Cons. Stato ord. 5720 del 5 novembre 2007
Beni Ambientali. Questione di legittimità costituzionale (art.159, co.3 D.Lv. 42-2004)

Poiché deve opinarsi nel senso che la previsione dell’art.159, comma 3, consenta una sostanziale revisione “in merito” delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli enti territoriali, può dubitarsi della legittimità costituzionale della disposizione stessa, sollevando la relativa questione dinnanzi alla Corte delle leggi.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5720/2007

Reg.Dec.

N. 2029 Reg.Ric.

ANNO   2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso in appello proposto da Ministero per i beni e le attività culturali in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;

contro

Comune di S. Anastasia in persona del sindaco pro-tempore rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Cresci e Antonio Messina ed elettivamente domiciliato in Roma Piazza di Spagna 35, presso l’avv. Carlo Sarro;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania  Sezione III n.10428 del 6 dicembre 2006;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di S.Anastasia;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 3 luglio 2007 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

Udito l’avv. dello Stato Borgo, l’avv. Cresci e l’avv. Messina; 

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con la sentenza in epigrafe il Tar della Campania ha accolto il ricorso proposto dal Comune di S.Anastasia avverso il decreto del 13 giugno 2006, n.11978, con cui la Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Napoli e provincia aveva annullato il nulla osta paesaggistico n.2265 del 13 gennaio 2006, rilasciato dal Comune medesimo per l’attuazione di un “piano particolareggiato di iniziativa privata in zona D1 di area sita in via Romani (di quel Comune)”, riguardante la realizzazione di una struttura alberghiera e di due edifici ad uso commerciale ed uffici.

L’adito Tribunale, con sentenza in forma semplificata, -sulla premessa che l’esame dell’organo statale doveva essere necessariamente ed esclusivamente limitato a motivi di legittimità, non potendo impingere in apprezzamenti di merito- riteneva che fosse fondato il profilo di violazione di legge ed eccesso di potere dedotto in ricorso poiché la determinazione tutoria negativa non indicava le ragioni di contrasto con le prescrizioni urbanistico-territoriali della zona interessata ed atteso che l’intervento progettato appariva conforme alla destinazione urbanistica impressa alla medesima (per la quale era consentita, tra l’altro, proprio la realizzazione di strutture alberghiere)  .

Appella il Ministero per i beni e le attività culturali deducendo i seguenti motivi:

Premesse la caratteristiche fisiche e di regime urbanistico dell’area interessata e dell’intervento oggetto del provvedimento impugnato, si deduce che la notevole volumetria e lo sviluppo in superficie dell’intervento nel suo insieme, ne determinavano un “grosso” impatto paesistico; la sua presenza, visto che l’aera è caratterizzata da aree residuali agricole e di interesse paesaggistico, provocherebbe, anche se in parte, la cancellazione di tratti del paesaggio, ancora intatti, a carattere rurale. Tanto ha ritenuto il Soprintendente nell’annullare l’autorizzazione sindacale, ritenendo che la stessa “comporterebbe la realizzazione di opere non compatibili con le imprescindibili esigenze di tutela e conservazione dei valori paesistici riconosciuti dal d.m. dell’8 agosto 1961; esigenze che rappresentano, come noto, la ragione costitutiva del vincolo stesso”.

Erronea è l’affermazione del Tar per cui la determinazione tutoria negativa deve essere necessariamente ed esclusivamente limitata a motivi di legittimità e non può impingere in apprezzamenti di merito. Infatti, l’art.159, comma 3, del D.lgs. 424, così come modificato dall’art.26, comma 3, del D.lgs. n.157 del 24 marzo 2006, stabilisce la piena e incondizionata competenza dell’amministrazione per i beni culturali ad annullare gli atti autorizzativi semplicemente “qualora ritenga l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio” e non solo per ravvisati vizi di legittimità. L’annullamento di cui al decreto impugnato è così pienamente legittimo, in quanto motivato con riferimento all’impatto dell’intervento nel suo insieme sul paesaggio, che determinerebbe un’obiettiva deroga al vincolo, tanto più che il nulla osta comunale è del tutto privo di motivazione in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento, che non può essere ricondotta unicamente al rispetto delle prescrizioni urbanistico-territoriali della zona interessata.

Si è costituito il Comune originario ricorrente sostenendo l’infondatezza dell’appello sulla scorta della consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo che esclude che, in sede di annullamento delle autorizzazioni rilasciate dagli enti territoriali, la Soprintendenza possa sovrapporre e sostituire la propria valutazione a quella effettuata dall’ente stesso in sede di rilascio del nulla osta paesaggistico. L’art.159, comma 3, del D.lgs.n.422004 non potrebbe essere interpretato nei sensi assunti in appello, poiché, come anche affermato da precedenti decisioni della Corte costituzionale, la pretesa di un così penetrante potere di vigilanza da parte dello Stato si risolverebbe nell’esercizio unilaterale della funzione autorizzatoria, attraverso determinazioni aventi, quindi, rilevanti ricadute sull’assetto urbanistico ed edilizio del territorio, di competenza regionale, ma senza la garanzia di adeguati modelli concertativi aderenti al principio di leale collaborazione più volte richiamato dalla Corte.

DIRITTO

La materia del contendere, quale emergente dalla contestazione della sentenza impugnata sollevata in appello, si incentra preliminarmente sulla questione della portata dell’art.159, comma 3, del D.lgs. 22 gennaio 2004, n.42, quale sostituito dall’art.26 del D.lgs. 24 marzo 2006, n.157, norma ratione temporis applicabile nell’emanazione del provvedimento impugnato, adottato il 13 giugno 2006.

L’appello, in buona sostanza, sostiene l’erroneità della sentenza di prime cure sul rilievo che, a seguito dell’entrata in vigore di detta norma, la Soprintendenza, in sede di verifica dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune, quale ente territoriale delegato dalla regione ai sensi dell’art.146, commi 2 e 3, dello stesso D.lgs.n.42 del 2004, non ha bisogno di indicare specifici vizi di violazione di legge da cui sarebbe affetta detta autorizzazione, potendo direttamente valutare “l’impatto ambientale” dell’intervento richiesto, alla luce del regime di vincolo imposto sulla zona di volta in volta considerata.

Cioè non vi sarebbe, più, secondo l’appellante, il vincolo della delimitazione del potere di cognizione dell’autorizzazione, oggetto del riscontro, ai soli parametri di legittimità, (inclusi peraltro tutti i possibili profili di eccesso di potere), quale affermato costantemente dalla giurisprudenza amministrativa, secondo un risalente orientamento formatosi presso questa stessa Sezione, culminato nelle precisazioni operate con la decisione n. 9 del 14 dicembre 2001 dell’Adunanza Plenaria e in seguito univocamente proseguito.

Va in proposito rilevato che la tesi avanzata dall’Amministrazione appellante risulta suffragata dalla lettura dello stesso art.159, comma 3, nel suo testo attuale, che stabilisce che “La soprintendenza, se ritiene l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, dettate ai sensi del presente titolo, può annullarla, con provvedimento motivato,…”.

E’ di tutta evidenza, infatti, che il rilievo della “non conformità” alle prescrizioni della legislazione di tutela, implica inevitabilmente il diretto apprezzamento dei fatti rilevanti nel caso concreto, già considerati nell’ambito dell’autorizzazione oggetto di controllo, al fine di esprimere su di essi un giudizio di “valore”.

Tale è infatti quello configurato dalle prescrizioni di tutela medesime, che determinano un ambito di valutazione del fatto, da effettuare in sede autorizzativa, ancorato a “concetti indeterminati”, da connotare cioè in base ad apprezzamenti tecnici complessi, alla stregua di regole non giuridiche e proprie delle discipline estetico-ambientali, suscettibili di diversi esiti applicativi: si abbia riguardo ai concetti di “alterazione”, “pregiudizio”, “compatibilità”, “coerenza”, rapportate ai “valori paesaggistici” ed agli “obiettivi di qualità paesaggistica”, in base alla lettera dell’art.146, commi 1, 4 e 5,  del D.lgs.422004.

Ciò premesso, poiché, alla luce delle considerazioni ermeneutiche che precedono, deve opinarsi nel senso che la previsione dell’art.159, comma 3, consenta una sostanziale revisione “in merito” delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli enti territoriali, ritiene il Collegio che possa dubitarsi della legittimità costituzionale della disposizione stessa, sollevando la relativa questione dinnanzi alla Corte delle leggi.

Quanto alla rilevanza della questione, essa risulta palese, atteso che l’intendimento e l’individuazione della precisa sfera di applicazione della norma della cui costituzionalità si dubita risultano decisivi per la definizione della presente controversia; basti dire che ove la norma, come pare a questo Collegio, debba intendersi come estensiva dell’ambito del controllo demandato alla soprintendenza fino agli aspetti c.d. “di merito”, l’appello dovrebbe essere accolto e sicuramente riformata la sentenza di primo grado, mentre, comunque, ogni altra censura eventualmente assorbita, dedotta con l’originario ricorso di primo grado, assumerebbe un necessaria diversa rilevanza ove fosse da contrapporre all’esistenza di un potere di apprezzamento “nel merito” della conformità paesaggistica in capo all’organo statale.

Quanto alla non manifesta infondatezza essa può ritrarsi dalle seguenti considerazioni:

a) è dubbio che una innovazione legislativa che importi una revisione così sostanziale, - nell’ambito dell’affidamento alla regione, ed agli enti da essa delegati, del potere di autorizzazione in discorso -, del rapporto tra Stato e regione quale configurato da una giurisprudenza amministrativa ormai trentennale, sia stata prevista nella norma delega di cui all’art.10 della legge 6 luglio 2002, n.137;

b) tale rapporto era, infatti, configurato come “diritto vivente” fin dall’emanazione dell’art.82, comma 9, del D.P.R. 24 luglio 1977, n.616, nel senso della devoluzione all’organo statale di un potere che, in quanto definito, dalla legislazione da allora succedutasi, come di “annullamento”, è stato costantemente limitato al solo rilievo di vizi di legittimità;

c) è dubbio, pertanto, che il Legislatore delegante abbia inteso giungere ad una siffatta ridislocazione dei poteri di valutazione “in merito” rilevanti nella specifica materia, posto che, al di là della codificazione, cioè della ricognizione delle norme vigenti, e del riassetto, cioè della “razionalizzazione” di tale corpo normativo, quali obiettivi enunciati al primo comma dell’art.10 ora citato, i “criteri” di attuazione della delega, quali posti nella lettera d) del secondo comma dello stesso art.10, non contengono alcuna previsione che riguardi l’estensione e le modalità del “controllo” demandato agli organi statali relativamente agli atti autorizzativi qui in rilievo, dovendo quindi sospettarsi la violazione, da parte della norma delegata qui denunziata, dell’art.76 Cost., in ordine alla necessaria corrispondenza delle norme delegate a “principi e criteri direttivi” stabiliti dalla legge-delega;

d) è da dubitarsi, inoltre, che lo strumento per introdurre una siffatta modificazione dei rapporti Stato-regione, in tema di poteri di autorizzazione paesaggistica, potesse essere costituito dai decreti comunque previsti dal comma 4 dello stesso art.10, che possono sì apportare “disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1”, ma pur sempre “nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi”, configurandosi un ulteriore profilo di violazione dell’art.76 Cost. negli stessi sensi sopra individuati;

e) è da dubitarsi, poi, indipendentemente dal rispetto di detti principi e criteri direttivi, che una innovazione di tale portata possa farsi rientrare nel concetto di “disposizione correttiva ed integrativa” che, su di un elementare piano logico, presuppone un corpo normativo definito nei suoi principi e lineamenti fondamentali, rispetto al quale si renda opportuno specificare aspetti peculiari di tipo applicativo e di coordinamento interno. Il medesimo concetto di integrazione e correzione non può, però, implicare l’adozione, come nel caso, di una soluzione normativa che, su un punto essenziale e qualificante la complessiva disciplina in discorso, risulti in sostanziale contraddizione con quella originariamente assunta in sede di emanazione del decreto legislativo di prima attuazione della delega, (appunto conforme al diritto “vivente” consolidato in precedenza vigente), delineandosi un’autonoma ed ulteriore ipotesi di violazione dell’art.76 Cost., connessa al meccanismo peculiare prescelto dalla legge di delega per stabilizzare la corretta applicazione delle norme delegate;

f) è da dubitarsi, sotto ulteriore e distinto profilo, che sia conforme al principio di sussidiarietà stabilito dall’art.118 Cost, come criterio di attribuzione delle funzioni amministrative, anche in correlazione al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che possa configurarsi un potere di controllo in forma c.d. di “tutela”, esteso cioè anche al merito, che consenta allo Stato una costante e generalizzata autonoma rivalutazione delle determinazioni operate dalla regione e dagli enti territoriali delegati, in particolare dai Comuni, assorbendosi, agli effetti pratici, in modo altrettanto costante e generalizzato, e rendendolo così potenzialmente instabile ed irrilevante, il punto di vista degli enti, costituzionalmente dotati di autonomia, che sono primariamente coinvolti nel “governo del territorio” su cui si colloca il bene interessato dall’autorizzazione paesaggistica.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il giudizio va sospeso in attesa della definizione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, disponendosi la rimessione della questione alla Corte costituzionale.

Ogni altra statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese è riservata alla decisione definitiva susseguente alla risoluzione della presente fase incidentale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando, sospende il giudizio instaurato con il ricorso in appello indicato in epigrafe, disponendo la rimessione della presente ordinanza alla Corte costituzionale.                        

Ordina che a cura della segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e comunicata ai Presidenti delle Camere dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Riserva le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 3.7.2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Gaetano Trotta                        Presidente

Carmine Volpe                        Consigliere

Luciano Barra Caracciolo                    Consigliere Est.

Aldo Scola                                          Consigliere

Roberto Giovagnoli                             Consigliere

 

Presidente

Gaetano Trotta

Consigliere                                                                           Segretario

Luciano Barra Caracciolo                                                       Glauco Simonini

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

il...05/11/2007

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

Maria Rita Oliva

 

 

 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa

 

al Ministero..............................................................................................

 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

 

                                                                                              Il Direttore della Segreteria