Consiglio di Stato Sez. VI n. 4685 del 9 giugno 2022
Urbanistica. Abusi edilizi in zona vincolata e condono edilizio
È legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il D.L. n. 269/2003 (terzo condono) esclude in generale la sanabilità delle opere abusive realizzate nelle zone vincolate; soltanto quando siano assenti le condizioni ostative indicate dal Legislatore l’amministrazione comunale deve chiedere il parere dell’organo ad esso tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all’interessato un provvedimento favorevole.
Pubblicato il 09/06/2022
N. 04685/2022REG.PROV.COLL.
N. 06297/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6297 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
MARIA CAMPANILE, rappresentata e difesa dall’avvocato Renato Labriola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
COMUNE DI CELLOLE, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 3360 del 2021;
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Dario Simeoli;
Nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
- con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la signora Maria Campanile impugnava: i) il provvedimento del 29 maggio 2020 (prot. n. 13571) con il quale il Comune di Cellole aveva respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 10 dicembre 2004 (prot. n. 16759), ai sensi della legge n. 326 del 2003, per un immobile realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (sito in località Fontana Vecchia, identificato in catasto al foglio n. 161, mappale n. 5061, ricadente in Zona “E” del P.R.G. vigente); ii) la conseguente ordinanza di demolizione adottata dall’Amministrazione comunale in data 3 giugno 2020 avente ad oggetto il medesimo immobile;
- il diniego di condono edilizio, era così motivato in considerazione del fatto che: «[…] il manufatto è stato realizzato su immobili soggetti a vincolo di inedificabilità dettato dal DM del 28 marzo 1985 “Dichiarazione di notevole interesse pubblico in zona sita nei comuni di Cellole e Sessa Aurunca”; - l’art. 32, comma 27, lettera d) della legge 326/03 dispone che “le opere abusive qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei beni ambientali e paesaggistici, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, successivamente alla data dell’imposizione del vincolo stesso non sono suscettibili di sanatoria”; sull’area oggetto di intervento vige il regime di inibitoria imposto dall’art. 1 quinquies della legge 8 agosto 1985, n. 431»;
- a sostegno del gravame la ricorrente deduceva i seguenti vizi:
1) il manufatto sarebbe stato completato in data 22 febbraio 1985 (come risulterebbe dalla descrizione rilevata dalla domanda di condono prot. 2679 del 1 marzo 1995), prima dell’adozione del decreto ministeriale 28 marzo 1985 e del decreto legislativo n. 42 del 2004, con la conseguenza che il richiamo da parte del Comune di Cellole all’esistenza di un vincolo paesaggistico ambientale come motivo ostativo per il rilascio del condono alla ricorrente sarebbe totalmente illegittimo, così come sarebbe erroneo il richiamo all’art. 32, comma 27, lettera d), della legge n. 326 del 2003;
2) l’asserito vincolo paesaggistico ambientale nel luogo dove sorge il manufatto oggetto della richiesta condono sarebbe inesistente; ad oggi non risulterebbe l’eventuale data di pubblicazione di alcun provvedimento di apposizione del vincolo, né tantomeno nel provvedimento di diniego sarebbe indicato alcun provvedimento di apposizione del vincolo; dovrebbe quindi trovare applicazione il principio statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 13 del 22 dicembre 2017, secondo cui, ai sensi del combinato disposto degli articoli 140, 141 e 157, comma 2, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, le proposte di vincolo formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, e per le quali non vi sia stata conclusione del relativo procedimento entro 180 giorni con l’adozione del decreto ministeriale recante la dichiarazione di notevole interesse pubblico, cessano di avere effetto;
3) sull’istanza di condono presentata dalla ricorrente il 1 marzo 1995 prot. 2679, si sarebbe comunque formato il silenzio-assenso, ai sensi dell’art. 39, comma 4, della legge n. 724 del 1994; infatti dopo la presentazione della detta istanza non vi sarebbe stato alcun provvedimento espresso di accoglimento o diniego fino a quello impugnato del 29 maggio 2020; inoltre, dovrebbe trovare applicazione l’art. 17-bis della legge n. 241 del 7 agosto 1990 (inserito dall’art. 3 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che ha introdotto il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici;
4) anche con riferimento all’istanza di condono edilizio ai sensi della legge n. 326 del 2003 si sarebbe formato il silenzio-assenso, avendo l’istante presentato domanda di condono il 10 dicembre 2004 con tutta la documentazione richiesta e i versamenti per oneri di oblazione e oneri concessori secondo quando riportato dalla normativa di riferimento; soltanto in data 8 agosto 2007, il Comune di Cellole aveva chiesto integrazioni alla pratica sopra menzionata, dopo ben 31 mesi dalla presentazione della domanda;
5) sia il decreto sindacale n. 173 dell’8 agosto 2006 (con il quale il sindaco di Cellole aveva deciso di non concedere la prescritta autorizzazione), sia il parere n. 338 del 3 agosto 2006, espresso dalla commissione presso il Comune di Cellole per l’istruttoria delle pratiche di condono edilizio, non sarebbero mai stati comunicati o notificati all’istante, in violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e dell’articolo 150 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
6) il provvedimento di diniego di condono sarebbe illegittimo per la mancata acquisizione del parere preventivo, obbligatorio e vincolante, della Soprintendenza, ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004;
7) il diniego di sanatoria sarebbe stato adottato a valle di un’istruttoria lacunosa e deficitaria, nel corso della quale non sarebbero presi in considerazione gli apporti endoprocedimentali offerti dall’istante in data 9 gennaio 2008;
8) l’ordinanza di demolizione è stata notificata in data 10 giugno 2020, ben prima del diniego di sanatoria (notificato in data 29 giugno 2020);
9) il provvedimento di diniego di condono non sarebbe adeguatamente motivato, in quanto lo stesso non farebbe alcun riferimento a provvedimento da cui si evinca in maniera espressa che l’immobile oggetto della richiesta di condono ricadrebbe in un’area sottoposta al vincolo di inedificabilità dettato dal decreto ministeriale 28 marzo 1985, limitandosi ad una enunciazione apodittica;
- il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 3360 del 2021, respingeva il ricorso;
- avverso la predetta sentenza ha proposto appello la signora Maria Campanile, riproponendo nella sostanza i motivi già proposti in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza appellata;
- non si è costituito in giudizio il Comune di Cellole;
- con ordinanza n. 4326 del 2 agosto 2021, la Sezione ‒ ritenuto sussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare proposta sotto il profilo del periculum in mora ‒ sospendeva l’esecutività della sentenza impugnata;
Considerato in diritto che:
- la sentenza di primo grado deve essere confermata;
- preliminarmente, va rimarcato che il combinato disposto dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2019, n.7341; Sez. VI , 17 settembre 2019, n. 6182; Sez. IV, 29 marzo 2017, n. 1434; sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487; Sez. IV, sentenza 17 settembre 2013, n. 4587), comporta che un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non può essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente le seguenti condizioni: a) l’imposizione del vincolo di inedificabilità prima della esecuzione delle opere; b) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; c) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è cioè consentita la sanatoria dei soli abusi formali);
- sempre con riguardo agli abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, va precisato che il condono previsto dall’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti (in tal senso anche la giurisprudenza penale: cfr., ex plurimis, Cassazione penale sez. III, 20 maggio 2016, n.40676; peraltro, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 150 del 2009, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui prevede la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985);
- su queste basi, sono evidenti e non superabili le ragioni ostative alla concessione della sanatoria;
- in primo luogo, il fondo su cui l’abuso insiste è sottoposto a vincolo paesaggistico;
- a questo riguardo, è dirimente osservare che: i) il decreto ministeriale del 28 marzo 1985 sottopone l’area in questione a vincolo di inedificabilità assoluta (imponendo il divieto «di modificazioni dell’assetto del territorio, nonché opere edilizie e lavori, fatta eccezione per i lavori di restauro, risanamento conservativo, nonché per quelli che non modificano l’aspetto esteriore dei luoghi»); ii) non vi è alcuna prova (o principio di prova) dell’asserita ultimazione dell’abuso in data 22 febbraio 1985 (non è sufficiente, a tal fine, la dichiarazione di parte allegata alla domanda di condono presentata in data 10 dicembre 2004, nella quale il tecnico di parte dichiara che «nell’anno 1984 fu iniziata e realizzata per buona parte l’opera»); iii) in ogni caso, la zona era già stata dichiarata di notevole interesse pubblico, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, con decreto ministeriale del 18 dicembre 1961 (recante l’imposizione di un vincolo di inedificabilità relativo, divenuto poi assoluto per effetto dell’adozione del successivo decreto del 1985); iv) a fronte delle specifiche indicazioni contenute nella documentazioni in atti, l’appellante non ha offerto prove concrete ed idonee a per dimostrare che l’area in cui ricade il manufatto si collochi all’esterno del perimetro dichiarato con il citato decreto ministeriale; v) il richiamo alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 13 del 2017 è del tutto inconferente, in quanto, come rimarcato dal giudice di prime cure, la statuizione ivi contenuta si riferisce al regime transitorio di efficacia delle mere ‘proposte’ di vincolo formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004;
- in secondo luogo, l’abuso consiste in un fabbricato composto da un unico corpo di fabbrica destinato a civile abitazione sviluppato al solo pian terreno, composto da un piccolo cucinino, due camere da letto, soggiorno e un piccolo porticato (il lotto è recintato con rete metallica e cancello in legno): su tratta, quindi, di una nuova costruzione non rientrante tra le tipologie di abusi ‘minori’ condonabili in zona vincolata;
- è infondato il motivo che invoca la formazione del silenzio-assenso, sia sulla domanda di condono edilizio presentata in data 1° marzo 1995, sia su quella presentata in data 10 dicembre 2004 (oggetto del presente giudizio): secondo la giurisprudenza consolidata, deve escludersi il meccanismo di formazione tacita del permesso in sanatoria con riguardo alle opere realizzate in area vincolata paesaggisticamente, occorrendo il previo rilascio del parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2021, n. 4880; sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2369);
- neppure può invocarsi l’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990, sia perché disposizione non applicabile ratione temporis, sia perché non risulta che la Soprintendenza – unica competente a valutare la compatibilità delle opere oggetto delle domande di sanatoria con il vincolo, ragion per cui il procedimento va qualificato come ‘mono-strutturato’ e quindi già per ipotesi estraneo all’ambito applicativo dell’istituto del silenzio assenso - sia mai stata interpellata (non a caso, la mancanza di tale parere è stata fatta oggetto di uno specifico motivo di censura);
- il diniego di condono è adeguatamente motivato mediante la descrizione del manufatto e l’enunciazione delle ragioni giuridiche ostative al rilascio del titolo in sanatoria;
- l’onere di cui all’art. 10-bis, della legge n. 241 del 1990, nella versione applicabile ratione temporis, non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata; al contrario, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7054);
- in quanto atto rigidamente vincolato, non potrebbero di per sé condurre alla sua annullabilità le asserite violazioni del contraddittorio procedimentale ‒ peraltro riferite ad atti endoprocedimentali e comunque assorbiti dal provvedimento gravato ‒ in quanto il dispositivo adottato non avrebbe potuto essere diverso (ai sensi dell’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990);
- va poi rimarcato che è legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il decreto-legge n. 269 del 2003 esclude in via generale la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono nelle zone vincolate (Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827); soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel sopra riportato art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto necessariamente chiedere il parere dell’organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all’interessato un provvedimento favorevole (Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2678); mentre risulta estranea al giudizio ogni questione relativa all’eventuale mancata acquisizione del parere della Soprintendenza con riferimento all’istanza di condono del 1994 essendo oggetto del giudizio solo il diniego del c.d. ‘terzo condono’;
- da ultimo, non sussiste alcuna inversione procedimentale: come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, la sanzione ripristinatoria conteneva la contestuale comunicazione del diniego di condono (di cui venivano puntualmente indicati anche gli estremi identificativi);
- l’appello va dunque integralmente respinto;
- non occorre procedere alla liquidazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio, in quanto l’Amministrazione non si è costituita;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6297 del 2021, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere