Cons. Stato Sez.VI sent. 5237 del 9 ottobre 2007
Beni Ambientali. Annullamento nulla osta paesaggistico
Il provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico non ha natura di atto recettizio e, quindi, il termine perentorio di sessanta giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso; e che, sotto tale profilo, il termine risultava pienamente rispettato.
Beni Ambientali. Annullamento nulla osta paesaggistico
Il provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico non ha natura di atto recettizio e, quindi, il termine perentorio di sessanta giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso; e che, sotto tale profilo, il termine risultava pienamente rispettato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5237/2007
Reg.Dec.
N. 8472 Reg.Ric.
ANNO 2000
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8472/2000, proposto dal sig. Massimo Erpici, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Anzisi, Ennio Imperatore e Jacopo Fronzoni ed elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie 38, presso lo Studio legale Perrotta,
contro
il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, in persona del Ministro p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12,
e nei confronti
del Comune di Anacapri, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sezione II, n. 2049 del 29 aprile 1999;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, alla pubblica udienza del 4 maggio 2007, il Consigliere Paolo Buonvino;
uditi, l’avv. Colagrande, per delega dell’avv. Anzisi, e l’avv. dello Stato Guida.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O e D I R I T T O
1) – Con il presente appello è chiesta la riforma della sentenza con la quale il TAR ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento del decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 22 ottobre 1993, nonché delle ivi richiamate note della Soprintendenza di Napoli 9 settembre 1993, n. 26383, e 19 ottobre 1993, n. 30842.
Con tali determinazioni il Ministero appellato ha annullato il provvedimento 18 dicembre 1992, n. 12300, con il quale il Sindaco di Anacapri aveva autorizzato il rilascio del condono edilizio in sanatoria di opere realizzate sull’area contraddistinta in catasto al fg. 3, p.lle nn. 67, 68 e 69.
Per il TAR il provvedimento impugnato era correttamente motivato, mentre lo stesso ricorrente non aveva svolto specifiche doglianze in relazione alla correttezza o meno, sul piano tecnico-valutativo, degli apprezzamenti che avevano portato il Ministero a disporre il contestato annullamento.
Il TAR ha, poi, ritenuto pienamente tempestivo il provvedimento di annullamento stesso.
2) – Per l’appellante l’originario ricorso sarebbe stato, invece, meritevole di accoglimento in quanto, anzitutto, il provvedimento impugnato sarebbe stato del tutto generico, facendo trasparire un generalizzato comportamento ostativo da parte ministeriale nei riguardi della sanatoria di tutti i manufatti realizzati in zona.
Anche sotto il profilo della intempestività del provvedimento impugnato si insiste per l’accoglimento dell’originario gravame, dovendosi, in subordine, dubitare della conformità al dettato costituzionale della relativa disciplina normativa, attesa anche l’assoluta incertezza dalla stessa derivante in merito ai concreti tempi di adozione dei provvedimenti di annullamento in questione.
Viene, poi, ribadita la censura svolta in primo grado con la quale si è contestata la legittimità dell’atto impugnato in quanto sarebbe stato il frutto di un inammissibile riesame di merito delle determinazioni assunte dal Comune in ordine alla verifica di sussistenza dei presupposti per accordare la richiesta sanatoria edilizia; determinazioni che, contrariamente all’assunto dell’amministrazione statale, sarebbero state, invero, correttamente ed esaurientemente motivate.
Si è costituito per resistere il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
L’appello è infondato.
3) - Il primo motivo di ricorso, in particolare, è inammissibile.
Da un lato, viene, con esso, lamentata la circostanza che il provvedimento impugnato sarebbe stato del tutto generico, facendo trasparire un generalizzato comportamento ostativo da parte ministeriale nei riguardi della sanatoria di tutti i manufatti realizzati in zona; subito dopo, l’appellante si richiama al primo motivo dell’originario ricorso, da aversi per interamente riportato e trascritto.
Ebbene, per ciò che attiene alla notazione secondo cui, nella specie, non si sarebbe in presenza di un provvedimento di annullamento dettato dal caso concreto, ma di un generalizzato comportamento ostativo del Ministero nei confronti di tutti i casi di abusivismo in zona (che dovrebbero, per la stessa amministrazione, essere tutti evitati), si tratta di doglianza del tutto assente nell’originario ricorso laddove, con il primo motivo, si lamentava solo l’assoluta erroneità degli apprezzamenti operati dal Ministero, nonché il fatto che non sarebbe stato dato comprendere quali fossero i manufatti che sarebbero stati disordinatamente realizzati.
Quanto al richiamo fatto allo stesso primo motivo dell’originario ricorso (da ritenersi, per l’appellante, riportato e trascritto), si tratta di una doglianza inammissibile in quanto nell’appello non possono essere puramente e semplicemente ribaditi gli originari motivi senza contrastare puntualmente i contenuti della sentenza appellata, reiettivi dei motivi stessi (cfr., tra le tante, Sezione VI, 28 agosto 2006, n. 5014; 22 agosto 2006, n. 4927; Sezione V, 28 giugno 2006, n. 4212).
E, nella specie, il TAR ha svolto articolate argomentazioni in vista del rigetto del predetto primo motivo di gravame.
In particolare, ha evidenziato che con riguardo ai provvedimenti di annullamento quale quello di specie le censure concernenti l’apprezzamento circa la compatibilità ambientale dell’intervento edilizio non possono trovare ingresso in quanto coinvolgono aspetti di discrezionalità tecnica, sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo anche quando si tratti non dell’applicazione delle cosiddette scienze esatte, ma di apprezzamenti di carattere estetico; che nella specie, poi, la censura conteneva argomenti che non apparivano in grado di contestare efficacemente il portato del provvedimento impugnato e che, anzi, per certi aspetti, ne corroboravano il contenuto quando ammettevano che oltre a modifiche concernenti solo la distribuzione interna dei locali, le opere abusive oggetto di sanatoria riguardavano anche, all’interno del giardino, la realizzazione di due piccoli locali di natura pertinenziale al fabbricato, nonché la realizzazione di una cantina seminterrata; mentre nessun rilievo era mosso sul punto motivazionale al provvedimento ministeriale che evidenziava che detti manufatti erano stati distribuiti in modo disordinato, comportando di conseguenza un’alterazione delle caratteristiche ambientali del sito.
E poiché, come si ripete, dette articolate argomentazioni espositive non hanno costituito oggetto, in questa sede, di specifiche censure, ne consegue l’inammissibilità del primo motivo dell’appello.
4) - Con il secondo motivo del presente gravame si ribadisce il secondo motivo dell’originario ricorso (“che qui si abbia per interamente riportato e trascritto”) relativo alla notificazione del decreto impugnato, che sarebbe intervenuta al di là del termine decadenziale di legge.
L’appellante, pur conscio degli orientamenti, al riguardo, della giurisprudenza amministrativa, ribadisce le perplessità, già espresse in primo grado, in relazione all’assoluta incertezza dei tempi di adozione del decreto da parte del Ministero, in quanto si tratterebbe di atti che, in maniera arbitraria, non sarebbero sottoposti al protocollo che, in qualche modo, potrebbe contribuire a fugare tutti i dubbi che una siffatta azione comporterebbe.
Anche in tal caso, quindi, il motivo d’appello è essenzialmente reiterativo del corrispondente motivo di primo grado e, inammissibilmente, non svolge alcuna puntuale censura in ordine alle specifiche ragioni reiettive del gravame esposte dal TAR, secondo cui è, ormai, jus receptum che il provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico non ha natura di atto recettizio e, quindi, il termine perentorio di sessanta giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso; e che, sotto tale profilo, il termine risultava pienamente rispettato.
Al riguardo può, comunque, rilevarsi che la data apposta in calce al decreto impugnato fa stato fino a querela di falso e che appare, inoltre, manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale al riguardo sollevata dal deducente in relazione all’art. 24, comma 2, della Costituzione; gli atti amministrativi, infatti, per ciò che attiene alla veridicità dei dati estrinseci relativi alla data della loro materiale adozione, sono assistiti da fede privilegiata secondo un normale criterio di certezza giuridica degli atti amministrativi e le relative contestazioni sono esperibili solo mediante il rimedio anzidetto, senza che possa ritenersi, quindi, violato il principio costituzionale invocato dall’appellante; ciò in quanto l’ordinamento presta, comunque, gli strumenti giuridici necessari a contrastare eventuali - quanto eccezionali - erronee indicazioni, da parte della P.A., della data di adozione dei propri provvedimenti.
5) - Il terzo motivo dell’appello è pure meramente reiterativo del corrispondente motivo di primo grado, con il quale ci si doleva del fatto che l’atto impugnato avrebbe costituito un inammissibile riesame di merito delle valutazioni già espresse, al riguardo, dal Sindaco di Anacapri.
Anche tale censura è inammissibile per le stesse ragioni sopra riportate in ordine alla inammissibilità dei motivi d’appello meramente reiterativi delle censure di primo grado e privi di specifiche contestazioni circa le ragioni reiettive puntualmente riportate dai primi giudici (che hanno evidenziato che il Ministero, oltre a recepire il giudizio negativo della locale Soprintendenza, ha anche evidenziato e posto a fondamento del disposto annullamento il fatto che l’autorizzazione sindacale non risultava sufficientemente motivata e, in quanto tale, viziata da eccesso di potere e violazione di legge; non potendosi porre in dubbio, del resto, sempre secondo il TAR, che tali ultimi rilievi rientravano nel sindacato di legittimità attribuito al Ministero dalla disciplina di settore).
6) - Alle stesse conclusioni deve, poi, pervenirsi pure con riguardo al quarto motivo dell’appello; anche in questo caso l’appellante reitera il corrispondente motivo di primo grado (inerente alla illegittimità della motivazione addotta nell’atto impugnato con riguardo all’insufficiente motivazione del provvedimento sindacale annullato) senza svolgere alcuna puntuale doglianza con riguardo alle ragioni che hanno indotto il TAR a rigettare il motivo stesso; ragioni (comunque, da condividersi) rinvenibili nella considerazione che le motivazioni poste a fondamento del rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso bastavano a rendere improduttive anche le doglianze contenute nel quarto e nel quinto motivo, sostanzialmente ripetitive delle argomentazioni già prospettate con detti motivi.
7) - Con il quinto motivo dell’appello, infine, si deduce che non vi sarebbe alcun dubbio che l’Amministrazione intimata avrebbe deciso di fare “di tutta l’erba un fascio”; lo sviamento emergerebbe in maniera evidente sol che si ponga mente al fatto che, mentre il provvedimento sindacale sarebbe stato compiutamente, estesamente e corposamente motivato sul punto, quello ministeriale, invece, non avrebbe contenuto alcuna motivazione effettivamente riferibile al caso di specie; donde l’assoluto difetto di motivazione di tale atto; l’appellante lamenta, inoltre, la violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, non essendo stata data comunicazione dell’avvio del procedimento; in particolare, di questo avrebbe avuto notizia il ricorrente (mediante la nota n. 9398 del 24 agosto 1993 dell’ufficio tecnico comunale per il condono edilizio) e non la sig.ra Lidia Latour che, nella sua qualità di usufruttuaria dei beni, avrebbe pure dovuto partecipare al procedimento.
Anche tali doglianze sono inammissibili.
Sotto il primo profilo va rilevato che il quinto motivo dell’originario ricorso, a parte una generica indicazione, al riguardo, nella sua epigrafe, non esternava alcuna puntuale censura di eccesso di potere per sviamento; censura, invece, concretamente quanto inammissibilmente formulata, per la prima volta, solo nella presente sede.
L’appellante, poi, neppure contesta puntualmente le ragioni per le quali il TAR ha conclusivamente – quanto, comunque, correttamente - ritenuto, circa il contestato difetto motivazione del provvedimento ministeriale, come fosse sufficiente osservare che l’individuazione dei vizi di legittimità riscontrati a carico del provvedimento sindacale di autorizzazione in sanatoria costituiva l’unico compito che l’ordinamento ha inteso assegnare al Ministero, al quale residuano poteri di puro controllo dell’attività di autorizzazione in materia ambientale esercitata dalla Regione o dagli enti da questa delegati.
Quanto alla prospettata violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, si tratta di censura inammissibile in quanto costituente jus novorum; tale censura non si rinviene, infatti, nel ricorso di primo grado, proposto sia dall’odierno appellante che dalla predetta sig.ra Latour, deceduta nelle more del giudizio di primo grado.
8) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e, per l’effetto, deve essere respinto.
Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l’appello in epigrafe.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 maggio 2007 con l’intervento dei sigg.ri:
GAETANO TROTTA – Presidente
PAOLO BUONVINO– Consigliere est.
DOMENICO CAFINI - Consigliere
A L D O S C O L A – Consigliere
ROBERTO CHIEPPA – Consigliere
Presidente
Gaetano Trotta
Consigliere Segretario
Paolo Buonvino Vittorio Zoffoli
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..09/10/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5237/2007
Reg.Dec.
N. 8472 Reg.Ric.
ANNO 2000
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8472/2000, proposto dal sig. Massimo Erpici, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Anzisi, Ennio Imperatore e Jacopo Fronzoni ed elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie 38, presso lo Studio legale Perrotta,
contro
il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, in persona del Ministro p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12,
e nei confronti
del Comune di Anacapri, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sezione II, n. 2049 del 29 aprile 1999;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, alla pubblica udienza del 4 maggio 2007, il Consigliere Paolo Buonvino;
uditi, l’avv. Colagrande, per delega dell’avv. Anzisi, e l’avv. dello Stato Guida.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O e D I R I T T O
1) – Con il presente appello è chiesta la riforma della sentenza con la quale il TAR ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento del decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 22 ottobre 1993, nonché delle ivi richiamate note della Soprintendenza di Napoli 9 settembre 1993, n. 26383, e 19 ottobre 1993, n. 30842.
Con tali determinazioni il Ministero appellato ha annullato il provvedimento 18 dicembre 1992, n. 12300, con il quale il Sindaco di Anacapri aveva autorizzato il rilascio del condono edilizio in sanatoria di opere realizzate sull’area contraddistinta in catasto al fg. 3, p.lle nn. 67, 68 e 69.
Per il TAR il provvedimento impugnato era correttamente motivato, mentre lo stesso ricorrente non aveva svolto specifiche doglianze in relazione alla correttezza o meno, sul piano tecnico-valutativo, degli apprezzamenti che avevano portato il Ministero a disporre il contestato annullamento.
Il TAR ha, poi, ritenuto pienamente tempestivo il provvedimento di annullamento stesso.
2) – Per l’appellante l’originario ricorso sarebbe stato, invece, meritevole di accoglimento in quanto, anzitutto, il provvedimento impugnato sarebbe stato del tutto generico, facendo trasparire un generalizzato comportamento ostativo da parte ministeriale nei riguardi della sanatoria di tutti i manufatti realizzati in zona.
Anche sotto il profilo della intempestività del provvedimento impugnato si insiste per l’accoglimento dell’originario gravame, dovendosi, in subordine, dubitare della conformità al dettato costituzionale della relativa disciplina normativa, attesa anche l’assoluta incertezza dalla stessa derivante in merito ai concreti tempi di adozione dei provvedimenti di annullamento in questione.
Viene, poi, ribadita la censura svolta in primo grado con la quale si è contestata la legittimità dell’atto impugnato in quanto sarebbe stato il frutto di un inammissibile riesame di merito delle determinazioni assunte dal Comune in ordine alla verifica di sussistenza dei presupposti per accordare la richiesta sanatoria edilizia; determinazioni che, contrariamente all’assunto dell’amministrazione statale, sarebbero state, invero, correttamente ed esaurientemente motivate.
Si è costituito per resistere il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
L’appello è infondato.
3) - Il primo motivo di ricorso, in particolare, è inammissibile.
Da un lato, viene, con esso, lamentata la circostanza che il provvedimento impugnato sarebbe stato del tutto generico, facendo trasparire un generalizzato comportamento ostativo da parte ministeriale nei riguardi della sanatoria di tutti i manufatti realizzati in zona; subito dopo, l’appellante si richiama al primo motivo dell’originario ricorso, da aversi per interamente riportato e trascritto.
Ebbene, per ciò che attiene alla notazione secondo cui, nella specie, non si sarebbe in presenza di un provvedimento di annullamento dettato dal caso concreto, ma di un generalizzato comportamento ostativo del Ministero nei confronti di tutti i casi di abusivismo in zona (che dovrebbero, per la stessa amministrazione, essere tutti evitati), si tratta di doglianza del tutto assente nell’originario ricorso laddove, con il primo motivo, si lamentava solo l’assoluta erroneità degli apprezzamenti operati dal Ministero, nonché il fatto che non sarebbe stato dato comprendere quali fossero i manufatti che sarebbero stati disordinatamente realizzati.
Quanto al richiamo fatto allo stesso primo motivo dell’originario ricorso (da ritenersi, per l’appellante, riportato e trascritto), si tratta di una doglianza inammissibile in quanto nell’appello non possono essere puramente e semplicemente ribaditi gli originari motivi senza contrastare puntualmente i contenuti della sentenza appellata, reiettivi dei motivi stessi (cfr., tra le tante, Sezione VI, 28 agosto 2006, n. 5014; 22 agosto 2006, n. 4927; Sezione V, 28 giugno 2006, n. 4212).
E, nella specie, il TAR ha svolto articolate argomentazioni in vista del rigetto del predetto primo motivo di gravame.
In particolare, ha evidenziato che con riguardo ai provvedimenti di annullamento quale quello di specie le censure concernenti l’apprezzamento circa la compatibilità ambientale dell’intervento edilizio non possono trovare ingresso in quanto coinvolgono aspetti di discrezionalità tecnica, sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo anche quando si tratti non dell’applicazione delle cosiddette scienze esatte, ma di apprezzamenti di carattere estetico; che nella specie, poi, la censura conteneva argomenti che non apparivano in grado di contestare efficacemente il portato del provvedimento impugnato e che, anzi, per certi aspetti, ne corroboravano il contenuto quando ammettevano che oltre a modifiche concernenti solo la distribuzione interna dei locali, le opere abusive oggetto di sanatoria riguardavano anche, all’interno del giardino, la realizzazione di due piccoli locali di natura pertinenziale al fabbricato, nonché la realizzazione di una cantina seminterrata; mentre nessun rilievo era mosso sul punto motivazionale al provvedimento ministeriale che evidenziava che detti manufatti erano stati distribuiti in modo disordinato, comportando di conseguenza un’alterazione delle caratteristiche ambientali del sito.
E poiché, come si ripete, dette articolate argomentazioni espositive non hanno costituito oggetto, in questa sede, di specifiche censure, ne consegue l’inammissibilità del primo motivo dell’appello.
4) - Con il secondo motivo del presente gravame si ribadisce il secondo motivo dell’originario ricorso (“che qui si abbia per interamente riportato e trascritto”) relativo alla notificazione del decreto impugnato, che sarebbe intervenuta al di là del termine decadenziale di legge.
L’appellante, pur conscio degli orientamenti, al riguardo, della giurisprudenza amministrativa, ribadisce le perplessità, già espresse in primo grado, in relazione all’assoluta incertezza dei tempi di adozione del decreto da parte del Ministero, in quanto si tratterebbe di atti che, in maniera arbitraria, non sarebbero sottoposti al protocollo che, in qualche modo, potrebbe contribuire a fugare tutti i dubbi che una siffatta azione comporterebbe.
Anche in tal caso, quindi, il motivo d’appello è essenzialmente reiterativo del corrispondente motivo di primo grado e, inammissibilmente, non svolge alcuna puntuale censura in ordine alle specifiche ragioni reiettive del gravame esposte dal TAR, secondo cui è, ormai, jus receptum che il provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico non ha natura di atto recettizio e, quindi, il termine perentorio di sessanta giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso; e che, sotto tale profilo, il termine risultava pienamente rispettato.
Al riguardo può, comunque, rilevarsi che la data apposta in calce al decreto impugnato fa stato fino a querela di falso e che appare, inoltre, manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale al riguardo sollevata dal deducente in relazione all’art. 24, comma 2, della Costituzione; gli atti amministrativi, infatti, per ciò che attiene alla veridicità dei dati estrinseci relativi alla data della loro materiale adozione, sono assistiti da fede privilegiata secondo un normale criterio di certezza giuridica degli atti amministrativi e le relative contestazioni sono esperibili solo mediante il rimedio anzidetto, senza che possa ritenersi, quindi, violato il principio costituzionale invocato dall’appellante; ciò in quanto l’ordinamento presta, comunque, gli strumenti giuridici necessari a contrastare eventuali - quanto eccezionali - erronee indicazioni, da parte della P.A., della data di adozione dei propri provvedimenti.
5) - Il terzo motivo dell’appello è pure meramente reiterativo del corrispondente motivo di primo grado, con il quale ci si doleva del fatto che l’atto impugnato avrebbe costituito un inammissibile riesame di merito delle valutazioni già espresse, al riguardo, dal Sindaco di Anacapri.
Anche tale censura è inammissibile per le stesse ragioni sopra riportate in ordine alla inammissibilità dei motivi d’appello meramente reiterativi delle censure di primo grado e privi di specifiche contestazioni circa le ragioni reiettive puntualmente riportate dai primi giudici (che hanno evidenziato che il Ministero, oltre a recepire il giudizio negativo della locale Soprintendenza, ha anche evidenziato e posto a fondamento del disposto annullamento il fatto che l’autorizzazione sindacale non risultava sufficientemente motivata e, in quanto tale, viziata da eccesso di potere e violazione di legge; non potendosi porre in dubbio, del resto, sempre secondo il TAR, che tali ultimi rilievi rientravano nel sindacato di legittimità attribuito al Ministero dalla disciplina di settore).
6) - Alle stesse conclusioni deve, poi, pervenirsi pure con riguardo al quarto motivo dell’appello; anche in questo caso l’appellante reitera il corrispondente motivo di primo grado (inerente alla illegittimità della motivazione addotta nell’atto impugnato con riguardo all’insufficiente motivazione del provvedimento sindacale annullato) senza svolgere alcuna puntuale doglianza con riguardo alle ragioni che hanno indotto il TAR a rigettare il motivo stesso; ragioni (comunque, da condividersi) rinvenibili nella considerazione che le motivazioni poste a fondamento del rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso bastavano a rendere improduttive anche le doglianze contenute nel quarto e nel quinto motivo, sostanzialmente ripetitive delle argomentazioni già prospettate con detti motivi.
7) - Con il quinto motivo dell’appello, infine, si deduce che non vi sarebbe alcun dubbio che l’Amministrazione intimata avrebbe deciso di fare “di tutta l’erba un fascio”; lo sviamento emergerebbe in maniera evidente sol che si ponga mente al fatto che, mentre il provvedimento sindacale sarebbe stato compiutamente, estesamente e corposamente motivato sul punto, quello ministeriale, invece, non avrebbe contenuto alcuna motivazione effettivamente riferibile al caso di specie; donde l’assoluto difetto di motivazione di tale atto; l’appellante lamenta, inoltre, la violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, non essendo stata data comunicazione dell’avvio del procedimento; in particolare, di questo avrebbe avuto notizia il ricorrente (mediante la nota n. 9398 del 24 agosto 1993 dell’ufficio tecnico comunale per il condono edilizio) e non la sig.ra Lidia Latour che, nella sua qualità di usufruttuaria dei beni, avrebbe pure dovuto partecipare al procedimento.
Anche tali doglianze sono inammissibili.
Sotto il primo profilo va rilevato che il quinto motivo dell’originario ricorso, a parte una generica indicazione, al riguardo, nella sua epigrafe, non esternava alcuna puntuale censura di eccesso di potere per sviamento; censura, invece, concretamente quanto inammissibilmente formulata, per la prima volta, solo nella presente sede.
L’appellante, poi, neppure contesta puntualmente le ragioni per le quali il TAR ha conclusivamente – quanto, comunque, correttamente - ritenuto, circa il contestato difetto motivazione del provvedimento ministeriale, come fosse sufficiente osservare che l’individuazione dei vizi di legittimità riscontrati a carico del provvedimento sindacale di autorizzazione in sanatoria costituiva l’unico compito che l’ordinamento ha inteso assegnare al Ministero, al quale residuano poteri di puro controllo dell’attività di autorizzazione in materia ambientale esercitata dalla Regione o dagli enti da questa delegati.
Quanto alla prospettata violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, si tratta di censura inammissibile in quanto costituente jus novorum; tale censura non si rinviene, infatti, nel ricorso di primo grado, proposto sia dall’odierno appellante che dalla predetta sig.ra Latour, deceduta nelle more del giudizio di primo grado.
8) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e, per l’effetto, deve essere respinto.
Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l’appello in epigrafe.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 maggio 2007 con l’intervento dei sigg.ri:
GAETANO TROTTA – Presidente
PAOLO BUONVINO– Consigliere est.
DOMENICO CAFINI - Consigliere
A L D O S C O L A – Consigliere
ROBERTO CHIEPPA – Consigliere
Presidente
Gaetano Trotta
Consigliere Segretario
Paolo Buonvino Vittorio Zoffoli
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..09/10/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria