Consiglio di Stato, Sez, VI, n. 1564, del 15 marzo 2013
Urbanistica.Definizione di sagoma di edificio
La definizione di “sagoma” di un edificio in giurisprudenza penale ripresa anche dalla Corte Costituzionale, è la “conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01564/2013REG.PROV.COLL.
N. 08194/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8194 del 2012, proposto da
Com. Univ s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, da. IMG s.r.l., in persona del legale rappresentantepro tempore, da Berni Lorenzo, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ercole Romano, Aldo Russo e Natalino Irti, con domicilio eletto presso Natalino Irti in Roma, via Andrea Vesalio, 22;
contro
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Izzo, Maria Rita Surano e Antonello Mandarano, con domicilio eletto presso Raffaele Izzo in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
Regione Lombardia, non costituita nel presente grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 1897/2012, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Mandarano e Romano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Com. Univ s.r.l., la I.M.G. s.r.l. e il signor Lorenzo Berni (in seguito “ricorrenti”), con il ricorso n. 250 del 2011 e con il ricorso n. 2615 del 2011, integrato con motivi aggiunti, proposti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, hanno chiesto l’annullamento:
- quanto al ricorso n. 250 del 2011:
-del provvedimento del dirigente del settore sportello unico per l'edilizia in data 19 novembre 2010 pratica n. 8596/2010, concernente sospensione lavori e diffida a proseguire opere d.i.a. relative a recupero abitativo di sottotetto nell'edificio sito in Milano, via San Damiano n. 2; nonché, come mezzo al fine, dell'art. 18.5.2 delle n.t.a. del p.r.g. del comune di Milano (variante adottata con delibera c.c. n. 50 del 26 marzo 2001 ed approvata con delibera c.c. n. 87 del 19 ottobre 2006); di tutti gli atti preordinati e connessi;
- quanto al ricorso n. 2615 del 2011:
-quanto al ricorso principale, del provvedimento del dirigente del settore sportello unico per l'edilizia in data 22 giugno 2011 p.g. n. 470021/2011, notificato in data 29 giugno 2011, recante diniego dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria del 30 dicembre 2010 p.g. 1009793/2010 e ordine di demolizione e ripristino nello stato quo ante entro 120 giorni dalla ricezione del medesimo provvedimento, in relazione a recupero abitativo di sottotetto nell'edificio sito in Milano, via San Damiano n. 2; nonché, come mezzo al fine, dell'art. 18.5.2 delle n.t.a. del p.r.g. del comune di Milano; di ogni atto preordinato e connesso, ivi compreso il presupposto avviso di diniego della sanatoria ex art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 in data 28 febbraio 2011 pg 220468/011;
-quanto ai motivi aggiunti, depositati il 16 aprile 2012, della delibera del consiglio comunale di Milano n. 60 in data 21 novembre 2011, relativa alla revoca della delibera 4 febbraio 2011 n. 7 (approvazione del p.g.t.) nel punto in cui dispone di mantenere in vita la precedente delibera di adozione del medesimo p.g.t. al fine di sostenere misure di salvaguardia su progetti edilizi contrastanti con le sue previsioni.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione seconda, con la sentenza n. 1897 del 2012, ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 250 del 2011; ha respinto il ricorso principale n. 2615 del 2011 e ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti. Ha compensato tra le parti le spese del giudizio.
3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento in parte qua della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.
Alla camera di consiglio del 4 dicembre 2012 l’esame della domanda cautelare è stato abbinato alla trattazione della controversia nel merito.
4. All’udienza del 26 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nell’appello la sentenza di primo grado è impugnata per i motivi che sono di seguito sintetizzati.
1.1. Violazione dell’art 33 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia; in seguito “Testo unico”); errore nel presupposto di fatto e di diritto.
La sentenza sarebbe errata poiché:
-a) vi è ritenuta l’unitarietà dell’intervento edilizio per cui è causa, come anche erroneamente ritenuto dall’Amministrazione, mentre si tratta di due interventi distinti, il primo dei quali, non contestato, è stato attivato con d.i.a. del 2009, con destinazione abitativa del sottotetto non quale recupero abitativo ai sensi dell’art. 63 della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) ma per traslazione di una superficie lorda di pavimento (s.l.p.), e, il secondo, con d.i.a. in variante presentata il 19 ottobre 2010, comportante una vetrata sostitutiva delle precedenti finestre, oggetto dell’impugnato provvedimento comunale del 19 novembre 2010 (pratica n. 8596/2010) di sospensione dei lavori e diffida a proseguire; è seguita la presentazione da parte della s.r.l Com.Univ. della domanda di permesso costruire in sanatoria per i medesimi interventi che è stata rigettata, previo preavviso ex art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, con provvedimento comunale del 22 giugno 2011 (p.g. n. 470021/2011) anche impugnato;
- b) il primo giudice ha quindi ritenuto la d.i.a presentata il 19 ottobre 2010 come recante il recupero abitativo del sottotetto con l’effetto dell’innalzamento dell’edificio, per innalzamento della falda, e conseguente modifica della sagoma dello stesso, mentre, si deduce nell’appello, da un lato, con la detta d.i.a. si è perseguito il recupero abitativo del sottotetto con il solo intervento sulle vetrate sulla falda preesistente, senza alcuna incidenza sul colmo del tetto e sulla gronda, e, dall’altro, il primo giudice si è riferito ad una nozione di sagoma difforme da quella del regolamento edilizio comunale che, correttamente, vi include la sola volumetria abitabile, avendo trascurato, inoltre, l’applicabilità nella specie dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005 che consente l’apertura nei sottotetti di finestre e strutture simili per ragioni di salubrità;
- c) non è stata rilevata l’erroneità del riferimento del diniego di sanatoria alla pretesa violazione del P.G.T. in salvaguardia (il cui art. 13, comma 2, della n.t.a. consente interventi di ristrutturazione edilizia solo con mantenimento della sagoma e del sedime), riguardando tale normativa le nuove costruzioni;
- d) è affermata dal primo giudice l’inapplicabilità nella specie dell’istituto della s.c.i.a. introdotto dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), mentre, secondo l’interpretazione di tale normativa data dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, essendo qualificato l’intervento in questione come “ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge regionale della Lombardia 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti) e del citato art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005, la s.c.i.a. si applica anche alle attività edilizie per le quali era consentita la d.i.a.
1.2. Violazione ed erronea interpretazione dell’art. 18.5.2. delle n.t.a del p.r.g. del Comune di Milano
Il primo giudice ha ritenuto che l’edificio in questione rientri nel divieto, posto dalla norma citata, di eseguire negli “immobili esistenti” al 1940 interventi di recupero dei sottotetti comportanti variazione delle altezze di gronda, di colmo e della pendenza delle falde del tetto, con ciò trascurando che, nella specie, i caratteri originari dell’edificio sono stati radicalmente variati con opere eseguite nel tempo che lo hanno, in sostanza, ricomposto come nuovo; né lo scopo della normativa può essere individuato nella salvaguardia della morfologia attuale di ogni edificio anteriore al 1940 pure profondamente modificato essendo inoltre intervenuto, per il caso in esame, il parere di compatibilità dell’intervento espresso dalla Commissione paesaggistica.
1.3. Violazione dell’art. 1 della legge regionale n. 15 del 1996 e degli articoli 63 e seguenti della legge regionale n. 12 del 2005.
Nella sentenza è anche respinta la censura di illegittimità del citato art. 18. 5.2. delle n.t.a. del p.r.g. per violazione della legislazione regionale sul recupero dei sottotetti, che sussiste, deducono gli appellanti, poiché la detta norma del p.r.g., in quanto approvata nel 2001, è in contrasto con la legge regionale n. 15 del 1996 all’epoca vigente, per la quale il recupero dei sottotetti a fini abitativi è in linea di principio consentito, ricorrendone le condizioni, anche in deroga agli strumenti urbanistici, e i Comuni, nel termine di centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge, possono soltanto escludere da ciò parti del territorio non riguardanti, peraltro, le zone A e B (art.1, comma 7).
Il primo giudice ha in particolare ritenuto inapplicabile la normativa regionale al caso di specie poiché l’edificio in questione rientra nella zona A, ciò che, al contrario, dimostra l’illegittimità della disciplina comunale in quanto non limitata alla deroga della legge regionale da questa consentita; così come è erroneo il riferimento all’art. 65, comma 1-bis, della legge regionale n. 12 del 2005, pure fatto nella sentenza, poiché la possibilità ivi prevista di esclusione dall’applicazione della norma sul recupero dei sottotetti di “determinate tipologie di edifici” non può essere ricondotta al semplice criterio della datazione degli edifici stessi.
1.4. Violazione dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 13 della legge regionale n. 12 del 2005; sviamento di potere.
Il primo giudice, avendo affermato la legittimità del provvedimento impugnato in quanto sorretta dalla legittimità anche di uno solo dei suoi motivi, ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti in primo grado avverso la sopravveniente delibera comunale, n. 60 del 2011, con cui si è revocata l’approvazione del P.G.T. ritenendo di mantenere in vita, al contempo, la delibera di adozione del piano per consentire la permanenza delle misure di salvaguardia.
Sussiste invece l’interesse dei ricorrenti alle censure dedotte in primo grado poiché dall’annullamento della detta delibera deriverebbe la caducazione di uno motivi posti a base del diniego di sanatoria con possibile rinnovazione del procedimento; il Comune infatti non può revocare il solo atto di approvazione del piano, tanto più a fronte di conclamate necessità di incisive revisioni dello stesso, lasciandone sussistere effetti ormai consumati; si deve inoltre richiamare che, decorso il termine di 90 giorni per l’approvazione definitiva del piano di cui all’art. 13, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005, decade l’efficacia degli effetti esterni al procedimento sostenibili sulla base della sola intervenuta adozione del piano.
2. Le censure così sintetizzate sono infondate per le ragioni che seguono.
2.1. La rilevazione dell’intervento edilizio come unitario appare corretta sia per la stretta ed oggettiva coerenza delle opere rispetto all’innovazione dell’edificio, sia per la stessa qualificazione operata dall’interessata, dovendosi tenere conto che già nella d.i.a di data 3 aprile 2009 (documento n. 8 della produzione della parte ricorrente in primo grado relativo alla richiesta di autorizzazione paesaggistica) veniva anche denunciato il “recupero di sottotetto a uso abitativo ex LR 12/05” e che con la d.i.a. presentata il 19 ottobre 2010 (documento n. 9) erano altresì denunciati un intervento ugualmente denominato ai sensi degli articoli 63 e seguenti della detta legge regionale, insieme con un intervento di variante essenziale dei progetti di data 3 aprile 2009, e perciò, in quanto tale, idoneo a modificare le linee essenziali degli stessi; con la domanda di sanatoria poi (documento n. 7 del fascicolo dell’Amministrazione in primo grado) si denunciano opere di “ristrutturazione edilizia” descritte per “recupero abitativo del sottotetto dell’edificio”, risultando perciò pertinente che le opere di cui alla prima d.i.a. siano riferite agli “interventi realizzati di cui si richiede la sanatoria” nel provvedimento di diniego della stessa (punto B del provvedimento; documento n. 9 del fascicolo dell’Amministrazione).
2.2. La definizione della “sagoma” di un edificio accolta dal primo giudice, quale “conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti”, è quella consolidata in giurisprudenza, anche penale (cfr. Cass., III: 9 ottobre 2008, n. 38408; 6 febbraio 2001, n. 9427), e da ultimo ripresa dalla Corte costituzionale (sentenza 23 novembre 2011, n. 309) a proposito della stessa l.r. Lombardia n. 12 del 2005.
A questi fini rileva la qualificazione dell’intervento che, con la d.i.a. del 2010, è stato riferito agli articoli 63, 64 e 65 della legge regionale n. 12 del 2005, individuandosi di conseguenza quale “ristrutturazione edilizia” (art. 64, comma 2, con rinvio all’art. 27, comma 1, lett. d) e perciò vincolata in linea di principio alla non modificazione della sagoma dell’edificio, ai sensi della normativa regionale e statale [(art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)].
Ciò rilevato, esaminati gli elaborati grafici allegati alla d.i.a. del 2010 (cfr. in particolare gli elaborati 5 e 13 sullo stato di fatto e sul progetto, recanti entrambi il “prospetto sezioni”, l’elaborato 10, in cui sono rappresentate le costruzioni e le demolizioni, e l’elaborato 14, con “viste 3D”) risultano variazioni incidenti sulla sagoma del fabbricato con innalzamento della falda, come ritenuto dal primo giudice sulla base della documentazione fotografica allegata al verbale di sopralluogo del 16 novembre 2010, al cui esito è stato emanato l’impugnato provvedimento del Comune, di pari data, di sospensione lavori e diffida a proseguire le opere.
2.3. In questo quadro assume rilievo decisivo l’applicabilità al caso di specie dell’articolo 18.5.2. delle n.t.a del p.r.g. per il quale “Gli interventi edilizi relativi al recupero dei sottotetti ai fini abitativi riguardanti gli immobili esistenti all’anno 1940, accertabili sulle mappe catastali storiche dell’epoca e nell’archivio comunale dei progetti edilizi, non possono comportare alterazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde dei tetti; pertanto, le altezze e le pendenze massime di cui all’art. 2 della L.R. 15 luglio 1996, n. 15, come modificato dall’art. 6 della L.R. 19 novembre 1999, n. 322, devono intendersi quelle esistenti.”.
La questione riveste nella specie particolare delicatezza poiché, come mostrato nella “Relazione storico-architettonica asseverata”, in atti, e allegate schede catastali storiche con “comparazione per immagini”, l’edificio, risalente agli inizi del 1900, è stato oggetto di modifiche di certo non marginali dopo il 1940, consistenti in particolare negli anni sessanta proprio nel sopralzo con la costruzione di tre nuovi livelli, con due nuovi piani abitabili, il quarto e il quinto, e il piano sesto sottotetto non abitabile, con incidenza complessiva di indubbia rilevanza sulla configurazione dell’edificio.
Ciò nonostante si deve osservare che l’edificio non appare radicalmente diverso da quello originario, come sarebbe stato in caso di completa distruzione e ricostruzione con tutt’altra forma architettonica o, anche, con sopralzo caratterizzato da una palese diversità morfologica o di materiali, essendo stato sovrapposti i nuovi piani in continuità estetica e costruttiva con quelli preesistenti ed essendo rimasto l’intero edificio coerente con il contesto edilizio circostante per tipologia e dimensioni.
D’altro lato è dato di comune esperienza che le modifiche intervenute riguardano numerosissimi edifici di data anteriore al 1940, per effetto delle complesse vicende storiche, economiche e sociali seguite nel tempo e delle connesse trasformazioni edilizie, cosicché in questo contesto, come correttamente osservato dal primo giudice, il citato articolo 18.5.2. resterebbe in sostanza inapplicato; è ragionevole assumere, infatti, che pochi edifici siano restati del tutto identici dopo il 1940, essendo volta la norma proprio allo scopo di salvaguardare quelli da allora “esistenti” per conservarne la tipologia di base, se non del tutto cancellata, e la caratterizzazione che ne deriva per le aree storiche della città.
2.4. Né l’articolo citato risulta in contrasto con la legge regionale n. 15 del 1996 sul recupero abitativo dei sottotetti (abrogata poi dalla legge n. 12 del 2005), essendo compatibile con la ratio della detta legislazione, di favore per il recupero abitativo, la particolare disciplina di tutela degli edifici storici qui in esame, poiché recante non il divieto di procedere al recupero ma soltanto la prescrizione di farlo senza alterazioni alle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde; neppure rileva al riguardo l’art. 1, comma 7, della citata legge regionale n. 15 del 1996, poiché relativo alla possibilità di escludere dall’applicazione della normativa “parti del territorio” (limitatamente alle zone C e D), laddove qui si tratta della disciplina di edifici singoli in ragione della loro datazione storica, secondo una ratio, quindi, del tutto diversa e particolare, confermata poi con l’art. 65, comma 1-bis, della legge regionale n. 12 del 2005, con il quale, ribadita la possibilità da parte dei Comuni di escludere dall’applicazione della normativa sul recupero dei sottotetti “parti del territorio”, si specifica che essi possono ulteriormente disporre tale esclusione per “tipologie di edifici” (non essendo irragionevole che la tipologia sia individuata in relazione alla datazione degli stessi).
2.5. La sostituzione della s.c.i.a. alla d.i.a è stata prevista in via generale con l’art. 49, comma 4-ter, del già citato decreto-legge n. 78 del 2010, con entrata in vigore dal 31 luglio 2010, essendosi poi avvertita la necessità di precisare la portata di tale sostituzione riguardo alla normativa in materia edilizia con un ulteriore intervento legislativo, disposto con l’articolo 5, comma 1, lett. b) e comma 2, lett. c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per il quale le disposizioni sulla s.c.i.a. si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. n. 380 del 2001 “con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire”.
Al riguardo si osserva che: ai sensi dell’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, “in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lett. c)”; l’intervento in questione è stato qualificato quale ristrutturazione dalla legislazione regionale (art. 3, comma 2, della legge regionale n. 15 del 1996; art. 64, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005), per cui per la fattispecie in esame la s.c.i.a. non risulta sostitutiva della d.i.a.; tale conclusione deve essere applicata al caso di specie, il cui procedimento si è svolto tra il 19 ottobre 2010 (data di presentazione della d.i.a.) e il 22 giugno 2011 (data di adozione del diniego di sanatoria) e, perciò, nel periodo di oggettiva incertezza sull’ambito di riferibilità della s.c.i.a. alla normativa speciale in materia edilizia, non potendosi ritenere dirimente e obbligatoria, nel frattempo, l’interpretazione data con lo strumento della circolare e risultando confermata la detta incertezza dalla necessità del ricorso al successivo intervento chiarificatore reso con il decreto-legge n. 70 del 2011 nei termini sopra visti.
2.6. Il Collegio condivide, infine, la sentenza impugnata quanto alla dichiarazione di inammissibilità dei motivi aggiunti dedotti avverso la delibera del consiglio comunale di Milano n. 60 in data 21 novembre 2011, recante la revoca della delibera 4 febbraio 2011 n. 7, (di approvazione del Piano di Governo del Territorio, in seguito “p.g.t.”), proposti per essere stato motivato il diniego della sanatoria anche con il contrasto con il p.g.t., con conseguente applicazione di una misura di salvaguardia ritenuta efficace stante la mancata revoca del provvedimento di adozione del piano.
Il primo giudice ha correttamente rilevato il difetto di interesse all’impugnazione, considerato che il provvedimento di cui qui si tratta è sorretto anzitutto dalla motivazione del contrasto dell’intervento con il più volte citato art. 18.5.2. delle n.t.a del p.r.g., che è confermato nel presente grado del giudizio, e che, a fronte di ciò, l’ulteriore motivo del contrasto con le misure di salvaguardia del piano adottato ha valenza autonoma, restando perciò valido ed efficace il provvedimento impugnato anche nell’ipotesi dell’accoglimento delle censure avverso tale motivo.
3. Per le ragioni che precedono l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello in epigrafe n. 8194 del 2012.
Condanna gli appellanti, Com. Univ s.r.l., I.M.G. s.r.l. e signor Lorenzo Berni al pagamento in solido a favore del Comune di Milano, appellato, delle spese del secondo grado del giudizio che liquida nel complesso in euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)