Cass. Sez. III n. 690 del 9 gennaio 2024 (CC 11 ott 2023)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Favicchio
Urbanistica.Demolizione e irrilevanza della declaratoria di prescrizione per frazioni della condotta
Il fatto che l’autore del reato di cui all’art. 44, lett. b) o c), d.P.R. n. 380 del 2001, venga processato e condannato tante volte quante sono quelle nelle quali ha ripreso l’attività precedentemente interrotta da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nulla toglie all’unicità dell’oggetto materiale della condotta e del disegno criminoso che ne lega le singole porzioni, sicché non viola in alcun modo il divieto di un secondo giudizio il giudice che ordini la demolizione dell’intero manufatto abusivo, anche se oggetto di cognizione è solo l’ultima frazione della condotta; del resto, l’accertata abusività delle “frazioni” precedenti “contagia” anche quelle successive con la conseguente necessità di demolire il fabbricato nella sua interezza; né - del resto - l’ordine di demolizione è una pena, sicché nemmeno si può affermare che l’autore dell’abuso venga punito più volte per lo stesso fatto. Va piuttosto ricordato che la preclusione del cd. giudicato esecutivo opera per le sole questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche per le questioni meramente deducibili, ovvero per le questioni proponibili ma non dedotte o non valutate nemmeno implicitamente nella precedente decisione definitiva
RITENUTO IN FATTO
1. La sig.ra Maria Favicchio ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 31/03/2023 della Corte di appello di Napoli che, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza con cui la stessa aveva chiesto di limitare l’ordine di demolizione, l’esecuzione del quale era stata ingiunta dal pubblico ministero, al solo manufatto realizzato in soprelevazione e non anche al manufatto sottostante posto che la sentenza di condanna non riguardava quest’ultimo.
1.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., dell’art. 4 prot. 7 CEDU, e la manifesta illogicità della motivazione.
Il fatto che la sentenza messa in esecuzione descriva l’intero manufatto non consente di ritenere che oggetto della condanna sia proprio il manufatto nella sua interezza e non la singola porzione oggetto di contestazione, pena la violazione del divieto di bis in idem di matrice anche convenzionale posto che per i precedenti segmenti la ricorrente era già stata separatamente giudicata.
1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, e la contraddittorietà della motivazione.
A fronte del tema processuale introdotto con l’incidente di esecuzione (l’oggetto della condanna), la ricorrente sostiene che appare del tutto inconferente lo spazio dedicato alla consulenza tecnica disposta dal giudice dell’esecuzione, che descrive un manufatto unico, e al condono edilizio. Diversamente dal caso in cui ulteriori opere abusive siano state realizzate al di sopra di quella da demolire (situazione che, secondo la Corte di cassazione, legittima la demolizione anche delle opere successive), nel caso in esame le opere oggetto di condanna sono successive a quelle realizzate a piano terra e primo piano, oggetto di separate condanne. Il problema, prosegue la ricorrente, si pone per le opere eseguite tra il 5 agosto 1993 ed il 16 ottobre 1993 per le quali il procedimento esecutivo è stato archiviato a seguito del rilascio dei titoli in sanatoria e i due ordini di demolizione sono stati revocati dal giudice dell’esecuzione, dott.ssa Daniele. L’ordinanza impugnata afferma che il provvedimento della dott.ssa Daniele non ha alcuna valenza essendo stata pronunciata da giudice funzionalmente incompetente ma la Corte di appello ignora - sostiene la ricorrente - che i processi di merito erano quattro e che i procedimenti esecutivi sono anch’essi quattro (son diventati tre con la riunione di due di essi) e che quello oggetto di odierno ricorso non è mai stato riunito agli altri, sicché le determinazioni assunte nel procedimento n. 122/2012 valgono solo per quella procedura che copre le opere seguite tra il 2 luglio 1992 ed il 5 agosto 1992. L’ordinanza di revoca dei due ordini di demolizione relativi ai due procedimenti esecutivi riuniti (relativi, rispettivamente, il primo alle opere eseguite tra il 23/01/1991 ed il 02/07/1993, il secondo a quelle realizzate tra il 5 agosto 1993 ed il 16 ottobre 1993) non è mai stata impugnata, né annullata, sicché resta esecutiva, non avendo la Corte di appello potere di riforma dei precedenti provvedimenti. La Corte territoriale, dunque, avrebbe potuto solo occuparsi dell’esecuzione delle opere eseguite tra il 2 luglio 1903 ed il 5 agosto 1993.
1.3. Con il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, e dell’art. 665, comma 4, cod. proc. pen., e la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui non ha tenuto conto del fatto che la sentenza divenuta esecutiva per ultima è quella pronunciata dal pretore di Napoli con conseguente competenza della procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli e del tribunale monocratico partenopeo.
1.4. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990, la violazione del principio del legittimo affidamento, della disciplina dell’autotutela e di non contraddittorietà dell’ordinamento giuridico, dell’art. 8 CEDU in relazione alla violazione del diritto all’abitazione di soggetti estranei al reato, la violazione dell’art. 1, prot. 1 CEDU, in relazione alla violazione del diritto di proprietà e del principio di proporzionalità, nonché il vizio di motivazione inesistente in relazione alle richieste formulare nell’incidente di esecuzione da pag. 5 in poi.
Ferma restando la consapevolezza di aver realizzato un abuso edilizio (consapevolezza che avevano anche i figli della ricorrente), il successivo rilascio delle sanatorie speciali aveva però certamente creato un legittimo affidamento rafforzato dalla pronuncia del TAR (passata in cosa giudicata) e dal provvedimento del GE, dott.ssa Daniele (anch’esso passato in cosa giudicata). La Corte di appello neglige tali argomenti, avallando la demolizione di tre appartamenti condonati senza però annullare i relativi provvedimenti di condono.
Tutto ciò a distanza di sei anni dal rilascio dei provvedimenti stessi e senza alcuna motivazione sulle ragioni della prevalenza dell’interesse pubblico sul legittimo affidamento del privato.
L’ordinanza impugnata non argomenta, inoltre, sulle altre questioni poste relative: a) alla violazione del diritto all’abitazione della ricorrente, novantatreenne, e dei figli, estranei al reato, che si vedono demolire un’abitazione munita di titolo amministrativo; b) alla violazione del principio di proporzionalità, dovendo essere demolite intere abitazioni a fronte di un mero aumento di volumetria, abitazioni per le quali sono stati pagati da anni i relativi tributi, l’oblazione, gli oneri concessori, i diritti di segreteria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
3. Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che:
3.1. con sentenza del 16/09/1997 (irr. il 15/11/1997) della Corte di appello di Napoli, Maria Favicchia era stata definitivamente condannata alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 20, lett. c), legge n. 47 del 1985;
3.2. con la medesima sentenza veniva confermato l’ordine di demolizione del manufatto abusivamente realizzato composto da due livelli fuori terra e ulteriore piano in soprelevazione;
3.3. con incidente di esecuzione la ricorrente aveva chiesto la revoca dell’ordine di demolizione in considerazione del rilascio dei permessi in sanatoria nn. 83, 84 e 85 tutti del 05/06/2017;
3.4. con ordinanza del 27/06/2017, la Corte di appello di Napoli aveva revocato l’ordine di demolizione;
3.5. a seguito di ricorso del pubblico ministero, la Corte di cassazione, con sentenza Sez. 3, n. 28767 del 15/05/2018, aveva annullato l’ordinanza perché carente di adeguata e preventiva valutazione della legittimità dei titoli rilasciati in sanatoria rinviando alla Corte di appello per nuovo giudizio sul punto;
3.6. osservava la Corte di cassazione, per un primo profilo, che «nessun accertamento è stato compiuto con riguardo alla cubatura complessiva oggetto dei provvedimenti amministrativi; quel che, per contro, sarebbe risultato necessario, atteso il costante indirizzo di questa Corte a mente del quale non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, "disarticolandole", quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (per tutte, Sez. 3, n. 20420 dell'8/4/2015, Esposito, Rv. 263639; Sez. 3, n. 12353 del 2/10/2013, Cantiello, Rv. 259292). Accertamento, peraltro, ancor più necessario nel caso di specie, nel quale - come da documenti allegati al ricorso - la pratica della ricorrente aveva sempre "camminato" parallelamente a quelle concernenti gli immobili dei citati Pisani - pur concernendo appartamenti differenti all'interno del medesimo condominio -, tanto che tutti i provvedimenti emessi con riguardo a questi immobili, pur da diverse autorità amministrative, riportano le medesime date»; per un secondo profilo aggiungeva, ancora, che «[l]e considerazioni appena espresse, peraltro, trovano poi ulteriore conferma con riferimento ai nulla osta paesaggistici rilasciati dalla competente Soprintendenza il 25/11/2016, e sotto un duplice profilo. Per un verso, il provvedimento è unico pur a fronte di richieste avanzate, separatamente, ancora dalla Favicchio e dai due Pisani (per tre distinti appartamenti), tali da far emergere in termini ancora più evidenti una possibile cointeressenza tra le diverse posizioni, nei termini appena richiamati, sulla quale il Collegio di appello avrebbe dovuto svolgere adeguati accertamenti. Per altro verso, poi, lo stesso provvedimento amministrativo evidenzia che, "in ogni caso, le opere risultano non assentibili se relative ed incidenti su ulteriori aree, manufatti o parte di essi abusivamente modificati/realizzati e non sanati, ed al Comune è demandata la verifica della legittimità dello stato di fatto del sito e dei manufatti esistenti.” Dal provvedimento impugnato, tuttavia, non emerge che tale verifica sia stata compiuta, e con quali esiti, sì da giustificarsi ulteriormente l'annullamento della stessa ordinanza impugnata; la quale - si ribadisce - ha accettato in modo apodittico ed immotivato le conclusioni alle quali è pervenuta l'autorità amministrativa, senza svolgere alcuna delle verifiche alle quali era invece chiamata, in forza delle considerazioni che precedono»;
3.7. con ordinanza del 23/04/2019 la Corte di appello di Napoli, giudicando in sede rescissoria, rigettava l’incidente di esecuzione disapplicando i permessi di costruire in sanatoria;
3.8. a seguito di ricorso (questa volta) di Maria Favicchio, la Corte di cassazione, con sentenza Sez. 4, n. 1713 del 17/12/2019, dep. 2020, aveva annullato l’ordinanza sul duplice rilievo della illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione e del travisamento della prova;
3.9. quanto al primo profilo (illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione), il Giudice rescindente osservava che «[l]a Corte distrettuale, invero, ha accertato che la volumetria dell'edificio complessivamente realizzato non superava i 750 metri cubi fissati dalla legge, in quanto ciascun appartamento era di 240 metri cubi ma poi, con motivazione illogica e scarsamente argomentata, ha concluso che si fosse realizzato un indebito frazionamento dell'unitario edificio, senza specificare le modalità e le caratteristiche elusive e in particolare le ragioni per cui i titoli abilitativi in sanatoria avessero natura fittizia e finalità elusiva della alla normativa urbanistica, posto che il vincolo volumetrico comunque non risulta astrattamente superato»; quanto al secondo profilo, rilevava che «[l]a Corte territoriale pare incorsa anche in un travisamento delle risultanze probatorie acquisite, con manifesta evidenza (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), e ciò alla luce della mera lettura degli atti allegati al ricorso in particolare della trascrizione della audizione del Geometra Liguori del Servizio Condono edilizio del Comune di Napoli da cui risulta: - che si tratta di un manufatto composto di tre livelli, ciascun piano è costituito da un appartamento di proprietà della Favicchio e dei due figli, Pisani Alfredo e Giuseppe, i quali hanno presentato ciascuno istanza separata per la singola unità abitativa che è accatastata separatamente; - che l'immobile può considerarsi sottoposto al raccordo Vomero-Pianura; - la valutazione di impatto sull'area è mancante in quanto l'area risulta urbanizzata ma il teste non ha saputo riferire se si tratta di immobili abusivi o per i quali è in corso sanatoria o costruiti con regolare licenza. In particolare la Corte napoletana, da un lato, ha ritenuto in maniera apodittica, senza ulteriore specificazione, che il manufatto non è sottoposto rispetto alla quota stradale, nonostante il tecnico Liguori abbia affermato che il manufatto può ritenersi sottoposto rispetto al raccordo Vomero-Pianura e, dall'altro, ha omesso l'accertamento dello stato di fatto del sito e dei manufatti ivi esistenti, al fine di valutare ed argomentare, così come richiesto nei nulla osta paesaggistici rilasciati dalla Sovraintendenza il 25.11.2016, e precisato nella sentenza di annullamento della Sez. terza di questa Corte ( par. 5), se le opere in questione sono relative ed incidenti su ulteriori aree, manufatti o parti di essi abusivamente modificati e realizzati e non sanati»;
3.10. nel frattempo, con provvedimento del 02/07/2019, il Comune di Napoli aveva annullato in via di autotutela i tre permessi; il TAR Campania, con sentenza del 03/12/2020, aveva a sua volta annullato il provvedimento di autotutela;
3.11. con ordinanza del 09/11/2021, la Corte di appello di Napoli aveva nuovamente rigettato la domanda di revoca dell’ordine di demolizione avendo, all’esito della perizia disposta in data 11/03/2021, accertato la illegittimità dei tre permessi di costruire in sanatoria a fronte dell’unicità del manufatto la cui volumetria complessiva era di mc. 1.010,96 a fronte dei mc. 720 rappresentati nelle istanze di condono;
3.12. con sentenza Sez. 3, n. 32750 del 05/05/2022, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso di Maria Favicchio avverso l’ordinanza del 09/11/2021 della Corte di appello;
3.13. con (nuovo) incidente di esecuzione, la ricorrente deduceva che:
(i) l’ordine di demolizione emesso in esecuzione della sentenza del 16/09/1997 non è conforme ai limiti perimetrali del giudicato posto che le opere oggetto della condanna sono relative alla sola parte di manufatto in soprelevazione e non alle unità abitative sottostanti;
(ii) non possono esservi comprese nè le opere edili oggetto della sentenza di condanna del 03/03/1993 del Pretore di Napoli, confermata con sentenza del 21/05/1998 della Corte di appello di Napoli (irr. il 22/09/1998), e relativo ordine di demolizione, né quelle oggetto di ulteriore sentenza di applicazione pena del 04/11/1997 del Pretore di Napoli (irr. il 05/12/1997) con relativo ordine di demolizione;
(iii) le opere oggetto della sentenza del 03/03/1993 sono quelle accertate in sede di esecuzione del sequestro del 02/07/1993; quelle oggetto della sentenza del 04/11/1997 sono quelle realizzate in prosecuzione (ed in violazione dei sigilli) ed accertate il 16/10/1993;
(iv) l’ordine di demolizione emesso in esecuzione delle due sentenze sopra indicate è stato revocato con ordinanza del 09/01/2018 del giudice dell’esecuzione (dott.ssa Daniele) sul rilievo che si trattava di abusi condonati con i permessi di costruire in sanatoria nn. 83, 84 e 85 del 05/06/2017.
4. La Corte di appello ha rigettato la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione affermando quanto segue:
4.1. la sentenza del 16/09/1997 riguardava l’intera opera abusivamente realizzata secondo quanto recitava il capo di imputazione che attribuiva alla ricorrente l’ultimazione, in assenza di concessione edilizia, del corpo di fabbrica di mq. 80 composto da due livelli fuori terra ed ulteriore piano in soprelevazione;
4.2. la condotta presa in considerazione è consistita nella realizzazione dell’opera nella sua interezza, essendo chiaro il progetto edilizio abusivo realizzato tra gli anni 1991-1993;
4.3. conferma se ne trae dal fatto che oggetto del precedente e articolato incidente di esecuzione relativa alla sentenza di cui al § 4.1 era l’immobile nella sua interezza considerato peraltro unico anche dal CT;
4.4. né è rivedibile il giudizio sulla illegittimità delle concessioni in sanatoria ormai frutto di valutazione definitivamente validata anche dalla Corte di cassazione;
4.5. la valutazione deve dunque essere unitaria perché unico è l’immobile (ed è questa, ribadisce la Corte di appello, la ragione della illegittimità dei condoni frutto di altrettanto illegittimo frazionamento delle relative richiese, così come chiaramente affermata dalla Suprema Corte);
4.6. a fronte dell’unicità dell’opera non può invocarsi l’applicazione dell’ordinanza del 09/01/2018 emessa sul presupposto della legittimità delle tre concessioni in sanatoria e che è stata travolta dall’ordinanza della Corte di appello confermata dalla Suprema Corte;
4.7. viene in rilievo, piuttosto, l’intangibilità dell’ordine di demolizione relativo al fabbricato nella sua interezza visto che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (viene citata Sez. 3, n. 21797 del 27/04/2011, Apuzzo, Rv. 250389 - 01);
4.8. inoltre, l’ordinanza del 09/01/2018 era stata emessa da giudice funzionalmente incompetente, essendo divenuta esecutiva, per ultima, la sentenza della Corte di appello, come del resto riconosciuto anche dall’ordinanza del 27/05/2013 pronunciata dal Tribunale di Napoli in funzione di giudice dell’esecuzione;
4.9. nemmeno può essere invocato il principio di proporzionalità di matrice convenzionale considerato che la ricorrente è incorsa in plurime contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e più delitti di violazione di sigilli in relazione al medesimo bene immobile ed avendo potuto avvalersi di un congruo lasso di tempo per individuare altre soluzioni abitative.
5. Tanto premesso, osserva il Collegio:
5.1. la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., è mal dedotta;
5.2. il fatto che l’autore del reato di cui all’art. 44, lett. b) o c), d.P.R. n. 380 del 2001, venga processato e condannato tante volte quante sono quelle nelle quali ha ripreso l’attività precedentemente interrotta da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nulla toglie all’unicità dell’oggetto materiale della condotta e del disegno criminoso che ne lega le singole porzioni, sicché non viola in alcun modo il divieto di un secondo giudizio il giudice che ordini la demolizione dell’intero manufatto abusivo, anche se oggetto di cognizione è solo l’ultima frazione della condotta;
5.3. del resto, l’accertata abusività delle “frazioni” precedenti “contagia” anche quelle successive con la conseguente necessità di demolire il fabbricato nella sua interezza; né - del resto - l’ordine di demolizione è una pena, sicché nemmeno si può affermare che l’autore dell’abuso venga punito più volte per lo stesso fatto;
5.4. va piuttosto ricordato che la preclusione del cd. giudicato esecutivo opera per le sole questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche per le questioni meramente deducibili, ovvero per le questioni proponibili ma non dedotte o non valutate nemmeno implicitamente nella precedente decisione definitiva (Sez. 1, n. 27712 del 01/07/2020, Paviglianiti, Rv. 279786 - 01; Sez. 1, n. 30496 del 03/06/2010, Nicolini, Rv. 279786 - 01);
5.5. nel caso di specie, le questioni relative alla unicità del fabbricato e alla legittimità dei condoni (che quell’unicità escludeva), nonché quelle relative alla competenza della Corte di appello sono già state (anche implicitamente) risolte dalla Corte di cassazione con conseguente impossibilità di riproporre le medesime questioni;
5.6. né possono essere introdotte per la prima volta questioni relative al legittimo affidamento della Favicchio sulla legittimità edilizia dell’immobile (non potendo la ricorrente lucrare sul tempo trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza in esecuzione della quale è stato emessa l’ingiunzione a demolire oggetto di odierno procedimento, né sull’artificiosità delle tre pratiche di condono), né la stessa può dedurre il legittimo affidamento di persone estranee al rapporto esecutivo instaurato a seguito della sua opposizione;
5.7. va piuttosto ribadito che l'Autorità giudiziaria, nel dare esecuzione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l'unica abitazione familiare, è certamente tenuta a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e della Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, a condizione che chi intenda avvalersene si faccia carico di allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del suo rispetto (Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, Esposito, Rv. 284627 - 01, secondo cui tali fatti, ove allegati dall'autore dell'abuso, non possono dipendere dalla sua inerzia ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell'ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia), allegazioni cui la ricorrente si è sottratta.
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 11/10/2023.