Cass. Sez. III n. 45250 del 10 dicembre 2024 (CC 6 nov 2024)
Pres. Di Nicola Est. Bucca Ric. PM in proc.Luciano
Urbanistica.Nozione di totale difformità

Si è in presenza di una difformità totale rispetto all'organismo edilizio assentito "allorché si costruisca "aliud pro alio", e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico- sociale. Nell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico". Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto; il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l'accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale

RITENUTO IN FATTO

1.  Con decreto in data 4/6/2024 il GIP del Tribunale di Tempo Pausania dispose il sequestro preventivo della “parte di cantiere che comprende l'organismo edilizio denominato appartamento n.11, la relativa cantina 11 attraverso una porta di dimensioni m. 0,70 x m. 2,10 e un collegamento con la veranda coperta dell'appartamento 11 entrambi pari quota e conseguentemente i relativi piani sovrastanti 2 e 3 evidenti, ma anche un altro accesso esterno di dimensioni m. 1,00 x m. 2,10 realizzato nella parte Ovest; il tutto inserito all'interno del terreno distinto all' Agenzia delle Entrate - Servizi Catastali nel Comune Censuario di Olbia N.C.T. al Foglio 26 particelle 1565 - 3146-3145 -3144 -3143 -3433, nei confronti di Luciano Antonio, Deretta Antonio e Le Than Phan” indagati in relazione ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44 lett. c) e 181 comma 1 lett. a) d.lvo 42/04 ritenendo che si fosse in presenza di difformità totali rispetto a quanto autorizzato e assentibile.
2.   Con ordinanza in data 25/6/2024 il Tribunale di Sassari, adito ex art. 324 cod. proc. pen. limitò il vincolo cautelare solo in relazione alla cantina revocando il vincolo in relazione alla restante parte dell’immobile.
3. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania denunciando la violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione rilevando che la totale difformità riguardava “l’intero organismo edilizio sovrastante l’appartamento 11” in quanto lo stesso violava le previsioni del P.R.U. (Piano di Risanamento Urbanistico) di Pittulongu. Si assume, infatti, che, per effetto della trasformazione del locale cantina in volumetria sfruttabile ai fini residenziali, il fabbricato risultava articolato in tre piani, misurati dal prospetto a valle, a fronte dei due assentibili in base allo strumento urbanistico. Si espone, al riguardo, che il locale denominato “l’interrato cantina app. 11" “è di fatto un locale non interrato, aeroilluminato e con scorcio vista mare, potenzialmente utilizzabile come ampliamento dell'appartamento ad esso collegato internamente e attraverso la veranda coperta oltre a essere dotato di accesso indipendente”. Si sostiene, quindi, che si è in presenza di una variazione essenziale che comportava autonomamente la “totale difformità dell’intervento edilizio” e che sotto tale profilo era ravvisabile la violazione di legge che giustificava l’annullamento del provvedimento impugnato.
4. Con memoria difensiva, il difensore di Luciano Antonio ha contestato le censure del PM, rilevando che l’edificio, compresa la cantina, erano stato “regolarmente autorizzati dall’Amministrazione comunale per cui non era configurabile alcuna variazione essenziale”. Ha, quindi, contestato che la cantina ancora in sequestro sia collegata con i piani sovrastanti per cui l’eventuale abuso “va ricercato unicamente nell’apertura realizzata fronte mare della cantina, difformità che la chiusura dell’apertura e il reinterro già previsto in progetto, farebbero venir meno”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.
1. In via preliminare, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez.  2, n. 18951 del 14/3/2017,Napoli, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710). 
2. Venendo al caso in esame, il provvedimento del GIP dà atto che la cantina in sequestro è collegata “tramite una porta di dimensioni di m 0,70 per 2,10” all’appartamento 11 nonché alla “veranda coperta”. Anche l’ordinanza del riesame fa riferimento a un collegamento interno del locale cantina con l’appartamento diverso dal collegamento con la cantina.
Si è, quindi, in presenza, con riferimento alla porzione di edificio assentita come cantina, a un organismo edilizio sfruttabile ai fini residenziali, non previsto nei progetti approvati, avente una propria autonomia non soltanto sul piano costruttivo ma anche su quello della valutazione economico sociale che integra, nella ricostruzione recepita dai giudici della cautela, una difformità totale.
3. Questa Corte, anche di recente, muovendo dal consolidato principio secondo cui “in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 21192 del 04/04/2023, Orlando, Rv. 284626 — 01), ha ribadito che si è in presenza di una difformità totale rispetto all’organismo edilizio assentito “allorché si costruisca "aliud pro alio", e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale”. Precisa, altresì, la sentenza che nell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001: “a) l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico". Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto; b) il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l'accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale” (Sez. 3, n. 10238 del 15/02/2024, Hoxha, Rv. 286038 – 01).
4. Tale approdo interpretativo, assolutamente consolidato (Sez. 3, n. 46475 del 13/7/2017, Zeppola, Rv. 271172 – 01; Sez. 3, n. 11956 del 22/12/2010,  (dep. 2011 ), Cadau, Rv. 249774 – 01), nel caso in esame, è reso ancor più stringente dal vincolo che tutela l’area dell’intervento che impone di ricondurre al reato edilizio delineato nella preliminare rubrica la trasformazione del locale cantina anche qualora la si qualifichi in termini di difformità parziale, in forza della previsione dell’art. 32, comma 3 d.P.R. 380/01 ( Cass. n. 16392 del 17/2/2010, Santonicola, Rv. 246960; Sez. 3, n. 41091 del 29/9/2011, Dell’Aguzzo; Sez. 3, n. 32736 del 18/9/2020, Yakubowskiy).
5. Da questi principi il Tribunale non si discosta esplicitamente dimostrando, anzi, di condividerli laddove conclude per la sussistenza del “fumus dei reati ipotizzati dal PM” richiamando la previsione dell’art. 32 del d.P.R. 380/2001 e valorizzando il vincolo presente sull’area dell’intervento.
La conclusione appena enunciata assume un’incidenza determinante sul giudizio relativo alla completezza dell’apparato motivazionale fondante la decisione.
6. L’ordinanza rappresenta che sussiste l’esigenza di evitare che la libera disponibilità del manufatto possa “agevolare la commissione di ulteriori condotte incidenti negativamente sull’ambiente, anche in ragione dell’aggravio del carico urbanistico”. 
Seguendo il percorso logico del Tribunale, quindi, tale pericolo non può che essere collegato all’intero organismo edilizio colpito dal decreto del GIP in quanto, per effetto della trasformazione della cantina in volumetria sfruttabile a fini residenziali, lo stesso presentava caratteristiche planivolumetriche e funzionali non corrisponde a quanto assentito e agli strumenti urbanistici.
Da tali premesse sarebbe dovuta discendere la conferma del provvedimento impugnato e, invece, il Tribunale, sottraendosi totalmente all’obbligo motivazionale cui era gravato, ha ritenuto che, per il principio di proporzionalità ed adeguatezza, l’esigenza cautelare poteva essere soddisfatta mantenendo in vincolo solo su una parte di quell’organismo edilizio che, poco prima, richiamando l’art. 32 del d.P.R. citato, aveva ritenuto costituisse aliud pro alio rispetto a quanto assentito.
Si è, quindi, in presenza di un salto logico nel discorso motivazione avente un’incidenza decisiva sull’esito del giudizio che impone l’annullamento del provvedimento con rinvio al Tribunale di Sassari per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sassari competente ai sensi dell’art. 324, co.5, c.p.p.
Così deciso, il 6/11/2024