Cons. Stato Sez. V n. 4104 del 1 settembre 2008
Urbanistica. Contratto di quartiere

Il modello del cd. contratto di quartiere lascia al proponente una vasta gamma di soluzioni, è infatti chiaro che la competenza del Consiglio o della Giunta comunale scatterà a seconda dell’incidenza della proposta sull’assetto del territorio. Nella fattispecie, trattandosi di progetto destinato a disciplinare un’area ancora scarsamente abitata, risulta chiaro che la decisione sulla sua compatibilità con le scelte di indirizzo sull’assetto del territorio avrebbe dovuto essere assunta dal Consiglio comunale.
REPUBBLICA ITALIANA N. 4104/08 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 2653 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione) ANNO 2007
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2653/2007 proposto dal Consorzio ARACNE S.c. a r.l. e dalla Soc. G.I.N. S.r.l., in persona dei rispettivi legale rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli avv.ti Salvatore Sica, Filippo Castaldi e Marcello Fortunato ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Lodovico Visone in Roma, via del Seminario nn. 113/116;
contro
il Comune di Eboli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Rizzo e domiciliato elettivamente presso il sig. Alessandro Turco, in Roma, largo dei Lombardi, 4;
per la riforma
della sentenza n. 1311/2006 del 5 settembre 2006 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione I.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Amministrazione comunale intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il cons. Nicola Russo e uditi alla pubblica udienza del giorno 24 giugno 2008 gli avvocati come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
La causa concerne il “contratto di quartiere” sottoposto dalla s.c. a r.l. Consorzio Aracne e dalla G.I.N. s.r.l. al Comune di Eboli nell’ambito del programma di intervento previsto dalla legge 8 febbraio 2001, n. 21. La proposta riguarda in particolare il quartiere Sant’Andrea ed è stata avanzata a seguito dell’avviso pubblico approvato con delibera di Giunta n. 163 del 2004 nel quadro delle iniziative avviate in sostituzione della Regione Campania dall’allora Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
La proposta dei ricorrenti mirava a qualificare l’area in questione con un complesso organizzato di interventi, destinati ad incidere sulla viabilità, sulla dotazione di parcheggi e di un’altra serie di infrastrutture a vocazione pubblica (scuola, parco); prevedeva inoltre la realizzazione di nuove abitazioni e di strutture di carattere commerciale. In sintesi, a prescindere da qualsiasi valutazione di merito ovviamente esulante dalla presente sede, l’iniziativa rispondeva esteriormente a quella idea di innovazione dell’ambiente urbano che sta alla base della filosofia dell’intervento legislativo considerato, il quale appunto (sulla falsariga dei cd. “contrats de ville” francesi) si propone di superare con modelli inusuali e sperimentali il degrado di talune aree di centri abitati.
Il Comune, con delibera di Giunta, non ha ammesso la proposta all’ulteriore corso del procedimento, destinato a snodarsi, dopo la fase comunale, davanti al Ministero.
La ragione della scelta del Comune risiede, principalmente, nel duplice rilievo che l’area denominata Sant’Andrea non sarebbe ancora configurabile come quartiere e che l’intervento proposto non prevede interventi sugli edifici esistenti ma nuove attività, oltretutto su aree delle quali il proponente non vanta alcuna disponibilità giuridica.
L’impugnazione proposta davanti al TAR Campania, Sede di Salerno, Sez. I, è stata respinta con sentenza n. 1311/2006. Secondo il primo giudice non sarebbe stato ravvisabile il denunziato vizio di incompetenza ad opera della Giunta perché l’intervento non avrebbe natura urbanistica e, in ogni caso, l’iniziativa medesima non corrisponderebbe alla fisionomia del contratto di quartiere tracciata dal panorama normativo di riferimento perché, mentre quest’ultimo impone la riqualificazione di aree già edificate e degradate, la proposta della parte si sostanzia nell’idea di urbanizzare un’area di completamento tuttora prevalentemente libera da edifici.
La sentenza è stata ritualmente impugnata dagli originari ricorrenti; resiste l’Amministrazione intimata. Deducono in primo luogo gli appellanti che la competenza del Consiglio comunale, e non della Giunta, discenderebbe chiaramente dall’oggetto del programma dei contratti di quartiere, i quali risultano obiettivamente destinati ad imprimere un nuovo assetto al territorio di volta in volta considerato, cosicché non v’è dubbio che si tratti di attività destinate ad avere concreto rilievo sul piano urbanistico. Per quanto concerne il merito, premettono che l’area Sant’Andrea è identificata come quartiere dalla stessa Amministrazione comunale (G.M. 18 marzo 2004, n. 74) e che la stessa risulta ubicata tra i nuclei abitati del centro urbano. Aggiungono che la prospettiva assunta dall’Amministrazione, prima, e dalla sentenza impugnata, poi, circa l’identità dei cd. contratti di quartiere risulta erronea: per stabilire se ci si trova di fronte ad una proposta sussumibile nello schema legale, sostengono gli appellanti medesimi, non si deve indagare, secondo una visione prettamente edilizia, se l’intervento proponga o meno il recupero di fabbricati esistenti e degradati ma, in un’ottica più generale, occorre stabilire se l’iniziativa prospettata, collocata nel complessivo contesto urbano, sia tale da conferire a questo un modello più vivibile, dotato di infrastrutture, capace di valorizzare le risorse storiche e ambientali, idoneo a sostenere l’occupazione e, in un’ultima analisi, capace di favorire l’integrazione sociale e l’adeguamento dell’offerta abitativa.
L’Amministrazione eccepisce innanzitutto l’inammissibilità dell’appello che non conterrebbe motivi di censura al ragionamento del primo giudice e si risolverebbe in una mera riproposizione dei motivi di ricorso da quello già disattesi. Nel merito, ribadisce che alcuna competenza può spettare in materia al Consiglio comunale e insiste nel concetto che nessun contratto di quartiere è neppure teoricamente ipotizzabile in un’area ove non vi è abilitabilità perché ciò esclude in radice la possibilità di parlare di un contesto di edilizia degradata.
Gli appellanti ripropongono poi la domanda di risarcimento già avanzata in primo grado, allegando apposita perizia. La circostanza che per effetto dell’arresto procedimentale imposto dal Comune l’iniziativa non possa avere più seguito (stante l’esistenza di termini rigorosi di inoltro da parte del Comune medesimo) avrebbe loro arrecato un danno pari al 20% del valore dell’iniziativa relativamente ai previsti interventi di edilizia privata oltre alle spese sostenute.
La richiesta di danni è contrastata dal Comune il quale, ribadito che l’Amministrazione locale non ha compiuto alcun errore e comunque non versa nella necessaria situazione colposa, rileva che il suo ruolo nel procedimento è di carattere meramente istruttorio, spettando ogni definitiva determinazione sul progetto all’Amministrazione statale sicché, tra l’altro, non si può stabilire oggi se, pur approvata dal Comune, l’iniziativa dei ricorrenti sarebbe stata utilmente scrutinata dal Ministero.
La causa è passata in decisione all’udienza del 24 giugno 2008.
DIRITTO
L’appello è fondato. Va in primo luogo disattesa l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune. L’appello contiene, infatti, sia la contestazione del ragionamento seguito dal primo giudice, sia la riproposizione dei motivi originari. L’eccezione non ha dunque fondamento.
Circa la censura di difetto di competenza in capo alla Giunta, ritiene il Collegio che questa vada scrutinata tenendo presente l’effettivo contenuto del progetto presentato dai ricorrenti. Visto che il modello del cd. contratto di quartiere lascia al proponente una vasta gamma di soluzioni è infatti chiaro che la competenza del Consiglio o della Giunta scatterà a seconda dell’incidenza della proposta sull’assetto del territorio. Nel nostro caso, trattandosi di progetto destinato a disciplinare un’area ancora scarsamente abitata, risulta chiaro che la decisione sulla sua compatibilità con le scelte di indirizzo sull’assetto del territorio avrebbe dovuto essere assunta dal Consiglio comunale.
Fondata risulta anche la censura con la quale si denunzia che l’atto della Giunta non contiene una motivazione capace di giustificare la divergenza del progetto rispetto al paradigma dell’intervento quale esso risulta delineato dal d.m. 21.11.2003. Ritiene, in particolare, il Collegio che le finalità indicate dal citato d.m. non dovessero essere ritenute alla stregua di altrettanti criteri tassativi nel senso che il progetto dovesse necessariamente rispondere a ciascuno di essi. In altre parole, l’esame non avrebbe potuto sostanziarsi nella verifica circa la presenza nel progetto di una risposta a ciascuno degli obiettivi perseguiti dalla l. 2001/21 ma avrebbe dovuto riguardare l’insieme delle attività prospettate per stabilire se queste, intese come un complesso inscindibile, potessero risultare funzionali o meno allo scopo complessivamente indicato nella sede legislativo-regolamentare.
Un tale esame, doverosamente di insieme, è nella specie mancato perché la Giunta ha ritenuto decisivo il dato che il progetto non si sostanziasse in un’iniziativa di recupero del patrimonio edilizio esistente e degradato nonché il dato che l’area Sant’Andrea non potesse essere definita come quartiere e non fosse nella disponibilità del proponente.
Nessuno di tali elementi appare peraltro ostativo alla astratta ammissibilità del progetto considerato. Ciò perché, come si è notato, l’intervento innovativo del quale si discute non poteva essere scrutinato dal solo punto di vista meramente edilizio ma doveva essere considerato anche per la sua potenzialità di incidere sugli altri obiettivi, quale il degrado dell’ambiente urbano, la carenza di servizi, il contesto di scarsa coesione sociale e di marcato disagio abitativo, etc. Con la conseguenza che, ragionando in astratto, anche un intervento che non si fosse preoccupato di intervenire sull’edilizia esistente avrebbe potuto esser ritenuto aderente alla fisionomia del programma di coincentivazione previsto dalla l. 21/2001 e, quindi, ben avrebbe potuto essere ammesso a partecipare al programma.
Tale è il caso del progetto considerato, il quale si prefigge, con un insieme mirato e combinato di interventi, di incidere non solo sul fabbisogno abitativo (con nuove costruzioni), ma anche sul sistema di comunicazione viaria e su tutti quegli aspetti di infrastrutturazione secondaria che notoriamente sono suscettibili di migliorare la qualità della vita (parcheggi, aree a verde, luoghi di istruzione, centri commerciali) e le opportunità di occupazione.
In conclusione, l’appello va accolto. Va ora esaminata la domanda risarcitoria. Da questo punto di vista occorre preliminarmente farsi carico del ragionamento del Comune il quale sostiene di non poter esser chiamato a rispondere di alcunché poiché esso aveva un ruolo soltanto preliminare nella vicenda e non era chiamato a stabilire alcun rapporto di tipo contrattuale con il proponente.
Il ragionamento non convince. Il Comune si è occupato di uno specifico segmento procedimentale in forza di una specifica attribuzione da parte del relativo paradigma legale ed il suo provvedimento ha determinato un irreversibile arresto dell’iter. Non si è trattato cioè di un interessamento casuale, ma di un coinvolgimento procedimentalizzato, previsto dalla disciplina legale proprio a vantaggio degli interessi specifici del singolo Comune. Non si può quindi discutere dell’esistenza di un nesso eziologico tra azione del Comune e pregiudizio della sfera patrimoniale del proponente. Né si può discutere oggi dell’esistenza di una responsabilità patrimoniale in capo alla pubblica amministrazione al di fuori della specifica materia contrattuale.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che la vicenda presenti gli estremi per affermare la responsabilità del Comune, anche perché la disciplina considerata non risulta di particolare difficoltà interpretativa e perché il Comune non ha addotto alcun argomento che potesse far ritenere scusabile il proprio comportamento.
Per quanto riguarda l’entità del risarcimento, il Comune di Eboli, attenendosi allo schema previsto dall’art. 35, comma 2, del d.lgs. 80/98, formulerà apposita proposta agli appellanti (da considerare come soggetto unico, indipendentemente dai relativi rapporti interni) entro il termine di 180 giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notifica della presente decisione, alla stregua dei seguenti criteri:
- deve essere riconosciuta una somma per il rimborso delle spese inutilmente sopportate e documentate in giudizio;
- deve essere riconosciuta una somma a titolo di mancato utile da calcolare sulla voce edilizia residenziale privata, tenendo presente che il relativo importo va forfettariamente decurtato del 50 per cento perché, date le caratteristiche del procedimento, una volta approvato dal Comune, il progetto, pur avendo apprezzabili chances per essere approvato, doveva superare positivamente il vaglio della sede ministeriale in concorso con le altre istanze.
Quanto alle spese di giudizio, queste come di regola seguono la soccombenza e vengono liquidate nella somma complessiva di euro 5.000,00 (cinquemila/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e condanna il Comune di Eboli al risarcimento dei danni. La misura di questi sarà oggetto di proposta da parte del Comune medesimo ai sensi dell’art. 35, secondo comma, del d.lgs. 80/98 nel termine di 180 giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione, secondo i criteri indicati in motivazione. Condanna altresì il Comune di Eboli al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio nella misura complessiva di euro 5.000,00 (cinquemila/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 24 Giugno 2008 con l’intervento dei Sigg.ri:
Pres. Domenico La Medica
Cons. Cesare Lamberti
Cons. Filoreto D'Agostino
Cons. Aniello Cerreto
Cons. Nicola Russo Est.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Nicola Russo F.to Domenico La Medica
IL SEGRETARIO
F.to Antonietta Fancello

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 1-09-08
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
F.to Antonio Natale