Consiglio di Stato Sez. VI n. 5064 del 20 giugno 2022
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e titoli abilitativi
Per valutare un’ipotesi di lottizzazione appare necessaria una visione d’insieme dei lavori realizzati, ossia una verifica dell’attività edilizia nel suo complesso: sussiste pertanto lottizzazione abusiva anche laddove per singole opere edilizie sia stato rilasciato un titolo abilitativo e tuttavia, valutata nella sua interezza, l’attività edificatoria abbia determinato una variazione della destinazione d’uso dei manufatti già realizzati, in contrasto con la strumentazione urbanistica vigente; ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di essa, sia stato rilasciato il permesso di costruire
Pubblicato il 20/06/2022
N. 05064/2022REG.PROV.COLL.
N. 07875/2015 REG.RIC.
N. 03001/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7875 del 2015, proposto da
Sicia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Xavier Santiapichi, con domicilio eletto presso lo studio Santiapichi Studio Legale in Roma, via Antonio Bertoloni, n. 44/46;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Magnanelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 3001 del 2018, proposto da
Sicia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Bruno e Francesco Salvi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Bruno in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Magnanelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
quanto al ricorso n. 3001 del 2018:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 9881/2017;
quanto al ricorso n. 7875 del 2015:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 4221/2015.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Cons. Giordano Lamberti;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Con ricorso al TAR per il Lazio, iscritto al N. RG. 12074/2000, la società appellante ha chiesto l’annullamento della determinazione dirigenziale di sospensione dall’attività lottizzatoria n. 735, emessa in data 19 maggio 2000 dal Comune di Roma, relativa al latifondo a vocazione agricola sito in via Cassia n. 1081.
2 - Nelle more, il Comune ha adottato la determina n. 760 del 14 giugno 2001, con la quale, preso atto della lottizzazione abusivamente realizzata (con indicazione analitica di tutti i rogiti di alienazione dei frazionati lotti), il Comune ha disposto la sospensione dell’attività lottizzatoria, l’immediata interruzione delle opere eventualmente in corso e ha ingiunto il divieto di disporre dei suoli e delle opere suddette, con l’avvertimento che, trascorsi novanta giorni dalla notifica della stessa determinazione, il terreno sarebbe stato acquisito gratuitamente di diritto al patrimonio disponibile del Comune, disponendo al contempo l’immediata trascrizione del provvedimento nei registri immobiliari.
Avverso tale determinazione Sicia ha proposto separato ricorso al TAR per il Lazio, iscritto al N. RG. 9993/2001.
Con motivi aggiunti ha poi domandato l’annullamento della nota di trascrizione di esecuzione del provvedimento n. 760 del 2001.
3 – Il TAR adito, con la sentenza n. 4221/2015, ha rigettato il primo ricorso e, con la sentenza n. 9881/2017, ha respinto altresì il secondo ricorso.
4 - Avverso tali sentenze Sicia ha proposto separati ricorsi in appello (rispettivamente n. 7875/2015 e n. 3001/2018).
5 – Preliminarmente, i due giudizi devono essere riuniti, trattandosi di ricorsi connessi. La vicenda alla base dei due giudizi è infatti la medesima e coinvolge le medesime parti.
6 – Quanto al ricorso in appello n. 7875/2015, si è costituito in giudizio il Comune di Roma, eccependo in via preliminare l’improcedibilità della domanda, in quanto l’atto con essa impugnato sarebbe stato assorbito dalla determina n. 760 del 14 giugno 2001, atto definitivo del procedimento e unicamente lesivo della posizione dell’appellante.
6.1 – Con l’ordinanza n. 4782/2015, questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta in tale giudizio anche in ragione “dell’avvenuta emissione, dopo l’impugnata delibera n. 735 del 19 maggio 2000, del successivo provvedimento n. 760 del 14 giugno 2001, quale atto finale concretamente lesivo, non sospeso e sul quale è pendente giudizio in primo grado”.
7 - L’eccezione di improcedibilità del ricorso avverso la determina n. 735 del 2000 deve trovare accoglimento.
All’atto impugnato nel primo giudizio proposto dalla società appellante (determina n. 735 del 19.5.2000) ha fatto seguito la determina n. 760 del 14 giugno 2001, con la quale, preso atto della lottizzazione abusivamente realizzata, il Comune ha disposto, ai sensi dell’art. 18, comma 1 e 20, lett. c) della legge n. 47/1985, la sospensione dell’attività lottizzatoria, l’immediata interruzione delle opere descritte e di quelle eventualmente in corso e ha ingiunto il divieto di disporre dei suoli e delle opere suddette, con l’avvertimento che, trascorsi novanta giorni dalla notifica della stessa determinazione, il terreno sarebbe stato acquisito gratuitamente di diritto al patrimonio disponibile del Comune, disponendo al contempo l’immediata trascrizione del provvedimento nei registri immobiliari.
Tale atto è stato regolarmente notificato alla società appellante in data 3 luglio 2001 ed è oggetto del secondo giudizio in appello.
7.1 - Come già rilevato in sede cautelare, quest’ultimo atto supera ed assorbe l’atto impugnato con il primo ricorso. È invero il provvedimento n. 760 del 14 giugno 2001 che costituisce la determinazione finale del Comune e che produce l’attuale lesione della sfera giuridica della società appellante, da cui la carenza di interesse ad impugnare la prima nota la cui efficacia è stata superata dal successivo provvedimento n. 760/2001.
Tale conclusione non risulta inficiata dai rilievi dell’appellante, tenuto conto della possibilità di rilevazione d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo, della carenza dell’interesse a ricorrere, che costituisce una condizione dell’azione che deve persistere per tutto il giudizio dal momento introduttivo a quello della sua decisione (Consiglio di Stato, sez. VI, 23/06/2021, n. 4816).
7.5 – Sotto altro profilo, la determina del 2001 non può essere ricondotta alla categoria degli atti meramente confermativi, priva di effetto sostitutivo rispetto alla determina del 2000; né può qualificarsi come atto di conferma propria, che avrebbe rinnovato la lesione all’esito del riesame dell’affare giustificando la riapertura dei termini di decadenza per l’impugnazione.
Più correttamente, la vicenda deve infatti essere ricostruita come segue: ricevuta la comunicazione dal Corpo della Polizia Municipale della constatata violazione allegata alla determina n. 735 del 2000, il Comune di Rome ha immediatamente disposto, in via cautelare, la sospensione dell’attività lottizzatoria nell’esercizio del più generico potere di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia di cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985 a cui è poi seguito l’atto adottato nel 2001 ai sensi dell’art. 18, commi 7 e 8 della legge n. 47 del 1985.
Su tali basi, la determina del 2000 può essere considerata il primo atto – di natura cautelare - che ha dato avvio al procedimento che ha condotto l’ente comunale ad adottare il provvedimento conclusivo e lesivo del 2001, che ha definitivamente disposto l’ingiunzione a non disporre delle opere e ha avvertito che, al decorrere di novanta giorni, i terreni sarebbero stati acquisiti gratuitamente al patrimonio disponibile, con ordine di trascrizione della suddetta determina.
In questa ottica, il primo atto impugnato, da un lato, ha esaurito i propri effetti meramente cautelari; dall’altro, è stato poi superato dal provvedimento successivamente emesso nel 2001.
7.8 - A tale conclusione non osta il richiamo, contenuto nella determina impugnata, al solo comma 1 dell’art. 18 e alla lett. c) dell’art. 20 della legge n. 47/1985, che individuano la nozione di lottizzazione abusiva e le sanzioni penali ad essa conseguenti, essendo queste il presupposto del potere amministrativo esercitato e spettando al giudice la corretta qualificazione giuridica del provvedimento amministrativo impugnato. Come ha chiarito la giurisprudenza, infatti, “spetta al giudice amministrativo qualificare gli atti amministrativi oggetto di giudizio; si tratta di un potere ufficioso, il cui esercizio non è vincolato né dall’intitolazione dell’atto, né tanto meno dalle deduzioni delle parti in causa; l’esatta qualificazione di un provvedimento va infatti effettuata tenendo conto del suo effettivo contenuto e della sua causa reale, anche a prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall’amministrazione, con la conseguenza che l’apparenza derivante da una terminologia eventualmente imprecisa o impropria, utilizzata nella formulazione testuale dell’atto stesso, non è vincolante né può prevalere sulla sostanza e neppure determina di per sé un vizio di legittimità dell’atto, purché ovviamente sussistano i presupposti formali e sostanziali corrispondenti al potere effettivamente esercitato” (Consiglio di Stato, sez. V, 2/11/2021, n. 7320).
7.9 – Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso la determina n. 735, emessa in data 19 maggio 2000, dovendosi ritenere che l’effetto attualmente lesivo della sfera giuridica dell’appellante sia la sola determina n. 760 del 2001.
8 - Passando all’esame dell’impugnazione avverso quest’ultimo provvedimento, in coerenza con quanto già esposto, deve essere rigettata la censura con cui l’appellante contesta l’illegittimità del provvedimento impugnato per mancata comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990.
In particolare, si contesta la ricostruzione accolta dal Giudice di primo grado secondo cui la determina n. 735 del 2000 varrebbe ad integrare comunicazione di avvio del procedimento che ha condotto all’adozione della determina n. 760/2001, oggetto del presente gravame.
Parte appellante sostiene altresì la non applicabilità dell’art. 21 octies, comma secondo, L. 241/1990, alla lottizzazione abusiva, deducendo che l’assenza della comunicazione di avvio non avrebbe potuto condurre in ogni caso all’acquisizione dei terreni al patrimonio comunale sull’assunto che il contenuto non avrebbe potuto essere diverso.
8.1 – La corretta ricostruzione della vicenda conferma che il vizio lamentato sia insussistente, dal momento che, a prescindere dalla qualificazione o meno della determina n. 735/2000 come comunicazione di avvio del procedimento, essa ha senz’altro consentito all’appellante di venire a conoscenza della pendenza del procedimento che ha condotto all’adozione dell’ordine ex artt. 18, commi 7 e 8, legge n. 47/1985 e 30, commi 7 e 8, D.P.R. 380/2001.
Una tale conoscenza permette dunque di considerare raggiunto lo scopo cui tende di consueto la formale comunicazione di avvio del procedimento, quello cioè di consentire la partecipazione dell’interessato, con conseguente realizzazione delle esigenze sottese alle norme in tema di partecipazione procedimentale (in senso conforme vedasi Cons. St. 26/2016; cfr. anche Cons. St. 5805/2018 che qualifica il provvedimento di sospensione come avente natura cautelare e per il quale, dunque, tale obbligo non sussiste, dal momento che “l’art. 7 della legge sul procedimento amministrativo oltre a prescrivere tale obbligo, ne giustifica l'omissione in presenza di ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità”).
9 – Nel merito, con il primo motivo, l’appellante deduce l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, la violazione dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985 e il difetto e l’omessa motivazione della sentenza impugnata.
In particolare, si contesta l’insussistenza della lottizzazione abusiva e l’illegittimità della sentenza impugnata, che, nel rinviare alla sentenza del TAR per il Lazio n. 4221/2015 per la ricostruzione dei fatti, non avrebbe tenuto conto delle contestazioni del ricorrente e non consentirebbe di individuare quali siano gli indici rivelatori dell’intento lottizzatorio.
Parte appellante afferma di aver conservato sino ad oggi l’intero terreno, mai frazionato e venduto, in quanto si sarebbe solo limitato a ristrutturare cinque unità immobiliari poi vendute. Alcuni degli interventi contestati sarebbero antecedenti all’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985 e, più in generale, le opere ivi realizzate sarebbero state volte unicamente alla migliore utilizzazione agricola del fondo.
Nello specifico, dei circa 51.470 mq del terreno interessato dai provvedimenti impugnati, solo 1.470 mq circa sarebbero stati effettivamente ceduti a terzi, laddove nei restanti 50.000 mq circa rimasti di sua proprietà sarebbe stata esercitata un’attività prevalentemente agricola. I frazionamenti contestati avrebbero avuto il solo scopo di assegnare le corti pertinenziali ai fabbricati oggetto di richiesta di sanatoria.
In particolare, difetterebbero gli indici non equivoci della destinazione a scopo edificatorio delle aree e anche il Piano della Riserva Naturale dell’Insugherata, adottato con Deliberazione del Consiglio Regionale della Regione Lazio del 12.7.2006 n. 27, dimostrerebbe che l’appellante ha rispettato la destinazione urbanistica dell’area nel frattempo modificata dalla Regione, divenuta area destinata ad interventi di recupero e di valorizzazione compatibili con i locali ecosistemi in accordo con i privati utilizzatori, come provato anche dal certificato di destinazione d’uso rilasciato da Roma Natura all’appellante.
Sotto altro profilo, l’appellante deduce che, una volta acquisito il terreno, l’alternativa tra l’intervento demolitorio e la destinazione delle aree a interesse pubblico non è consentita per reprimere la lottizzazione ex art. 30 del D.P.R. 380/2001, ma solo per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire ex art. 31 del citato decreto, tale per cui l’ente comunale celererebbe dietro la sua condotta un intento sostanzialmente espropriativo volto ad utilizzare l’area per fini pubblici.
10 - La censura non può trovare accoglimento.
In base all’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, che riproduce integralmente le disposizioni già contenute nell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, si ha “lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
Da tale norma derivano due fattispecie di lottizzazione, rappresentate:
- da una lottizzazione “materiale”, consistente nella realizzazione, anche nella sola fase iniziale, di opere che comportino un’abusiva trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione degli strumenti urbanistici;
- da una lottizzazione “negoziale”, ovvero “cartolare”, allorquando la trasformazione avvenga tramite atti negoziali che determinino un frazionamento del terreno in lotti tali da denunciare in modo inequivoco la destinazione a scopo edificatorio.
La giurisprudenza ha poi delineato anche una ulteriore ipotesi: la cd. lottizzazione mista, caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dalla predetta norma (Corte Cass., n. 6080 del 26/10/2007: “integra il reato di lottizzazione abusiva anche la cosiddetta lottizzazione “mista”, consistente nell’attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso”; cfr. anche Corte Cass., 20 maggio 2015, n. 24985).
10.1 – Nel merito, precisato che il dedotto difetto di motivazione della sentenza impugnata “è reso inammissibile dell’effetto devolutivo dell’appello. In secondo grado, infatti, il giudice è chiamato a valutare le domande, integrando - ove necessario - le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima o omissioni di pronuncia” (Cons. Stato, sez. II, 11 giugno 2020, n. 3722), la considerazione globale dei fatti che hanno caratterizzato l’area in questione e di seguito illustrati costituiscono elementi gravi precisi e concordanti dell’integrazione dell’illecito e della finalità abusiva perseguita dagli autori.
Dagli atti acquisiti al giudizio - in particolare, dalla comunicazione del Corpo della Polizia Municipale allegata alla determina n. 735/2000 e dalla determina n. 760/2001 - emerge che:
a) nel 1982 la società SICIA acquistava in Roma, via Cassia n. 1081, un fondo di circa 5 ettari in area destinata ad attività agricole dal Piano Regolatore (zona H2) con vincolo di inedificabilità assoluta in assenza del “lotto minimo” (pari a mq. 50,000) e vincolo ex lege n. 1497/39 in virtù del contesto di alto pregio ambientale;
b) nel 1983 veniva rilasciata alla Società una concessione edilizia per la realizzazione di due capannoni agricoli;
c) nel 1984 uno degli edifici era venduto alla Società SCEGAS e fra il 1987 e il 1996 le due società presentavano, ciascuna, numerose domande di concessione in sanatoria di immobili per uso diverso da quello agricolo, in relazione ad attività commerciali e di ufficio svolte sul fondo;
d) nel 1996 le due società, questa volta congiuntamente, presentavano due domande di variazioni catastali comportanti il frazionamento catastale del lotto;
e) ancora nel 1996, la Società SICIA cedeva a titolo di permuta alla SCEGAS la piena proprietà della porzione di terreno agricolo di mq. 1085 in base al tipo di frazionamento n. 5713/96 e i diritti di comproprietà in ragione di 2/10 sulla porzione di terreno agricolo di circa mq. 457 distinto al N.C.T. di Roma in base allo stesso tipo di frazionamento;
f) con rogito notarile del 6.6.1996 SICIA vendeva a SCEGAS più unità immobiliari;
g) con compravendite stipulate il 22.11.1996, il 27.12.1996 e il 15.04.1999, SICIA cedeva parte dei lotti a nuovi acquirenti (Sebastianutti Fabio, Ferri Sonia, Mancini Sergio, Mancini Massimo e Mancini Monica);
h) con rogito notarile del 30.11.2004, la SICIA vendeva alla SCEGAS un edificio a destinazione ufficio con corte comune pro quota e servitù perpetua di parcheggio;
i) i restanti fabbricati, ad uso proprio e dati in locazione, sono stati adibiti ad uso commerciale e uffici privati. Il restante terreno costituisce zona verde ad uso condominiale.
Alla luce di tali circostanze deve concludersi che l’area a destinazione agricola è stata in parte trasformata in area residenziale e commerciale, con frammentazione di preesistenti fabbricati rurali, in parte venduti come singole unità abitativa e in parte dati in locazione per uso commerciale, costituendo anche apposite servitù di passaggio per ogni singola unità e aree condominiali destinate a parcheggio.
L’attività edilizia realizzata dalla società appellante ha dunque avuto ad oggetto non già l’adattamento del terreno ad una funzione di tipo agro-pastorale, bensì la realizzazione di attività commerciali e di uffici. È stata infatti riscontrata la presenza di attività diverse da quelle agricolo o zootecniche connesse con la destinazione urbanistica della zona agricola.
I rilievi dell’appellante non risultano idonei ad inficiare la coerenza logica del provvedimento, posto che: da un lato, si soffermano su singoli aspetti, trascurando la globalità del set probatorio posto a fondamento del provvedimento; dall’altro, si rivelano in parte scorretti ed in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza dominate.
La giurisprudenza ha chiarito che: “per valutare un’ipotesi di lottizzazione appare necessaria una visione d’insieme dei lavori realizzati, ossia una verifica dell’attività edilizia nel suo complesso: sussiste pertanto lottizzazione abusiva anche laddove per singole opere edilizie sia stato rilasciato un titolo abilitativo e tuttavia, valutata nella sua interezza, l’attività edificatoria abbia determinato una variazione della destinazione d’uso dei manufatti già realizzati, in contrasto con la strumentazione urbanistica vigente; ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di essa, sia stato rilasciato il permesso di costruire” (Cons. St., 19 giugno 2014, n. 3115).
In altri termini, è irrilevante la circostanza che gli interventi edilizi degli appellanti siano stati assentiti dal Comune, dovendo considerarsi non già le singole porzioni di suolo in modo isolato e atomistico, ma lo stravolgimento della destinazione di zona nel suo complesso (cfr. Cons. St., n. 26 del 18 gennaio 2016).
10.1 - A tali conclusioni non osta il certificato di destinazione d’uso rilasciato da Roma Natura, in quanto esso attesta solamente in che tipo di Zona rientrino le singole particelle interessate dalla presente controversia in base al Piano della Riserva Naturale dell’Insugherata, adottato con Deliberazione del Consiglio Regionale della Regione Lazio del 12.7.2006 n. 27, aventi tutte una destinazione agraria, non già l’effettivo uso che di esse stanno facendo i detentori delle suddette aree.
Parimenti, il Piano di attuazione invocato da parte appellante, sostenendo che in esso si affermerebbe l’inesistenza di attività produttive extra agricole nel comprensorio della Riserva Naturale dell’Insugherata, in verità contiene il riconoscimento della presenza nel perimetro dell’area anche di minime attività extra agricole (cfr. pp. 64 e 65 del Piano, secondo cui: “le zone urbanizzate si collocano nelle aree periferiche del comprensorio, ed esiste una netta cesura tra edificato ed agricolo. Pertanto, non esistono attività produttive extra agricole entro i confini del comprensorio, tranne nella frazione a nord del GRA. La carta delle attività produttive riporta una microarea di interesse extragricolo, posta allo sbocco della Valle della Rimessola; si tratta in realtà di capannoni abbandonati da tempo ed in pessimo stato di manutenzione. Nel corpo a nord del GRA insistono delle aree adibite a deposito dei materiali, poste in un centro agricolo in disuso; non possono, pertanto, venire definite aree propriamente produttive. Sono presenti dei centri commerciali, a ridosso del perimetro esterno dell’area protetta, nelle immediate vicinanze di Via Trionfale).
10.2 – L’evoluzione della regolamentazione che caratterizza l’area, in assenza di una esplicita determinazione del Comune avente ad oggetto anche il provvedimento impugnato nel presente giudizio, non può implicarne l’illegittimità, dovendosi ribadire che “l'ordinanza di sospensione ex art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001 è atto idoneo, senza che ricorra la necessità di alcun altro provvedimento, a determinare il passaggio della proprietà delle aree in titolarità del patrimonio comunale, in quanto costituisce provvedimento non solo di natura cautelare, ma anche il presupposto formale e sostanziale dell'acquisizione delle aree al patrimonio comunale”” (Consiglio di Stato, sez. VI, 14/04/2020, n. 2415).
Resta per altro fermo il potere delle amministrazioni competenti, al ricorrere dei relativi presupposti, di addivenire ad una diversa disciplina dell’area.
11 - Con il terzo motivo di appello è stata impugnata la sentenza n. 9881/2017 del TAR per il Lazio nella parte in cui questa ha respinto i motivi aggiunti proposti nel giudizio di primo grado avverso la nota di trascrizione del provvedimento di acquisizione dei beni.
Secondo parte appellante anche i suddetti motivi aggiunti riguarderebbero in realtà l’illegittimità della determina n. 760 del 2001, in quanto gli errori contenuti nella nota di trascrizione evidenzierebbero la carenza di istruttoria in cui il Comune sarebbe incorso nell’adottare la stessa determina e l’indeterminatezza del suo oggetto.
14.1 – La censura è infondata.
Il TAR ha correttamente rilevato che eventuali motivi d’invalidità della nota, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2665 cod. civ., sono di competenza del giudice ordinario e parte appellante non ha neppure contestato tale assunto.
Per altro verso, le supposte carenze della nota impugnata con motivi aggiunti non valgano ad inficiare la legittimità dell’originario provvedimento impugnato con il ricorso, che, come detto, reca un’adeguata motivazione.
Al riguardo, deve osservarsi che dalla determina in questione emerge chiaramente e correttamente l’oggetto del provvedimento, contenendo la stessa un’analitica descrizione delle vicende negoziali e degli interventi edilizi realizzati sul terreno; i destinatari della stessa determina sono inoltre chiaramente indicati al suo interno.
Sotto altro profilo, deve ricordarsi che la lottizzazione abusiva costituisce “illecito urbanistico-edilizio soggettivamente trasferibile propter rem e sanzionabile in capo a tutti coloro che siano divenuti titolari dei terreni abusivamente lottizzati e, vieppiù, che abbiano goduto di costruzioni eseguite sine titulo su tali terreni, così concorrendo attivamente alla prosecuzione della fattispecie” (Consiglio di Stato, 17 maggio 2019, n. 3196).
16 – Per tutte le ragioni esposte l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), previa la loro riunione, dichiara l’improcedibilità del ricorso in appello n. 7875/2015 quale effetto dell’improcedibilità del relativo ricorso in primo grado, riformando in tal senso la sentenza impugnata, e rigetta il ricorso in appello n. 3001/2018.
Condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune, che si liquidano in €5.000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Francesco De Luca, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere