Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 351, del 22 gennaio 2013
Urbanistica.Convenzioni di urbanizzazione, la p.a. non può apportarvi modifiche unilaterali
La giurisprudenza si è oramai orientata nell’affermare, all’interno delle convenzioni di urbanizzazione, la prevalenza del profilo della libera negoziazione. Infatti, si è affermato che, sebbene sia innegabile che la convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all’incontro di volontà delle parti contraenti nell'esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile.
La convenzione urbanistica stipulata fra la pubblica amministrazione ed il privato, come è quella relativa ad un piano di lottizzazione, si configura, ai sensi dell'art. 28 l. 17 agosto 1942 n. 1150 e dell'art. 7 l. 28 gennaio 1977 n. 10, la natura contrattuale del relativo rapporto instaurato, detta convenzione ha pertanto valore vincolante per entrambe le parti e la p.a. non può apportarvi modifiche unilaterali. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00351/2013REG.PROV.COLL.
N. 07749/2011 REG.RIC.
N. 04392/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7749 del 2011, proposto da:
Ibo Srl (gia' Moneglia Srl), in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gabriele Pafundi, Luigi Cocchi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4 Sc.A;
contro
Comune di Moneglia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Gerbi, Ludovico Villani, con domicilio eletto presso Ludovico Villani in Roma, via Asiago, 8;
sul ricorso numero di registro generale 4392 del 2012, proposto da:
Ibo S.r.l. (gia' Moneglia Srl), in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gabriele Pafundi, Luigi Cocchi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14/4a;
contro
Comune di Moneglia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Gerbi, Ludovico Villani, con domicilio eletto presso Ludovico Villani in Roma, via Asiago, 8;
per la riforma
quanto al ricorso n. 7749 del 2011:
della sentenza del T.a.r. Liguria - Genova: Sezione I n. 00663/2011, resa tra le parti, concernente convenzione urbanistica attuativa del piano particolareggiato relativo alla ex colonia Burgo - sentenza parziale
quanto al ricorso n. 4392 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Liguria - Genova: Sezione I n. 00210/2012, resa tra le parti, concernente convenzione urbanistica attuativa del piano particolareggiato relativo alla ex colonia Burgo - ris. danni.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Moneglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Cons. Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Luigi Cocchi e Giovanni Gerbi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dall’amministrazione comunale di Moneglia, odierna parte appellata, l'accertamento e la declaratoria dell'inadempimento da parte della società Moneglia Srl, alla convenzione urbanistica 25 maggio 2001, attuativa del piano particolareggiato di iniziativa privata relativo alla ex colonia Burgo e successivo atto integrativo (12 gennaio 2005), nonché la condanna del soggetto attuatore all’esatto adempimento mediante trasferimento delle opere e delle aree di urbanizzazione realizzate con sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e con condanna al pagamento delle somme necessarie per eliminare i vizi e i difetti riscontrati nelle opere da trasferire.
Era stato altresì richiesto il risarcimento dei danni subiti dall’amministrazione comunale.
L’amministrazione comunale, originaria ricorrente, aveva esposto in proposito che il PRG di Moneglia approvato con D.P.G.R. 23 marzo 1986 n. 301 consentiva la ristrutturazione urbanistica del complesso immobiliare denominato “Colonia Burgo” mediante strumento urbanistico attuativo di iniziativa privata.
Tale strumento attuativo era stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale di Moneglia 27 marzo 2001 n. 14, mentre la convenzione urbanistica attuativa era stata stipulata in data 25 maggio 2001; la stessa era stata integrata con successivo atto del 12 gennaio 2005.
In data 11 maggio 2004 erano stati consegnati al Comune l’auditorium, la piazza e gli spazi esterni pubblici. Tale consegna avveniva in attesa del collaudo definitivo dell’opera.
Con deliberazione 13 maggio 2004 n. 13 la Giunta municipale aveva precisato che la consegna era avvenuta nelle more della cessione definitiva, rinviando quindi l’approvazione del certificato di collaudo e la definitiva cessione degli immobili. Tuttavia il collaudo non era avvenuto, avendo riscontrato il collaudatore numerose difformità rispetto al progetto approvato.
A seguito di tale circostanza si era reso necessario agire in giudizio al fine di accertare l’inadempimento da parte del soggetto attuatore agli oneri nascenti dal rapporto di convenzione.
L’odierna appellante si era costituita in giudizio, evidenziando la sproporzione tra il valore delle opere eseguite e l’entità degli oneri di urbanizzazione gravanti a proprio carico e sostenendo che tale sproporzione - contrastando con la disciplina di cui all’art. 11 della l.r. 25/1995 - determinava la nullità in parte qua della convenzione.
Conseguentemente si è dalla stessa sostenuto che nulla avrebbe potuto pretendere l’amministrazione comunale, in quanto la convenuta aveva comunque realizzato opere per un valore nettamente superiore a quello degli oneri di urbanizzazione: sotto altro profilo, non sussisteva alcun inadempimento, essendo parte delle opere già state consegnate e riscontrate prive di vizi.
Il primo giudice (che con ordinanza 15 luglio 2010 n. 185 aveva disposto una verificazione adempiuta il 10 novembre 2010), con la sentenza parziale n. 663/2011, gravata mercé il ricorso in appello 7749/2011, ha in primo luogo esaminato – e respinto - la eccezione di nullità della convenzione proposta dall’odierna appellante.
Il Tribunale amministrativo ha sul punto precisato che, secondo la prospettazione della società odierna appellante, la convenzione sarebbe stata nulla (ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c., per violazione della norma imperativa di interesse pubblico contenuta nell’art. 11 l.r. 25/1995), nella parte in cui accollava al soggetto attuatore opere di urbanizzazione per un valore notevolmente eccedente quello degli oneri di urbanizzazione previsti nel caso di specie.
Senonché, ad avviso del primo giudice, la predetta disposizione di legge, di cui all’art. 11 l.r. 25/1995 ( siccome interpretata dalla Regione Liguria - circolare 17 maggio 1995 n. 59132 - secondo la quale: “.. il valore complessivo delle opere che dovranno essere accollate ai soggetti attuatori dello strumento urbanistico attuativo non potrà superare la tariffa urbanistica relativa alla corrispondente funzione, incrementata di una quota compresa fra il 20% ed il 50% della tariffa stessa e per l’altro la quota di valore afferente alle opere di urbanizzazione secondaria o di urbanizzazione primaria di interesse generale non potrà comunque risultare inferiore al parametro indicato nella tabella stessa sotto la voce SC….”) non poteva condurre alle conseguenze affermate dalla odierna appellante, in quanto detta normativa stabiliva univocamente un limite massimo di valore delle opere di urbanizzazione da porsi a carico dei soggetti attuatori.
In ogni caso, comunque, non ci si trovava al cospetto di una norma imperativa alla cui violazione dovesse conseguire la nullità - anche parziale - della convenzione, né potevano ravvisarsi esigenze di tutela del contraente debole (posto che normalmente il soggetto attuatore di convenzioni urbanistiche è soggetto adeguatamente provveduto e in grado di accertare se la realizzazione dell’intervento possa essere remunerativa o meno).
Affermato il convincimento che la convenzione in oggetto non potesse ritenersi affetta da nullità - neppure parziale –,si rendeva quindi necessario, secondo il Tribunale amministrativo, accertare l’adempimento o meno da parte della odierna appellante alle obbligazioni nascenti dalla convenzione (profilo, quest’ultimo, in ordine al quale non appariva sufficiente riferirsi alle relazioni del collaudatore).
Le opere realizzate erano state in parte descritte nella relazione di verificazione: dovendo tuttavia chiarire esattamente la corrispondenza delle stesse alle obbligazioni nascenti dalla convenzione (nonché accertare, per il caso delle opere già consegnate, se eventuali difetti o difformità fossero imputabili alla custodia delle stesse, ovvero alla non corretta realizzazione da parte della appellante), il Tribunale amministrativo, con la medesima sentenza parziale n. 663/2011 gravata tramite il ricorso in appello 7749/2011, ha disposto una consulenza tecnica volta ad accertare i detti profili controversi, specificando i quesiti demandati al CTU e disponendo la prosecuzione del processo per l’ulteriore corso.
Con la decisione n. 201/2012, a sua volta gravata con il ricorso in appello n. 4392/2012, il Tribunale amministrativo, sulla scorta degli esiti della disposta CTU, ha definito l’intera causa, accogliendo il petitum dell’amministrazione comunale (che riposava nella domanda di accertamento dell’asserito inadempimento del soggetto attuatore alla convenzione 25 maggio 2001 e al successivo atto integrativo 16 gennaio 2005, avente ad oggetto l’attuazione delle previsioni edificatorie e urbanistiche relative all’area della ex Colonia Burgo nel Comune di Moneglia in conformità agli elaborati grafici descrittivi e normativi approvati facenti parte integrante e sostanziale della convenzione).
In particolare, il primo giudice ha sul punto evidenziato che il soggetto attuatore, oltre agli allacciamenti, alla cessione di aree e alla costituzione di servitù, avrebbe dovuto realizzare:
1) una piazza della superficie netta di 1173 mq circa sull’area individuata in colore giallo della planimetria catastale allegata alla convenzione sotto la lettera B, gravata da servitù perpetua di uso pubblico a favore del Comune di Moneglia e costituente la copertura della costruenda autorimessa interrata (le cui caratteristiche tecniche erano individuate dagli elaborati del Sua e nella scheda tecnica n. 1 allegata alla convenzione sub lett. C, nonché SUA tavv. C.1.1. e C.1. 1bis);
2) una sala multiuso destinata a rappresentazioni cinematografiche, teatrali, conferenze ecc., della superficie coperta di 320 mq sull’area indicata in colore giallo della planimetria catastale allegata alla convenzione sub lett. B (caratteristiche tecniche elaborati SUA scheda n. 2 allegata alla convenzione sub lett. D SUA tav. C.1.2.).
Il soggetto attuatore si era poi obbligato a cedere, una volta restaurati o realizzati:
3) un locale esistente in via F. Romani, della superficie di 40 mq, sito al piano terreno e destinato ad attività commerciale - locale delimitato in rosso nella tavola grafica di progetto in scala 1:100 allegata sub lett. E della convenzione SUA tavv. A.4.1, A.4.2., A.4.3 e A. 4.4.;
4) un locale da realizzarsi nell’ambito dell’autorimessa interrata ad uso ricovero per gli automezzi comunali della superficie di 90 mq circa, delimitato in rosso nella tavola di progetto in scala 1:200 allegata sub lett. F della convenzione SUA tav. B.1.3.
Con successivo atto integrativo 16 gennaio 2005 il soggetto attuatore si era poi impegnato a cedere il locale indicato in giallo nella planimetria allegata sub lett. B, non ancora censito al catasto terreni, ma insistente su una porzione del subalterno 218 del mappale 997 del foglio 19 del catasto urbano del Comune di Moneglia, avente superficie lorda pari a 20 mq.
A fronte di tali obblighi, il Tribunale amministrativo ha affermato la fondatezza del petitum, secondo il quale il soggetto attuatore si era reso inadempiente, in quanto le opere da questi realizzate rispondevano solo in parte a quanto previsto nella convenzione 25 maggio 2001 e nell’atto integrativo 12 gennaio 2005.
Più in dettaglio, il consulente tecnico aveva riscontrato varie difformità consistenti nelle seguenti circostanze:
1) la piazza presentava una pavimentazione in lastre di pietra ricomposta di tipo differente da quella prevista in concessione (basoli di pietra grigia);
2) l’impianto di illuminazione era difforme dal previsto (in quanto costituito da un numero differente di corpi illuminanti); 3) non era stata realizzata la fontana rievocativa della preesistente piscina, né erano state installate le fontanelle con vasche monolitiche descritte nel computo allegato alla convenzione.
Il perito aveva poi quantificato, relativamente alla piazza, in €. 239.274,28 la spesa necessaria per il rifacimento delle opere non conformi e in €. 39.767,18 la spesa necessaria a realizzare quelle non eseguite per un totale di €.279.041,46.
Complessivamente, per rendere conformi a convenzione le opere, il consulente aveva ritenuto necessaria una somma pari a €. 292.416,33.
Il consulente aveva in particolare rilevato, per quanto riguardava la piazza, come la realizzazione di opere non conformi alla convenzione “fosse imputabile ad una decisione assunta presumibilmente in corso d’opera senza che la stessa fosse formalizzata da entrambe le parti”.
Nell’elaborato redatto dal consulente, poi, era dato riscontrare l’affermazione secondo la quale “Relativamente alle opere non realizzate, sebbene non sia stato stipulato un ulteriore atto integrativo essendo le stesse riportate nelle dia presentate da Parte resistente, si presuppone che la Pubblica Amministrazione sia stata favorevole a tali variazioni, diversamente nei termini di legge avrebbe potuto inibire l’esecuzione dei lavori o respingere le istanze”.
Ad avviso del consulente tecnico, poi, “ i vizi e difetti riscontrati nella sala multiuso sono invece imputabili ad una realizzazione non a regola d’arte delle opere, in quanto i fenomeni di umidità presenti nella zona del palcoscenico così come lo sfarinamento del film pittorico sui prospetti esterni non dipendono da una mancanza di manutenzione, ma piuttosto da una scadente qualità dei lavori stessi”
Il Tribunale ha quindi esaminato il detto elaborato peritale, ritenendolo corretto ed integralmente condivisibile sotto il profilo delle valutazioni tecniche ivi contenute, mentre si è parzialmente discostato dalle valutazioni di natura giuridica sottese ad alcune affermazioni ivi riportate.
Segnatamente, il primo giudice, quanto alla sistemazione della piazza, ha rilevato che la circostanza che nella dia in variante allo Sua fosse stata prevista una diversa pavimentazione non poteva rilevare ai fini della valutazione dell’inadempimento alla convenzione, trattandosi di titolo edilizio che non assumeva rilievo ai fini della formazione o modificazione dell’assetto negoziale del rapporto tra le parti.
Il formalismo che regola i contratti della p.a., secondo il primo giudice, avrebbe impedito che potessero essere presi in considerazione documenti o titoli che non fossero stati specificamente finalizzati a modificare la volontà contrattuale consacrata nella convenzione e nell’atto integrativo (si era in presenza di denunce di inizio d’attività che come tali esulavano dall’incontro consensuale di volontà proprio del regime pattizio caratterizzante la disciplina convenzionale) e non appariva sostenibile affermare che il Comune avesse l’onere di inibire la dia sol perché difforme dalla convenzione atteso il diverso ordine di interessi da tutelare cui i diversi strumenti erano finalizzati.
Con le dette precisazioni ed integrazioni, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dall’amministrazione comunale di Moneglia, il Tribunale amministrativo ha accolto la domanda di trasferimento della proprietà dei beni oggetto della concessione e quella di condanna della odierna appellante al pagamento delle spese necessarie a rendere le opere conformi alla convenzione.
Ricorso in appello n. 7749/2011 RG avverso la sentenza parziale n. 663/2011.
La società originaria resistente rimasta soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza parziale in epigrafe nella parte in cui la stessa aveva respinto la eccezione di nullità della convenzione stipulata dalle parti contendenti e della quale il Comune di Moneglia lamentava l’inadempimento.
In particolare, l’appellante società ha analiticamente ripercorso, anche sotto il profilo cronologico, la scansione infraprocedimentale ed ha ribadito la nullità parziale della convenzione, ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c. per violazione della norma imperativa di interesse pubblico contenuta nell’art. 11 l.r. 25/1995, richiamando la interpretazione che della stessa era stata fornita nella circolare regionale n. 59132/1995.
Il primo giudice aveva obliato detta circolare ed aveva altresì trascurato di soffermarsi sulla ratio sottesa alla introduzione della detta norma regionale, all’evidenza tendente a risolvere le incertezze scaturenti dall’art. 28 della legge n. 1150/1942 in ordine alla quantità di opere di urbanizzazione secondaria “addossabili” sui soggetti attuatori : ciò al fine di impedire eventuali condotte arbitrarie delle amministrazioni volte a far ricadere sui soggetti attuatori la realizzazione di una quantità di standards superiore ai limiti minimi fissati dal DM n. 1444/1968.
Detta norma regionale aveva pertanto natura cogente, ed aveva parimenti errato il primo giudice a non riconoscere che il soggetto attuatore doveva essere considerato “parte debole” del rapporto di convenzionamento intrattenuto con il Comune.
Ha poi puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate memorie.
L’amministrazione comunale di Moneglia ha depositato una articolata memoria, comune anche al ricorso n. 4392/ 2012, chiedendo la reiezione dei gravami e la conseguente conferma delle gravate decisioni.
Ricorso in appello n. 4392/2012 RG avverso la sentenza definitiva n. 210/2012;
La società originaria resistente rimasta soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza definitiva in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati ripercorrendo la cronologia degli accadimenti (pagg. 1-11 del mezzo) e chiedendo la riforma dell’appellata decisione previa riunione dell’appello a quello proposto avverso la decisione parziale n.663/2011 e rubricato al n. 7749/2011 RG.
Ha in particolare sostenuto che la sentenza era affetta dal vizio di extrapetizione, posto che nel mezzo di primo grado il ricorrente Comune di Moneglia aveva avanzato un petitum pari ad Euro 24.000, mentre la sentenza aveva liquidato una somma assai maggiore (e neppure il consulente tecnico si era limitato a redigere il proprio elaborato tenendo conto della consistenza della pretesa avanzata dal comune).
Il Tar aveva comunque acriticamente recepito le conclusioni del consulente tecnico (solamente con riguardo alla parte delle valutazioni tecniche contenute nell’elaborato depositato nel giudizio di primo grado) e non aveva minimamente esaminato un documento fondamentale versato in atti (la certificazione del collaudatore in data 18 luglio 2005).
Da tale documento si evinceva che in data 10.5.2005 i lavori relativi alla sala multiuso, alla piazza, ed agli spazi esterni erano terminati; che il giorno successivo le opere furono consegnate al comune in attesa del collaudo definitivo (che non si tenne a cagione di un ricorso proposto da terzi), e che il collaudatore concluse che le dette opere realizzate erano agibili e conformi al progetto.
Appariva inoltre contraddittorio che il primo giudice, nel conformarsi integralmente alla relazione predisposta dal CTU sotto il profilo delle valutazioni tecniche, avesse poi disatteso quest’ultima con riguardo alle valutazioni giuridiche ivi parimenti contenute.
A tale proposito era certamente errato che – al fine di valutare l’adempimento da parte di Ibo agli obblighi assunti in convenzione - fosse stato fatto esclusivo riferimento alla lettera delle due convenzioni del 2001 e del 2005, senza tenere conto dei successivi atti di gestione delle convenzioni, resi con la necessaria partecipazione del Comune di Moneglia.
Ciò perché costituiva – e costituisce- evenienza certamente ordinaria quella per cui, in sede attuativa, con il consenso delle parti della convenzione, si proceda ad eventuali modifiche (tanto più laddove imposte in sede di autorizzazioni rilasciate dagli Organi competenti e, peraltro, puntualmente recepite dal Comune).
La tesi formalistica seguita dal primo giudice era pertanto certamente non condivisibile.
Più in dettaglio, quanto alla asserita difformità nei lavori di esecuzione della piazza, doveva affermarsi che il Comune aveva approvato la variante in corso d’opera del 18 dicembre 2003; la differenza tra le “scelte” contenute nella variante in corso d’opera del 18 dicembre 2003 e quelle di cui alla Dia del 22 dicembre 2003 erano state tacitamente accolte dal Comune (come dimostrato dalla circostanza che il successivo 25 maggio 2004 il Sindaco del Comune di Moneglia indirizzò una missiva ad un istituto bancario, chiedendo di erogare al Comune predetto un finanziamento per fare fronte ai maggiori costi afferenti alle opere aggiuntive relative all’Auditorium ed alle ulteriori opere resesi necessarie a cagione della diversa pavimentazione della piazza, per renderla carrabile).
Ad avviso dell’appellante, poi, stante la rilevante difformità tra le opere di cui alla variante del 18 dicembre 2003 rispetto a quelle di cui alla dia del 22 dicembre 2003, appariva logico che, con l’atto integrativo di convenzione sottoscritto in data 12 gennaio 2005 il Comune avesse inteso approvare proprio le “nuove” soluzioni progettuali contenute nella predetta dia del 22 dicembre 2003.
Ciò era inoltre comprovato dalla circostanza per cui, a far data dalla consegna provvisoria della piazza al Comune avvenuta in data 11 maggio 2004 e sino al primo ricorso giurisdizionale, il predetto Comune non aveva mai contestato alla Ibo alcuna difformità (sebbene le parti avessero intrattenuto una nutrita corrispondenza) ed, anzi, aveva utilizzato la piazza anche d’inverno, adibendola a parcheggio grazie proprio alla carrabilità della stessa, assicurata dalla pavimentazione con lastre di maggiore spessore effettuata dalla Ibo.
Neppure poteva essere “addebitata” alla Ibo la omessa edificazione della fontana prevista in convenzione: ciò era ascrivibile ad un “factum principis”, in quanto l’opera era stata stralciata dalla Provincia di Genova in sede di approvazione dello Sua.
Anche la quantificazione dei costi resa dal CTU ed acriticamente recepita dalla gravata sentenza (pari ad € 279.041,46) meritava censura: essa sarebbe, in tesi, rispondente ai costi che il Comune dovrebbe sostenere per rifare totalmente la piazza.
Ma tale dato, oltre a non tenere conto che il Comune non aveva fornito la prova dei danni asseritamente subiti (così rendendosi inadempiente al proprio onus probandi), non aveva considerato o – a tacer d’altro- né l’uso prolungato che il comune aveva fatto della piazza predetta, né i maggiori costi che l’impresa appellante aveva dovuto sostenere per eseguire le opere con “altri” (e più costosi) materiali.
Né teneva conto della circostanza che tale diversità di opere era ascrivibile ad un titolo edilizio (la predetta Dia del 2003) costituente un valido ed idoneo titolo legittimante, in ordine al quale il Comune non aveva esperito alcuna iniziativa in autotutela (a differenza di ciò che era accaduto, in altra simile occasione, nel 2009, laddove il Comune aveva espressamente vietato l’esecuzione dei lavori di cui alla dia presentata il 29 settembre 2009).
L’appellante ha poi puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate memorie anche in replica di quella depositata dall’amministrazione comunale cui si è fatto riferimento nell’ambito della esposizione dedicata alla illustrazione del ricorso n. 7749/2011 RG.
All’adunanza camerale del 24 luglio 2012 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della provvisoria esecutività della gravata decisione la domanda cautelare è stata abbinata al merito, anche per consentire la riunione e congiunta trattazione del ricorso in appello n. 4392/2012 RG proposto avverso la predetta sentenza definitiva n. 210/2012 con quello n. 7749/2011 RG proposto avverso la sentenza parziale n. 663/2011.
Alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2013 le due cause sono state trattenute in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. I ricorsi in appello suindicati devono essere riuniti in quanto proposti avverso due sentenze rese nell’ambito dello stesso procedimento e tese a definire la stessa causa (artt. 70, 96, 103 del cpa).
1.1. L’appello n. 7749/2011 è infondato e va pertanto disatteso integralmente; il ricorso n. 4392/2012 è solo parzialmente fondato, limitatamente ad un aspetto della quantificazione del risarcimento del danno, che verrà meglio precisato in motivazione, mentre va per il resto disatteso.
La gravata sentenza n. 210/2012, in accoglimento dell’appello, va soltanto parzialmente riformata, con parziale reiezione della domanda risarcitoria proposta dall’appellato comune in primo grado.
2. Elementari canoni di pregiudizialità logica impongono al Collegio di esaminare per prime le censure contenute nel ricorso rubricato al n. 7749/2011 RG volto ad avversare la sentenza parziale n. 663/2011 (e, per il vero, reiterate nel successivo ricorso n. 4392/2012 ).
In detto ricorso in appello – come brevemente rammentato nella parte in fatto della presente decisione - si è sostenuta la nullità parziale della convenzione ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c. per violazione della norma imperativa di interesse pubblico contenuta nell’art. 11 della l.r. 25/1995 (richiamandosi la interpretazione che della stessa era stata fornita nella circolare regionale n. 59132/1995).
2.1. Numerose ragioni, ad avviso del Collegio, si oppongono all’accoglimento della censura.
2.1.1. E’ innanzitutto discutibile che, anche ad aderire alla tesi prospettata da parte appellante, la convenzione potrebbe essere dichiarata nulla (totalmente o comunque parzialmente a cagione della supposta violazione della richiamata prescrizione): semmai, non trattandosi di norma di interesse generale, ma – avuto riguardo al contesto in cui viene invocata - di rilievo particolare, riferendosi ai soggetti attuatori, la corrispondente clausola, ove dichiarata nulla, dovrebbe essere sostituita di diritto dall'applicazione dei minimi tariffari asseritamente contemplati nella invocata disposizione di natura imperativa. (Cass. civ. Sez. I, 02-12-2005, n. 26257).
2.2. Nel merito, comunque, la pretesa nullità – anche parziale - della convenzione stipulata non sussiste.
2.2.1. Invero stabilisce l’invocato art. 11 della Legge della Regione Liguria 7 aprile 1995 n. 25 che: “1. Per gli interventi assoggettati ad obbligo di strumento urbanistico attuativo, in quanto comportanti alterazioni della struttura urbanistica preesistente, sono progettate e realizzate a cura del soggetto attuatore:
a) le opere di urbanizzazione primaria che si rendono necessarie per attuare gli interventi stessi;
b) le pertinenti opere di urbanizzazione secondaria previste dallo strumento urbanistico generale.
2. Ai fini dell' accertamento della congruità delle prestazioni poste a carico del soggetto attuatore a norma del comma 1 si fa riferimento alla tariffa urbanistica di cui all' articolo 13 aumentata di una quota non superiore a quella indicata sub D2 nella relativa tabella.
3. In ogni caso il costo delle opere di urbanizzazione secondaria o primaria di interesse generale poste a carico del soggetto attuatore non può essere inferiore all'importo indicato nella tabella di cui al comma 2 sub SC.
4. Nel caso in cui l' intervento, pur non comportando l' alterazione della struttura urbanistica preesistente, sia soggetto a strumento urbanistico attuativo od a concessione edilizia convenzionata è facoltà del Comune di richiedere la monetizzazione rinunciando in tal caso all' incremento di cui alla lettera D2 della tabella B.
5. La esecuzione diretta e la cessione delle opere di urbanizzazione da parte dell' operatore, a termini del comma 1, restano regolate dall' articolo 16 della legge regionale 8 luglio 1987 n. 24 (disposizioni per lo snellimento delle procedure urbanistiche in attuazione della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e disciplina degli strumenti urbanistici attuativi) e successive modificazioni, con esclusione di quanto ivi stabilito in merito allo scomputo per il quale vale quanto disposto dall' articolo 12, comma 2” .
E’ agevole riscontrare che il comma terzo, nello stabilire espressamente che “in ogni caso il costo delle opere di urbanizzazione secondaria o primaria di interesse generale poste a carico del soggetto attuatore non può essere inferiore all' importo indicato nella tabella di cui al comma 2 sub SC.” non fa affatto riferimento ad un limite “superiore” invalicabile, e men che meno stabilisce alcuna sanzione - quale quella gravissima della nullità ipotizzata da parte appellante - per la convenzione che si fosse discostata dal detto precetto.
La pur approfondita censura di parte appellante, anche fondata sulle ragioni di natura “storica” che hanno determinato la introduzione della detta prescrizione, collidono con una duplice obiezione: l’assenza alcuna di referente normativo dal quale desumere il precetto di ordine generale che parte appellante ricava circa la non superabilità “massima” delle somme dovute,; la assenza di indici dai quali desumere la “imperatività” della prescrizione ipotizzata.
Né, ovviamente, a contrarie conclusioni possono indurre le affermazioni contenute nella richiamata circolare, la quale non può introdurre limiti non desumibili dalla legge, mentre parimenti meritano condivisione le affermazioni contenute nella avversata decisione del Tar, secondo cui il soggetto attuatore che liberamente stipula la convenzione con il Comune non può essere considerato “parte debole” del negozio nei cui confronti debba scattare alcun obbligo di protezione.
A tal proposito, sebbene possa dirsi ormai definitivamente superato l’orientamento giurisprudenziale, fondato su affermazioni di natura presuntiva, secondo il quale “l'operato della pubblica amministrazione è diretto a perseguire interessi di tipo generale ed è caratterizzato da imparzialità e giustizia, non essendovi pertanto la necessità di tutelare il contraente debole, la clausola negoziale compromissoria inerente una disciplinare di concessione non è disciplinata dall'art. 1341 c.c.” (T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 11-03-2003, n. 432), non può certamente ravvisarsi la nozione di “contraente debole” in una impresa che liberamente stipula con l’amministrazione una convenzione di lottizzazione dalla quale ricava consistenti benefici.
Quanto a quest’ultimo profilo, ed in via conclusiva, può richiamarsi un breve passaggio motivazionale contenuto in una recente decisione della Sezione (n. 2040/2011) che il Collegio condivide pienamente e che ben si attaglia alla fattispecie in esame, essendosi ivi precisato che “la giurisprudenza si è oramai orientata nell’affermare, all’interno delle convenzioni di urbanizzazione, la prevalenza del profilo della libera negoziazione. Infatti, si è affermato (Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33; Consiglio di Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4015) che, sebbene sia innegabile che la convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all’incontro di volontà delle parti contraenti nell'esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile.
La detta ricostruzione assume particolare valenza quando, come nel caso in specie, si assuma che alcuni dei contenuti dell'accordo vengono imposti dalla pubblica amministrazione in termini non modificabili dal privato, visto che, anche in questo caso, ciò non esclude che la parte che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto, abbia inteso aderirvi, restandone vincolata, salvo il ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidità del contratto.
Ne deriva che l’argomento sostenuto nel ricorso in primo grado, ossia che le clausole convenute, in quanto aggiuntive rispetto agli oneri di urbanizzazione, riferiti ad opere e servizi menzionati dalla normativa, non siano consentite, con conseguente nullità delle stesse, non può essere sostenuto, trattandosi di determinazione pattizia rimessa alla contrattazione tra i due diversi soggetti coinvolti.”.
Null’altro ritiene il Collegio sia da aggiungere a quanto sinora esposto che milita per la reiezione della doglianza.
La censura va pertanto senz’ altro disattesa e l’appello n. 7749/2011 RG volto ad avversare la sentenza parziale n. 663/2011 deve essere pertanto integralmente respinto
3. Ciò implica la necessità di approfondire le ulteriori doglianze contenute nell’appello n. 4392/2012 RG proposto avverso la sentenza definitiva n. 210/2012, che ha risolto in senso pienamente favorevole al Comune appellato la controversia.
L’appello proposto dalla società è soltanto in limitata parte fondato.
3.1. Va premesso che non v’è alcuna contestazione in ordine alla parte della sentenza che, ex art. 2932 del codice civile, ha disposto, conformemente al petitum articolato in via principale dal ricorrente Comune, il trasferimento delle opere e degli immobili nella proprietà del Comune.
3.2. Le censure di parte appellante sono invece incentrate sui capi della impugnata decisione che – recependo in larga parte gli approdi tecnici contenuti nell’elaborato di consulenza tecnica d’ufficio - hanno ravvisato un colpevole inadempimento nella condotta dell’impresa odierna appellante ed hanno quantificato il danno risarcibile dalla stessa arrecato all’amministrazione comunale, condannando l’appellante a rifonderlo.
3.3. Ciò premesso in punto di perimetrazione delle questioni scrutinabili, evidenzia il Collegio che deve essere senz’altro disattesa la doglianza di ultrapetizione fondata sulla –asserita –circostanza che il Comune in primo grado avrebbe domandato la liquidazione di un danno contenuto in € 24.000 (mentre la sentenza avrebbe determinato una somma maggiore), in quanto nel mezzo di primo grado non v’è traccia di una simile quantificazione (dato che la cifra indicata a pag. 13 del mezzo di primo grado era unicamente limitata all’importo necessario per rendere collaudabili i due locali) ed anzi il comune ricorrente in primo grado faceva espresso riferimento alla necessità di determinare l’importo complessivo in corso di causa.
3.3.1. Quanto alle ulteriori doglianze, ritiene il Collegio in primo luogo di fissare un primo punto fermo rispetto alle contestazioni mosse dall’appellante.
Al contrario di quanto sostenuto da quest’ultima, infatti, da un canto la condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha a più riprese affermato che “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata.” (ex multis, ancora di recente Consiglio Stato , sez. V, 19 gennaio 2009 , n. 223).
Per altro verso, il detto principio (giustificato dal principio di economia dei mezzi probatori e nella salvaguardia del principio del libero convincimento giudiziale) è perfettamente simmetrico a quello espresso dal Giudice di legittimità civile (Cassazione civile , sez. II, 19 settembre 2000 , n. 12422).
Se quindi, è ben possibile nel giudizio amministrativo utilizzare prove anche raccolte nell’ambito di altri procedimenti, a fortiori è ben possibile che lo scrutinio degli argomenti giuridici tragga spunto dagli approdi fattuali e tecnici cui sono giunte la verificazione e la consulenza tecnica disposta nell’ambito del medesimo procedimento in cui viene resa la sentenza, senza che ciò possa comportare censure di acritica valutazione.
In concreto, peraltro, il primo giudice non ha affatto acriticamente recepito le indicazioni probatorie contenute negli elaborati resi dal consulente tecnico d’ufficio nominato, in alcune parti discostandosene.
Al contrario di quanto sostenutosi nell’appello, peraltro, non ritiene il Collegio che l’incarico affidato al CTU – e l’elaborato da questi redatto - abbiano travalicato i limiti degli “scopi probatori” raggiungibili attraverso il detto incombente istruttorio.
Per costante giurisprudenza amministrativa, infatti, “nel giudizio amministrativo la differenza tra la verificazione e la consulenza tecnica di ufficio consiste nell'essere la prima un mero accertamento disposto al fine di completare la conoscenza dei fatti che non siano desumibili dalle risultanze documentali, mentre la seconda si estrinseca in una valutazione tecnica di determinate situazioni da utilizzare ai fini della decisione, con una valenza non meramente ricognitiva e circoscritta ad un fatto specifico.”(Cons. Stato Sez. IV, 08-03-2012, n. 1343).
Nel caso di specie la finalizzazione dell’incombente istruttorio disposto in primo grado è rimasta certamente all’interno del perimetro delle valutazioni tecniche demandabili al consulente, il demandato accertamento riguardando il raffronto tra opere che ci si era impegnati ad eseguire e quelle effettivamente realizzate e dunque la conformità di queste ultime a quelle previste in convenzione (ovvero eventuali difformità o vizi che altrimenti le connotassero): né potrebbe considerarsi esuberante rispetto allo schema classico della valutazioni eseguibili dal consulente tecnico il compito affidato allo stesso di quantificare (in ipotesi di riscontrata difformità) l’importo dei costi necessari per renderle conformi, ovvero quello – considerata l’anticipata consegna di alcuni ben al comune - di accertare l’imputabilità di eventuali difformità o vizi alle parti (ed anzi, apparendo quest’ultima parte dei quesiti lodevole aspirazione alla completezza dell’indagine, espletata principalmente nell’interesse della odierna appellante al fine di verificare se vizi imputabili alla cattiva custodia o manutenzione dovessero ricadere su chi avesse preso in carico i detti beni).
La complessiva censura incentrata su uno straripamento dei compiti valutativi affidabili in sede di consulenza va quindi disattesa.
Si rammenta in proposito che, per consolidata giurisprudenza, “nel giudizio amministrativo la consulenza tecnica d'ufficio (e/o la verificazione tecnica ) è un mezzo istruttorio che consente il pieno e diretto accertamento dei fatti presi in esame dall'amministrazione, ma non la sostituzione del Giudice Amministrativo, per il tramite del consulente tecnico, ai giudizi di tipo tecnico formulati dall'amministrazione, attesa l'inammissibilità di una surrogazione nella valutazione discrezionale dell'amministrazione” (Cons. Stato Sez. V, 20-02-2012, n. 902): nel caso di specie la consulenza si è limitata a riscontrare la veridicità di alcune asserzioni provenienti dall’amministrazione comunale senza in alcun modo sostituirsi nelle valutazioni di quest’ultima.
Nessun rilievo è possibile muovere all’operato del primo giudice sul punto.
3.4. Per connesse ragioni, già in parte chiarite nel precedente capo della presente decisione, va del pari disattesa la doglianza formulata nell’ultima parte del ricorso in appello, secondo la quale nessun risarcimento avrebbe potuto disporsi in carenza di alcuna dimostrazione probatoria dei medesimi da parte dell’amministrazione comunale.
La controversia demandata all’attenzione del Collegio per il vero, in quanto incentrata su una domanda articolata dall’amministrazione attrice e finalizzata alla dimostrazione dell’inadempimento negoziale del privato (in una materia demandata alla cognizione della giurisdizione amministrativa esclusiva) è classificabile tra quelle risarcitorie” pure”, che nell’antevigente sistema di riparto sarebbero spettate al giudice ordinario, ed a prova libera, incentrata sul principio per cui onus probandi incumbit ei qui dicit.
L’attore ha l’onere di allegare i fatti e le circostanze da cui discenderebbe l’inadempimento spettando al Giudice quantificarne l’importo ove esse siano riscontrate sussistenti.
La domanda del comune proposta in primo grado rispettava in pieno tale schema.
Ma anche volendo traslare alla odierna controversia lo schema più rigido (almeno in parte) utilizzato dalla giurisprudenza amministrativa in punto di individuazione di responsabilità risarcitoria in capo all’Amministrazione, applicandolo alla posizione del privato “convenuto”, si rammenta che si è sempre costantemente affermato che è “ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise “ (ex multis T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 18-09-2012, n. 7840), facendosi discendere il corollario per cui, “quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempia non possa darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d'ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del privato.” (T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 18-09-2012, n. 7840 ; ma anche T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 31-07-2012, n. 1408).
Posto che il Comune ebbe senz’altro ad adempiere all’onere sullo stesso incombente di indicare i fatti sussumibili nel denunciato inadempimento agli obblighi negozialmente assunti da parte dell’appellante impresa, ritiene il Collegio che nessun difetto di allegazione o prova fosse ravvisabile nella domanda proposta in primo grado, per cui anche tale doglianza vada disattesa.
4. Ciò premesso, e venendo al merito delle singole censure articolate avverso la sentenza definitiva n. 210/2012, ritiene il Collegio che tre siano, principalmente, i versanti di indagine da approfondire con riferimento alle contestate difformità riguardanti i lavori afferenti alla piazza (anche tenuto conto della circostanza che l’appellante non ha contestato il modesto importo risarcitorio affermato in sentenza e relativo alle difformità della sala multiuso ed alle restanti opere).
Esse riguardano: la valenza da attribuire alla relazione/nota del collaudatore diretta in data 18 luglio 2005 al Comune; la portata della Dia del 22 dicembre 2003 riportata nell’atto integrativo di convenzione del 12 gennaio 2005; la supposta “approvazione” (quantomeno tacita) delle modifiche delle opere incidenti sulla piazza ad opera del Comune, testimoniata, oltre che per via deduttiva, dalla richiesta di finanziamento inoltrata alla Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia da parte del Sindaco e dalla circostanza dell’avvenuta non contestazione della predetta Dia.
4.1. Non ritiene il Collegio che le dette doglianze possano essere accolte, mentre, lo si rileva per incidens, la produzione, ad opera del legale della convenuta, con l’assenso della difesa comunale, della nota dell’amministrazione comunale di Moneglia n. 6857/2003, produzione avvenuta in sede di udienza pubblica, non pare al Collegio apporti alcun utile contributo alle tesi appellatorie.
4.1.1. Quanto alla valenza da attribuire alle affermazioni del collaudatore contenute nella relazione/nota in data 18 luglio 2005 ed indirizzata al Comune, ivi è dato leggere che le opere erano conformi “al progetto”, ma unicamente “per quanto riguarda la sicurezza statica, la prevenzione degli incendi, gli impianti ed i materiali in genere, e sono quindi agibili ed utilizzabili per l’uso in base alle quali sono state progettate e realizzate”.
Ora, non pare al Collegio che la detta relazione contenga argomenti rilevanti in favore della pretesa dell’appellante, posto:
a.- che trattavasi di opere consegnate provvisoriamente al Comune e da questi prese in carico in data 11 maggio 2004;
b.- che ivi si dava atto che il collaudo definitivo non aveva avuto luogo a cagione delle pretese avanzate da terzi in punto di omesso rispetto delle distanze, le quali, laddove fondate, avrebbero potuto condurre ad una necessità di parziale demolizione dell’auditorium;
c.- che la detta nota faceva seguito da una nutrita corrispondenza nell’ambito della quale erano state rilevate le numerose difformità delle opere realizzate rispetto a quelle indicate in convenzione.
In ogni caso, tuttavia, si rileva che se anche dalla stessa relazione fosse desumibile (il che non è con riferimento al quomodo della pavimentazione della piazza) un giudizio di conformità del detto “materiale” utilizzato rispetto a quello dedotto in convenzione, la eventuale riscontrata inesattezza della detta relazione sul punto – ed il dato, come si vedrà di seguito, non appare contestabile - non avrebbe potuto impedire l’accoglibilità del petitum avanzato dall’amministrazione comunale, risolvendosi, semmai, nella necessità di verificare (il che è puntualmente avvenuto con la Ctu) la attendibilità delle affermazioni dell’amministrazione comunale, tenendo conto di tale contrastante elemento.
4.2. Ma la non decisività/rilevanza dell’argomento fondato sulla predetta relazione dell’Ing. La Barbera si riscontra de plano al momento in cui si passa all’esame delle ulteriori censure avanzate dall’appellante.
4.2.1. Esse, infatti, si incentrano su un argomento di natura giuridica, che consente di affermare la irrilevanza delle eventuali deduzioni “contrastanti” contenute nella relazione del collaudatore predetto.
L’argomento centrale del ricorso, infatti, è un’altro, e può essere così sintetizzato:
è ben vero che la piazza venne pavimentata con materiale diverso rispetto a quello dedotto in convenzione, e più economico (o meno pregiato, il che è lo stesso); ma ciò avvenne sulla base di un titolo abilitativo regolarmente formatosi (la Dia cui si è prima fatto riferimento):
-. per rendere la piazza carrabile e tale da potersi utilizzare qual parcheggio;
-. Inoltre con l’approvazione od avallo del Comune, che non soltanto non inibì la Dia (come successivamente avvenuto in vicenda sovrapponibile di cui sono state protagoniste le stesse parti), ma, anzi, ben era consapevole della modifica.
4.2.2. Se così è, appare evidente che il nucleo centrale della controversia sfugge ad una verifica meramente fattuale (poiché sulla materialità storica dei fatti non v’è controversia, come accertato dal Ctu e come non negato dall’appellante società) e riposa in una delibazione unicamente giuridica, volta a riscontrare la portata rivestita dalla Dia rilasciata, l’incidenza della stessa sulla convenzione originaria e la possibilità che quest’ultima venisse “modificata” da tale titolo edilizio non inibito dal Comune.
4.2.3. A tale proposito va rimarcato non essere dubbio che rivesta carattere di permanente attualità il principio già affermato in epoca risalente dalla giurisprudenza amministrativa, secondo il quale “con la convenzione urbanistica stipulata fra la p.a. ed il privato - come è quella relativa ad un piano di lottizzazione - si configura, ai sensi dell'art. 28 l. 17 agosto 1942 n. 1150 e dell'art. 7 l. 28 gennaio 1977 n. 10, la natura contrattuale del relativo rapporto instaurato; detta convenzione ha pertanto valore vincolante per entrambe le parti e la p.a. non può apportarvi modifiche unilaterali.” (Cons. Giust. amm. Sic. Sez. giurisdiz., 01-02-2001, n. 20).
Esclusa la modificabilità unilaterale stesse delle stesse convenzioni per effetto della isolata volontà dell’Amministrazione (o del privato, ovviamente), la particolarità del caso di specie è rappresentata dalla circostanza del formarsi di un legittimo titolo abilitativo per silentium, “consentito” dall’amministrazione, ed incidente sulle opere oggetto di convenzione.
Orbene, può affermarsi che esso costituisca frutto della convergente volontà delle stesse parti negoziali che avevano dato vita alla convenzione ed abbia pertanto innovato il contenuto di quest’ultima?
4.2.4. Al riguardo concorda sul punto il Collegio con la valutazione sinteticamente resa dal primo giudice (“trattandosi di titolo edilizio che non assume rilievo ai fini della formazione o modificazione dell’assetto negoziale del rapporto tra le parti”), secondo la quale non può attribuirsi alla Dia un simile effetto.
4.2.5. Ragioni logiche e sistematiche vi si oppongono.
4.2.6. Va innanzitutto recisamente escluso che un simile approdo possa raggiungersi valorizzando l’operato (contrario) del Comune in casi simili, sia pure successivamente verificatisi tra le stesse parti (chè, anzi, il maggior controllo effettuato dal Comune in successive occasioni può essere frutto di una rinnovata attenzione causata proprio dagli inconvenienti manifestatisi a cagione della vicenda dalla quale è scaturita l’odierna causa). Né, a contrario opinamento può indurre la circostanza che la Dia fosse menzionata nell’atto integrativo di convenzione stipulato per atto di notaio del 12 gennaio 2005, in quanto (a tacere della finalizzazione di quest’ultimo unicamente a consentire un ampliamento di un edificio residenziale) ciò era frutto di una elencazione (“non necessaria”, come espressamente affermato nel detto atto notarile) ascrivibile ad una dichiarazione della ditta odierna appellante.
Nel merito, giova rilevare che la convenzione urbanistica è atto deliberato dal Consiglio comunale; che le modifiche della stessa dovevano seguire lo stesso percorso approvativo dell’atto originario; che il Comune aveva approvato ben due varianti in corso d’opera (rispettivamente in data 5 aprile 2002 ed in data 18 dicembre 2003).
Appare in particolare ben anomalo, o quantomeno singolare poi che, a distanza di pochissimi giorni dall’approvazione dell’ultima variante in corso d’opera (appunto in data 18 dicembre 2003) sia presentata una ulteriore Dia (del 22 dicembre 2003) con allegata una relazione tecnica che modificava drasticamente quanto pochi giorni prima approvato dal Comune.
Del tutto arbitrariamente, ad avviso del Collegio, la ditta appellante attribuisce a detta Dia effetto di variante in corso d’opera rispetto alla precedente variante prima approvata (ed alle pattuizioni originariamente contenute in convenzione): e men che meno può ipotizzarsi che il detto titolo abilitativo potesse produrre in via automatica effetto modificativo della convenzione.
Si aggiunga a quanto sinora esposto,come costituisca illazione non dimostrata quella secondo la quale la pavimentazione prevista nella variante del 18 dicembre 2003 approvata dal Comune (pavimentazione in pietra grigia 20 x 60 mm) non fosse idonea a garantire la carrabilità della piazza, mentre era idonea a tal fine quella “in pietra grigia ricostruita in vari formati”.
4.2.7. Il legame tra i detti dati sinora rappresentati (anche a non volere tenere conto dell’affermazione contenuta nella CTU secondo la quale il proliferare di richieste modificative dei lavori avanzate da parte appellante avesse determinato un complessivo effetto confusorio) consente di pervenire al convincimento per cui la prospettazione di parte appellante si fonda in realtà su dati assolutamente congetturali.
In particolare si ipotizza: un effetto “ultra legem” della Dia del 22 dicembre 2003, tale da modificare una pattuizione convenzionale sebbene non approvata dal competente Organo consiliare; la produzione del detto effetto sebbene la stessa fosse di poco successiva alla variante del 18 dicembre 2003 e con essa incompatibile (quest’ultima, invece, regolarmente approvata dal Comune).
Ed a tale proposito si segnala che assume valenza latamente “confessoria” quanto affermato nell’appello (primo capoverso di pag. 21), laddove si fa presente (al fine di corroborare la tesi secondo la quale il Comune non poteva non avere “approvato” in senso modificativo delle pattuizioni convenzionali la detta dia) che tra la variante assentita del 18 dicembre 2003 e la successiva dia del 22 dicembre 2003 sussistevano eclatanti e cospicue differenze, tali da far propendere per la tesi per cui il Comune le avesse dovuto effettivamente percepire come “innovative” della convenzione e conseguentemente, non inibendo la dia predetta, vi si fosse adeguato.
Senonché è evidente che la detta tesi non chiarisce perché mai, invece, appena pochi giorni prima la variante fosse stata debitamente approvata dal Comune, e soprattutto, con un vero e proprio “salto” logico, attribuisce alla relazione di collaudo della quale si è prima fatto cenno un significato non dalla stessa desumibile, attribuendo alla dizione “ed i materiali in genere” un giudizio di conformità al progetto, da ciò arguendo e suggerendo che per il collaudatore il “progetto” fosse quello innovato dalla dia del 22 dicembre.
Quanto alla richiesta di finanziamento inoltrata dal comune alla locale Cassa di risparmio, ha buon gioco la difesa del Comune nel dimostrare che la stessa, con riferimento alle opere insistenti sulla Piazza indicava un importo (circa € 50.000) di gran lunga inferiore al divario economico relativo alla pavimentazione, e che pertanto dalla stessa non può ricavarsi alcun consapevole avallo dell’amministrazione comunale alle modifiche introdotte dall’impresa appellante ai patti nascenti dalla più volte citata convenzione.
Neppure la produzione della nota dell’amministrazione comunale di Moneglia n. 6857/2003, che ha avuto luogo in sede di udienza pubblica apporta alcun utile contributo alle tesi appellatorie, posto che ivi il Comune non esprime alcuna adesione ad alcuna modifica della convenzione originaria, rappresentando invece alla Soprintendenza l’auspicio per una rapida definizione dei lavori relativi alle opere di urbanizzazione dedotte in convenzione.
Può pertanto concludersi questa parte della disamina delle censure contenute nell’appello, affermando che non possono essere accolte quelle volte a sostenere la sostanziale conformità delle opere eseguite rispetto a quelle dedotte in convenzione siccome asseritamente modificate dalla Dia del 22 dicembre 2003, non avendo quest’ultima inciso sulle dette pattuizioni negoziali.
5. Quanto alle censure incidenti sulla quantificazione del danno, soltanto un profilo ivi rappresentato coglie, parzialmente, nel segno.
In particolare non è chiaro al Collegio quali “ulteriori diversi e maggiori costi” avrebbe dovuto sopportare la ditta appellante per eseguire l’opera con i materiali effettivamente utilizzati (non è stato dimostrato affatto che il posizionamento dei materiali effettivamente utilizzati fosse più oneroso di quello originariamente previsto, ed in ogni caso, per le evidenziate ragioni, il Comune non avrebbe alcuna responsabilità nella consegna di aliud pro alio da parte dell’impresa appellante), mentre invece risulta per tabulas che quelli originariamente previsti e conformi alla convenzione originaria avevano maggiore pregio. Sotto un ulteriore punto di vista, tutte le altre doglianze proposte avverso la detta quantificazione – in parte prima scrutinate - risentono della impostazione critica avverso le valutazioni tecniche rese nella consulenza tecnica disposta dal Tar, che per le già chiarite ragioni il Collegio non ritiene di dovere condividere.
5.1. Quanto invece, all’utilizzo da parte del Comune della piazza pavimentata in modo difforme (e dei relativi materiali utilizzati dalla ditta per pavimentarla) effettivamente nell’ambito della liquidazione del danno resa dal primo giudice non è stata computata né quantificata la somma corrispondente al beneficio ricavato dal Comune dall’utilizzo delle opere, seppur difforme a quanto ab origine pattuito.
Tale profilo dell’appello va accolto (altrimenti pervenendosi ad una ingiusta locupletazione in capo all’amministrazione appellata), posto che non è stato contestato dal Comune che, comunque, per quattro anni, come dedotto in ricorso, dette opere siano state utilizzate (la piazza, carrabile, è stata adibita a mercato) ed appare quindi conforme a giustizia che l’importo complessivo liquidato nella sentenza di primo grado, venga decurtato del predetto importo, che può (in assenza di indici fondati su dati economici di portata oggettiva) essere equitativamente determinato in € 10.000 per anno, e quindi in complessivi € 40.000 (Euro quarantamila/00), avuto riguardo al torno di tempo (circa quattro anni) in cui si concretò il detto utilizzo.
6. Conclusivamente, l’appello n. 7749/2011 va integralmente respinto. L’appello n. 4392/2012 va accolto soltanto in parte, nei termini di cui alla motivazione che precede, e, per l’effetto, la quantificazione risarcitoria contenuta nella gravata decisione n. 210/2012 va decurtata dell’importo di € 40.000 (Euro quarantamila), mentre per il resto la decisione va interamente confermata.
7.La complessità e novità delle questioni esaminate legittima l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, respinge l’appello n. 7749/2011. Accoglie soltanto in parte, nei termini di cui alla motivazione che precede, l’appello n. 4392/2012 e per l’effetto, in riforma dell’appellata decisione, dispone che la quantificazione risarcitoria contenuta nella gravata decisione di primo grado n. 210/2012 vada decurtata dell’importo di € 40.000 (Euro quarantamila/00).
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)