i motivi che sono stati dianzi indicati il ricorso presentato dalla difesa di Aresu Giampaolo deve essere dichiarato inammissibile e, di conseguenza, lo stesso, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021