Pres. Lupo Est. Franco Ric. Merli
Caccia e animali. Detenzione selvaggina morta
UDIENZA CAMERA DI CONSIGLIO DEL 03/04/2007
SENTENZA N. 1039/2007
REG. GENERALE N. 32249/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli ill.mi Sigg.:
Dott. Ernesto
Lupo
Presidente
Dott. Alfredo Maria Lombardi
Consigliere
Dott. Amedeo Franco
(est.)
Consigliere
Dott.ssa Maria Silvia Sensini
Consigliere
Avv. Santi
Gazzara
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da Merli Romano, nato a Pecoraia il 26 agosto
1938; avverso la sentenza emessa il 23 maggio 2006 dal giudice del
tribunale di Voghera;
- udita nella pubblica udienza del 3 aprile 2007 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. Angelo Di Popolo, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Voghera
dichiarò Merli Romano colpevole del reato di cui agli artt.
18 e 30, comma 1, lett. H), legge 11 febbraio 1992, n. 157, per avere,
durante l'esercizio venatorio, detenuto nel carniere un esemplare di
airone cenerino (ardea cinerea) nei cui confronti non è
consentita la caccia, e lo condannò alla pena dell'ammenda.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione di legge perché nella ipotesi in cui - come
è avvenuto nella specie - un volatile di specie protetta
venga abbattuto da una persona e rinvenuto morto da un terzo, il suo
impossessamento non integra il reato contestato. La semplice detenzione
di un volatile morto, quindi, non può farsi rientrare nella
fattispecie di cui all'art. 30, lett. H), cit., che limita la sua
tutela alla selvaggina vivente.
Inoltre, l'art. 2, comma l, della legge 11 febbraio 1992, n. 157,
specifica tassativamente tutte le specie di uccelli oggetto di tutela,
e fra queste non è indicato l'airone cenerino.
2) violazione di legge e vizio di motivazione perché egli
aveva dimostrato la provenienza non illegittima dell'animale detenuto,
il che escludeva la sua responsabilità penale.
Erroneamente il giudice non ha valutato la sua versione, secondo cui il
volatile in questione era stato abbattuto da altri cacciatori che egli
aveva sentito sparare ed era stato poi trovato già abbattuto
dal suo cane.
Motivi della decisione
La seconda parte del primo motivo - che va esaminata preliminarmente -
è infondata. L'art. 2, comma 1, della legge 11 febbraio
1992, n. 157, infatti, elenca le specie animali oggetto di particolare
protezione. Il successivo art. 18, invece, indica le specie cacciabili
nei diversi periodi di tempo ivi indicati, mentre il contestato art.
30, lett. H), punisce, tra l'altro, «chi abbatte, cattura o
detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non
è consentita». L'uccello di cui al presente
processo (airone cenerino o ardea cinerea) non rientra fra quelli
cacciabili indicati nell'art. 18 e pertanto è compreso nella
previsione sanzionatoria di cui all'art. 30, lett. H).
Nel resto, invece, il primo motivo è fondato. Il giudice del
merito, invero, non ha approfondito le circostanze per le quali
l'imputato avesse nel suo carniere l'airone già morto (anche
se ancora caldo) ed in particolare se lo avesse abbattuto o lo stesso
fosse stato abbattuto da altri cacciatori e poi l'imputato se ne fosse
impossessato avendolo trovato abbandonato, secondo la versione
difensiva.
E ciò perché il giudice ha ritenuto che la citata
disposizione di cui all'art. 30, lett. H), punisca in ogni caso la
detenzione di un animale di specie non tacciabile, anche qualora si
tratti di detenzione di animale morto.
Si tratta però di una erronea interpretazione della
disposizione in questione, che è già stata
autorevolmente disattesa da una precedente decisione di questa Corte,
che il Collegio ritiene di dover ribadire, anche perché non
è stato addotto dalla sentenza impugnata alcun argomento che
possa indurre a mutare orientamento.
Ed invero, la sentenza della Sez. III, 2 marzo 1995, n. 3980, Peretti,
dopo aver premesso che si tratta di una disposizione a più
fattispecie, in quanto la condotta che integra il reato può
concretarsi o nell'abbattimento, o nella cattura, o nella detenzione,
ha osservato che tale previsione ha lo scopo di creare un ventaglio di
ipotesi in modo tale da tutelare completamente la specie animale,
evitando possibili elusioni della norma. Ha però anche
osservato che è evidente che, allorché il
legislatore parla di detenzione, non può che riferirsi
all'animale vivo catturato da altra persona. Perché la
detenzione da parte di chi cattura il volatile ovvero la detenzione ad
opera di chi lo abbatte non può costituire reato per effetto
del rapporto di consunzione che si configura allorché la
consumazione di un certo tipo di reato comporta la realizzazione
necessaria di altra fattispecie.
Va pertanto riconfermato il principio che, allorché il
volatile venga abbattuto da una persona e da un terzo rinvenuto morto,
l'impossessamento da parte di costui non integra il reato di cui
all'art. 30 citato, essendo venuta meno la ragione della tutela
legislativa che si limita, in mancanza di espressa specifica nonna,
alla salvaguardia della selvaggina intesa come essere vivente (sent.
cit., n. 201982).
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata perché,
contrariamente a quanto in essa ritenuto, la detenzione del volatile
morto di per sé non è prevista dalla legge come
reato.
Ritiene tuttavia il Collegio che l'annullamento debba essere
pronunciato con rinvio proprio perché, per quanto dianzi
rilevato e per l'erronea interpretazione della norma da cui
è partito, il giudice del merito ha omesso di accertare
tutte le specifiche circostanze del caso concreto ed in particolare se
sussistano le prove che l'imputato non ha solo detenuto l'uccello morto
ma lo ha anche abbattuto e debba quindi ritenersi responsabile per tale
ragione, sempre che, ovviamente, possa ritenersi che la ipotesi
dell'abbattimento sia stata specificamente contestata con il capo di
imputazione. Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Voghera.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di
Cassazione, il 3 aprile 2007