Cass. Sez. III n.39600 del 28 ottobre 2024 (UP 3 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. De Lucia
Caccia e animali.Reato di maltrattamenti di animali

Non è sufficiente a integrare il reato di cui all'art. 727 cp una qualsiasi sofferenza dell'animale; occorre anche che essa sia grave. Poiché la norma pretende una corrispondenza biunivoca tra la sofferenza dell'animale e le modalità della sua detenzione, è dall'analisi di queste ultime e dal grado di incompatibilità con la natura dell'animale stesso che deve essere desunta la gravità della sua sofferenza. Se è innegabilmente vero che il concetto di gravità della sofferenza necessario per la condotta prevista dall'art. 727 c.p., è diverso dal concetto di grave danno alla salute (dell'animale) contemplato nell'art. 544 ter c.p., è comunque indispensabile che le sofferenze cui gli animali mal custoditi devono essere sottoposti debbano raggiungere un livello tale da rendere assolutamente inconciliabile la condizione in cui vengono tenuti con la condizione propria dell'animale in situazione di benessere. Tale giudizio va espresso con riferimento alle situazioni contingenti, essendo evidente che una temporanea situazione di disagio dell'animale non può essere confusa con la situazione contra legem enunciata dall'art. 727 citato, comma 2.


RITENUTO IN FATTO

            1. Pasquale De Lucia ricorre per l’annullamento della sentenza del 15 marzo 2024 del Tribunale di Napoli che, pronunciando all’esito di giudizio abbreviato, l’ha condannato alla pena, diminuita per il rito, di seicento euro di multa perché giudicato colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv., 727-bis cod. pen., 30 lett. b), legge n. 157 del 1992, per aver detenuto tre esemplari di cardellini, rientranti nella categoria dei fringillidi, specie protetta dalla convenzione di Berna, all. II, in ambienti bui, malsani, in gabbie di ridottissime dimensioni che non consentivano loro di muoversi, piene di sterco ed in condizioni incompatibili con la loro natura selvatica. Il fatto è contestato come accertato in Napoli il 1 ottobre 2019. 
                1.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione illogica e mancante in relazione alla affermazione della sua penale responsabilità. 
Quanto al reato di cui all’art. 727-bis cod. pen., eccepisce la inapplicabilità della norma al caso di specie in virtù della clausola di riserva e della cd. clausola di esiguità che escludono, rispettivamente, il concorso formale con un qualsiasi reato più grave (nel caso in esame quello di cui all’art. 30, lett. b, legge n. 157 del 1992) e la irrilevanza penale in caso di detenzione di una quantità trascurabile di esemplari.
Quanto al reato di cui all’art. 30, lett. b, legge n. 157, cit., lamenta la mancata spiegazione delle ragioni per le quali le piccole gabbie cd. “cinciarelle” sarebbero incompatibili con la natura degli uccelli e tali da arrecare loro un danno.
                1.2. Con il secondo motivo deduce l’illegalità della pena in conseguenza della erronea applicazione degli artt. 133 cod. pen. e 442 cod. proc. pen., osservando che: a) è stata erroneamente applicata la multa, laddove i reati sono puniti con l’ammenda, pena che avrebbe dovuto essere ridotta della metà ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen.; b) il reato più grave è quello di cui all’art. 30, legge n. 157 del 1992 e non quello di cui all’art. 727-bis cod. pen.   


CONSIDERATO IN DIRITTO

            2. Il ricorso è fondato

            3. Non è in contestazione che il ricorrente detenesse illecitamente tre esemplari di cardellino rinchiusi in piccole gabbie dette “cinciarelle”.
                3.1. L’art. 727-bis, comma primo, cod. pen. punisce con la pena dell’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro chiunque, fuori dei casi consentiti, uccide cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta. Il fatto è punito salvo che costituisca più grave reato, sempre che l’azione non riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto altrettanto trascurabile sullo stato di conservazione della specie.
                3.2. La clausola di riserva impone di verificare il rapporto del reato in questione con quello di cui all’art. 30, lett. b), legge n. 157 del 1992, che punisce con l'arresto da due a otto mesi o l'ammenda da euro 774 a euro 2.065 chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell'elenco di cui all'art. 2 della stessa legge (fauna selvatica che è patrimonio indisponibile dello Stato e comprende le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale). Sono espressamente oggetto di tutela anche gli animali indicati dalla Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva in Italia con legge n. 503 del 1981; tra questi, l’allegato II della Convenzione indica i cardellini (appartenenti alla famiglia dei fringillidi).
                3.3. La Corte di cassazione ha costantemente affermato che, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 30, comma primo, lett. b), legge n. 157 del 1992, rientrano tra le specie particolarmente protette "ex" art. 2, comma primo, lett. c) l. cit., gli esemplari di animali a rischio di estinzione inclusi nell'allegato II della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, recepita con legge 5 agosto 1981, n. 503 (Sez. 3, n. 16441 del 16/03/2011, Feroldi, Rv. 249859 - 01; Sez. 3, n. 23931 del 27/05/2010, Fatti, Rv. 247798 - 01; Sez. 3, n. 11773 del 19/01/2023, Vizzì, non mass.; Sez. 3, n. 13341 del 27/02/2020, Baresi, non mass.; Sez. 3, n. 1579 del 22/10/2019, dep. 2020, Melissari, non mass.). Non è richiesto l'accertamento della minaccia di estinzione della specie, essendo sufficiente che essa sia "particolarmente protetta", ai sensi dell'art. 2 cit., secondo cui tali sono non solo le specie minacciate in via di estinzione, ma anche quelle espressamente indicate nelle lett. a) e b), della stessa norma e quelle la cui specificazione proviene da altre fonti normative (Sez. 3, n. 734 del 10/10/2018, Bonelli, Rv. 274569 - 01, in fattispecie relativa alla detenzione ed utilizzazione, quali richiami vivi, di una passera scopaiola ed un lucherino ed alla cattura di un esemplare di frosone, animali inclusi nell'allegato II della Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa, adottata a Berna il 19 settembre 1979, recepita con legge 5 agosto 1981, n. 503).
                3.4. L’art. 727-bis cod. pen. è stato introdotto dall’art. 1, d.lgs. n. 121 del 2011, che ha attuato la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, nonché la direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi.
                3.5. Il comma 2 dell’art. 1, d.lgs. n. 121, cit., stabilisce che, ai fini dell'applicazione dell'articolo 727-bis del codice penale, per specie animali o vegetali selvatiche protette si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CEE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE. I cardellini sono contemplati nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE (DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO concernente la conservazione degli uccelli selvatici).
                3.6. La detenzione, dunque, di cardellini costituisce reato tanto ai sensi dell’art. 30, lett. b), legge n. 157 del 1992, quanto ai sensi dell’art. 727-bis cod. pen.
                3.7. Poiché il reato di cui all’art. 30, cit., è punito più severamente di quello di cui all’art. 727-bis cod. pen. ne consegue che, in attuazione della clausola di salvezza di cui al primo comma di quest’ultimo articolo, trova applicazione solo l’art. 30 legge n. 157 del 1992. A maggior ragione se si considera la clausola di esiguità che limita l’applicazione dell’art. 727-bis cod. pen. ai soli casi in cui l’azione riguardi una quantità non trascurabile degli esemplari protetti o abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della relativa specie, clausola che costituisce trasposizione letterale di quella contenuta nell’art. 3, lett. f), della direttiva 2008/99/CE e che indica una soglia di offensività che limita l’operatività del precetto penale.
                3.8. Non si può negare che, nel caso di specie, la condotta riguardi una quantità trascurabile di uccelli protetti né che abbia avuto un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie.
                3.9. Di conseguenza, il reato di cui all’art. 727-bis cod. pen. non sussiste.
                3.10. Appare tuttavia evidente che oggetto di contestazione (e di condanna) non è il reato di cui all’art. 727-bis, bensì quello di cui all’art. 727, secondo comma, cod. pen., essendo del tutto estranee alla fattispecie di cui all’art. 727-bis cit. le modalità di detenzione degli animali.
                3.11. Deve escludersi, pertanto, che il ricorrente sia stato condannato per un fatto diverso da quello descritto, né che sia stato compresso l’esercizio del diritto di difesa (compressione nemmeno dedotta). In tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv. 216430 - 01; Sez. 1, n. 30141 del 05/04/2019, Poltrone, Rv. 276602 - 01; Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, Russo, Rv. 258920 - 01; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772 - 01; Sez. 4, n. 39533 del 17/10/2006, Romano, Rv. 235373 - 01; Sez. 5, n. 44707 del 09/11/2005, Bombagi, Rv. 233069 - 01). Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del fatto in considerazione della detenzione dei tre cardellini in gabbie di piccole dimensioni (le ha qualificate “cinciarelle”).
                3.12. Il ricorrente se ne duole lamentando la carenza motivazione sul punto.
                3.13. Il rilievo è fondato.
                3.14. La mera detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura (e di certo la detenzione in gabbia di un uccello lo è) non è sufficiente alla integrazione del reato di cui all’art. 727, comma primo, cod. pen., essendo altresì necessario che tali condizioni siano anche produttive di sofferenze qualificabili come gravi.
                3.15. La Corte di cassazione ha affermato, al riguardo, che ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 727 cod. pen., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell'animale, ma anche in quella che produce meri patimenti, come tenere un portamento innaturale, tale da impedire o rendere difficoltosa la deambulazione o il mantenimento della posizione eretta e stabile (Sez. 3, n. 14734 del 08/02/2019, Capelloni, Rv. 275391 - 01, in fattispecie relativa alla detenzione di asini che, a causa della eccessiva lunghezza delle unghie delle zampe, avevano difficoltà di deambulazione e postura innaturale; Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, dep. 2008, Mollaian, Rv. 238602 - 01, che ha ravvisato il reato nel fatto di avere tenuto per circa un'ora un cane all'interno di un'autovettura parcheggiata in pieno sole e con una temperatura esterna di circa trenta gradi; Sez. 3, n. 24330 del 04/05/2004, Brao, Rv. 229429 - 01, secondo cui integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen. il comportamento di chi, vantando la proprietà di un cane, lo prelevi dal luogo ove esso si trova e, dopo averlo rinchiuso nel bagagliaio della propria auto di piccole dimensioni, lo trasporti per un apprezzabile lasso di tempo, da un luogo ad un altro, ciò in quanto la restrizione del cane in un ambiente inidoneo, benché non accompagnata dalla volontà di infierire su esso, incide sulla sensibilità dell'animale provocandogli un'inutile sofferenza).
                3.16. La valutazione di gravità della sofferenza va effettuata avendo riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 7, n. 46560 del 10/07/2015, Francescangeli, Rv. 265267; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, Garnero, Rv. 262529 - 01; Sez. 3, n. 37859 del 04/06/2014, Rainoldi, Rv. 260184 - 01).
                3.17. Più in generale, il reato di maltrattamenti di animali, anche nella formulazione novellata di cui all'art. 727 cod. pen., consiste non soltanto in quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale (Sez. 3, n. 52031 del 04/10/2016, Bartozzi, Rv. 268778 - 01).
                3.18. La natura "grave" delle sofferenze, quale conseguenza delle modalità della detenzione dell'animale, pone un limite all'applicabilità della norma incriminatrice di cui costituisce elemento costitutivo. Tale requisito (la qualificazione di gravità) non era espressamente previsto nella previgente formulazione dell'art. 727, cod. pen., che puniva puramente e semplicemente la detenzione dell'animale in condizioni incompatibili con la sua natura (il che ha indotto alcuni Autori a stigmatizzare il sostanziale arretramento di tutela).
                3.19. Tuttavia, anche in precedenza, la Corte di cassazione aveva affermato che «l'ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non può prescindere, per la sua configurabilità, dalla presenza dell'elemento della sofferenza, intesa come lesione dell'integrità fisica dell'animale. E tale sofferenza, che deve caratterizzare la condotta, deve risultare da una prova adeguata, non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Invero, sotto il profilo dell'interpretazione letterale, non può trascurarsi che la rubrica dell'art. 727 cod. pen. è, pur nel nuovo testo, intitolata “maltrattamento di animali", il che se non altro dimostra la "ratio" della disposizione di perseguire condotte caratterizzate da una componente di lesività dell'integrità fisica; inoltre, una interpretazione che prescindesse dal collegamento con il concetto di sofferenza, condurrebbe a conseguenze palesemente irrazionali, e quindi contrastanti con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.: se fosse sanzionabile la semplice detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, di per sé sola e dunque in assenza di sofferenza fisica degli animali stessi, qualsivoglia detenzione, a prescindere dal luogo, dalle modalità, dalla durata e dagli scopi della stessa, si porrebbe, per ciò stesso, in contrasto col precetto penale, dal momento che si tradurrebbe, inevitabilmente, in una privazione della libertà dell'animale, e quindi contrasterebbe inevitabilmente con la natura dell'animale stesso, istintivamente propenso a vivere in libertà. Oltre che con l'art. 3 Cost., una interpretazione della disposizione in questione svincolata dalla sussistenza della sofferenza potrebbe porsi, per la latitudine indefinita della condotta contemplata, anche in contrasto con il principio di tassatività delle fattispecie penali, di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.» (così, molto lucidamente, Sez. 3, n. 601 del 01/10/1996, Dal Prà, Rv. 206821; nello stesso senso Sez. 3, n, 139 del 13/11/2000, Moreschi, Rv. 218697). Tale principio era però contrastato da altre pronunce secondo cui, invece, «l'elemento della sofferenza fisica, connaturato all'ipotesi di incrudelimento e sevizie, non è necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare quella di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali. Peraltro, l'elemento della incompatibilità naturalistica della detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, così ottemperando al principio di legalità di cui all'art. 25, comma 2, Cost.» (così, Sez. 3, n. 1353 del 19/11/1997, Losi, Rv. 209795).  Nelle intenzioni del legislatore del 2004 l'inserimento, nella nuova fattispecie di reato, del requisito della "sofferenza" (fisica o psichica), esprime con chiarezza la scelta di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non più indiretta sol perché oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro (come invece continua a ritenere una parte della dottrina in considerazione della collocazione codicistica della norma). Conseguentemente, il concetto di "gravità" della sofferenza (che è certamente meno intensa dello "strazio" di cui all'art. 544-ter, cod. pen.) risponde a un'esigenza di certezza e maggior determinatezza della fattispecie altrimenti esposta alle mutevoli sensibilità soggettive dei consociati e dello stesso giudice chiamata ad applicarla, soprattutto quando si tratta di sofferenze interiori, non essendo revocabile in dubbio che la sofferenza può ben consistere anche in soli patimenti (Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, Mollaian, Rv. 238602). Il predicato della "gravità", da questo punto di vista, assolve al compito di rendere oggettiva e quanto più socialmente condivisa la sofferenza percepita dall'animale a causa delle condizioni in cui viene detenuto, sacrificando sull’altare della necessaria offensività e oggettività del reato situazioni di sofferenza che non superano la soglia di plateale evidenza (cfr., in tema, Sez. 3, n. 175 del 2007, cit., secondo cui «i concetti indicati nell'art. 727 c.p. di “condizioni incompatibili con la loro (degli animali) natura" e di "produttive di gravi sofferenze" sono ormai di percezione comune, essendo entrati a far parte della ‘sensibilità della comunità. Per cui il fatto non appare indeterminato della sua tipicità»). La gravità della sofferenza individua in molte legislazioni regionali il discrimine tra la condotta penalmente sanzionata e quella integrante illecito amministrativo. 
                3.20. Non è, in conclusione, sufficiente a integrare il reato una qualsiasi sofferenza dell'animale; occorre anche che essa sia grave. Poiché la norma pretende una corrispondenza biunivoca tra la sofferenza dell'animale e le modalità della sua detenzione, è dall'analisi di queste ultime e dal grado di incompatibilità con la natura dell'animale stesso che deve essere desunta la gravità della sua sofferenza (cfr., sul punto, quanto condivisibilmente affermato da Sez. 3, n. 8676 del 16 luglio 2013, dep. il 24/02/2014, n.m., secondo cui «se è innegabilmente vero che il concetto di gravità della sofferenza necessario per la condotta prevista dall'art. 727 c.p., è diverso dal concetto di grave danno alla salute (dell'animale) contemplato nell'art. 544 ter c.p., è comunque indispensabile che le sofferenze cui gli animali mal custoditi dovessero essere sottoposti debbano raggiungere un livello tale da rendere assolutamente inconciliabile la condizione in cui vengono tenuti con la condizione propria dell'animale in situazione di benessere. Tale giudizio va espresso con riferimento alle situazioni contingenti, essendo evidente che una temporanea situazione di disagio dell'animale non può essere confusa con la situazione contra legem enunciata dall'art. 727 citato, comma 2»).
                3.21. Nel caso di specie, il Tribunale sembra ancorare la gravità della sofferenza alla detenzione degli uccelli in gabbie delle quali, però, non vengono nemmeno descritte le dimensioni, laddove l’editto accusatorio non solo sollecitava il giudice a riscontrarne l’effettiva grandezza (definendole di ridottissime dimensioni) ma aggiungeva gli ulteriori temi (inesplorati) delle caratteristiche dell’ambiente nel quale le gabbie erano detenute e del fatto che fossero piene di sterco.
                3.22. Le considerazioni che precedono, che militano a favore dell’accoglimento del primo motivo e dell’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, rendono superfluo l’esame del secondo motivo, peraltro anch’esso fondato considerato che: a) è stato erroneamente considerato più grave il reato di cui al capo B; b) entrambi i reati sono puniti con la pena dell’ammenda (e non con la multa); c) trattandosi di contravvenzioni la pena doveva essere ridotta della metà (art. 442, comma 2, cod. proc. pen.)


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo b) dell'imputazione, riqualificata la condotta ai sensi dell'art. 727 c.p., e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli in diversa composizione.
Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo a).
Così deciso in Roma, il 03/10/2024.