Cass. Sez. III n. 16687 del 16 aprile 2014 (Cc. 25 feb. 2014)
Pres. Teresi Est. Scarcella Ric. De Vivo ed altro
Urbanistica. Ristrutturazione edilizia in area sottoposta a vincolo paesaggistico
Gli interventi di ristrutturazione edilizia, sia se eseguibili mediante "semplice" denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22, commi primo e secondo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sia se eseguibili in base alla cosiddetta super DIA, prevista dal comma terzo della citata disposizione, necessitano del preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Solo per gli interventi di restauro e risanamento conservativo e per quelli di manutenzione straordinaria non comportanti alterazione dello stato dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici, la D.I.A. non deve essere preceduta dall'autorizzazione paesaggistica
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 25/02/2014
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. ACETO Aldo - Consigliere - N. 488
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere - N. 23697/2013
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE VIVO GIUSEPPA, n. 1/01/1970 a Camerota;
LAMOGLIE ELVIRA, n. 16/07/1935 a Santa Marina;
avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di SALERNO in data 6/04/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VOLPE Giuseppe, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito, per le ricorrenti, il difensore avv. Maldonato F., non comparso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza depositata in data 6/04/2013, il Tribunale del riesame di SALERNO, decidendo sulla richiesta di riesame promossa dalle odierne ricorrenti, confermava parzialmente il decreto di sequestro preventivo 27/02/2013, con cui il GIP del Tribunale di SALA CONSILINA disponeva il sequestro preventivo di alcune opere edilizie per i reati di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. C), del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e art. 734 c.p.,
perché, in concorso tra loro, la LAMOGLIE nella qualità di proprietaria, la DE VIVO nella qualità di titolare dell'attività commerciale ivi presente, in difformità dal permesso di costruire n. 1/2009 dell'8/01/2009, realizzavano, in zona sottoposta a vincolo ambientale, i seguenti interventi edilizi, peraltro alterando le bellezze naturali del Comune di Santa Marina, in zona sottoposta a speciale vincolo paesaggistico ed ambientale, il tutto senza la prescritta e preventiva autorizzazione ambientale, in particolare costituite:
a) lato nord, tettoia porticata, in parte adibita a forno per le pizze con proiezione in pianta pari a mt. 5,20 al posto di una tettoia di mt. 2 autorizzata, con ivi allocato un muretto non autorizzato; vialetto di betonelle poggiato su sabbia e fuga in cemento di mt. 6,30 x 2,60;
b) lato sud, struttura in legno e teli di dimensioni mt. 5,00 x 5,80 a copertura in parte di un terrazzo autorizzato ed in parte di un'area pavimentata con betonelle poggiate di sabbia e fuga in cemento e lastre di pietra; vialetto lungo mt. 32 costituito da pavimentazione in betonelle poggiato su sabbia lungo il quale sono presenti tettoie precarie costituite da palotti lignei infissi al suolo, coperti da stuoie e incannucciati;
c) interno dell'immobile, diversa distribuzione interna con la presenza di una scala a chiocciola che conduce ed una zona soppalcata realizzata al di sopra del locale cucina.
2. In sede di riesame, il tribunale, pur confermando la sussistenza del fumus commissi delicti, riteneva invece sussistere il periculum in mora limitatamente alle autonome opere abusive realizzate al lato SUD dell'edificio a destinazione commerciale (v. supra, lett. B), in quanto opere con cui sono stati creati ex novo ulteriori, rilevanti e autonomi spazi per l'attività commerciale di ristorazione svolta, con trasformazione significativa degli spazi verdi preesistenti e con un significativo impatto ambientale, evincibile anche dalle foto in atti e da quelle a colori prodotte dalla difesa, ed il cui uso, comportando un non irrilevante afflusso di persone, l'aumento significativo della ricettività del locale, l'allocazione di attrezzature commerciali tipiche dell'attività di ristorazione ivi svolta, in luogo dello spazio verde, inevitabilmente comporta un sensibile aggravio del carico urbanistico e ricadute negative sull'equilibrio paesaggistico ed ambientale; diversamente, per le restanti opere, il tribunale riteneva che le stesse, per la loro entità, tipologia, uso, non apparivano idonee ad aggravare sensibilmente il carico urbanistico ne' a deteriorare ulteriormente l'ecosistema, procedendo quindi al loro dissequestro. 3. Ha proposto tempestivo ricorso il difensore fiduciario cassazionista, impugnando la suddetta ordinanza e deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. 3.1. Con un primo motivo, deduce la violazione dell'art. 606, lett. B), c) ed e), con riferimento all'art. 322 c.p.p. in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181. In particolare, la difesa censura l'ordinanza impugnata per difetto assoluto di motivazione, avendo il tribunale del riesame ritenuto annullabile il provvedimento di sequestro preventivo solo quando il fatto prospettato dal PM non appaia "manifestamente infondato", in ciò confliggendo con l'orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui il tribunale del riesame deve tener conto delle deduzioni difensive che possono aver incidenza sulla configurabilità del fumus dei reati ipotizzati; sul punto, la difesa ha dedotto, sulla base di una et. prodotta all'udienza camerale davanti al tribunale del riesame, che le opere oggetto di contestazione sarebbero in parte soggette a DIA/SCIA ed in parte libere; segnatamente, la pavimentazione con betonelle poggiate su sabbia e fuga in cemento e lastre in pietra e il vialetto lungo mt. 32 (v. opere lato sud) rappresenterebbero, dal punto di vista funzionale, elementi di abbattimento delle barriere architettoniche di accesso all'area giardino del locale e, dal punto di vista tipologico, elementi non stabilmente infissi al terreno (betonelle e lastre di pietra poggiate su sabbia e palotti in legno semplicemente infissi al suolo e facilmente rimovibili); gli ulteriori interventi, sarebbero, invece, soggetti a DIA, non essendo riconducibili all'elenco di cui all'art. 10 e all'art. 6 TU edilizia, ed essendo conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente; tettoia e pergolato, inoltre, sarebbero sottratte al permesso di costruire, in quanto opere di natura accessoria di protezione o di riparo di spazi liberi, di ridotte dimensioni, con un'evidente finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione, anche da agenti atmosferici, della parte dell'immobile cui accedono; quanto al reato paesaggistico, deduce che, ne' per la pavimentazione, ne' per il pergolato occorresse l'autorizzazione paesaggistica, evidenziando - contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale - che nessuna autorizzazione paesaggistica fosse necessaria in quanto si trattava di opere non visibili ne' percepibili da alcun punto di pubblica visuale.
3.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione dell'art. 606 c c.p.p., lett. B), c) ed e) con riferimento all'art. 322 c.p.p. in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181. Il provvedimento di sequestro sarebbe privo di motivazione, contraddittorio ed illogico, avendo il tribunale ritenuto sussistere il periculum in mora - quanto alle opere per le quali è stato mantenuto il sequestro (v. lett. B) dell'imputazione) - su argomentazioni illogiche ed apodittiche, essendo indimostrato che il permesso di costruire e l'autorizzazione commerciale fossero state rilasciate per l'esercizio dell'attività di ristorazione limitatamente alla parte interna del ristorante e che lo spazio esterno su cui gravano il vialetto ed il pergolato fosse destinato a rimanere spazio inutilizzato; l'uso delle opere in questione sarebbe neutro rispetto al periculum ravvisato, non comportando alcun aggravio del carico urbanistico; in definitiva, quindi, la fruizione delle opere lato SUD sarebbe neutra ed ininfluente rispetto alla prospettata alterazione del quadro panoramico oggetto di speciale protezione, trattandosi di opere perfettamente compatibili con gli interessi tutelati dal vincolo (che non esclude tale tipo di utilizzazione del fabbricato, nel quale è stato espressamente autorizzato l'esercizio dell'attività di ristorazione), impercettibili e non visibili da alcun punto di vista di pubblica visuale, escludendosi quindi in radice l'idoneità delle opere ad infirmare il quadro panoramico, con assenza di qualsiasi danno ambientale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 5. Deve, preliminarmente, ricordarsi che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità solo per motivi
attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003 - dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
6. Tanto premesso sui limiti del sindacato di questa Corte, rileva il Collegio che, con il primo motivo, il ricorrente sostiene che le opere su cui ancora grava il provvedimento di sequestro preventivo (copertura in legno con teli; vialetto pavimentato con betonelle oltre a tettoia "precaria" con palotti lignei infissi al suolo) sarebbero sottratti al regime ordinario del permesso di costruire e, quindi, assentibili con titoli abilitativi diversi (SCIA/DIA se non addirittura soggetti ad attività edilizia libera). La tesi è priva di fondamento. Ed invero, quanto alla prospettazione difensiva secondo cui tali interventi rappresenterebbero, dal punto di vista funzionale, elementi di abbattimento delle barriere architettoniche di accesso all'area giardino del locale, è sufficiente, ad escluderne la fondatezza, il semplice richiamo alla previsione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 che, effettivamente, alla lett. b) del comma primo, sottopone ad attività edilizia libera "b) gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio", a condizione però che siano rispettate le "altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42". Ed è evidente che, nel caso di specie, trattandosi d'interventi edilizi eseguiti su immobile adibito ad attività commerciale, ubicato in zona sottoposta a speciale vincolo paesaggistico, detti interventi non avrebbero potuto essere eseguiti in assenza di titolo abilitativo.
Quanto, poi, all'eseguibilità delle opere in questione con titoli abilitativi attenuati rispetto al permesso di costruire, non merita accoglimento la tesi difensiva secondo cui le stesse avrebbero potuto essere eseguite con DIA/SCIA. Ed invero, si tratta di opere stabilmente infisse al suolo, di cui non rileva la loro facile amovibilità: ne' l'identità dell'opera, ne' la natura dei materiali impiegati caratterizzano infatti l'opera soggetta a permesso di costruire, bensì la sua destinazione alla permanenza, quale desumibile dalla necessità cui si e inteso provvedere. Nel caso in esame, era evidente, pur nella sommarietà della delibazione richiesta al giudice del riesame, che l'opera fosse destinata a garantire un ampliamento della ricettività dell'attività commerciale mediante una maggiore e più comoda fruizione dello spazio esterno.
Gli interventi edilizi realizzati, secondo la prospettazione accusatoria il cui fumus è stato affermativamente riscontrato dal tribunale del riesame con motivazione immune da vizi sindacabili in questa sede cautelare reale di legittimità ex art. 325 c.p.p., comma 1, si presentavano funzionali a rendere abitabile o più
convenientemente utilizzabile stabilmente lo spazio libero esterno, e non risultavano, invece, destinate a servire per finalità contingenti. La tesi difensiva secondo cui detti interventi sarebbero soggetti a DIA/SCIA (e, quindi, rientranti nel campo di applicazione della previsione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22), non tiene tuttavia conto del chiaro disposto del comma sesto della citata previsione, secondo cui "La realizzazione degli interventi di cui ai commi 1, 2 e 3 che riguardino immobili sottoposti a tutela storico- artistica o paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 22 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004 - n.d.r.)".
Deve, inoltre, essere ricordato che solo per gli interventi di restauro/risanamento conservativo e per quelli di manutenzione straordinaria (valendo tali argomentazioni per tutte le opere in questione, vialetto incluso) non comportanti alterazione dello stato dei luoghi, la DIA non dev'essere preceduta dall'autorizzazione paesaggistica, come più volte affermato da questa Sezione. Si è infatti chiarito che gli interventi di ristrutturazione edilizia, sia se eseguibili mediante "semplice" denuncia di inizio attività ai sensi dell'art. 22, commi 1 e 2 cit. D.P.R. sia se eseguibili in base alla cosiddetta super DIA, prevista dal comma 3 della citata disposizione, necessitano del preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (Sez. 3, n. 8739 del 21/01/2010 - dep. 04/03/2010, Perna, Rv. 246218), precisandosi che solo per gli interventi di restauro e risanamento conservativo e per quelli di manutenzione straordinaria non comportanti alterazione dello stato dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici, la D.I.A. non deve essere preceduta dall'autorizzazione paesaggistica. In merito, poi, alla natura giuridica degli interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di tettoie, è sufficiente qui richiamare la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui integra il reato previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), la realizzazione, senza il preventivo
rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell'edificio sul quale viene realizzata (v., da ultimo: Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013 - dep. 15/10/2013, Salanitro e altro, Rv. 257290).
Infine, sempre con riferimento al primo motivo, destituita di fondamento è la tesi difensiva secondo cui nessuna autorizzazione paesaggistica fosse necessaria in quanto si trattava di opere non visibili ne' percepibili da alcun punto di pubblica visuale. Sul punto, è sufficiente in questa sede richiamare la giurisprudenza di questa stessa Sezione secondo cui il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 si configura anche relativamente ad
opere realizzate, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone sottoposte a vincolo, atteso che il citato art. 181 vieta l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici e che anche per tali opere si realizza una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell'assetto del territorio (Sez. 3, n. 7292 del 16/01/2007 - dep. 22/02/2007, Armenise ed altro, Rv. 236080). 7. Manifestamente infondato è, poi, il secondo motivo di ricorso con cui si contesta la sussistenza del periculum in mora. Ed invero, in ordine al periculum riferito al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, il tribunale motiva adeguatamente sulle ragioni fondanti il
sequestro, richiamandosi all'aggravio del carico urbanistico derivante dall'aumento della ricettività dell'attività commerciale conseguente alla realizzazione degli interventi edilizi abusivi; è evidente che le deduzioni difensive esprimono sostanzialmente un dissenso, ancorché articolato, sulla valutazione degli elementi probatori operata dal giudice del riesame, operazione non solo non consentita in questa sede cautelare reale di legittimità ex art. 325 c.p.p., comma 1, ma che non sarebbe consentita neanche in assoluto
con riferimento al vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), in quanto si richiede alla Corte di Cassazione di esercitare un sindacato sulla valutazione della prova, inibito nella sede di legittimità (Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 - dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783).
Quanto, poi, al periculum in relazione al reato paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per giustificare la correttezza del provvedimento impositivo del vincolo e, quindi, giustificare il mantenimento del sequestro, è sufficiente in questa sede richiamare l'orientamento più volte espresso da questa stessa Sezione secondo cui in tema di sequestro preventivo per reati Paesaggi,, la sola esistenza di una struttura abusiva integra i, requisito dell'attualità de. pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto i, rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata (v., da ultimo: Sez. 3, n 24539 del 20/03/2013 - dep. 05/06/2013, Chiantone, Rv. 255560). 8. Alla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso segue la condanna di ciascun "corrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2014