Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 414, del 23 gennaio 2013
Urbanistica. Concessione in sanatoria e certificazione della destinazione ‘d’uso immobile

In tema di concessione in sanatoria il semplice rilascio di un certificato di residenza non può assumere valenza probatoria della destinazione a uso abitativo di un’unità immobiliare che abbia diversa destinazione urbanistico-edilizia. Né, in funzione dell’esigenza della prova rigorosa del cambio di destinazione d’uso per tutte le unità locate e/o compravendute possono assumere, del pari, rilievo dichiarazioni sostitutive di notorietà di alcuni conduttori soltanto in ordine all’utilizzazione abitativa. Analogamente, la classificazione catastale assegnata alle unità immobiliari in base alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante delle società non ha alcuna congruenza rispetto alla prova dell’effettiva utilizzazione residenziale e non turistico-ricettiva, e analoghe considerazioni valgono per il regime di tariffazione dei consumi idrici o della raccolta dei rifiuti solidi urbani. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00414/2013REG.PROV.COLL.

N. 07147/2009 REG.RIC.

N. 07811/2009 REG.RIC.

N. 08166/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7147 del 2009, proposto da: 
Sogeri S.r.l. (qualificatasi come già cessata), in liquidazione, Ca.Sa. Due S.r.l., in liquidazione, Cannizzaro S.r.l., le prime due con sede in Bussolengo, la terza con sede in Verona, in persona le prime due del liquidatore, la terza del legale rappresentante pro-tempore, tutte rappresentate e difese dagli avv.ti Gianfranco Vignola, Riccardo Ruffo e Andrea Manzi, e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliate in Roma, alla via Federico Confalonieri n. 5, per mandato a margine dell’appello;

contro

Comune di Bussolengo, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Sanino e Eugenio Lequaglie, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Roma, al viale Parioli n.180, per mandato a margine dell’atto di costituzione;

 

sul ricorso numero di registro generale 7811 del 2009, proposto da: 
Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia, Neveraj Bateia, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Alberto Galice, Riccardo Ruffo e Andrea Manzi, e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliate in Roma, alla via Federico Confalonieri n. 5, per mandato a margine dell’appello;

contro

Comune di Bussolengo, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Sanino e Eugenio Lequaglie, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Roma, al viale Parioli n.180, per mandato a margine del controricorso;

 

sul ricorso numero di registro generale 8166 del 2009, proposto da: 
Comune di Bussolengo, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Sanino e Eugenio Lequaglie, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Roma, al viale Parioli n.180, per mandato a margine dell’appello;

contro

Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia, Neveraj Bateia, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Alberto Galice, Riccardo Ruffo e Andrea Manzi, e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliate in Roma, alla via Federico Confalonieri n. 5, per mandato a margine del controricorso;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7147 del 2009:

della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione II, n. 736 del 25 marzo 2009, resa tra le parti, limitatamente ai capi relativi alla reiezione dei ricorsi in primo grado n. 3287/2003, n. 2881/2005, n. 1004/2008 e n. 1481/2008 proposti rispettivamente da Ca.Sa. Due S.r.l. (n. 3827/2003 e n. 1481/2008), Sogeri S.r.l. (n. 2881/2005), Ca.Sa. Due S.r.l., Sogeri S.r.l. e Cannizzaro S.r.l. (n. 1004/2008);

quanto al ricorso n. 7811 del 2009:

della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione II, n. 736 del 25 marzo 2009, resa tra le parti, limitatamente alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso in primo grado n. 1379/2008 per carenza d’interesse all’annullamento degli atti impugnati

quanto al ricorso n. 8166 del 2009:

della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione II, n. 736 del 25 marzo 2009, resa tra le parti, limitatamente alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso in primo grado n. 1379/2008 per carenza d’interesse all’annullamento degli atti impugnati, in relazione alla ritenuta impossibilità di portare ad esecuzione da parte dei destinatari le rispettive ordinanze d’ingiunzione di ripristino della destinazione d’uso originaria delle unità abitative da essi acquistate

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto i rispettivi atti di costituzione in giudizio del Comune di Bussolengo negli appelli n. 7147/2009 e n. 7811/2009 e di Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia e Bateia Neveraj nell’appello n. 8166/2009;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi gli avv.ti Luca Mazzeo, in sostituzione di Andrea Manzi, e Riccardo Ruffo, per Sogeri S.r.l., Ca.Sa. Due S.r.l., Cannizzaro S.r.l., Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia e Bateia Neveraj, e gli avv.ti Mario Sanino e Eugenio Lequaglie per il Comune di Bussolengo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con i distinti appelli iscritti al n. 7147/2009 (notificato il 6 agosto 2009 e depositato il 31 agosto 2009), al n. 7811/2009 (notificato il 22 settembre 2009 e depositato il 5 ottobre 2009) e al n. 8166/2009 (notificato il 22 settembre 2009 e depositato il 15 ottobre 2009), Sogeri S.r.l. (qualificatasi come già cessata), Ca.Sa. Due S.r.l. (in liquidazione) e Cannizzaro S.r.l. (appello n. 7149/2009), Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia, Neveraj Bateia (appello n. 7811/2009) e il Comune di Bussolengo (appello n. 8166/2009) hanno impugnato, nei limiti del rispettivo interesse, capi diversi della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione II, n. 736 del 25 marzo 2009.

Tale sentenza, previa riunione, ha rigettato i ricorsi in primo grado n. 3287/2003, n. 2881/2005, n. 1004/2008 e n. 1481/2008, proposti rispettivamente da Ca.Sa. Due S.r.l. (n. 3827/2003 e n. 1481/2008), Sogeri S.r.l. (n. 2881/2005), Ca.Sa. Due S.r.l., Sogeri S.r.l. e Cannizzaro S.r.l. (n. 1004/2008) e ha dichiarato inammissibile per carenza d’interesse all’annullamento degli atti impugnati il ricorso in primo grado n. 1379/2008, proposto da Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia, Neveraj Bateia, in relazione alla ritenuta impossibilità di portare ad esecuzione, da parte dei destinatari, le rispettive ordinanze d’ingiunzione di ripristino della destinazione d’uso originaria delle unità abitative da essi acquistate.

Giova premettere in punto di fatto che:

- Sogeri S.r.l. chiese il rilascio di concessione edilizia e successive varianti per la realizzazione di un complesso turistico-ricettivo (c.d. garnì), composto da 119 unità immobiliari (miniappartamenti), poi acquisito e gestito da Ca.Sa. Due S.r.l. e, dopo la cancellazione di questa (in liquidazione), da Cannizzaro S.r.l.;

- tale complesso sorge in zona urbanistica D1 del Comune di Bussolengo, ove all’epoca, e sino al 2004, era ammessa anche la realizzazione di strutture a uso ricettivo, ed è stato realizzato in base a concessione edilizia n. 57/1998 e successive varianti n. 68/2000 e n. 52/2001, con atto di vincolo alla destinazione d’uso debitamente trascritto;

- varie unità immobiliari sono state cedute in locazione ed alcune alienate -in specie per quanto qui interessa a Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia, Neveraj Bateia;

- a seguito di difformità nell’esecuzione delle opere edilizie (oggetto di sanzione pecuniaria amministrativa pari a £. 332.604.800, irrogata con ordinanza n. 80 del 9 ottobre 2001, non impugnata) Ca.sa. Due S.r.l. chiese il rilascio di concessione in deroga in sanatoria ai sensi dell’art. 80 della l.r. 61/1985, sul dichiarato presupposto della destinazione turistico-ricettiva del complesso, negata con deliberazione del Consiglio Comunale di Bussolengo n. 55 dell’11 settembre 2003 -sul rilievo della carenza d’interesse pubblico-, impugnata con il ricorso in primo grado n. 3287/2003;

- con istanza dell’8 dicembre 2004 Sogeri S.r.l. e Ca.Sa. Due S.r.l. chiedevano, quindi, il rilascio di concessione in sanatoria -ai sensi dell’art. 39 del d.l. 30 settembre 2003 n.269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, come modificato dall’art. 5 del d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito nella legge 30 luglio 2004, n. 191 (introdotto in attuazione della parziale declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 32 di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 28 giugno 2004, n. 196), come integrato dalla l.r. veneta 5 novembre 2004, n. 21-, per cambio di destinazione d’uso dell’intero complesso immobiliare da turistico-ricettivo a residenziale:

- la sanatoria era negata con provvedimento n. 34271 di prot. del 20 settembre 2005 -sul rilievo che non risultava comprovato che il cambio di destinazione d’uso fosse anteriore al 31 marzo 2003-, impugnato con il ricorso in primo grado n. 2881/2005;

- il Comune di Bussolengo ha poi emanato l’ordinanza n. 33 del 21 marzo 2008, con cui ha ingiunto il ripristino della destinazione d’uso (variata appunto mediante cessione in locazione ordinaria e in taluni casi mediante compravendita delle singole unità abitative a uso residenziale), impugnata con il ricorso in primo grado n. 1004/2008;

- il Comune ha altresì emanato ulteriori ordinanze nn. 59, 60, 62. 63 e 64 del 19 maggio 2008, di rimessione in pristino della destinazione d’uso, nei confronti di singoli acquirenti degli immobili (Michele Boschiggia, Carlo Cillari, Nicola Laviano, Roberto Darletti, Shelly Bathia, Neveraj Bateia), impugnate con il ricorso collettivo e cumulativo n. 1379/2008;

- il Comune ha infine adottato tre provvedimenti di diniego -relativi ad altrettante istanze di sanatoria (sempre per le richiamate difformità), presentate l’11 febbraio 2004 da Ca.Sa. Due S.r.l., sul rilievo che la società era estinta in quanto cancellata dal registro delle imprese sin dal 29 ottobre 2003-, impugnati col ricorso n. 1481/2008.

La sentenza impugnata, come anticipato, previa riunione, ha rigettato i ricorsi n. 3282/2003, 2881/2005, 1004/2008 e 1481/2008 e ha dichiarato inammissibile per carenza d’interesse all’annullamento il ricorso n. 1329/2008, in base ai rilievi di seguito sintetizzati:

- quanto al ricorso n. 3287/2003, sul rilievo che l’art. 80 della l.r. n. 61/1985 (relativo al rilascio di concessione in deroga) sarebbe inapplicabile, in quanto non sarebbe dimostrato che il P.R.G. consentisse di rilasciare la sanatoria in deroga alla destinazione di zona (D1); e perché le società ricorrenti non avevano invocato nell’istanza, sebbene solo nel ricorso, l’applicazione dell’art. 97 della medesima legge regionale, comunque erroneamente richiamato perché gli abusi erano stati già oggetto di sanzione pecuniaria inoppugnata;

- quanto al ricorso n. 2881/2005, osservando non è stato comprovato che il cambio di destinazione d’uso sia anteriore al 31 marzo 2003, dovendosi anzi apprezzare, al riguardo, come elementi di segno negativo della circostanza i contratti di locazione ad uso turistico versati in atti e il loro contenuto (nel quale si richiamano i servizi minimi di cui all’allegato IV della l.r. 22 ottobre 1999, n. 49), né potendo assumere alcuna valenza gli esibiti certificati di residenza dei conduttori, che possono essere rilasciati anche a chi fissa una residenza precaria o presso una struttura ricettiva;

- quanto al ricorso n. 1004/2008, perché l’ordinanza di ripristino della destinazione turistico-ricettiva è provvedimento dovuto a fronte del diniego di condono, né occorrendo l’acquisizione di ulteriore parere della C.E.C. a fronte di quello già acquisito sul diniego di condono edilizio;

- quanto al ricorso n. 1481/2008, perché a seguito della cancellazione della società Ca.Sa. Due S.r.l. in epoca anteriore alla presentazione delle tre domande di sanatoria la società era estinta e quindi priva di ogni legittimazione sostanziale;

- quanto alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso n. 1329/2008, infine, si sostiene che, pur apparendo le ordinanze, alla stregua dei rilievi svolti in precedenza, “oggettivamente legittime”, nondimeno esse non potrebbero dispiegare alcuna efficacia lesiva nei confronti dei singoli acquirenti delle unità abitative, che non potrebbero darvi esecuzione, in quanto “nell’impossibilità fisica e giuridica” di ripristinare la destinazione turistico-ricettiva, non essendo albergatori o titolari di attività ricettive e di ristoro.

Con l’appello n. 7147/2009 le società predette hanno dedotto i motivi di seguito sintetizzati:

1) In relazione al rigetto del ricorso n. 2881/2005: eccesso di potere per travisamento dei fatti, errata valutazione delle prove offerte, violazione del principio juxta alligata atque probata nonché violazione del principio del contraddittorio, perché la sentenza ha negato, in modo affatto erroneo, che sia intervenuto cambio di destinazione d’uso, da ricettivo a residenziale, prima del 31 marzo 2003, all’opposto comprovato dai certificati di residenza rilasciati per le unità immobiliari locate e alienate, senza che possa invece rilevare il contenuto dei contratti locativi, chiaramente simulati, i quali peraltro addebitavano ai conduttori spese di condominio e il rispetto di regolamento condominiale, con diritto al rinnovo, né avendo il giudice amministrativo veneto considerato alcune dichiarazioni sostitutive di notorietà attestanti la locazione a uso residenziale anteriori al 31 marzo 2003, oltre che l’applicazione di tariffe idrica e per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a uso domestico.

In relazione a tali rilievi si ripropongono le censure già svolte nel ricorso di primo grado di:

a) Travisamento ed erronea valutazione dei fatti in ordine all’effettiva destinazione d’uso degli immobili, sia in relazione all’iscrizione in catasto delle unità immobiliari nella categoria A2 anziché D2, sia all’assenza di servizi di receptions e portierato, all’accollo alla società della sola manutenzione straordinaria, e all’opposto agli utilizzatori del rimborso delle spese condominiali.

b) Contraddittorietà tra atti successivi della p.A. in relazione all’ordinanza n. 80 del 9 ottobre 2001, irrogativa di sanzione pecuniaria amministrativa, in relazione al rilascio di certificati di residenza anagrafica ai conduttori incompatibili con uso di tipo turistico, nonché al richiamo, nell’ordinanza irrogativa della sanzione pecuniaria, ai fini parametrici,di un valore venale dei manufatti “assimilabile a residenziale”.

2) In relazione al rigetto del ricorso n. 1481/2008, perché la cancellazione della società Ca.Sa. Due S.r.l. non poteva ostare all’esame delle tre istanze di sanatoria, in quanto la stessa era venuta meno con effetto retroattivo e comunque perché la cancellazione poneva la società in stato di liquidazione proprio al fine di consentire la definizione dei relativi procedimenti.

Si ripropongono le censure già svolte nel giudizio di primo grado:

a-b) Eccesso di potere - Violazione di legge, perché le domande di condono dovevano considerarsi accolte per silenzio assenso, essendo ampiamente decorso il termine ex art. 32 della legge n. 326/2003, mentre sul punto il giudice amministrativo veneto ha omesso ogni pronuncia.

c) Violazione di legge ed eccesso di potere, perché la cancellazione di una società non ne determina l’estinzione, l’illecito edilizio oggetto delle istanze di sanatoria era anteriore alla cancellazione (avvenuta il 27 ottobre 2003), la società è stata riaperta ed è in liquidazione.

3) In relazione all’omessa declaratoria di cessazione della materia del contendere nel ricorso n. 3187/2003, tenuto conto dell’intervenuta presentazione delle successive istanze di condono.

4) In relazione al rigetto del ricorso n. 3187/2003: errata motivazione, integrazione della motivazione in corso di giudizio, violazione del principio juxta alligata atque probata, perché nessun rilievo può assumere l’inoppugnabilità dell’ordinanza irrogativa della sanzione amministrativa pecuniaria, in funzione della presentazione delle successive istanze di sanatoria; sotto altro aspetto la sentenza impugnata ha considerato inapplicabile l’art. 80 della l.r. n. 61/1985 in mancanza di previsioni specifiche del P.R.G., all’opposto individuabile nell’art. 29 delle N.T.A., laddove la deliberazione consiliare si era riferita esclusivamente all’assenza d’interesse pubblico alla deroga in relazione alla natura delle opere.

5) In relazione al rigetto del ricorso n. 3183/2003: violazione ed errata interpretazione dell’art. 97 della l.r. n. 61/1985, perché l’istanza di concessione di sanatoria in deroga poteva e doveva essere esaminata ai sensi dell’art. 97 della l.r. n. 61/1985, non ostandovi l’irrogazione inoppugnata della sanzione amministrativa pecuniaria.

6) In relazione al rigetto del ricorso n. 2881/2005: violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, divieto d’integrazione del provvedimento, per l’insufficiente esame delle osservazioni presentate al preavviso di diniego, nelle quali si argomentava e documentava l’effettivo uso residenziale.

7) In relazione al rigetto del ricorso n. 1004/2008: omessa pronuncia su una censura, violazione dell’art. 10 della legge n. 241/1990, in ragione dell’invalidità derivata dall’illegittima pretermissione delle osservazioni al preavviso di diniego.

8) In relazione al rigetto del ricorso n. 1004/2008: errata valutazione delle risultanze della causa, violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 92 della l.r. n. 61/1985, insistendosi nella natura viziante della carenza del parere della commissione edilizia comunale, non surrogabile da quello acquisito sull’istanza di condono.

9) In relazione al rigetto del ricorso n. 1004/2008: omessa o insufficiente motivazione della sentenza, violazione del principio di legalità delle sanzioni amministrative e dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in difetto di previsioni legislative regionali in ordine alla rilevanza, e quindi al regime sanzionatorio, del mutamento di destinazione d’uso funzionale, senza opere edilizie.

Con l’appello n. 7811/2009 i privati acquirenti di unità immobiliari hanno dedotto i motivi di seguito sintetizzati:

1) Erroneità e illogicità della declaratoria di inammissibilità per difetto d’interesse all’annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso n. 1379/2008. Omesso esame del primo motivo del ricorso, Violazione del principio di buona fede e affidamento, perché, rilevata l’ineseguibilità delle ordinanze di ripristino della destinazione d’uso da parte dei privati acquirenti singole unità immobiliari, doveva dedursene l’illegittimità per impossibilità dell’oggetto del provvedimento, laddove invece non si è considerata la buona fede dei medesimi e l’affidamento riposto avendo l’amministrazione comunale rilasciato i certificati di residenza.

2) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errata valutazione delle prove offerte, violazione del principio juxta alligata atque probata nonché violazione del principio del contraddittorio, con censure analoghe a quelle svolte nel motivo sub 1 e lettere a), b) c) dell’appello n. 7147/2009.

3) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, divieto d’integrazione del provvedimento In relazione al rigetto del ricorso n. 2881/2005, con censure analoghe a quelle svolte nel motivo sub 6) dell’appello n. 7147/2009.

4) Omessa pronuncia su una censura di ricorso, violazione art. 10 della legge n. 241/1990, trattasi di censure analoghe a quelle svolte nel motivo sub 7 dell’appello n. 7147/2009.

5) Errata valutazione delle risultanze della causa, violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 92 della l.r. n. 61/1985, trattasi di censure analoghe a quelle svolte nel motivo sub 8) dell’appello n. 7147/2009.

6) Omessa o insufficiente motivazione della sentenza, violazione del principio di legalità delle sanzioni amministrative e dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, trattasi di censure analoghe a quelle svolte nel motivo sub 9) dell’appello n. 7147/2009.

Con l’appello n. 8166/2009, infine, il Comune di Bussolengo, rivendicata la legittimazione ad impugnare il capo di sentenza relativo alla declaratoria di carenza d’interesse all’annullamento delle ordinanze di ripristino emesse nei confronti dei privati acquirenti, sul rilievo che essa statuisce l’ineseguibilità dei provvedimenti sanzionatori e quindi riveste efficacia lesiva, ha dedotto i motivi di seguito sintetizzati:

1) Intrinseca contraddittorietà della sentenza e incongruità della motivazione, perché la pretesa ineseguibilità delle ordinanze di ripristino, sulla cui base è stata dichiarata la carenza d’interesse, si pone in insanabile contrasto logico con la loro pur riconosciuta legittimità, nel senso che o esse erano legittime sotto tutti i profili, compresa l’individuazione dei destinatari, oppure dovevano essere annullate.

2) Vizio di ultrapetizione, poiché i ricorrenti in primo grado non avevano dedotto affatto l’ineseguibilità delle ordinanze impugnate-

3) Errata valutazione dell’inesigibilità dell’obbligo di ripristino della destinazione d’uso, consistendo esso nella mera cessazione dell’uso abitativo residenziale delle unità immobiliari, salvo al limite l’affidamento a terzi per la loro locazione turistica.

4) Infondatezza del ricorso in primo grado, non essendo invocabile alcuna buona fede da parte degli acquirenti (negli atti di compravendita era espressamente richiamata la destinazione turistico-ricettiva e il vincolo di destinazione d’uso), e quindi alcun affidamento, tantomeno riponibile nel rilascio di certificati di residenza, affatto irrilevanti sotto il profilo della conformità urbanistica della destinazione d’uso.

5) Infondatezza delle censure d’invalidità derivata dedotte nel ricorso in primo grado, sia con riferimento alla sufficienza della motivazione (stante l’irrilevanza degli elementi addotti in sede procedimentale ai fini dell’illegittima modificazione della destinazione d’uso, nonché ai fini del diniego di sanatoria, sia in relazione alla consentita partecipazione del legale rappresentante delle società al procedimento e alla valutazione dei suoi apporti partecipativi, sia all’insostenibilità di sospensione obbligatoria del procedimento ex art. 38 della legge n. 47/1985 una volta intervenuto il diniego di sanatoria, sia in relazione all’avvenuta acquisizione del parere della C.E.C. sull’istanza di sanatoria, nel quale si richiamavano anche i conseguenti provvedimenti di ripristino della destinazione d’uso turistico-ricettiva, sia infine in relazione all’inapplicabilità dell’art. 32 del d.P.R. n. 380/2001 trattandosi nella specie di cambio di destinazione d’uso incompatibile con la tipizzazione urbanistica).

Nei giudizi si sono costituiti i rispettivi appellati, che a loro volta, hanno dedotto l’infondatezza degli avversi appelli.

All’udienza pubblica del 3 aprile 2012 gli appelli sono stati discussi e riservati per la decisione.

DIRITTO

1.) Il Collegio reputa opportuno disporre la riunione degli appelli in epigrafe, stante la loro evidente connessione oggettiva, in quanto rivolti avverso la stessa sentenza, ancorché per capi diversi, nonché in funzione della sostanziale identità di parte delle censure dedotte con gli appelli n. 7147/2009 e 7811/2009; quest’ultimo, salvo il motivo sub 1), propone, infatti, negli ulteriori motivi sub 2), 3), 4), 5) e 6) doglianze sovrapponibili a quelle svolte, rispettivamente, nei motivi sub 1 lettere a), b), 6), 8) e 9) dell’appello n. 7147/2009.

2.) Nell’ordine logico giuridico è prioritario l’esame dell’appello n. 7147/2009, e nell’ambito di questo dei motivi dedotti avverso il capo della sentenza reiettivo dell’impugnativa del diniego di concessione in sanatoria (motivi sub 1) e 6)), poiché ove questi risultassero fondati da un lato si consumerebbe ogni interesse all’annullamento del diniego di concessione in deroga, oggetto di altro capo della sentenza, dall’altro sarebbero private di presupposto, e quindi caducate le ordinanze di ripristino della destinazione d’uso turistico-ricettiva, con conseguenti riflessi sull’interesse agli appelli n. 7811/2009 e 8166/2009.

All’opposto, l’infondatezza dei predetti motivi lascerebbe residuare l’interesse all’esame dell’impugnativa dei capi di sentenza reiettivi delle ulteriori separate istanze di sanatoria presentate da Ca.Sa. Due S.r.l., e subordinatamente, del diniego di concessione in deroga, nonché di quelli concernenti le ordinanze di ripristino emanate nei confronti delle società e dei privati, ivi compreso, come si dirà oltre, l’appello proposto dal Comune di Bussolengo.

2.1-6) Come riferito nella narrativa in fatto, con istanza dell’8 dicembre 2004 Sogeri S.r.l. e Ca.Sa. Due S.r.l. chiedevano il rilascio di concessione in sanatoria -ai sensi dell’art. 39 del d.l. 30 settembre 2003 n.269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, come modificato dall’art. 5 del d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito nella legge 30 luglio 2004, n. 191 (introdotto in attuazione della parziale declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 32 di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 28 giugno 2004, n. 196), come integrato dalla l.r. veneta 5 novembre 2004, n. 21-, per cambio di destinazione d’uso dell’intero complesso immobiliare da turistico-ricettivo a residenziale.

La sanatoria era negata con provvedimento n. 34271 di prot. del 20 settembre 2005 sul rilievo che non risultava comprovato che il cambio di destinazione d’uso fosse anteriore al 31 marzo 2003.

E’ appena il caso di richiamare la consolidata giurisprudenza in ordine all’imputazione al privato che richiede la sanatoria dell’onere di fornire la prova della prova dell’ultimazione delle opere abusive in data utile per fruire del condono (Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2011, n. 6861; vedi anche id., 2 febbraio 2011, n. 752, 27 novembre 2010, n. 8298, 12 febbraio 2010, n 772, 13 gennaio 2010, n. 45; e Sez. V 9 novembre 2009, n. 6894, per limitare i richiami solo alle pronunce più recenti)

Nel caso di specie tale onere riguardava la prova che prima della data “fatidica” fosse intervenuto il mutamento di destinazione d’uso da turistico-ricettivo a residenziale.

Orbene, le società appellanti sostengono che il giudice amministrativo veneto avrebbe erroneamente negato, aderendo alla motivazione dell’impugnato diniego, la sufficienza degli elementi documentali addotti in sede procedimentale (certificati di residenza, alcune dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, circostanze relative alla tariffazione a uso domestico delle utenze idriche e per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, categoria catastale, assenza di servizi di receptions e portierato, riparto delle spese condominiali, parametrazione della sanzione pecuniaria nell’ordinanza irrogativa, non impugnata, al valore venale delle opere “assimilato a residenziale”), annettendo invece rilievo a contratti di locazione a uso turistico di natura simulata (motivi sub 1) e censure del ricorso di primo grado riproposte sotto le lettere a) e b) ).

Osserva il Collegio che le statuizioni della sentenza di primo grado meritano conferma, con la precisazione che, nel caso di specie, essendo stata richiesta la sanatoria del cambio di destinazione, la prova del “fatto” doveva riguardaretutte le unità abitative locate o compravendute e per tutte essa doveva riferirsi ad epoca antecedente al 31 marzo 2003, non potendosi ovviamente ammettere un condono temporalmente “frazionato”.

Al riguardo non può esser sufficiente, peraltro, invocare la natura simulata dei contratti di locazione ad uso turistico, in funzione dell’allegata diversa volontà delle parti di stipulare un contratto di locazione ad uso abitativo-residenziale.

Il contratto simulato, infatti, non produce effetti, o produce i diversi effetti voluti, solo tra le parti, secondo la regola generale enunciata dall’art. 1414 cod. civ., non anche rispetto a terzi estranei (in disparte la tutela dei terzi acquirenti di buona fede dal titolare apparente, di cui all’art. 1415 cod. civ., o dei creditori di buona fede del titolare apparente di cui all’art. 1416 cod. civ.); e sotto il profilo processuale, come noto, è soggetta a stringenti limitazioni in ordine alla prova, nel senso che mezzi di prova diversi da quella scritta tipica (controdichiarazione) sono invocabili soltanto dai creditori e dai terzi, non anche dalle parti del contratto simulato, salvo che sia diretta a far valere l’illiceità del negozio (art. 1417 cod. civ.).

In tale prospettiva, risultano irrilevanti anche pattuizioni rivolte a uno specifico riparto di oneri relativi alla manutenzione e degli oneri condominiali, che in se non comprovano la destinazione abitativa residenziale.

Gli elementi indiziarii dedotti in sede procedimentale e richiamati nelle censure non possono assumere valore univoco e decisivo in ordine alla prova che tutte le unità locate e/o compravendute siano state effettivamente destinate a uso abitativo prima del 31 marzo 2003.

In particolare, come osservato dal giudice amministrativo veneto, non è affatto comprovata l’assenza dei servizi minimi previsti dalla l.r. 22 ottobre 1999 n. 49, mentre gli stessi certificati di residenza non possono rivestire rilievo decisivo poiché essi -in disparte la possibilità di una residenza “in precario”, come definita dalla sentenza-, ex se non comprovano l’utilizzazione abitativa, ben potendosi dissociare la residenza “anagrafica” da quella civilistica, intesa come luogo di stabile dimora, ossia dalla residenza “effettiva”; in altri termini la residenza anagrafica come tale non dimostra che ivi sia fissata la residenza “effettiva” (Cons. Stato Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7730).

Si aggiunga che l’ufficiale di anagrafe è tenuto a ricevere le dichiarazioni di cui all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (recante “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”) e ad effettuare entro breve termine le relative registrazioni (vedi art. 17), nonché a rilasciare a chiunque ne faccia richiesta le certificazioni di residenza o di famiglia (vedi art. 33), senza potere o dovere disporre specifici accertamenti d’ufficio, salvi i casi di omesse dichiarazioni obbligatorie delle parti (art. 15).

Ne consegue che il semplice rilascio di un certificato di residenza non può assumere valenza probatoria della destinazione a uso abitativo di un’unità immobiliare che abbia diversa destinazione urbanistico-edilizia.

Né, in funzione dell’esigenza della prova rigorosa del cambio di destinazione d’uso per tutte le unità locate e/o compravendute possono assumere, del pari, rilievo dichiarazioni sostitutive di notorietà di alcuni conduttori soltanto in ordine all’utilizzazione abitativa sin dal 2001.

Analogamente, la classificazione catastale assegnata alle unità immobiliari in base alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante delle società non ha alcuna congruenza rispetto alla prova dell’effettiva utilizzazione residenziale e non turistico-ricettiva, e analoghe considerazioni valgono per il regime di tariffazione dei consumi idrici o della raccolta dei rifiuti solidi urbani.

Affatto irrilevante è poi la circostanza che la misura della sanzione pecuniaria irrogata sia stata parametrata assumendo un certo “valore venale”, tenuto conto che, come esattamente osservato dalla difesa dell’Amministrazione comunale, nella specie vi era stata mera “assimilazione” ad un valore venale residenziale, e che, peraltro, l’ordinanza irrogativa della sanzione pecuniaria amministrativa è rimasta inoppugnata.

Alla stregua dei rilievi che precedono, risultano quindi infondati i motivi sub 1) e quelli di primo grado come riproposti nelle successive lettere a) e b) del primo motivo dell’appello n. 7147/2009, come del pari il motivo sub 6), attinente alla presunta mancata valorizzazione delle osservazioni al preavviso di diniego.

Analogamente infondate sono le omologhe censure proposte nell’appello n. 7811/2009 di cui ai motivi sub 2) e 3).

2.2-3) Ancora nell’ordine logico-giuridico, devono esaminarsi le censure svolte nel motivo sub 2) dell’appello n. 7147/2011, dirette a denunciare l’erroneità del capo della sentenza gravata relativo alla reiezione del ricorso in primo grado n. 1461/2008, col quale erano stati impugnati dalla società Ca.Sa. Due S.r.l. tre dinieghi di sanatoria in relazione alla circostanza che essa doveva ritenersi estinta sin dal 27 ottobre 2003, data della sua cancellazione.

E’ stato dedotto che sarebbe erronea la ragione posta a fondamento dei dinieghi (ossia l’essere la società Ca.Sa. Due S.r.l. già estinta all’epoca della proposizione delle tre istanze) perché la cancellazione dal registro delle imprese sarebbe venuta meno per effetto della reiscrizione a richiesta della stessa (motivo sub 2), riproponendosi le doglianze già svolte nel ricorso in primo grado n. 1481/2008 sub a-b) (s’invoca la formazione del silenzio assenso in funzione del decorso del termine ex art. 32 della legge n. 326/2003, su cui il T.A.R. non si sarebbe pronunciato) e sub c) (la cancellazione non determina ex se l’estinzione della società in presenza di istanze di sanatoria relative a illecito edilizio anteriore alla cancellazione).

In punto di fatto, deve rilevarsi che dalla stessa documentazione esibita dall’appellante (cfr. visura storica) è incontestabile che la cancellazione della società Ca.Sa. Due S.r.l. dal registro delle imprese sia avvenuta il 29 ottobre 2003, a richiesta del 25 ottobre 2003 e a seguito di approvazione del bilancio finale di liquidazione, depositato il 27 ottobre 2003, mentre soltanto a seguito di denuncia presentata il 29 aprile 2009 -ossia in epoca addirittura successiva al deposito della sentenza impugnata- è stata chiesta “…la riapertura della società al fine di concludere l’istanza di condono pendente”.

Orbene, è noto che l’art. 2495 cod. civ., come novellato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, ha assegnato alla cancellazione delle società dal registro delle imprese efficacia costitutiva e, ciò che più conta, vi ha ricollegato l’effetto estintivo della persona giuridica societaria.

Nel vigore della previgente disciplina la dottrina sosteneva che alla cancellazione si connettesse l’effetto estintivo, mentre la giurisprudenza opinava che esso si ricollegasse soltanto alla completa definizione dei rapporti giuridici pendenti e soprattutto di tutte le passività sociali.

La novella al codice ha risolto il contrasto annettendo direttamente e inequivocamente alla cancellazione della società dal registro delle imprese l’estinzione della medesima.

Come chiarito dalla Suprema Corte “L’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal d.lgs. n. 6/2003, art. 4, è norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione, in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire” (cfr. Cass. SS.UU. civili, 22 febbraio 2010, n. 4060).

In altri termini, non soltanto le società cancellate in epoca successiva al 1° gennaio 2004 (data di entrata in vigore della novella) sono estinte di diritto a far tempo dalla cancellazione, ma anche quelle cancellate in epoca precedente sia pure con effetto dallo stesso 1° gennaio 2004.

Tale regola trova eccezione nel solo caso in cui sia stata richiesta al giudice del registro la cancellazione dell’iscrizione pregiudizievole (ossia la cancellazione), ai sensi dell’art. 2195 cod. civ., a istanza dei creditori o del pubblico ministero, ai fini di cui all’art. 10 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e quindi per consentire la declaratoria di fallimento entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese (Cass. SS.UU. civili, 22 febbraio 2010, n. 4062), ipotesi che esula dal caso di specie.

E’ quindi evidente che le istanze di sanatoria presentate l’11 febbraio 2004 non potevano essere esaminate per carenza di legittimazione attiva sostanziale del richiedente, posto che la società Ca.Sa. Due S.r.l. era estinta quantomeno a far data dal 1° gennaio 2004.

Ne consegue l’infondatezza del motivo sub 2) dell’appello n. 7147/2009, nonché delle riproposte censure (sub a-b) e c) ) del ricorso n. 1481/2008, poiché da un lato, in funzione dell’inesistenza giuridica del soggetto richiedente la concessione in sanatoria non può perfezionarsi l’invocato silenzio assenso ex art. 32 della legge n. 326/2003, e dall’altro nessun rilievo può assumere l’annotazione nel registro delle imprese di una reiscrizione a istanza di società estinta, peraltro addirittura successiva alla data della sentenza impugnata.

La rilevata infondatezza si riverbera, altresì, sul motivo sub 3) dell’appello n. 7147/2009, col quale è stata dedotta l’erroneità della mancata declaratoria d’improcedibilità per carenza d’interesse del ricorso in primo grado n. 3187/2003 (relativo al diniego di concessione in sanatoria in variante) in relazione alla supposta fondatezza del ricorso n. 1481/2003.

E’ evidente, infatti, che esclusa la fondatezza dell’impugnativa dei tre dinieghi di sanatoria in relazione alla loro presentazione da parte di soggetto inesistente, perché estinto, non poteva che darsi corso all’esame nel merito dell’impugnativa del diniego di concessione in sanatoria in variante, per il quale l’interesse a ricorrere persiste proprio per effetto della riconosciuta legittimità dei dinieghi di sanatoria gravati coi ricorsi in primo grado n. 2881/2005 e n. 1481/2008.

2.2.4-5) Proseguendo secondo l’ordine logico-giuridico, devono quindi esaminarsi i motivi dell’appello n. 7147/2009 sub 4) e 5).

Il primo ordine di censure è condivisibile quanto alla deduzione che la sentenza impugnata ha fondato il rigetto del ricorso in primo grado n. 3183/2003 su un profilo estraneo alla motivazione della deliberazione consiliare n. 55 dell’11 settembre 2003, che si è riferita esclusivamente alla carenza d’interesse pubblico alla deroga in sanatoria e non anche all’inapplicabilità dell’art. 80 della legge regionale n. 61/1985.

L’art. 80 della legge regionale veneta 27 giugno 1985, n. 61 dispone testualmente, per quanto qui interessa, che:

“Il Piano regolatore generale può dettare disposizioni che consentano, entro i limiti predeterminati, al Sindaco di rilasciare concessioni o autorizzazioni in deroga alle norme e alle previsioni urbanistiche generali quando esse riguardino edifici o impianti pubblici o di interesse pubblico e purché non comportino la modifica delle destinazioni di zona (comma 1)

Il rilascio della concessione o autorizzazione, nei casi di cui al comma precedente deve essere preceduto da deliberazione favorevole del Consiglio comunale (comma 2).

In assenza di specifiche disposizioni del Piano regolatore generale, il Sindaco può parimenti rilasciare concessioni o autorizzazioni in deroga, sussistendo le altre condizioni previste dal primo e secondo comma, previo nulla osta del Presidente della Provincia, che lo rilascia sentita la Commissione urbanistica provinciale di cui all'art. 114” (comma 3).

La disposizione, in sostanza, subordina la concessione in deroga a due condizioni:

- l’esistenza di una previsione di piano regolatore generale che ammetta la deroga;

- l’inerenza della richiesta concessione o autorizzazione in deroga ad “edifici o impianti pubblici o di interesse pubblico”.

Nel caso di specie, come osservato dal giudice amministrativo veneto “La P.A. resistente, come pare evidente, non pone in discussione la natura di struttura ricettiva dell’edificio -che costituisce il presupposto ed anzi la ragion d’essere della richiesta di sanatoria respinta dal Comune-, nella costruzione del quale sono stati apportati i modesti ampliamenti in discorso, ma nega che gli ampliamenti in questione configurino, in sé, un’opera pubblica o di interesse pubblico”.

Sennonché la sentenza, pur riconoscendo “il ragionamento dell’amministrazione, non proprio lineare…”, ha ritenuto che dovesse escludersi l’applicabilità dell’art. 80 perché “…non è stato dedotto che il PRG comunale contenesse, in conformità all’art. 80, previsioni circa la possibilità di rilasciare titoli edilizi in deroga per la realizzazione di opere di interesse pubblico…”, e secondariamente perché “…gli stessi modesti abusi erano stati sanzionati pecuniariamente (con provvedimento divenuto inoppugnabile), e ciò non può non intendersi come definizione della questione”.

E’ evidente il vero e proprio “salto logico” tra premesse e conclusioni cui è pervenuto il giudice amministrativo veneto: la deliberazione consiliare non aveva affatto escluso l’applicabilità dell’art. 80 invocando l’inesistenza di previsioni del P.R.G. che consentissero la deroga (in effetti esistenti e costituite dall’art. 29 N.T.A., richiamato dall’appellante), e nemmeno che gli interventi afferissero a struttura d’interesse pubblico, escludendo invece l’interesse pubblico al rilascio della concessione in deroga.

In tal modo però l’Amministrazione comunale ha operato una valutazione che non le era consentita, poiché laopportunità del rilascio di concessioni in deroga ex art. 80 della l.r. n. 61/1985 era stata operata, secondo le previsioni della disposizione, dallo strumento di pianificazione generale, laddove quindi l’amministrazione avrebbe dovuto limitarsi a valutare se:

- gli interventi afferissero a edificio di “interesse pubblico”;

- essi non comportassero (in se) modifica delle destinazioni di zona.

Nessun rilievo poteva assumere poi, al contrario di quanto opinato dal giudice amministrativo veneto, la circostanza che tali interventi fossero stati sanzionati con l’irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria, rimasta inoppugnata, che di per se non precludeva affatto il rilascio della concessione in deroga, in sanatoria.

La fondatezza del motivo sub 4) dell’appello n. 7147/2009 determina l’assorbimento del motivo, chiaramente subordinato, di cui al successivo n. 5) –afferente al mancato esame dell’istanza ai sensi dell’art. 97 della l.r. n. 61/1985-, che risulta comunque destituito di fondamento, poiché quest’ultima disposizione consente la sanatoria degli interventi che “non siano in contrasto con la disciplina urbanistica…”, laddove nel caso di specie è incontestato tale contrasto, al superamento del quale era appunto indirizzata l’istanza di concessione in deroga ex art. 80 della stessa legge regionale.

2.2.7-8-9) Infondati risultano, infine, i motivi sub 7), 8) e 9) dell’appello n. 7147/2009, al pari delle omologhe censure di cui ai motivi sub 3), 4) e 5) dell’appello n. 7811/2009.

Esse riguardano il rigetto del ricorso n. 1004/2008, col quale era stata impugnata l’ordinanza n. 33 del 21 marzo 2008, con cui è stato ingiunto il ripristino della destinazione d’uso turistico-ricettiva, e sono appunto riproposte, nel ricorso n. 7811/2009 dagli acquirenti di singole unità immobiliari a loro volta destinatari delle ordinanze nn. 59, 60, 62, 63 e 64 del 19 maggio 2008, di analogo contenuto.

Esclusa la fondatezza delle censure concernenti la presunta mancata valorizzazione delle osservazioni al preavviso di diniego, cade quella d’invalidità derivata di cui al motivo sub 7) dell’appello n. 7147/2009 (e del corrispondente motivo sub 3) dell’appello n. 7811/2009).

Del pari è destituito di fondamento giuridico il motivo sub 8) dell’appello n. 7147/2009 (e il corrispondente motivo sub 4) dell’appello n. 7811/2009), sia perché è incontestato che il parere della commissione edilizia comunale era stato acquisito sul diniego di condono edilizio (peraltro facoltativo e non obbligatorio: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2009, n. 6784), sia perché, a seguito del predetto diniego, l’ordinanza di ripristino della destinazione d’uso conforme alla destinazione urbanistica di zona è atto dovuto e del tutto vincolato (cfr. in genere per le ordinanze repressive degli abusi edilizi Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2011, n. 2781), sia e infine perché, non potendo l’ordinanza avere contenuto diverso, non potrebbe pronunciarsene in ogni caso l’annullamento ai sensi del 21 octies comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dall’art. 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15.

E’ del tutto infondato anche l’ultimo motivo dell’appello n. 7147/2009 (e l’omologo motivo n. 5) dell’appello n. 7811/2009) perché l’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 rinvia per la nozione di variazioni essenziali al successivo art. 32, e la lettera a) di quest’ultimo qualifica come tali appunto i mutamenti di destinazione d’uso con variazioni degli standards urbanistici, innegabile quando, come nella specie, un immobile ad uso turistico-ricettivo venga adibito ad usi abitativi-residenziali.

L’invocata assenza di legislazione regionale intesa a definire la tipologia delle variazioni essenziali non implica che quelle direttamente definite come tali dalla legge statale non siano assoggettate alle sanzioni edilizie repressive e/o ripristinatorie, posto che, ai sensi dell’art. 2 comma 3 del d.P.R. n. 380/2001 “Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi”.

3.) Esaurito l’esame dell’appello n. 7147/2009, fondato limitatamente al motivo sub 4), può procedersi all’esame congiunto della residua censura dell’appello n. 7811/2009, proposto dai privati acquirenti di talune unità immobiliari, e dei motivi sub 1), 2), 3) e 4) dell’appello n. 8166/2009, proposto dal Comune di Bussolengo.

Quanto a quest’ultimo, deve convenirsi in ordine all’ammissibilità dell’appello poiché il capo di sentenza gravata, pur se formalmente espresso in rito, attraverso la declaratoria d’inammissibilità per carenza d’interesse del ricorso in primo grado n. 1379/2008 (diretto avverso le ordinanze di ripristino della destinazione d’uso emanate nei confronti di privati acquirenti di alcune unità immobiliari), si fonda sull’accertamento di una pretesa inesigibilità e/oimpossibilità di ottemperarvi, perché, secondo il giudice amministrativo veneto, “…pur essendo proprietari di singole unità abitative situate nell’edificio di cui è causa…nemmeno se volessero, potrebbero ottemperare all’ordinanza di ripristino di cui sono destinatari: essi sono nell’impossibilità, fisica e giuridica (non sono albergatori o titolari di attività autorizzate di svolgimento di attività ricettiva e di ristoro), di ripristinare la destinazione ricettiva e di ristoro dell’appartamento acquistato dagli autori dell’illecito cambio di destinazione d’uso da ricettiva a residenziale- abitativa”.

Con ciò il T.A.R., senza avvedersene, ha affermato implicitamente, in contrasto con quanto rilevato appena qualche rigo prima, (che le ordinanze suddette, al pari di quella impugnata col ricorso in primo grado n. 1004/2008, “…sarebbero oggettivamente legittime…”), addirittura la nullità di tali provvedimenti in funzione dell’impossibilità del loro oggetto.

3.1) Osserva il Collegio che all’opposto le ordinanze impugnate sono affatto legittime, oltre che consequenziali al diniego di condono edilizio.

Il giudice amministrativo veneto non ha compreso, infatti, che il contenuto dispositivo delle ordinanze implica niente altro che la cessazione dell’uso abitativo da parte dei privati acquirenti, non anche che essi debbano provvedere ad una gestione turistico-ricettiva diretta o indiretta degli immobili.

Né può sostenersi che i privati abbiano acquistato gli immobili ignorando la loro destinazione urbanistico-edilizia non abitativa, puntualmente richiamata negli atti di compravendita, e quindi invocarsene la buona fede (che comunque assumerebbe rilievo, al limite, nel rapporto con la società alienante), e ancor meno che possano aver riposto alcun affidamento ragionevole ingenerato dall’amministrazione comunale, non potendo assumere alcuna valenza, ai fini della conformità dell’utilizzazione degli immobili alla ben conosciuta loro diversa destinazione urbanistico-edilizia, i certificati di residenza rilasciati a richiesta dei medesimi.

Alla stregua delle osservazioni che precedono, mentre è infondato il residuo motivo sub 1) dell’appello n. 7811/2009, sono fondati i motivi sub 1), 2) e 3) e 4) dell’appello n. 8166/2009 (mentre il residuo motivo sub 5) di quest’ultimo attiene, in effetti, alla confutazione delle censure dedotte con l’appello n. 7147/2009 e di quelle omologhe dell’appello n. 7811/2009, già esaminate supra).

4.) In conclusione, l’appello n. 7147/2009 deve essere accolto in parte, nei limiti che precedono, onde, in riforma parziale della sentenza impugnata, deve essere annullata la deliberazione di Consiglio Comunale n. 55 dell’11 settembre 2003, salvi i provvedimenti ulteriori dell’Amministrazione, mentre deve essere respinto per il resto; del pari deve essere accolto l’appello n. 8186/2009, onde, in riforma parziale della sentenza gravata, deve essere respinto il ricorso in primo grado n. 1379/2008, mentre deve essere respinto l’appello n. 7811/2009.

5.) La peculiarità, articolazione e relativa complessità delle questioni affrontate giustificano la compensazione tra le parti anche delle spese del giudizio d’appello, essendo state già compensate quelle del giudizio di primo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede sugli appelli di cui ai ricorsi n. 7147/2009, n. 7811/2009 e n. 8186/2009, previa loro riunione:

1) accoglie in parte l’appello n. 7147/2009, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto, in riforma parziale della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione II, n. 736 del 25 marzo 2009, annulla la deliberazione del Consiglio Comunale di Bussolengo n. 55 dell’11 settembre 2003, salvi i provvedimenti ulteriori dell’Amministrazione; rigetta nel resto l’appello, confermando le residue statuizioni della sentenza;

2) accoglie l’appello n. 8186/2009 e per l’effetto, in riforma parziale della sentenza del T.A.R. per il Veneto, Sezione II, n. 736 del 25 marzo 2009, rigetta il ricorso in primo grado n. 1379/2008;

3) rigetta l’appello n. 7811/2009;

4) dichiara compensate per intero tra le parti le spese ed onorari del giudizio d’appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)