La definizione unica e molteplice di biomassa
di Alberto PIEROBON
La sentenza del TAR Piemonte, sez. I, 5 giugno 2009, n. 1563 risulta interessante sotto vari profili:
- sul concetto di trattamento meccanico (posto che il decreto Bersani 16.3.1999, n. 79 faceva rientrare nelle fonti rinnovabili anche la trasformazione dell’energia elettrica dai prodotti vegetali non trattati chimicamente) distinto dal trattamento chimico e fisico: siccome, nella fattispecie esaminata dalla prefata sentenza, si trattava di usare in un impianto a biomasse del legno a scarto naturale, cippato e denattanizzato (ovvero privato del tannino), assieme a segatura, cortecce e scarto di legno, le operazioni di lavaggio ad acqua calda (112°), lo strizzaggio meccanico e l’essiccazione a vapore potevano forse connotare un “trattamento” (requisito della lavorazione esclusivamente meccanica) tale da far ravvisare operazioni di recupero (d.m. 5.2.1998 ss.mm. e ii.) e quindi l’esistenza di un rifiuto? Con la conseguente, relativa, applicazione di disciplina;
- le competenze degli enti locali in materia energia rinnovabile: le regioni promuovono la sostenibilità ambientale ovviamente: non limitata ai singoli impianti, eccetera e nemmeno limitata al solo patrimonio boschivo, verde pubblico e attività agricole (all. X°, parte V, del d.lgs. 152/2006, parte II, sez. IV, lett. d)). La provincia qui avrebbe un ruolo di programmazione (ex art. 51 del d.lgs. 112/1998) avendo ritenuto favorire la produzione di energia elettrica dalle biomasse provenienti dall’agricoltura locale (ovvero considerandosi lo inquinamento da trasporto, ecc.). Avendo la provincia una funzione di promozione ed incentivazione dell’energia elettrica tramite le biomasse, potrebbe emanare, in parte qua, linee guida;
- il concetto di sottoprodotto: laddove si tratti di un processo unico, integrale, di produzione dove avviene anche l’estrazione del tannino, non si ravvisa il recupero del cit. d.m.;
- esistono più definizioni di biomassa, ognuna funzionale ad una determinata disciplina: dei rifiuti e dell’energia vedasi la sentenza del TAR Piemonte n. 1563/2009 dove se venisse utilizzato il d.m. 5 febbraio 1998 si arriverebbe “alla conclusione paradossale che i semplici scarti di legno vergine, sulla cui idoneità a costituire biomasse nulla hanno da eccepire le amministrazioni resistenti, essendo annoverati ad altri fini quali «rifiuti» al punto 9.2. del d.m. in questione non possono costituire biomassa per l’alimentazione di una centrale elettrica”……. “anche veri e propri rifiuti, purché biodegradabili, sono certamente suscettibili di utilizzazione quali biomasse in centrali di produzione di energia”. Parlando di sottoprodotto “il coordinamento delle due politiche non si r ealizza ipotizzando una reciproca esclusione tra il concetto di biomassa fonte di energia rinnovabile e il concetto di rifiuto […]. Il coordinamento delle due politiche meglio si comprende come possibile nella sua dinamica se si considera il criterio soggettivo di individuazione del rifiuto ricavabile dalla giurisprudenza comunitaria che può garantire e spiegare la coesistenza parallela delle due politiche”. In altri termini: non c’è una natura intrinseca del materiale, ma occorre lumeggiare col criterio e la lettura del “complesso delle circostanze”: così Jan MAZAK Conclusioni dell’Avvocato Generale del 22 marzo 2007, nella causa C-195/05.
- la frizione tra la impostazione adottata dalla provincia e la libera circolazione delle merci ex art. 28 del Trattato Ue;
- il modulo della Conferenza di servizi ex art. 12 d.lgs. 387/2003 che deve concludersi entro 180 giorni;
- la direttiva 77/2001/Ce: nel nono considerando non si pregiudica da parte degli Stati l’utilizzo delle definizioni di biomassa (il nono considerando della direttiva specifica: “la definizione di biomassa utilizzata nella presente direttiva lascia impregiudicato l'utilizzo di una definizione diversa nelle legislazioni nazionali per fini diversi da quelli della presente direttiva.”) ecco confermata la… molteplicità delle definizioni come consentite e tollerate dal sistema: quindi a quale fine e in quale contesto la definizione di biomassa va ricostruita per pervenire ad una corretta sua definizione? In particolare l’art. 267, comma 4, del d.lgs. 152/2006 richiama l’articolo 2, lett. b), della direttiva n. 2001/77/CE, la quale ultima disposizione così definisce la “biomassa”: “b) & laquo;biomassa» la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”;
- attuata con la disciplina promozionale dell’art. 2 del d.lgs. 387/2003 la definizione “speciale” di biomassa, posto che, appunto, in sede definitoria anche l’art. 2 del d.lgs. 387/2003 riprende testualmente la direttiva e stabilisce “per biomassa si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura - comprendente sostanze vegetali e animali - e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”;
- l’allegato X° al d.lgs. 152/2006 con le definizioni pregresse di biomassa (si badi: diverse dalla direttiva n. 2001/77) (1). Successivamente il comma 1 dell’art. 17 è stato abrogato (in seguito censura Ue) dall’art. 1, comma 1120, lett. a), della legge 27.12.2006, n. 296, per cui la sola lettura del comma 2, come rimasto, deve essere “contestualizzato, la lettera c) esclude dalle fonti rinnovabili i prodotti energetici che non rispettano le caratteristiche del d.P.C.M. 8 marzo 2002 ss.mm. ii.;
- alle diverse logiche settoriali: nella normativa “non rifiuti” si promuove il ricorso a tecnologie finalizzate al risparmio energetico e al rispetto dell’ambiente (2), nella normativa rifiuti permane la tutela della salute umana e dell’ambiente (3), considerando il materiale di cui trattasi, appunto, di rifiuto e quindi da assoggettare alle più rigorose e rigide regole gestionali;
- per il coordinamento della politica sull’energia e della politica su rifiuti: viene ad essere valorizzato il criterio soggettivo di rifiuto. In pratica occorre partire ancora dalla qualificazione di rifiuto (in particolare, oltre la sua definizione, la esclusione (4), utilizzando anche i concetti di “fuoriuscita” dalla disciplina, quali, per esempio: il sottoprodotto e la materia prima secondaria);
- risulta quindi necessario utilizzare criteri indiziari, valutando le circostanze del caso specifico …
- emerge qui, ancora, la tematica del riutilizzo (posto che il recupero e lo smaltimento, com’è noto, “confermano” l’esistenza – giuridica - di un rifiuto) e quindi: 1) la sua effettività (obiettivamente parlando, cioè con il requisito dell’utilizzo certo e non eventuale, da valutarsi anche con criterio postumo, ovvero non prognostico); 2) la non ricorrenza della c.d. trasformazione preliminare (di cui sopra); 3) che il riutilizzo avvenga nella continuità del processo di produzione; 4) comunque sia l’assenza di pregiudizio alla salute e all’ambiente.
--------
(1) Non del tutto pertinente è allora l’eventualmente diversa definizione ricavabile dal d.lgs. 152/2006 e relativo allegato X alla parte V (ovvero dal d.p.c.m. 8.3.2002, come modificato dal d.P.C.M. 8.10.2004, in tema di “disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione”, dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile all’allegato X del d.lgs. 152/2006), non dettata in attuazione specifica della direttiva in materia di fonti rinnovabili di energia e dunque tale da scontare il possibile equivoco di presupporre diverse definizioni di biomassa. È infatti pur vero che l’art. 267, comma 4, del d.lgs. 152/2006 formula espresso richiamo alla direttiva 2001/77/CE e al d.lgs. 387/2003, ciò tuttavia avviene senza per altro modificare il contenuto di quest’ultimo, inclusa la definizione di cui all’art. 2, che dunque continua a sussistere; questa ultima definizione di biomassa può definirsi “speciale” alla luce di quanto evincibile dai considerando della direttiva; vero è allora che, se nell’allegato X del d.lgs. 152/2006 si riprende una pregressa definizione di biomassa anche non del tutto congruente con quella evincibile dalla direttiva 77/2001, per le ragioni già esposte, quest’ultima e solo questa sarà la norma rilevante quando venga in causa l’applicabilità della disciplina promozionale dettata dal d.lgs. 387/2003. D’altro canto la configurabilità come “rifiuto” di una sostanza non esclude l’applicabilità alla medesima, in una fase successiva, della normativa afferente le fonti di energia rinnovabili per quella parte di “rifiuti biodegradabili” che sono infatti espressamente contemplati dalla direttiva 77/2001 e quindi dal d.lgs. 387/2003.
(2) Vedi TAR Sicilia, sez. I, 19.1.2006, n. 158, in Rivista Giuridica Ambiente, 2006, nn. 3-4.
(3) G. Strambi, Profili giuridici, in Produzione di energia da fonti rinnovabili. 3 -Le strategie. Aspetti economici e giuridici, Firenze, 2007, pp. 79-80.
(4) Vedi anche art. 185, comma 2, del d.lgs. 152/2006 dove si considerano sottoprodotti (nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 183, comma 1, lett. p)) i “materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore o biogas”.