Consiglio di Stato Sez. III n. 9132 del 13 novembre 2024
Caccia e animali.Condizioni per l'abbattimento
Ogni valutazione in merito alle azioni da intraprendere nei confronti di un esemplare che abbia manifestato comportamenti anomali deve partire dall’esatta qualificazione del comportamento dell’animale. Il sacrificio della vita dell’animale è pertanto ammesso soltanto in presenza di circostanze ben definite e a condizione che non esista un’altra soluzione percorribile, in aderenza, quindi, al principio di proporzionalità che è posto, in astratto, a presidio dell’azione legislativa e, in concreto, a presidio di quella amministrativa. L'intera materia qui in trattazione governata dal principio di proporzionalità, per cui la protezione della vita degli animali gode di una tutela rafforzata a cui si può derogare solo in presenza di condizioni che sono da interpretarsi in maniera rigorosa e restrittiva, secondo una logica graduata che risponda per l'appunto al canone di proporzionalità. Le diverse misure che l'Autorità può assumere - per come richiamate dalle fonti normative e secondo l'interpretazione fatta propria dalla Corte di Giustizia - devono ritenersi enunciate in via gradata, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata a mente del novellato art. 9 Cost., con la conseguenza che è possibile ricorrere alla misura più grave solo ove sia provata l'impossibilità di adottare la misura meno cruenta e, quindi, "a condizione che esista un'altra soluzione valida"
Pubblicato il 13/11/2024
N. 09132/2024REG.PROV.COLL.
N. 01386/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1386 del 2024, proposto da
LNDC Animal Protection, LAV Lega Anti Vivisezione, WWF Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature E.T.S., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Michele Pezone, Paolo Emilio Letrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Provincia Autonoma di Trento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marialuisa Cattoni, Sabrina Azzolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marialuisa Cattoni in Trento, piazza Dante, 15;
nei confronti
Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Museo delle Scienze di Trento, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 164/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento e del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. LNDC Animal Protection, LAV Lega Anti Vivisezione e Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature E.T.S. hanno impugnato, dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, il decreto n. 74 del 7.09.2023, con il quale il Presidente della Provincia autonoma di Trento ha autorizzato “quale misura di sottrazione permanente dall'ambiente naturale, il prelievo dell’esemplare di Orso bruno (Ursus arctos) F36 tramite l'uccisione”, nonché il sotteso parere dell’ ISPRA prot. n. 634785 del 22 agosto 2023 ed il rapporto ivi richiamato e denominato “Orsi problematici in provincia di Trento conflitti con le attività umane, rischi per la sicurezza pubblica e criticità gestionali. Analisi della situazione attuale e previsioni per il futuro” nella parte in cui conclude che “(omissis) per i motivi sopra citati, si ritiene che l’abbattimento, soluzione esplicitamente prevista dal PACOBACE e già adottata in passato per la gestione di individui particolarmente problematici, potrebbe rendersi un’opzione necessaria, qualora le altre azioni di prevenzione e dissuasione previste da PACOBACE risultassero inefficaci”.
2. L’ordine di uccisione dell’orsa F36 è stato emanato a fronte di due comportamenti aggressivi posti in essere dall’animale nei confronti dell’uomo, ritenuti dall’Autorità provinciale espressivi di una spiccata pericolosità e non fronteggiabili mediante misure meno invasive (monitoraggio con radiocollarizzazione), conformemente a quanto ritenuto dall’ISPRA con il citato parere preventivo.
In ragione di tali episodi, il Presidente della Provincia Autonoma di Trento, riscontrata l’impossibilità di provvedere ad una misura di rimozione alternativa non letale, anche a causa dell’indisponibilità sul territorio provinciale di strutture adeguate alla captivazione, ha decretato l’uccisione immediata dell’esemplare.
3. Le associazioni ricorrenti hanno impugnato il provvedimento provinciale ed il sottostante parere dell’ISPRA deducendo profili di violazione di legge (artt. 12 e 16 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, art. 11 del Regolamento attuativo D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, art. 19 della Legge 11 febbraio 1992, n. 157 e art. 9, comma 2 e 117, comma 2 lettera s) della Costituzione) e di eccesso di potere per carenza, illogicità, contraddittorietà della motivazione e sviamento, ai sensi del combinato disposto dell’art. 97 Costituzione e dell’art. 21 octies della Legge n. 241/1990.
In aggiunta, le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale di giustizia amministrativa di Trento di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 1 bis e 1 ter della legge provinciale della Provincia Autonoma di Trento n. 9/2018.
4. Con Decreto n. 80 del 11.09.2023, il Presidente del Tribunale regionale di giustizia amministrativa ha sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento principale, disponendo la cattura dell’orsa F36 senza procedere al suo abbattimento, ma provvedendo a rinchiudere l’animale nella struttura del “Casteller”, ovvero in altro luogo idoneo alla sua custodia, da individuare a cura dell’Amministrazione provinciale.
5. Nelle more del giudizio, in data 27 settembre 2027, l’orsa F36 è stata rinvenuta morta ed il T.r.g.a., condividendo l’eccezione sollevata dall’Amministrazione provinciale, ha dichiarato il ricorso improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, risultando l’animale deceduto per cause diverse dal disposto abbattimento.
6. Le associazioni ricorrenti hanno impugnato la decisione lamentandone, innanzitutto, l’erroneità in rito, deducendo di aver ancora interesse ad una pronuncia nel merito, in ragione della illegittimità delle valutazioni tecniche sottese al provvedimento di abbattimento, suscettibili di futura applicazione; inoltre, le ricorrenti hanno precisato di aver espressamente dichiarato la sussistenza di un interesse risarcitorio per i danni derivanti dalla potenziale riconducibilità della morte dell’animale alla sfera di responsabilità dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 34 comma 3 del c.p.a..
Le appellanti hanno conseguentemente riproposto i motivi di ricorso formulati in primo grado, come sopra richiamati, sollevando, in via pregiudiziale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 1 bis e 1 ter della citata Legge provinciale n. 9/2018, per le seguenti ragioni:
- quanto ai commi 1 ed 1 bis, per illegittimità costituzionale sopravvenuta, a seguito dell’entrata in vigore della Legge costituzionale n. 1 del 12 febbraio 2022 di modifica all’art. 9 della Costituzione, attribuendo le norme censurate al Presidente della Provincia autonoma di Trento il potere di derogare al divieto di prelievo di esemplari protetti (peraltro in alcuni casi prescindendo dal parere dell’ISPRA), in violazione della riserva di legge assoluta dello Stato in materia di tutela degli animali;
- quanto al comma 1 ter, per violazione del principio di proporzionalità previsto dall’art. 5 del Trattato dell’Unione Europea e conseguentemente dell’art. 117 della Costituzione, prevedendo la norma in via automatica l’abbattimento dell’animale a fronte di determinati comportamenti pericolosi, precludendo la possibilità di disporre misure conservative meno gravi.
Le appellanti hanno riproposto anche le censure relative all’impugnazione del parere dell’ISPRA prot. n. 634785 del 22 agosto 2023 e del rapporto denominato “Orsi problematici in provincia di Trento conflitti con le attività umane, rischi per la sicurezza pubblica e criticità gestionali. Analisi della situazione attuale e previsioni per il futuro” redatto congiuntamente da ISPRA e MUSE, nella parte in cui gli Enti preposti hanno ritenuto sostenibile la rimozione di un numero massimo di 2 femmine riproduttive all’anno, nell’ambito di un prelievo complessivo di massimo 8 capi, senza prevedere la impossibilità di adottare misure alternative agli abbattimenti.
Conclusivamente, le appellanti hanno chiesto a questo giudice di riformare la decisione di improcedibilità del tribunale di giustizia amministrativa trentino, accertando e dichiarando la illegittimità dei provvedimenti e degli atti impugnati.
7. La Provincia Autonoma di Trento si è opposta all’appello depositando articolata memoria difensiva.
8. Si è costituito Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica.
9. All’udienza pubblica dell’11 luglio 2024 l’appello è stato introitato per la decisione.
10. L’appello è parzialmente fondato, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
11. Il primo giudice ha dichiarato il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, ritenendo che la morte dell’animale, sopravvenuta nel corso del giudizio per cause non imputabili all’Amministrazione, avrebbe avuto l’effetto di privare le ricorrenti dell’interesse ad agire, non solo in relazione all’azione di annullamento, ma anche con riferimento all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai fini risarcitori, manifestato con memoria ai sensi dell’art. 34 c. 3 del c.p.a. nel corso del giudizio di primo grado.
Tale ultimo interesse, secondo il ragionamento del Tribunale di giustizia amministrativa trentino, si sarebbe ricollegato ad una responsabilità meramente ipotetica della Provincia Autonoma di Trento nella causazione della morte dell’orsa, risultando inidoneo ad incidere sulla sfera soggettiva delle associazioni ricorrenti.
12. La decisione merita di essere confermata solo in relazione alla statuizione di improcedibilità dell’azione caducatoria per sopravvenuta carenza di interesse, non potendosi ritenere concreto ed attuale - e dunque meritevole di tutela giurisdizionale - l’interesse ad orientare l’azione dell’Amministrazione nella sua futura attività provvedimentale.
Ed infatti, il petitum mediato del presente giudizio – id est il bene della vita anelato dalle ricorrenti - consisteva proprio nello scongiurare l’abbattimento dell’orsa F36, deceduta poi per altre cause, con la conseguenza che l’annullamento degli specifici provvedimenti impugnati non potrebbe arrecare alle ricorrenti alcun vantaggio, riferendosi i provvedimenti medesimi all’esemplare già deceduto per altre cause.
Non v’è peraltro modo di prevedere se in future (ed allo stato meramente eventuali) ipotesi l’Amministrazione si orienterà nella stessa maniera, dovendosi radicalmente escludere che la cognizione di questo giudice costituisca ipotesi di giurisdizione oggettiva, volta a correggere in via immediata l’azione amministrativa.
La sentenza impugnata non può invece essere condivisa nella parte in cui ha dichiarato improcedibile anche la domanda di accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati ai fini risarcitori, discostandosi dall’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa in relazione ai rapporti tra l’azione caducatoria e l’azione di accertamento ai sensi dell’art. 34 n. 3 c.p.a. (in primis, Cons. di Stato, Ad. Plen., n. 8 del 13 luglio 2022).
Il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa ha chiarito che l’art. 34 comma 3 del c.p.a. deve essere interpretato nel senso che “per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è pertanto necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm.” e che “una volta manifestato l’interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l’atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell’azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda”.
Per giungere a questa conclusione, l’Ad. Plen. ha precisato che l’interesse risarcitorio deve essere manifestato in giudizio dalla parte interessata, e cioè dal ricorrente, non potendo all’onere di parte supplire il rilievo ufficioso del giudice, costituendo la manifestazione dell’interesse risarcitorio, una volta venuto meno quello all’annullamento dell’atto impugnato, il presupposto indispensabile affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dello stesso atto con pronuncia di mero accertamento e dovendosi in questi termini intendere l’inciso finale dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. «se sussiste l’interesse ai fini risarcitori», posto a condizione della pronuncia di accertamento.
La dichiarazione di interesse ai fini risarcitori, è, secondo il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa, condizione necessaria ma nello stesso tempo sufficiente perché sorga l'obbligo per il giudice di accertare l'eventuale illegittimità dell'atto impugnato. Non occorre a questo scopo né che siano esposti i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria né tanto meno che questa sia in concreto proposta. L'accertamento di cui all'art. 34, comma 3, c.p.a. va infatti coordinato con la disciplina processuale dell'azione di risarcimento contenuta nel codice del processo amministrativo, ed in particolare con l’art. 30, comma 5, c.p.a., che consente di proporre la domanda risarcitoria “nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”.
Pertanto, la manifestazione dell'interesse risarcitorio ai fini dell'eventuale azione di risarcimento dei danni dell'atto originariamente impugnato, ma per il cui annullamento è venuto meno l'interesse nel corso del giudizio, consente al medesimo privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un'utilità residua, impeditiva della pronuncia in rito ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., nella futura prospettiva di una tutela per equivalente monetario che il codice consente di fare valere in separato giudizio.
L’Adunanza Plenaria ha infine ritenuto che nell’accertamento ex art. 34, comma 3, cod. proc. amm. è possibile individuare una funzione deflattiva, rispondente alle esigenze del ricorrente di conoscere anticipatamente se è fondato il presupposto principale dell’eventuale domanda di risarcimento dei danni, ma anche alle esigenze dell’amministrazione autrice dell’atto impugnato di conoscere anticipatamente se questo sia o meno illegittimo e se vi sono pertanto rischi di esborsi economici, e dunque di assumere le opportune iniziativa attraverso il proprio potere di autotutela.
Ed è proprio sulla base di tali considerazioni che l’Ad. Plen ha precisato che una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda.
13. Calando queste coordinate ermeneutiche nella fattispecie oggetto del presente giudizio, osserva il Collegio che le ricorrenti, a seguito del decesso dell’animale, hanno depositato apposita memoria datata 9 ottobre 2023, con la quale hanno espressamente dichiarato la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori, riservando la proposizione della relativa domanda nell’ipotesi in cui fossero emersi elementi di responsabilità a carico dell’Amministrazione a seguito dell’esame autoptico del cadavere dell’orsa.
Tale manifesta dichiarazione di interesse deve ritenersi sufficiente, alla luce delle considerazioni esposte al punto precedente, a scongiurare l’arresto del processo con una pronuncia in rito, ed avrebbe dovuto dunque indurre il Tribunale di giustizia amministrativa di Trento a pronunciarsi incidentalmente sulla legittimità degli atti impugnati ai sensi dell’art. 34 comma 3 del c.p.a., risultando ultronea ogni considerazione in merito alla imputabilità dell’uccisione alla sfera di responsabilità dell’amministrazione, che configura esattamente una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, la quale esula dal perimetro dell’accertamento rimesso al giudice, sulla base di quanto chiaramente statuito dalla sentenza dell’Ad. Plen. n. 8/2022.
Ed è appena il caso di precisare, sul punto, che le riserve manifestate dal Tribunale trentino in merito al carattere solo potenziale dell’interesse manifestato dalle associazioni ricorrenti ai fini risarcitori non costituiscono un ostacolo alla pronuncia ai sensi dell’art. 34 c. 3 del c.p.a., com’è stato opportunamente chiarito dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria, in ragione del fatto che l’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai fini risarcitori origina da una modifica in senso riduttivo di una domanda già proposta (quella di annullamento) divenuta tuttavia priva di interesse per il ricorrente in pendenza di giudizio, ed in relazione alla quale lo stesso ricorrente ritenga nondimeno che residui un'utilità ai fini di un ristoro per equivalente dei danni eventualmente subiti a causa dei provvedimenti amministrativi impugnati.
14. Per queste ragioni, la sentenza impugnata deve essere riformata sul punto e, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione obbligatoria al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a., il Collegio deve procede ad esaminare l’originario ricorso attraverso la lente dell’art. 34 c. 3. c.p.a..
15. Seguendo l’ordine logico delle questioni, le ricorrenti hanno espressamente attribuito valore pregiudiziale alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 commi 1, 1 bis e 1 ter della legge provinciale n. 9/2018.
16. Le sollevate eccezioni di incostituzionalità devono essere dichiarate in parte non fondate (in relazione all’art. 1 comma 1 cit.) ed in parte non rilevanti (in relazione ai commi 1 bis ed 1 ter cit.).
17. Occorre partire dal testo dell’art. 1 della Legge Provinciale n. 9 del 2018 applicabile ratione temporis:
“1. Al fine di conservare il sistema alpicolturale del territorio montano provinciale il Presidente della Provincia, per proteggere le caratteristiche fauna e flora selvatiche e conservare gli habitat naturali, per prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all'allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico, alle acque e ad altre forme di proprietà, per garantire l'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente, può, acquisito il parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, limitatamente alle specie Ursus arctos e Canis lupus, autorizzare il prelievo, la cattura o l'uccisione, a condizione che non esista un'altra soluzione valida e che il prelievo non pregiudichi il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente della popolazione della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale. La Giunta provinciale informa con tempestività il Consiglio provinciale in merito alle misure assunte. La Provincia autonoma di Trento assicura le informazioni necessarie all'adempimento degli obblighi di comunicazione dello Stato alla Commissione europea.
1 bis. Quando il Presidente della Provincia ordina il prelievo, la cattura o l'uccisione di esemplari delle specie previste dal comma 1 nell'ambito dei propri poteri di adozione di provvedimenti contingibili e urgenti previsti dall'articolo 52 dello Statuto di autonomia, l'ordine è dato ed eseguito senza necessità di acquisire il parere previsto dal comma 1.
1 ter. Quando il Presidente autorizza ai sensi del comma 1, nel rispetto di tutte le condizioni esposte dall'articolo 16 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, o ai sensi del comma 1 bis, il prelievo di esemplari previsti dal comma 1, quale misura di sottrazione permanente all'ambiente naturale, dispone sempre l'uccisione dell'esemplare, quando si verifica una delle seguenti condizioni:
a) l'esemplare è segnalato in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso; b) l'esemplare provoca danni ripetuti a patrimoni per i quali l'attivazione di misure di prevenzione o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace;
c) l'esemplare attacca, con contatto fisico;
d) l'esemplare segue intenzionalmente delle persone;
e) l'esemplare cerca di penetrare in abitazioni, anche frequentate solo stagionalmente.”
18. La tesi propugnata dalle ricorrenti si fonda sugli effetti dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 2022, recante - tra i principi fondamentali della Costituzione - una riserva di legge statale in materia di tutela degli animali, in ritenuta coerenza con l’art. 13 del TFUE; tale riforma costituzionale avrebbe avuto l’effetto di rendere costituzionalmente illegittimo il comma 1 dell’art. 1 della L.P. n. 9/2018 nella parte in cui attribuisce al Presidente della Provincia autonoma di Trento il potere di derogare al divieto di prelievo di esemplari protetti, in violazione della riserva di legge statale in tema di tutela degli animali oggi prevista dal novellato art. 9 Cost..
Costituzionalmente illegittimi risulterebbero, altresì, i commi 1 bis ed 1 ter del medesimo articolo, avendo la prima delle due norme eliminato l’obbligatorietà del parere dell’ISPRA in caso di adozione di misure extra ordinem, ed avendo la seconda imposto al Presidente della Provincia di disporre sempre la misura più grave dell’abbattimento in presenza dei comportamenti previsti dalla lettera a) alla lettera e) della norma, con conseguente violazione del principio di proporzionalità ex art. 5 del Trattato sull’Unione Europea e, conseguentemente, dell’art. 117 della Costituzione.
Hanno aggiunto le appellanti che l’entrata in vigore della sopracitata legge costituzionale avrebbe superato l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 215/2019, con la quale era stata respinta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge prov. Trento n. 9 del 2018 e dell'art. 1 della legge prov. Bolzano n. 11 del 2018, le quali avevano già in precedenza attribuito ai Presidenti delle Province autonome il potere di autorizzare l'abbattimento in deroga di animali protetti (orso e lupo), fondandosi la decisione su parametri costituzionali (artt. 117, secondo comma, lettera “s” e 118 della Costituzione) diversi da quello attuale (art. 9 così come modificato dalla citata legge costituzionale in combinato disposto con l’art. 117 lettera “s” Cost.).
19. Le deduzioni delle appellanti non possono essere condivise, dovendosi osservare, quanto al comma 1 dell’art. 1 cit., che la legge costituzionale n. 1/2022, all’art. 3, comma 1, ha previsto una specifica clausola di salvaguardia per le Regioni a Statuto speciale e per le Province autonome: “1. La legge dello Stato che disciplina i modi e le forme di tutela degli animali, di cui all'articolo 9 della Costituzione, come modificato dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, si applica alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti delle competenze legislative ad esse riconosciute dai rispettivi statuti.”.
Pertanto, è la stessa legge costituzionale introduttiva del novellato art. 9 Cost. ad aver fatto salve le competenze legislative riconosciute dagli statuti provinciali, già ritenute compatibili a Costituzione con la sentenza della Corte Costituzionale n. 215/2019, da ritenersi ancora valida anche a seguito delle modifiche all’art. 9 Cost..
In quella decisione, per quanto qui interessa, la Consulta ha avuto modo di chiarire: “Questa Corte ha già riconosciuto la competenza delle Province autonome all’attuazione della “direttiva habitat” (seppur con riferimento specifico alla competenza sui «parchi per la protezione della flora e della fauna»: sentenze n. 329 e n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007); pertanto l’esistenza della competenza provinciale in materia legittima l’attuazione, con legge provinciale, dell’art. 16 della “direttiva habitat” (art. 7 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, recante «Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616»; art. 40, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea») e implica la non fondatezza delle questioni relative all’art. 117, secondo comma, lettera s), e all’art. 118 Cost. In particolare, non è violato l’art. 118 Cost., dal momento che, nelle materie di competenza legislativa provinciale, le funzioni amministrative spettano alle Province (art. 16, comma 1, dello statuto speciale; art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), in virtù del principio del parallelismo tra le funzioni legislative e le funzioni amministrative (sentenze n. 238 del 2007 e n. 236 del 2004) che tuttora vige per le Province autonome. Nel loro insieme, le competenze statutarie delle Province autonome assicurano la complessiva tutela del particolare ecosistema provinciale e, in considerazione delle particolari caratteristiche dell’habitat alpino, giustificano l’attribuzione della competenza all’esercizio della deroga all’autonomia provinciale, prevedendo un sostanziale bilanciamento, legittimamente rimesso dalle leggi provinciali impugnate ai Presidenti delle Province autonome, quali organi idonei alla valutazione della dimensione anche localistica degli interessi coinvolti.”
Non sussiste, pertanto, alcuna violazione dei precetti costituzionali invocati dalle associazioni ricorrenti (artt. 9, 117 lettera “s” e 118 Cost.) nell’attribuzione al Presidente dalla Provincia Autonoma di Trento del potere di adottare, con legge provinciale, misure di attuazione dell’art. 16 della Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992 (cd. “Direttiva habitat”).
La statuizione deve ritenersi ancora attuale anche al cospetto del novellato art. 9 Cost., il quale, nell’affidare alla legge dello Stato i modi e le forme di tutela degli animali, non ha evidentemente inteso privare le Regioni a statuto speciale e le Province Autonome di Trento e di Bolzano delle proprie prerogative statutarie in materia di attuazione, con legge provinciale, della normativa sovranazionale.
20. La questione di legittimità costituzionale dei comi 1 bis ed 1 ter dell’art. 1 della L.P. n. 9/2018 è invece priva di rilevanza, poiché la prima delle norme citate, oggi abrogata, concerneva la diversa fattispecie dei poteri di adozione di provvedimenti contingibili e urgenti previsti dall'articolo 52 dello Statuto di autonomia, non ricorrente nel presente giudizio; quanto alla seconda delle citate disposizioni, la statuizione di non rilevanza deriva dal fatto che la norma è stata erroneamente richiamata e ritenuta applicabile alla fattispecie concreta oggetto del presente giudizio da parte della Provincia Autonoma di Trento, per le ragioni che vengono diffusamente esposte di seguito.
21. Respinte le questioni preliminari di legittimità costituzionale, il ricorso deve essere dichiarato fondato limitatamente all’accertamento della illegittimità dei provvedimenti impugnati ex art. 34 c. 3 c.p.a., per le seguenti ragioni ed entro i seguenti limiti.
22. Risultano, in particolare, fondate le censure con le quali è dedotta la violazione degli artt. 12 e 16 della direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, come recepita in ambito nazionale dall’art. 11 del Regolamento attuativo D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (e anche dalla Legge provinciale n. 9/2018), nonché le connesse censure di eccesso di potere per difetto di istruttoria, per violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, per sviamento e per carenza di motivazione.
23. I provvedimenti impugnati hanno erroneamente ricondotto il comportamento dell’animale alla fattispecie prevista al n. 18 della tabella 3.1 del PACOBACE (acronimo con cui si intende il Piano di azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi Centro orientali, allegato agli atti del giudizio), corrispondente al massimo livello di pericolosità, escludendo apoditticamente ogni alternativa all’abbattimento, senza valutare l’effettiva possibilità di misure alternative meno gravi, fondando altresì il disposto abbattimento su presupposti inconferenti – qual è l’allarme sociale diffusosi tra la popolazione residente – o insufficienti, qual è la declamata impossibilità di trovare, sul territorio provinciale, aree idonee alla collocazione degli esemplari ritenuti problematici.
24. Procedendo con ordine, è innanzitutto fondata la censura di difetto di istruttoria e di motivazione in relazione al comportamento tenuto dall’animale nel primo episodio indicato nel provvedimento impugnato, in data 30 luglio 2023. L’accadimento è stato infatti impropriamente ascritto alla casistica descritta al n. 15 della tabella n. 3.1 del PACOBACE “orso attacca per difendere i propri piccoli”.
25. Prima di affrontare il merito della questione, occorre premettere che il capitolo 3 del PACOBACE (“criteri e procedure d’azione nei confronti degli orsi problematici e d’intervento in situazioni critiche”), dopo aver premesso che in tutte le zone nelle quali orso e uomo convivono si verificano conflitti, si preoccupa di prevedere “azioni proporzionate alla “problematicità” manifestata dai soggetti, nell’intento di modificare il loro atteggiamento, e che non sia esclusa, nei casi estremi, la possibilità ultima di rimozione degli esemplari.”
Il documento definisce “problematico”, l’orso che arreca ripetutamente danni materiali alle cose (orso dannoso), oppure l’orso che manifesta comportamenti potenzialmente pericolosi verso l’uomo (orso pericoloso) e prevede interventi, mediante azioni di controllo, nei confronti di quegli esemplari problematici che si trovano in situazioni critiche, tali cioè da costituire rischio per le persone o per l’incolumità stessa dell’orso.
La pericolosità di un esemplare è determinata dalla sua assuefazione all’uomo, ovvero da situazioni particolari, come avviene quando un’orsa viene avvicinata in compagnia dei piccoli o mentre difende la sua preda.
Sulla base di queste premesse, la Tabella 3.1. del PACOBACE elenca alcuni possibili comportamenti dei plantigradi ed a questi affianca una scala di pericolosità.
A fronte di tali comportamenti, il documento prevede una serie di “azioni di controllo”, ovverosia di attività volte a risolvere i problemi e/o limitare i rischi connessi alla presenza di un orso problematico, graduate secondo un climax ascendente, che parte dalla più blanda (“intensificazione del monitoraggio nel caso di orso radiocollarato” – azione “a”) e può arrivare fino all’abbattimento (azione “k”).
Le ultime tre azioni previste (cd. azioni energiche) sono anche le più incisive e prevedono, in ordine, la cattura con rilascio allo scopo di spostamento e/o radiomarcaggio, la cattura per captivazione permanente ed, infine, l’abbattimento (lettere “i”, “j” e “k”).
In buona sostanza, PACOBACE si preoccupa di mettere in relazione gli atteggiamenti “anomali” degli orsi con i possibili interventi, in base al livello d’interazione orso-uomo e al conseguente grado di pericolosità dell’esemplare, distinguendo tra azioni leggere ed energiche.
Per quel che in questa sede interessa, la citata tabella prevede due tipologie di comportamenti anomali fronteggiabili con azioni leggere o energiche (n. 15 “orso attacca con contatto fisico per difendere i propri piccoli, la sua preda o perché provocato in altro modo” e n. 16 “orso segue intenzionalmente persone”). Il documento precisa che in relazione ai comportamenti indicati al n. 11 (“orso colto di sorpresa si lancia in un falso attacco per difendere i propri piccoli o la sua preda”) – rispetto ai quali è prevista la sola misura energica della cattura con rilascio a scopo di spostamento e/o radiomarcaggio ed è dunque è escluso l’abbattimento - “Gli atteggiamenti aggressivi di cui al n. 11 pur ritenuti ad elevata pericolosità, sono da considerarsi istintivi ed estemporanei, tali quindi da non consentire di norma e/o richiedere l’attivazione di alcun provvedimento operativo predefinito. Qualora tali atteggiamenti risultino ripetuti è prevista la possibilità di applicare un radiocollare all’orso al fine di consentirne il monitoraggio radiotelemetrico. Qualora infine in tali casi l’attacco venga portato a compimento con danni anche leggeri alle persone (n. 15) possono essere adottate misure più energiche”.
Con specifico riferimento alle azioni da intraprendere, il PACOBACE precisa che dovranno essere previste ed attivate azioni proporzionate alla problematicità manifestata dai soggetti, nell’intento di modificare il loro atteggiamento, e che non sia esclusa, nel caso tali azioni non producano gli effetti desiderati, la possibilità ultima di rimozione degli esemplari.
Pertanto, il soggetto decisore, prima di addivenire ad una decisione di abbattimento, dovrà preventivamente valutare le informazioni in suo possesso, il grado di problematicità dell’orso, la praticabilità di soluzione alternative idonee a risolvere e/o contenere i problemi e gli eventuali rischi connessi alla presenza dell’orso problematico, e l’impatto derivante da tale rimozione sullo status di conservazione della popolazione.
Il PACOBACE sollecita pertanto una valutazione caso per caso (id est “orso per orso”), precisando che prima di classificare un orso come problematico è necessario conoscere la storia dell’esemplare e l’esistenza di precedenti comportamenti anomali.
Del resto, la necessità di tale valutazione concreta è insita nella citata tabella 3.1., secondo la quale, a fronte del medesimo comportamento (ad es. n. 15 “orso attacca con contatto fisico per difendere i propri piccoli, la sua preda o perché provocato in altro modo” e n. 16 “orso segue intenzionalmente persone”) sono previste sia azioni leggere (monitoraggio e informazione), sia misure energiche (cattura con rilascio, spostamento e radiomarcaggio o captivazione permanente) che possono giungere, solo nei casi estremi, fino all’abbattimento.
26. Alla luce di tale inquadramento, è possibile concludere che ogni valutazione in merito alle azioni da intraprendere nei confronti di un esemplare che abbia manifestato comportamenti anomali deve partire dall’esatta qualificazione del comportamento dell’animale, che, nel caso di specie, ha dato luogo ai due distinti episodi descritti in atti, avvenuti rispettivamente in data 30 luglio 2023 e 6 agosto 2023.
Se nessun dubbio può sorgere in relazione al secondo episodio, ascritto da entrambe le parti al novero dei “falsi attacchi” e dunque compendiato al n. 11 della tabella 3.1 PACOBACE (in relazione al quale sono previste misure leggere o la sola misura energica della cattura per spostamento, con esclusione della captivazione permanente e dell’abbattimento), sussistono differenti prospettive di inquadramento in relazione al primo episodio (datato 30 luglio 2023).
A tal riguardo, il decreto impugnato dà conto del fatto che, nell’occasione, l’orsa F36 è stata sorpresa mentre era addormentata in compagnia di un piccolo da parte di alcuni escursionisti, i quali, datisi alla fuga, sono stati inseguiti dal plantigrado, che ha raggiunto uno dei due arrampicatosi su di un albero provocandone la caduta.
La Provincia Autonoma di Trento e l’ISPRA hanno ascritto il comportamento dell’animale alla fattispecie n. 15 della tabella PACOBACE n. 3.1, ovverosia “orso attacca con contatto fisico per difendere i propri piccoli, la sua preda o perché provocato in altro modo”, senza adeguatamente considerare e valorizzare le peculiarità del caso concreto, che indicano chiaramente la riconducibilità dell’episodio alla fattispecie n. 11 della medesima tabella “orso si lancia in un falso attacco perché colto di sorpresa, per difendere i propri piccoli o la sua preda”.
Non è infatti contestato che, nell’occasione, i due escursionisti abbiano sorpreso l’animale nel mezzo del bosco e che gli stessi non si siano attenuti alle regole diffuse dalla stessa Amministrazione Provinciale in caso di incontri con orsi, che prescrivono di arretrare lentamente, anzichè darsi alla fuga. Peraltro, l’orsa, dopo aver provocato la caduta dall’albero del malcapitato, non ha proseguito nell’attacco e lo ha lasciato fuggire verso valle.
Appare, pertanto, tra le tesi in campo, più aderente alla realtà dei fatti quella propugnata dalle associazioni ricorrenti, che porta ad ascrivere il comportamento ad un cd. “falso attacco” (per il quale non è previsto l’abbattimento ma, al più, la cattura con rilascio a scopo di spostamento e/o radiomarcaggio).
La riconducibilità dell’episodio ad un falso attacco (e non alla fattispecie prevista dal n. 15 della tabella 3.1 PACOBACE) preclude l’applicabilità, nella fattispecie, dell’ art. 1 comma 1 ter della L.P. n. 9/2018, posto che non ricorre alcuna delle ipotesi previste dalla lettera a) alla lettera e) della disposizione, ascrivibili alle fattispecie n. 15 e 16 della tabella 3.1 PACOBACE, ma non alla fattispecie n. 11, con conseguente irrilevanza della questione di legittimità costituzionale del citato comma 1 ter, risultando erroneo, a monte, l’inquadramento della fattispecie concreta nel paradigma normativo del citato art 1 comma 1 ter (cfr. precedente punto 20).
27. Il difetto di istruttoria, ridondante in vizio motivazionale, è reso ancor più evidente dalla mancata considerazione di ulteriori elementi che, alla luce della disciplina contenuta nel citato PACOBACE, avrebbero dovuto indurre la Provincia ad un più approfondito esame della fattispecie, prima di disporre la misura più grave dell’abbattimento.
Ci si riferisce, in primis, al fatto che l’orsa F36, com’è espressamente riconosciuto nel provvedimento impugnato, non si era in precedenza resa protagonista di incontri ravvicinati con l’uomo, né di particolari frequentazioni di contesti antropizzati e neppure di danni.
Ebbene, a tal riguardo, si è già evidenziato come il PACOBACE solleciti le Autorità preposte ad una valutazione caso per caso, indagando la storia dell’esemplare e l’esistenza di eventuali e precedenti comportamenti anomali, indagine che nel caso di specie non risulta essere stata adeguatamente effettuata, in ragione della non contestata assenza di precedenti comportamenti aggressivi e del fatto che, con ogni probabilità, l’orsa in questione aveva dato alla luce la sua prima cucciolata.
A ciò deve pure aggiungersi che il secondo degli episodi contestati, pacificamente ascritto dalle parti ad un falso attacco, evidenzia una ridotta aggressività dell’esemplare nei confronti dell’uomo, avvalorando la tesi della natura estemporanea del primo episodio, ascrivibile – secondo la condivisibile prospettazione delle ricorrenti – al fatto che l’orso sia stato sorpreso in compagnia del cucciolo.
Ancora, non è ultroneo valorizzare anche il fatto che lo stesso rapporto ISPRA-MUSE 2021, nel ribadire la valutazione caso per caso già raccomandata dal PACOBACE, evidenzia che i comportamenti aggressivi dei plantigradi in difesa dei cuccioli costituiscono manifestazioni “di difesa assolutamente naturali propri della specie” per cui “prima di valutare l’ipotesi della rimozione andranno analizzate con cautela le dinamiche che hanno portato al verificarsi dell’attacco, investigando non solo il comportamento e l’indole dell’orso ma anche le dinamiche e le cause dell’attacco, tra cui anche il comportamento della persona coinvolta”.
Tutte queste circostanze non sono state adeguatamente valutate ed in parte sono state travisate, come emerge sia dalla motivazione del decreto impugnato in via principale, sia dal sottostante parere dell’ISPRA, che sul punto non solo conferma (erroneamente) la riconducibilità del comportamento alla fattispecie n. 15 della tabella 3.1 del PACOBACE, ma aggiunge che l’orsa avrebbe successivamente esibito un comportamento indice di accresciuta pericolosità (suggerendone l’immediata rimozione sulla base del rapporto ISPRA-MUSE 2021), quando in realtà il secondo episodio è sicuramente indice di un’attenuta pericolosità, risultando pacificamente riconducibile ad un falso attacco.
In ragione dell’equivoco relativo alla classificazione del primo comportamento anomalo nella fattispecie n. 15, erroneo si rivela anche il richiamo al rapporto ISPRA-MUSE con riferimento ai cd. “orsi ad alto rischio” (appartenenti alla categoria 15, che manifestano altri comportamenti pericolosi o che attaccano una seconda volta), dovendosi ritenere non pertinente il richiamo al suddetto rapporto.
28. Ciò posto, deve pure rilevarsi che il provvedimento impugnato non è rispettoso del principio di proporzionalità, imposto dal più volte citato articolo 16 della Direttiva habitat, recepita dall’Italia con DPR 8 settembre 1997 n. 357, modificato e integrato dal DPR 12 marzo 2003, n. 120 e richiamato dal già citato PACOBACE, dovendosi sempre ritenere che l’abbattimento rappresenta l’extrema ratio, da disporre solo quando altre soluzioni non sono in astratto ed in concreto praticabili.
Il sacrificio della vita dell’animale è pertanto ammesso soltanto in presenza di circostanze ben definite e a condizione che non esista un’altra soluzione percorribile, in aderenza, quindi, al principio di proporzionalità che è posto, in astratto, a presidio dell’azione legislativa e, in concreto, a presidio di quella amministrativa.
Com’è stato più volte evidenziato da questo Consiglio di Stato, l'intera materia qui in trattazione governata dal principio di proporzionalità, per cui la protezione della vita degli animali gode di una tutela rafforzata a cui si può derogare solo in presenza di condizioni che sono da interpretarsi in maniera rigorosa e restrittiva, secondo una logica graduata che risponda per l'appunto al canone di proporzionalità. Questa Sezione ha, inoltre, chiarito che le diverse misure che l'Autorità può assumere - per come richiamate dalle fonti normative e secondo l'interpretazione fatta propria dalla Corte di Giustizia - devono ritenersi enunciate in via gradata, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata a mente del novellato art. 9 Cost., con la conseguenza che è possibile ricorrere alla misura più grave solo ove sia provata l'impossibilità di adottare la misura meno cruenta e, quindi, "a condizione che esista un'altra soluzione valida"(cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 09 luglio 2024, n.6049).
Com’è stato efficacemente statuito con la recente Ordinanza n. 2919 del 14 luglio 2023, in un caso riguardante il lupo, la Corte di Giustizia, con la sentenza 11 giugno 2020, C88/19, ha avuto modo di esprimersi sulla portata applicativa della direttiva “Habitat”, precisando che “Il rispetto di questa disposizione impone agli Stati membri non solo l’adozione di un quadro normativo completo, ma anche l’attuazione di misure di tutela concrete e specifiche. Del pari, il regime di rigorosa tutela presuppone l’adozione di misure coerenti e coordinate di carattere preventivo. Un tale regime di rigorosa tutela deve pertanto consentire di evitare effettivamente la cattura o l’uccisione deliberata nell’ambiente naturale di esemplari delle specie animali protette [v. in questo senso, sentenze del 17 aprile 2018, Commissione/Polonia (Foresta di Białowieża), C 441/17, EU:C:2018:255, punto 231 e giurisprudenza citata, e del 10 ottobre 2019, Luonnonsuojeluyhdistys Tapiola, C 674/17, EU:C:2019:851, punto 27]. 24 Sebbene l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva «habitat» autorizzi gli Stati membri a derogare alle disposizioni dei suoi articoli da 12 a 14 nonché del suo articolo 15, lettere a) e b), una deroga adottata su tale base è subordinata, nei limiti in cui consente a detti Stati membri di sottrarsi agli obblighi inerenti al regime di rigorosa tutela delle specie naturali, alla condizione che non esista un’altra soluzione valida e che tale deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni delle specie interessate nella loro area di ripartizione naturale. Siffatte condizioni riguardano tutte le ipotesi previste all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva citata (sentenza del 10 ottobre 2019, Luonnonsuojeluyhdistys Tapiola, C 674/17, EU:C:2019:851, punti 28 e 29) (…). (…)Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’obiettivo perseguito dalla direttiva «habitat», occorre ricordare che gli articoli 12, 13 e 16 di quest’ultima formano un complesso coerente di regole volte alla tutela delle popolazioni delle specie interessate (sentenza del 20 ottobre 2005, Commissione/Regno Unito, C 6/04, EU:C:2005:626, punto 112). L’obiettivo comune di tali disposizioni consiste nel garantire una rigorosa tutela delle specie animali protette mediante divieti previsti all’articolo 12, paragrafo 1, di tale direttiva, mentre le eccezioni sono unicamente autorizzate alle rigorose condizioni enunciate all’articolo 16, paragrafo 1, di detta direttiva, il quale deve essere interpretato restrittivamente (v., in tal senso, sentenze del 10 maggio 2007, Commissione/Austria, C 508/04, EU:C:2007:274, punti da 109 a 112, nonché del 15 marzo 2012, Commissione/Polonia, C 46/11, non pubblicata, EU:C:2012:146, punto 29).”
Nella medesima ordinanza, la Sezione, ribadito che, per dirsi proporzionata, non basta che la misura sia idonea a perseguire il fine, ma deve essere l’unica possibile tale da non rappresentare un sacrificio eccessivo per il bene ritenuto recessivo all’esito del bilanciamento tra contrapposti interessi (ex plurimis, CGUE C-8/1955, C- 5-11-13-15/1962).
Pertanto, è possibile ricorrere alla misura più grave solo ove sia provata l’impossibilità di adottare la misura meno cruenta e, quindi, “a condizione che esista un’altra soluzione valida”, risultando tale interpretazione della normativa, oggi, l’unica compatibile con la modifica costituzionale del comma 2 dell’art. 9 della Costituzione a mente del quale: “[La Repubblica] tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”, con la conseguenza che può ricorrersi all’abbattimento dell’animale solo nell’ipotesi - estrema e di rara verificazione - di impossibilità oggettiva, non solo temporanea e soggettiva, da valutarsi secondo i criteri generali dell’ordinamento giuridico, di ricorrere ad azioni meno cruente.
Ebbene, nel caso di specie, la provincia Autonoma di Trento ha solo apparentemente valutato e (erroneamente) scartato, l’esistenza e la praticabilità di misure alternative all’abbattimento, disponendo direttamente la misura più grave, ritenendola fin dal principio l’unica misura possibile.
Tanto è reso evidente da quella parte del provvedimento nella quale il Presidente della Provincia ha escluso la possibilità di utilizzare, per la custodia dell’animale, la struttura del “Casteller”, per carenza di idonei spazi, ponendo impropriamente l’incapacità della struttura amministrativa a giustificazione della misura di rimozione dell’animale, spettando invece alla medesima amministrazione provinciale di porre rimedio a tale situazione di incapienza.
Risultava, infatti, preciso obbligo della Provincia autonoma quello di valutare ogni misura intermedia tra la libertà e l’abbattimento dell’animale e, quindi, anche l’ipotesi del trasferimento in una struttura diversa da quelle di proprietà della Provincia, eventualmente anche fuori dal territorio regionale o nazionale, che avrebbe realizzato, pur sempre, una forma di captivazione.
29. A ciò deve aggiungersi che il provvedimento impugnato contiene precisazioni che avvalorano ulteriormente la fondatezza della censura di difetto di proporzionalità, questa volta sotto il profilo sintomatico dello sviamento di potere.
Ci si riferisce, in particolare, alla parte del provvedimento in cui il Presidente della Provincia Autonoma ha utilizzato, quale motivazione della rimozione, lo stato di preoccupazione generale della collettività per possibili rischi connessi ad aggressioni da orso nei confronti delle persone, come avvalorata dall’attenzione posta dai mass media e dagli atti pubblici e normativi assunti dalle istituzioni della Provincia.
Si tratta di motivazione non solo ultronea, ma anche debordante dalle finalità per le quali la normativa (nazionale e sovranazionale) ha affidato alle Autorità provinciali preposte il potere di disporre l’abbattimento degli animali protetti.
L’Autorità provinciale, infatti, deve contemperare la salvaguardia di specie a rischio di estinzione con l’interesse della sicurezza pubblica, che deve essere valutato sulla base di elementi oggettivi e non può essere misurato sulla base del sentimento di “preoccupazione” della popolazione, come evidenziato dai mass media o dal gradiente di apprezzamento delle politiche pubbliche finalizzate alla risoluzione della problematica concernente la convivenza uomo/orso.
30. Per tutti questi motivi, il decreto n. 74 del 7.09.2023 deve ritenersi illegittimo e, per le medesime ragioni, deve essere accertata anche l’illegittimità del sotteso parere dell’ISPRA, nella parte in cui ha avvalorato le valutazioni sul comportamento dell’animale e le conseguenti statuizioni in termini di necessario abbattimento.
31. Non possono infine essere condivise le ulteriori censure mosse dalle ricorrenti nei confronti del parere dell’ISPRA e del rapporto sugli “orsi problematici” da questo richiamato.
Le valutazioni degli organismi tecnici preposti, infatti, concernono l’impatto della rimozione sulla popolazione degli orsi residenti nell’area e si pongono su di un piano meramente ipotetico, poiché sono dirette a valutare l’incidenza dell’abbattimento dell’orsa F36 sul numero degli esemplari rimanenti e, dunque, a sondare l’impatto della decisione della Provincia Autonoma sulla conservazione della specie, come previsto dalla più volte citata Direttiva “habitat”.
Limitatamente a tali previsioni, pertanto, gli atti impugnati non risultano lesivi della posizione giuridica soggettiva delle associazioni ricorrenti.
Sotto altro profilo, deve pure essere rilevato che l’erroneo inquadramento del comportamento dell’orsa F36, come chiarito al precedente punto 26, ha verosimilmente indotto la Provincia Autonoma e l’ISPRA a ritenere applicabili le previsioni del documento ISPRA-MUSE (2021), erroneamente determinando la qualificazione dell’animale tra quelli “ad alto rischio”, con conseguente necessità di rimozione.
32. Le spese del doppio grado possono essere poste a carico dell’Amministrazione resistente, da ritenersi sostanzialmente soccombente nel complessivo giudizio, secondo la misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parziale riforma della decisione impugnata, accerta l’illegittimità del decreto n. 74 del 7.09.2023 del Presidente della Provincia Autonoma di Trento e del parere dell’ISPRA prot. n. 634785 del 22 agosto 2023 ai sensi dell’art. 34 c. 3 del c.p.a.;
Condanna la Provincia Autonoma di Trento al pagamento delle spese di giudizio nei confronti delle associazioni ricorrenti e le liquida nella misura complessiva di Euro 4.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Michele Corradino, Presidente
Ezio Fedullo, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Antonio Massimo Marra, Consigliere
Raffaello Scarpato, Consigliere, Estensore