Cass. Sez. III n. 3581 del 28 gennaio 2021 (CC 20 nov 2020)
Pres. Marini Est. Cerroni Ric. Caravetta
Ambiente in genere.Reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo
Il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 luglio 2020 il Tribunale di Cosenza, in sede di rinvio quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da Rosalia Alfonsina Caravetta, indagata - nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. Nettuno F.C. di Caravetta Rosalia Alfonsina e figli - per i reati di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. nonché 633 e 639-bis cod. pen., nei confronti del provvedimento del 28 agosto 2019 di convalida emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari, così disponendo altresì il sequestro dell’area destinata alla posa delle sdraio e degli ombrelloni nella struttura balneare del Lido Nettuno in Corigliano Calabro.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con unico articolato motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, in primo luogo era contestata l’affermazione compiuta nell’ordinanza impugnata, quanto al mancato pagamento dei canoni concessori e quindi alla carenza del requisito della buona fede, laddove era stata la stessa Amministrazione comunale ad attestare la regolarità dei pagamenti effettuati in occasione del rilascio delle proroghe alle concessioni nel 2019, mentre il Comune di Corigliano Calabro aveva altresì affermato che le concessioni demaniali erano prorogate fino al 31 dicembre 2020 essendo sorte in data successiva all’entrata in vigore della legge 16 marzo 2001, n. 88.
Il provvedimento impugnato nulla aveva detto in relazione all’origine dei titoli concessori scaduti il 31 dicembre 2013, a fronte delle documentate richieste di proroga in relazione alle concessioni n. 1/09 e n. 23/08, come da memoria già depositata avanti al Tribunale di Cosenza in occasione della prima discussione in sede di originaria richiesta di riesame.
Sussisteva pertanto vizio motivazionale in ordine all’omessa ricostruzione dell’iter amministrativo e al mancato preteso pagamento dei canoni concessori.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
4. Il procedimento, atteso il grande numero di affari penali assegnati all’udienza del 20 novembre 2020, è stato deciso in prosecuzione nella camera di consiglio del 23 novembre 2020, celebrata secondo le modalità della trattazione da remoto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Con propria sentenza n. 18200 dell’11 dicembre 2019, dep. 2020, la Seconda Sezione di questa Corte di legittimità, annullando il precedente provvedimento del Tribunale di Cosenza, aveva infine osservato che “L’ordinanza del Tribunale di Cosenza va dunque annullata con rinvio al medesimo ufficio che procederà ad un nuovo esame della vicenda, da ricostruire sulla base del susseguirsi dei provvedimenti eventualmente rilasciati in favore della ricorrente, alla luce dei principi e del quadro normativo sopra richiamato oltre che della situazione di fatto che, peraltro, ed in ipotesi di conferma delle statuizioni finali qui impugnate, consenta di distinguere la porzione di suolo demaniale tuttora sottoposta a vincolo cautelare rispetto a quella di cui era stato disposto il dissequestro”.
5.2. Ciò posto, e per completezza del provvedimento, va ricordato che la richiamata pronuncia di legittimità aveva inteso osservare che “i provvedimenti del 2019 sono stati adottati a distanza di anni dalla scadenza del termine di efficacia della precedente concessione e, soprattutto, sulla scorta della disciplina di cui al d.l. 179 del 2012 che aveva prorogato al 31 dicembre 2020 la proroga già disposta dal d.l. 194 del 2009. Questa Corte, con riguardo al reato di cui all’art. 1161 cod. nav., ha affermato che la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime, prevista dall’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194 (che, all’art. 1, comma 18, ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative dapprima al 31 dicembre 2015 e, successivamente, con le modifiche apportate dal d.l. 18 ottobre 2012, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, sino al 31 dicembre 2020) presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013, Vita, Rv. 256411).
Il sistema delle proroghe “automatiche” (di cui al d.l. 400 del 1993), era stato abrogato dalla legge 217 del 2011 in considerazione, per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (per contrasto tra la normativa interna e la direttiva 2006/123/CE “Bolkestein”) e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare-ricreativa. Era stato chiarito, peraltro, che la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime - prevista sino al 31 dicembre 2020 dal già citato art. 1, comma 18, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 e successive modifiche – non opera automaticamente, ma in forza di un’espressa richiesta da parte dell’interessato al fine di consentire la verifica, da parte della autorità competente, dei requisiti richiesti per il rilascio del rinnovo.
La proroga, infatti, è applicabile soltanto ad alcune tipologie di concessione, circostanza che impone una verifica da parte della competente amministrazione sul rilievo che la stessa, riguardando una concessione valida ed ancora in essere, presuppone un controllo circa la sussistenza di tale condizione e la permanenza dei requisiti richiesti per il suo rilascio, il che implica, ancora una volta, l’esigenza di una verifica (cfr., Sez. 3, n. 33170 del 09/04/2013, Giudice, Rv. 257261).
La Corte di Giustizia, con sentenza del 14 luglio 2016, pronunciata nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15), ha deciso sul quesito pregiudiziale della compatibilità dell'articolo 1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194 con l’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio nonché con gli articoli 49, 56 e 106 TFUE, affermando il principio secondo il quale le concessioni demaniali marittime non possono essere automaticamente rinnovate essendo ciò in contrasto con il principio della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56 e 106 del TFUE; per altro verso, ha sottolineato il rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali deve necessariamente avvenire attraverso una gara pubblica che consenta a tutti gli operatori economici di inserirsi nel mercato. Ne deriva, quindi, che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che essa è ostativa rispetto ad una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.
Proprio a séguito di questa decisione, il legislatore nazionale è intervenuto con il d.l. 24 giugno 2016, n. 113, conv. con modd. in legge 7 agosto 2016, n. 160 (recante: «Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio»), che, in applicazione di quanto previsto dal precedente punto c) della sentenza CGUE dianzi richiamata, ha previsto all’art. 24, co. 3-septies, che “Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25”.
Si è a tal proposito precisato che la legge del 2016 si è limitata a stabilire che “.... conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25” e che il logico corollario di tale impostazione è che le disposizioni ex lege 194 del 2009 si riferiscono esclusivamente alle concessioni nuove, ovvero a quelle sorte dopo la legge 88 del 2001, e comunque valide a prescindere dalla proroga automatica di cui al d.l. 400 del 1993, come modificato dalla l. 88 del 2001, introdotta nel 1993 ed abrogata nel 2001; le normative che prevedono la proroga automatica delle concessioni sino al 31 dicembre 2020 richiedono una espressa istanza da parte del concessionario ed un provvedimento espresso da parte del Comune previa necessaria verifica, non solo della esistenza a monte di un titolo valido, ma anche del permanere dei requisiti in capo al concessionario.
Da ultimo, con una serie di decisioni, questa Corte ha affermato che va disapplicata la normativa di cui all’art. 24, comma 3-septies, d.l. 24 giugno 2016, n. 113, conv. in l. 7 agosto 2016, n. 160, in quanto la stessa, stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime prevista dall’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25, contrasta con l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) e, comunque, con l’articolo 49 TFUE (cfr. Sez. 3, n. 21281 del 16/03/2018, Ragusi, Rv. 273222; conf. Sez. 3, n. 20476 del 03/04/2019, De Jager; Sez. 3, n. 1922 del 20/12/2018, dep. 2019, Calò… tutte rese in tema di occupazione abusiva del demanio marittimo in mancanza di concessioni legittime)”.
5.3. A quest’ultimo proposito, va solamente precisato che questa Corte aveva comunque già avuto appunto modo di segnalare che, ai fini dell’integrazione della fattispecie di occupazione del demanio marittimo, sono soggette a disapplicazione le disposizioni normative che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime, in quanto violano l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza (Sez. 3, n. 33170 cit.).
5.4. In specie, il titolo concessorio è venuto meno il 31 dicembre 2013, ed in proposito – come è stato ricordato anche dal parere del Procuratore generale - non è più intervenuto alcun formale provvedimento amministrativo fino al 10 luglio 2019, né in proposito sono state indette verifiche amministrative ovvero nuove gare per la selezione degli aspiranti.
Né vi è invero questione di permanenza e proroga di validità del rapporto, atteso appunto – come è stato ricordato anche dal provvedimento impugnato - che deve essere disapplicata anche la normativa di cui all’art. 24, comma 3-septies, del d.l. 24 giugno 2016, n. 113, convertito con la legge 7 agosto 2016, n. 160, poiché tale disposizione, laddove stabilizza gli effetti della disciplina come sopra dichiarata in contrasto con il diritto eurounitario, incorre essa stessa nello stesso vizio di incompatibilità con l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE e, comunque, con l’articolo 49 TFUE (così, in motivazione, Sez. 3, n. 21281 cit.).
5.5. Va infine ribadito che il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo (Sez. 3, n. 34622 del 22/06/2011, Barbieri, Rv. 250976).
5.6. Per quanto poi riguarda la lamentata insussistenza dell’elemento soggettivo, che troverebbe giustificazione nel pagamento annuale di somme corrispondenti ai canoni annuali di concessione, è noto che in sede cautelare al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, conseguendone che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga ictu oculi (ex plurimis, Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e altro, Rv. 266896). Ed in specie non vi è alcuna sicura evidenza in tal senso, atteso che in ogni caso il provvedimento impugnato aveva escluso ogni ipotesi di possibile carenza dell’elemento soggettivo, se non anteriormente alla data di recepimento nel nostro ordinamento della cd. Direttiva Bolkestein, e quindi prima dell’8 maggio 2010 (presupponendo quindi, ma siffatto aspetto è in specie irrilevante, l’esclusione di una diretta efficacia di detta Direttiva nell’ordinamento interno; cfr. comunque Corte costituzionale n. 227 del 24 giugno 2010).
5.7. Alla stregua dei rilievi complessivamente dedotti, i motivi di impugnazione sono infondati.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 23/11/2020