TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, n. 183, del 5 maggio 2014
Rifiuti.Illegittimità ordini di messa in sicurezza, esclusi quelli emanati in relazione alle attività di manutenzione delle tubazioni e ai relativi scavi

Il principio comunitario che accolla al colpevole dell’inquinamento l’onere di porvi rimedio, sia con misure di bonifica sia di messa in sicurezza, non può essere inteso come assoluto ma va contemperato con gli altri principi di precauzione, prevenzione e tutela dell’ambiente, per cui al proprietario ancorché non responsabile della situazione di inquinamento illecito si possono accollare limitati e definiti oneri di realizzazione di misure precauzionali, soprattutto in occasione di interventi gestionali e manutentivi sulla zona, e ovviamente previa congrua istruttoria e motivazione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00183/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00499/2006 REG.RIC.

N. 00557/2006 REG.RIC.

N. 00045/2007 REG.RIC.

N. 00427/2007 REG.RIC.

N. 00158/2008 REG.RIC.

N. 00546/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 499 del 2006, proposto dalla: 
Societa' Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa.-S.I.O.T., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Pasino, Marcello Clarich, Massimo Pasino e Stefano Gattamelata, con domicilio eletto presso il terzo, in Trieste, via San Nicolo' 19;

contro

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3; 
Ministero della Salute, Min. Sviluppo Economico (Ex Min. Attivita' Produttive), Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di San Dorligo della Valle, Ente Zona Industriale di Trieste - E.Z.I.T.;

 

sul ricorso numero di registro generale 557 del 2006, proposto dalla: 
Societa' Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa-S.I.O.T., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Pasino, Marcello Clarich, Massimo Pasino e Stefano Gattamelata, con domicilio eletto presso il terzo, in Trieste, via San Nicolo' 19;

contro

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3; 
Ministero della Salute, Min. Sviluppo Economico (Ex Min. Attivita' Produttive), Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di San Dorligo della Valle, Ente Zona Industriale di Trieste - E.Z.I.T., Comune di Trieste, Comune di Muggia;

 

sul ricorso numero di registro generale 45 del 2007, proposto da: 
Societa' Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa.-S.I.O.T., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Pasino, Marcello Clarich, Massimo Pasino e Stefano Gattamelata, con domicilio eletto presso il terzo, in Trieste, via San Nicolo' 19;

contro

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3; 
Ministero della Salute, Min. Sviluppo Economico (Ex Min. Attivita' Produttive), Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di San Dorligo della Valle, Ente Zona Industriale di Trieste - E.Z.I.T., Comune di Trieste, Comune di Muggia, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Capitaneria Porto Trieste, Autorita' Portuale di Trieste, Icram-Ist.Centr.Ricerca Scien. Tecnolog. Applicata al Mare;

 

sul ricorso numero di registro generale 427 del 2007, proposto dalla: 
Societa' Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa - S.I.O.T., rappresentata e difesa dagli avv.ti Marcello Clarich, Stefano Gattamelata, Angelo Pasino e Massimo Pasino, con domicilio eletto presso l’ultimo, in Trieste, via San Nicolo' 19;

contro

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3; 
Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di Trieste, Comune di San Dorligo della Valle, Comune di Muggia, Apat - Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e Per i Servizi Tecnici, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Friuli Venezia Giulia, Iss - Istituto Superiore di Sanita', Asl 101 - Triestina, Autorita' Portuale di Trieste, Capitaneria di Porto di Trieste, Icram - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, Enea - Ente Per Le Nuove Tecnologie, L'Energia e L'Ambiente, Ispesl - Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza Sul Lavoro, C.C.I.A.A. di Trieste;
Acegas Aps Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessia Casali, Gigliola Bridda e Mauro Drigo, con domicilio eletto presso la prima, in Trieste, c/o Acegas-V.Teatro 5;

nei confronti di

Ezit - Ente Zona Industriale di Trieste, Sviluppo Italia Aree Produttive Spa;

 

sul ricorso numero di registro generale 158 del 2008, proposto dalla: 
Societa' Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa - S.I.O.T., rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Gattamelata, Angelo Pasino, Massimo Pasino e Marcello Clarich, con domicilio eletto presso il terzo, in Trieste, via San Nicolo' 19;

contro

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3; 
Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di San Dorligo della Valle, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Friuli Venezia Giulia, Apat - Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e Per i Servizi Tecnici, Iss - Istituto Superiore di Sanita', Enea - Ente Per Le Nuove Tecnologie, L'Energia e L'Ambiente, Autorita' Portuale di Trieste, Comune di Trieste, Comune di Muggia, Icram-Ist. Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare;

nei confronti di

Acegas-Aps Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessia Casali, Gigliola Bridda e Mauro Drigo, con domicilio eletto presso la prima in Trieste, c/o Acegas-V.Teatro 5; 
Ezit-Ente Zona Industriale di Trieste, Sviluppo Italia Aree Produttive Spa;

 

sul ricorso numero di registro generale 546 del 2008, proposto dalla: 
Societa' Italiana per l'Oleodotto Transalpino Spa -S.I.O.T., rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Gattamelata, Angelo Pasino, Massimo Pasino e Marcello Clarich, con domicilio eletto presso il terzo, in Trieste, via San Nicolo' 19;

contro

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3; 
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di San Dorligo della Valle, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Friuli Venezia Giulia, Apat-Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e Per i Servizi Tecnici, Iss - Istituto Superiore di Sanita', Enea - Ente Per Le Nuove Tecnologie, L'Energia e L'Ambiente, Autorita' Portuale di Trieste, Comune di Trieste, Comune di Muggia, Icram - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al, Ministero della Salute;

nei confronti di

Acegas Aps Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessia Casali, Gigliola Bridda e Mauro Drigo, con domicilio eletto presso la prima in Trieste, c/o Acegas-V.Teatro 5; 
Ezit-Ente Zona Industriale di Trieste, Sviluppo Italia Aree Produttive Spa;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 499 del 2006:

-dei provvedimenti adottati nella conferenza di servizi decisoria, dd. 7 settembre 2006 nonchè del relativo verbale, comunicato con lettera dd. 18 settembre 2006, nella parte in cui ha deliberato l'estensione della perimetrazione del Sito di Interesse Nazionale SIN di Trieste all'area di parco serbatoi della SIOT, dettando prescrizioni;

-della conferenza di servizi istruttoria del 29 maggio 2006, nonchè del relativo verbale, di tutti i provvedimenti a dette conferenze connessi e presupposti in particolare la lettera di invito, i relativi ordini del giorno e i pareri eventualmente resi dai partecipanti concernenti l'area SIOT e, più in generale, la sua posizione in rapporto al Sito di interesse nazionale;

-del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, 24 febbraio 2003, prot. n. 639/RIBO/MDI/B, nella parte in cui afferma la non definitività della perimetrazione e stabilisce le modalità della eventuale nuova perimetrazione del suddetto SIN;.

quanto al ricorso n. 557 del 2006:

-dei provvedimenti adottati nella conferenza di servizi decisoria, convocata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in data 7 settembre 2006 nonchè del relativo verbale, nella parte in cui ha deliberato l'estensione della perimetrazione del Sito di Interesse Nazionale di Trieste all'area del parco serbatoi della Siot;

-della conferenza di servizi istruttoria del 29 maggio 2006, nonchè del relativo verbale, e di tutti i provvedimenti a dette conferenze, in particolare della lettera di invito, i relativi ordini del giorno e i pareri eventualmente quivi resi dai partecipanti concernenti l'area SIOT e, più in generale, la sua posizione in rapporto al Sito di interesse nazionale - Trieste;

-del decreto del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio, 24 febbraio 2003, prot. n. 639/RIBO/MDI/B, nella parte in cui afferma la non definitività della perimetrazione e stabilisce le modalità della eventuale nuova perimetrazione del suddetto SIN;

-dei provvedimenti adottati nella citata conferenza di servizi decisoria, in data 7 settembre 2006, nella parte in cui ha deliberato di richiedere alla Società SIOT di presentare il Piano caratterizzazione delle aree di propria competenza all'interno del sito di bonifica di interesse nazionale di Trieste;

quanto al ricorso n. 45 del 2007:

-dei provvedimenti adottati nella conferenza di servizi decisoria, convocata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in data 31 ottobre 2006 nonchè del relativo verbale e degli allegati A,B,C,D, E, F,G, H, e I,, nella parte in cui riguardano la SIOT;

-della conferenza di servizi istruttoria del 20 ottobre 2006, del relativo verbale, e di tutti gli atti a dette conferenze comunque connessi e presupposti e in particolare la lettera di invito, i relativi ordini del giorno, il documento preparatorio alla Conferenza dei Servizi dd. 30.102006, nonchè dei pareri eventualmente resi dai partecipanti, concernenti la SIOT;.

quanto al ricorso n. 427 del 2007:

-del decreto direttoriale del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, prot. 3624/QdV/DI/B dd. 18 maggio 2007;

-del verbale della Conferenza di Servizi dd. 18 maggio 2007, nonchè degli allegati A, B, C, L, M, N alla stessa, comunicati con lettera prot. 11220/QdV/DI/VII-VIII, ricevuta in data 12 giugno 2007;

-della conferenza di servizi istruttoria dd. 30 novembre 2006, nonchè del relativo verbale;

-delle lettere di invito dd. 9 novembre 2006 e del 15 novembre 2006;

-dei relativi ordini del giorno e dei parere eventualmente resi dai partecipanti concernenti l'area SIOT;

-del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, 24 febbraio 2003, prot. n. 639/RIBO/MDI/B, nella parte in cui afferma la non definitività dela perimetrazione e stabilisce le modalità dell'eventuale nuova perimetrazione del suddetto SIN..

quanto al ricorso n. 158 del 2008:

Quanto al ricorso introduttivo:

-della nota del Ministero dell'ambiente e tutela del territorio dd. 21.2.2008;

-della Conferenza di Servizi decisoria dd. 26.7.2007, del relativo verbale e del decreto finale di adozione;

-della Conferenza di servizi istruttoria dd. 21.5.2007 e del relativo verbale, nonchè della lettera di invito datata 9.5.1007, del documento consegnato in corso di Conferenza istruttoria, i relativi ordini del giorno e i pareri resi dai partecipanti concernenti l'area SIOT;

-delle Conferenze di Servizi decisorie dd. 7.9.2006, 31.10.2006 e 18.5.2007, del decreto direttoriale di adozione di quest'ultima, dei relativi verbali e atti connessi e presupposti, e in particolare della lettera di invito, i relativi ordini del giorno, le relative Conferenze di Servizi istruttorie e i pareri qui resi;

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 19.5.2008:

-del Decreto direttoriale del Ministero dell'Ambiente prot. n. 4109/QdV/DI/B dd. 7 novembre 2007, contenente il provvedimento finale di adozione, ex art. 14 ter legge 7 agosto 1990, n. 241 delle determinazioni conclusive della Conferenza di Servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di Trieste del 26 luglio 207;

-del verbale dd. 26 luglio 2007, degli allegati allo stesso verbale,;

- di tutti gli atti agli stessi presupposti e in particolare della Conferenza di Servizi istruttoria dd. 21 maggio 2007, del relativo verbale, di tutti i provvedimenti a dette Conferenze connessi e presupposti, e in particolare della lettera di invito del 9 maggio 2007, del documento preparatorio consegnato nel corso della Conferenza dd. 21 maggio 2007, dei relativi ordini del giorno e dei pareri eventualmente resi dai partecipanti concernenti l'area SIOT e, in generale la sua posizione in rapporto al "Sito di interesse nazionale"-Trieste;

-della Conferenza di Servizi istruttoria dd. 4 aprile 2008 nonchè del relativo verbale, e di tutti i provvedimenti della Conferenza, della lettera di invito del 20 marzo 2008 e del documento preparatorio consegnato nel corso della medesima Conferenza di servizi istruttoria dd. 4 aprile 2008;

-delle Conferenze di Servizi decisorie dd. 7 settembre 2006, 31 ottobre 2006 e 18 maggio 2007, del decreto direttoriale di adozione di quest'ultima, dei relativi verbali e atti connessi e presupposti, ed in particolare delle lettere di invito, dei relativi ordini del giorno, delle relative Conferenze di Servizi istruttorie e dei pareri qui resi concernenti la SIOT e più in generale la sua posizione rispetto al SIN;.

quanto al ricorso n. 546 del 2008:

Quanto al ricorso introduttivo :

-del decreto del Ministero dell'Ambiente e tutela dd. 30.7.2008, della Conferenza di Servizi istruttoria dd 4.4.2008, del relativo verbale, dei provvedimenti connessi a detta Conferenza, della lettera di invito dd. 20.3.2008, del documento preparatorio consegnato nel corso della Conferenza dd. 4.4.2008, dei relativi ordini del giorno,dei pareri resi dai partecipanti concernenti l'are SIOT; delle Conferenza dei Servizi decisorie dd. 7.9.2006, dd.31.10.2006, 18.5.2007, del decreto direttoriale di adozione dd. 18.5.2007, della Conferenza dei Servizi dd. 26.7.2007 e del decreto direttoriale di adozione dd. 7.11.2007, dei relativi verbali e atti connessi, in particolare delle lettere di invito, dei relativi ordini del giorno, delle relative Conferenze dei Servizi istruttorie e dei pareri, nonchè della lettera del Ministero dell'Ambiente dd. 21.2.2008.

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 12.12.2011:

-della nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse idriche, prot. 29401/TRI/DI/VII del 28 settembre 2011, trasmessa a mezzo fax in pari data, avente ad oggetto “SIN di Trieste – Attività di manutenzione preventiva”.

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 11.5.2012:

-della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, prot. 5442/TRI7DI/VII dd. 29.2.2012, avente ad oggetto"Sito di interesse Nazionale di Trieste- Scavo per il controllo ed eventuale manutenzione preventiva da effettuare sulla linea di trasferimento "C";

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 30.9.2013:

-della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, prot. 0038496/TRI dd. 4.6.2013, avente ad oggetto "Sito di interesse Nazionale Trieste" Tal Società Italiana per l'Oleodotto Transalpino spa - esecuzione scavi finalizzati al controllo di alcuni tratti delle proprie linee di trasferimento del greggio- Riscontro alla nota"(doc. 10 dep. 25 luglio 2013);

-della nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, prot. 0042141/TRI dell'8.7.2013 ad oggetto " Sito di interesse Nazionale Trieste" Tal Società Italiana per l'Oleodotto Transalpino spa - esecuzione scavi finalizzati al controllo di alcuni tratti delle proprie linee di trasferimento del greggio- Riscontro alle note del 3 aprile e 30 maggio c.a.";.



Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e dell’Acegas Aps Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2014 il presidente Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Sulla presente controversia si sono susseguiti sei ricorsi e tre motivi aggiunti, tutti coinvolgenti la ricorrente SIOT e una serie di provvedimenti adottati nei suoi confronti a partire dal 2006 per giungere infine al 2013.

La ricorrente società gestisce, assieme ad una società austriaca e a una società tedesca, l'oleodotto transalpino fra Trieste la Germania e l'Austria. La SIOT all'interno del sito d’interesse nazionale di Trieste gode di alcune aree di proprietà e altre in concessione dall'autorità portuale, dove sono collocati i terminal e lo specchio d'acqua antistante, le linee di adduzione alla stazione antincendio su terraferma e il deposito attrezzi, godendo altresì di una servitù di passaggio per i tubi di trasferimento su altre aree di enti pubblici e privati. La ditta osserva come il greggio viene trasferito dal terminal marino attraverso quattro tubazioni al parco di 32 serbatoi e pompato attraverso l'oleodotto transalpino verso le raffinerie di Germania, Austria e Repubblica ceca. La SIOT non svolgere alcuna attività industriale laddove la zona dei serbatoi risulta estranea al sito d’interesse nazionale, attraverso il quale peraltro passano le tubazioni. All'interno del sito si trovano invece il terminale a mare e parte delle aree di trasferimento.

2. Il Ministero dell'ambiente ha adottato nei confronti della SIOT una serie di provvedimenti, a cominciare dalla conferenza di servizi decisoria del 7 settembre 2006, oggetto dei primi due ricorsi, la conferenza di servizi decisoria del 31 ottobre 2006, oggetto del terzo ricorso, la conferenza di servizi decisoria del 18 maggio del 2007 con relativo decreto stessa data, oggetto del quarto ricorso n. 427 del 2007, la lettera del 21 febbraio del 2008 oggetto del quinto ricorso n. 158 del 2008, la conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007 e il successivo decreto del 7 novembre 2007, oggetto del ricorso per motivi aggiunti nel giudizio 158 del 2008, la conferenza di servizi di 18 giugno 2008 e il decreto del 30 luglio 2008 oggetto del sesto e ultimo ricorso n. 546 del 2008, la nota del ministero del 28 settembre 2011, oggetto dei primi motivi aggiunti all'ultimo ricorso, la nota del 29 febbraio 2012 oggetto dei secondi motivi aggiunti all'ultimo ricorso e infine la nota del Ministero dell’ambiente 5 giugno 2013 e la successiva del 8 luglio 2013 impugnate con i terzi motivi aggiunti all’ultimo ricorso.

La SIOT illustra sia la situazione di fatto sia gli interventi già svolti per evitare ogni inquinamento nella zona interessata. Ricostruisce poi le vicende che hanno portato all'istituzione del Sito d’interesse nazionale di Trieste SIN perimetrato con decreto ministeriale del 24 febbraio 2003.

3. A grandi linee tutti gli atti impugnati riguardano due zone distinte: il sito d’interesse nazionale SIN di Trieste all'interno del quale la ditta dispone di aree di proprietà, di aree in concessione dall'autorità portuale e di servitù di passaggio. Nelle prime cause è emersa la questione della stessa estensione del sito d’interesse nazionale.

La seconda zona interessata dalle presenti cause riguarda il parco serbatoi TANK FARM di proprietà della ditta ricorrente esterno del sito d’interesse nazionale.

Prima di esaminare i sei ricorsi e i motivi aggiunti va da subito evidenziato come la situazione si è evoluta sia dal punto di vista fattuale che giuridico per cui l'interesse permane unicamente per alcune delle cause mentre per altre è sopravvenuta una carenza d’interesse, come si illustrerà in seguito.

4. In relazione al primo ricorso rubricato al n 499 del 2006 la ditta spiega che era stata effettuata una conferenza di servizi istruttoria del 29 maggio 2006 e infine si giunse all'atto impugnato, cioè il verbale della conferenza dei servizi decisoria del 7 settembre 2006 convocata dal Ministero dell'ambiente. A detta conferenza non era presente né il Ministero dello sviluppo economico né la Regione mentre la provincia di Trieste, il comune di San Dorligo della Valle e la SIOT non venivano neppure convocati.

La conferenza dei servizi estendeva il perimetro del sito d’interesse nazionale comprendendovi anche le aree del parco serbatoi della società ricorrente. La conferenza dei servizi stabiliva poi alcuni precisi oneri a carico dell'odierna ricorrente.

Vengono impugnati in questa sede tutti i provvedimenti nella parte in cui s'è deliberata l'estensione della perimetrazione del sito di interesse nazionale all'area del parco serbatoi della ditta ricorrente, nonché gli atti della conferenza di servizi istruttoria del 29 maggio e il relativo verbale e tutti i provvedimenti comunque connessi e presupposti, la lettera di invito, l’ordine del giorno e i pareri resi dai partecipanti e infine il decreto del ministero dell'ambiente del 24 febbraio 2003 nella parte in cui afferma che la perimetrazione del sito non era definitiva e fissava le modalità di una nuova perimetrazione.

A sostegno del ricorso citato la SIOT deduce i seguenti motivi di ricorso:

A. Violazione dell'articolo 252 del decreto legislativo 152 del 2006, violazione dell'articolo 14 ter della legge 241 del 1990, contraddittorietà e illogicità. L'articolo 252 prevede che all'individuazione dei siti d’interesse nazionale si provvede con decreto del ministro dell'ambiente d'intesa con le regioni interessate, mentre nel caso la regione Friuli Venezia Giulia non è intervenuta alla conferenza di servizi, il cui ordine del giorno tra l'altro non menzionava l'estensione del sito d’interesse nazionale. Analoga considerazione riguarda la perimetrazione del sito per la quale non sono stati acquisiti i prescritti pareri laddove il comune di San Diego della Valle non è stato nemmeno invitato.

Infine neppure la società ricorrente è stata invitata a partecipare alla conferenza di servizi. Inoltre, per quanto concerne le questioni non inserite all'ordine del giorno di detta conferenza di servizi, non si è formato nemmeno l'assenso tacito.

B. Violazione degli articoli 240 e 252 del decreto legislativo 152 del 2006 nonché del decreto ministeriale 16 maggio 1989, difetto di motivazione e d’istruttoria. La motivazione dell'estensione del sito non risulta conforme a quanto previsto dalla norma. Si menziona, infatti, il rischio di incidente rilevante ma non si parla di inquinamento di particolare gravità. Le caratteristiche che la legge prevede per un sito d’interesse nazionale non sussistono nel caso.

C. Violazione dell'articolo 249 del decreto legislativo 152 del 2006, difetto di motivazione e d’istruttoria, contraddittorietà, falso presupposto di fatto e violazione del principio di proporzionalità.

L'estensione del sito si fonda su due fatti: l'attentato terroristico del 1972, che era già stato valutato in precedenza, e lo sversamento di greggio avvenuto nell'agosto del 2006 che va considerato un episodio di portata limitata e non giustifica l'inclusione nel sito d’interesse nazionale. Inoltre la conferenza dei servizi non aveva la cognizione completa dell'area.

D. Violazione e falsa applicazione degli articoli 242 e 249 del decreto legislativo 152 del 2006, difetto d’istruttoria e falso presupposto di fatto. In seguito all'episodio terroristico del 1972 la ditta aveva deciso di disinquinare tutti i siti. Ciò vale anche per l'episodio relativo al 2006.

E. Sviamento di potere, in quanto in precedenza si era già stabilito di realizzare una barriera fisica che impedisse alle acque di falda di immettersi nel mare. La realizzazione del diaframma sarebbe sufficiente per evitare ogni pericolo di inquinamento, mentre gravare ulteriormente sulla società ricorrente non appare corretto.

F. Illegittimità derivata e incompetenza del ministero dell'ambiente e delle amministrazioni statali in relazione ai poteri di cui all'articolo 242 del decreto legislativo 152 del 2006, ulteriore violazione degli articoli 242 249 sopra citati, difetto di istruttoria e di motivazione.

Il provvedimento impugnato pone a carico della società ricorrente una serie di obblighi relativi alla messa in sicurezza di emergenza e all'effettuazione della caratterizzazione che costituiscono già attuazione dell'avvenuta estensione del sito d’interesse nazionale. Si tratta cioè di un'estensione che deriva da un vizio di incompetenza.

5. Con il secondo ricorso rubricato al n 557/06 la SIOT impugna i provvedimenti adottati nella conferenza dei servizi decisoria del 7 settembre 2006 per quella parte in cui chiedono alla stessa ditta di presentare un piano di caratterizzazione delle aree di propria competenza e della fascia interessata al passaggio dell’oleodotto all'interno del sito di bonifica di interesse nazionale di Trieste.

A sostegno deduce i seguenti motivi di ricorso:

A. Violazione degli articoli 242, 244, 252 e 253 del decreto legislativo 152 del 2006, difetto d’istruttoria, falso presupposto di fatto e difetto di motivazione. In base al principio “chi inquina paga” è necessario individuare in via preliminare il responsabile dell'inquinamento, il che nel caso non è stato fatto.

B. Difetto d’istruttoria, irragionevolezza, contraddittorietà e difetto di motivazione

Il provvedimento impugnato pone a carico della società ricorrente una serie di obblighi relativi alla messa in sicurezza di emergenza e all'effettuazione della caratterizzazione che costituiscono già attuazione dell'avvenuta estensione del sito di interesse nazionale. Si tratta cioè di un'estensione illegittima in quanto derivante da un vizio di incompetenza.

6. Con il terzo ricorso rubricato al n 45/07 la ditta SIOT impugna i provvedimenti adottati nella conferenza di servizi decisoria del 31 ottobre 2006, i relativi verbale e allegati e gli atti della conferenza di servizi istruttoria del 30 ottobre 2006.

A sostegno deduce la violazione dei principi generali in materia di conferenza dei servizi per il mancato inserimento all'ordine del giorno delle delibere assunte, il difetto di istruttoria, la contraddittorietà e l’illogicità, oltre che la violazione dei principi in materia di partecipazione. Inoltre deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 240 del decreto legislativo 152 del 2006 nella parte in cui gli atti gravati impongono alla ditta l'adozione di misure di messa in sicurezza di emergenza e per quanto riguarda le prescrizioni relative all'area.

Il provvedimento impugnato pone a carico della società ricorrente una serie di obblighi relativi alla messa in sicurezza di emergenza e all'effettuazione della caratterizzazione che costituiscono già attuazione dell'avvenuta estensione del sito di interesse nazionale. Per tale aspetto deduce l’illegittimità derivata, illogicità, irragionevolezza e illogicità.

7. Con il quarto ricorso rubricato al n 427/07 la ditta SIOT impugna il decreto del ministero dell'ambiente del 18 maggio 2007 riguardante l’adozione delle determinazioni conclusive della conferenza dei servizi decisoria del 18 maggio 2007, il verbale di detta conferenza, gli allegati e gli atti presupposti, in particolare quello di cui alla conferenza di servizi istruttoria del 30 novembre 2006.

A sostegno deduce i seguenti motivi di ricorso.

In via di diritto rileva l’illegittimità dell'estensione della perimetrazione del sito di interesse nazionale per la mancanza dell'intesa regionale e l’incompetenza del dirigente nell'assumere il provvedimento, in sostanza ricalcando le censure di cui ai precedenti gravami. Deduce poi l'assenza delle condizioni di inquinamento e l’illegittimità delle prescrizioni di messa in sicurezza del sito assunte in violazione del principio “chi inquina paga”.

8. Con il quinto ricorso rubricato al n 158/08 la ditta impugna la nota del ministero dell'ambiente del 21 febbraio del 2008 riguardante il controllo preventivo all'isolamento esterno della linea di trasferimento C - area dell'autorità portuale - nonché la conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2007, gli atti presupposti tra cui la conferenza di servizi istruttoria del 21 maggio 2007 con tutti gli atti connessi.

Contesta in particolare la prescrizione del Ministero relativa alle aree all'interno del sito di interesse nazionale, in particolare dove impongono il piano di caratterizzazione e le misure di messa in sicurezza di emergenza.

Considera illegittima la parte del provvedimento relativa allo scavo di controllo del rivestimento esterno di una parte della tubazione per violazione degli articoli 183 seguenti del decreto legislativo 152 del 2006, contraddittorietà e irragionevolezza; deduce poi il difetto di istruttoria in relazione alla seconda parte del provvedimento relativo alle prescrizioni di messa in sicurezza di emergenza e di caratterizzazione anche per la violazione dei principi del procedimento dell'articolo 21 bis della legge 241 del 1990.

Deduce poi l’illegittimità della prescrizione relativa alla messa sicurezza di emergenza delle aree di proprietà ovvero in concessione ricadenti nel sito di interesse nazionale, per incompetenza e violazione degli articoli 240 e seguenti del ripetuto D Lgs 152 del 2006 nonché del principio “chi inquina paga”. Infine deduce l’illegittimità delle prescrizioni che impongono l'obbligo di caratterizzazione per violazione degli articoli 292 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006, inoltre eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza e contraddittorietà.

Con i motivi aggiunti al quinto ricorso impugna il decreto del ministero dell'ambiente del 7 novembre 2007 e con cui si approva il provvedimento di adozione delle determinazioni conclusive della conferenza dei servizi decisoria del 26 luglio 2007. I motivi ricalcano quelli di cui al ricorso principale.

9. Con il sesto ricorso rubricato al n 546 del 2008 la ditta ricorrente impugna il decreto del ministero dell'ambiente del 30 luglio 2008 riguardante le determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale del 18 giugno 2008, il verbale della citata conferenza di servizi ivi compresi gli allegati, tutti gli atti presupposti e in particolare la conferenza di servizi istruttoria del 4 aprile 2008, la lettera di invito del 20 marzo 2008, il documento preparatorio del 4 aprile 2008, l’ordine del giorno e i pareri; impugna altresì la conferenza di servizi decisoria del 7 settembre 2006, la conferenza di servizi decisoria del 31 ottobre 2006, la conferenza di servizi del 18 maggio del 2007 e il decreto del ministero dell'ambiente del 18 maggio del 2007, la conferenza del 26 luglio del 2007, il decreto del 7 novembre del 2007, il verbale, gli atti presupposti e l'ordine del giorno riguardanti la ditta ricorrente e la sua posizione rispetto al sito di interesse nazionale SIN nonché la lettera del ministero dell'ambiente del 21 febbraio 2008.

In via di diritto deduce l’illegittimità della diffida alla ditta ricorrente di realizzare nelle aree di competenza situate all'interno del sito interesse nazionale qualsiasi intervento che interferisca con le matrici ambientali del suolo e sottosuolo e le acque sotterranee, eccesso di potere per difetto d’istruttoria, violazione del principio di proporzionalità e di legalità, del principio di tipicità degli atti amministrativi e infine sviamento di potere.

Considera illegittima la prescrizione che chiede alla ditta di effettuare la prova di tenuta dell’oleodotto nell'area Italcementi, il difetto di istruttoria, falso presupposto di fatto, difetto di motivazione, irragionevolezza e contraddittorietà.

Deduce poi l’illegittimità delle prescrizioni che impongono alla ditta l'obbligo di presentare il piano di caratterizzazione delle aree di competenza per violazione degli articoli 240, 244, 252 e 253 del decreto legislativo 152 del 2006, difetto di istruttoria, falso presupposto di fatto, difetto di motivazione, irragionevolezza e contraddittorietà.

Le prescrizioni relative alla messa in sicurezza di emergenza del suolo e delle acque di falda sarebbero poste in violazione degli articoli 240, 242, 244, 245, 250 e 252 del decreto legislativo 152 del 2006, del principio “chi inquina paga” affette da difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità manifesta, contraddittorietà, sviamento e perplessità.

Deduce poi l’illegittimità delle prescrizioni riferite allo stato sull'area di proprietà dell'autorità portuale per violazione degli articoli 183, 186, 242, 243, 245, 250, 252 e 253 dei citato D Lgs 152 del 2006, contraddittorietà con precedenti provvedimenti, irragionevolezza e difetto di istruttoria.

Deduce poi l’illegittimità della richiesta del Ministero dell'ambiente alla ditta di trasmettere i risultati della caratterizzazione dell'area di competenza per violazione dell'articolo 252 del medesimo D Lgs 152 del 2006.

La società illustra in dettaglio la vicenda concludendo per l'annullamento di tutti gli atti impugnati.

10. Nel ricorso per motivi aggiunti depositato il 12 dicembre 2011 la SIOT impugna la nota del ministero dell'ambiente del 28 settembre 2011 riguardante il sito di interesse nazionale e l'attività di manutenzione preventiva.

Ribadisce in sostanza quanto già sostenuto nel ricorso introduttivo in particolare il fatto che la ditta ricorrente non è responsabile dell'inquinamento laddove l'onere della prova spetta all'amministrazione. Inoltre le prescrizioni del Ministero dell'ambiente sono illegittime nella parte in cui subordinano il parere favorevole all’esecuzione dei lavori di manutenzione alla preventiva messa in sicurezza di emergenza del suolo e delle acque di falda e in cui ribadiscono l'obbligo di attivare gli interventi di messa in sicurezza di emergenza dei suoli e della falda; anche in tal caso verrebbe violato il principio “chi inquina paga”.

Deduce poi l’illegittimità delle prescrizioni riferite allo scavo sull'area del depuratore per violazione di varie norme del decreto legislativo 152 del 2006, contraddittorietà, irragionevolezza e difetto d’istruttoria.

11. Con i secondi motivi aggiunti impugna la nota del ministero dell'ambiente del 29 febbraio 2012 riguardante il sito di interesse nazionale in relazione allo scavo per il controllo della manutenzione preventiva da effettuare sulla linea di trasferimento, nella parte in cui ha espresso parere favorevole ai lavori di manutenzione preannunciati subordinandoli peraltro a determinate prescrizioni.

A sostegno deduce l’illegittimità delle prescrizioni nelle parti in cui ordinano di presentare un piano di caratterizzazione delle aree di competenza all'interno del sito interesse nazionale per violazione degli articoli 242 seguenti del D Lgs 152 del 2006, difetto di istruttoria, falso presupposto di fatto, difetto di motivazione, irragionevolezza e contraddittorietà. Anche l'obbligo di mettere in sicurezza con interventi di emergenza sui suoli e sulla falda sarebbe illegittimo.

Altrettanto viziata sarebbe la prescrizione riguardante lo scavo per violazione delle medesime norme sopra citate.

12. I terzi motivi aggiunti contestano la nota del Ministero dell'ambiente del 5 giugno 2013 avente ad oggetto l'esecuzione di scavi finalizzati al controllo di alcune linee di trasferimento del greggio nonché la nota dell'8 luglio 2013 riguardante altri scavi con le stesse finalità.

La ditta deduce l’illegittimità delle prescrizioni che ordinano alla SIOT di presentare un piano di caratterizzazione delle aree di competenza, per violazione delle medesime norme art. 242 e seguenti del D Lgs 152 del 2006, sempre per i motivi sopra riassunti.

In successive memorie la società ricorrente ha ulteriormente ribadito le proprie argomentazioni.

13. Resiste in giudizio il Ministero che contesta tutti i ricorsi; peraltro il ministero stesso non ha depositato nuove memorie in vista della pubblica udienza.

Resiste altresì in giudizio nelle cause in cui è costituita l’ACEGAS APS spa rilevando come gli inquinamenti non sono in alcun modo riferibili alla stessa, nemmeno nell'area del depuratore interessata agli scavi effettuato dalla ditta ricorrente.

14. Parte ricorrente con apposita memoria unica per tutti i ricorsi depositata il 22 marzo 2014 replica alle deduzioni avversarie, sottolineando la sua posizione di soggetto incolpevole dell’inquinamento.

Osserva di mantenere interesse al ricorso in relazione solo all’eventuale caratterizzazione delle aree a mare, alla lesività degli ordini di caratterizzazione, considerata l’efficacia degli stessi fino all’atto ministeriale del 29 luglio 2013, ai vari ordini di messa in sicurezza di emergenza disposti sia in generale sia in ordine agli scavi, alle ulteriori prescrizioni adottate dal Ministero dell’ambiente in occasione degli scavi effettuati per le verifiche sulle tubazioni.

Infine nella pubblica udienza del 23 aprile 2014 tutte le cause sono state introitate per la decisione.

DIRITTO

1. Sulla serie di ricorsi e sui motivi aggiunti, che vanno esaminati congiuntamente e decisi con unica pronuncia per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, vanno posti ad avviso di questo collegio alcuni punti fermi.

Innanzitutto risulta chiaramente che la ricorrente SIOT non può essere ritenuta responsabile dell'inquinamento esistente nel sito di interesse nazionale, in quelle parti cui ha la proprietà o la gestione ovvero su cui esercita una servitù di passaggio; infatti, dall'intera documentazione di provenienza pubblica in particolare dal Ministero dell'ambiente emerge chiaramente come la responsabilità dell'inquinamento da idrocarburi nelle zone considerate discende da risalenti operazioni e attività del tutto estranee alla società odierna ricorrente.

Ne consegue che alla fattispecie deve e può essere applicata solo la normativa che non riguarda il responsabile dell'inquinamento.

2. La questione su cui si soffermava precipuamente il primo ricorso, ma anche in parte quelli successivi relativa all'estensione del Sito di interesse nazionale di Trieste (SIN) risulta risolta sulla base dell'ultimo documentazione depositata in causa, in quanto nella lettera del 12 luglio 2013 del Ministero dell'ambiente risulta chiaramente precisato che il parco serbatoi (Tank farm) della SIOT è esterno al sito di interesse nazionale di Trieste. La stessa parte ricorrente nella memoria depositata il 22 marzo 2014, a pagina tre, chiaramente esprime la sopravvenuta carenza d’interesse sulla relativa impugnazione.

3. Rimangono da risolvere le questioni relative ai piani di caratterizzazione imposti alla ditta ricorrente da una serie di provvedimenti tra cui alcune conferenze di servizi. Anche in tal caso però va rilevato come la nota del ministero dell'ambiente del 19 giugno 2012, depositata in causa, ha precisato che ai fini della caratterizzazione rilevano solo le aree di proprietà e in concessione interessate dal passaggio delle tubazioni per il trasporto di greggio dal terminal marino. In tal modo è stata risolta con sopravvenuta carenza d’interesse anche la questione delle aree marine e della loro caratterizzazione, che comunque risultava dubbia anche rispetto alle precedenti provvedimenti.

In sostanza rimangono di interesse le parti dei ricorsi e dei motivi aggiunti relative all'obbligo per la ditta ricorrente di presentare un piano di caratterizzazione delle aree a terra, in proprietà ovvero in concessione e della fascia attraversata dall'oleodotto, della messa in sicurezza di emergenza di dette aree, e quelle relative ad alcune prescrizioni dettate in occasione di alcuni lavori di manutenzione, in particolare scavi, effettuate dalla SIOT.

4. Va poi estromessa dai tre ricorsi in cui si è costituita il n 427/07, il n 158/08 e il n. 546/08, l’Acegas Aps spa, chiamata in causa per una mera ipotesi difensiva, tra l’altro marginale e irrilevante, non suffragata da alcun elemento probatorio, di una sua eventuale responsabilità per l’inquinamento del sito su cui si colloca l’inceneritore, interessato solo da una servitù di passaggio delle tubazioni della SIOT In sostanza la ditta Acegas Aps spa si è costituita in giudizio per mero scrupolo difensivo, ma risulta affatto estranea alla vicenda e agli atti impugnati.

5. Sempre ai fini della permanenza dell'interesse va poi rilevato come in data 29 luglio 2013 il Ministero dell'ambiente con apposita nota ha preso atto dell'impegno della società ricorrente a concorrere a realizzare gli interventi di caratterizzazione sulla base delle indicazioni dell'Ente zona industriale di Trieste, con adesione pertanto della società ricorrente al piano di caratterizzazione generale presentato dall’EZIT.

Ad avviso di questo collegio la nota del 29 luglio 2013 risolve anche la questione relativa alla legittimità di alcuni degli ordini di caratterizzazione, che risultano evidentemente superati dalla nuova determinazione ministeriale, per cui nessun interesse giuridico permane in relazione ai precedenti ordini di caratterizzazione anche sotto l’aspetto della loro efficacia temporanea fino al 29 luglio 2013.

In sostanza, considerata inefficacie la caratterizzazione per quanto riguarda le aree a mare, e l'intervenuto superamento degli ordini di caratterizzazione, rimangono vigenti e quindi lesivi dell'interesse della ricorrente solamente gli ordini di messa in sicurezza di emergenza, sia in generale sia in riferimento agli scavi nonché le ulteriori prescrizioni adottate dal Ministero dell'ambiente in occasione degli scavi effettuati per le verifiche sulle tubazioni.

6. Ciò premesso vanno ribaditi due aspetti decisivi per la soluzione della presente causa.

Il primo riguarda il fatto, pacifico in causa, già sopra evidenziato, che la ditta ricorrente non risulta responsabile dell'inquinamento delle zone in cui opera sia quale proprietaria sia in qualità di concessionaria. Il secondo elemento è che la gestione delle tubazioni degli impianti di pompaggio e dei serbatoi comporta comunque alcuni obblighi per la SIOT di intervenire in via preventiva onde eliminare rischi di inquinamento ambientale.

Invero, ad avviso di questo Collegio, la soluzione della controversia per la parte per cui rimane l'interesse implica un bilanciamento tra vari principi di livello europeo trasfusi nella normativa italiana. Il primo principio è naturalmente quello secondo cui “chi inquina paga”, vale a dire che gli oneri del disinquinamento vanno posti a carico del responsabile.

Accanto a questo principio vanno presi in considerazione altri principi, come quello di precauzione, di prevenzione dei pericoli, di intervento preventivo rispetto anche alle sole potenzialità di inquinamento, anche essi desumibili dalla normativa europea.

In altri termini, se è ben vero che al proprietario incolpevole non si possono imputare oneri derivanti dalla responsabilità altrui è altrettanto vero che in ogni caso quando l'interessato svolga un'attività potenzialmente inquinante gli si possono accollare ragionevoli oneri di precauzione allo scopo di prevenire la stessa possibilità di inquinamento occasionale.

Nell’equilibrio di tali spesso confliggenti principi si sostanzia il contenuto fondamentale ovvero la “cifra” interpretativa del presente ricorso.

7. Venendo alla questione principale va detto che, questo Collegio non ritiene di discostarsi dalla nota giurisprudenza, anche di questo TAR, che in materia fa applicazione del principio europeo “chi inquina paga” trasfuso nella normativa nazionale, anche nella considerazione che dal punto di vista fattuale l’inquinamento ambientale (derivante dall’accumularsi di materiale inquinato) risulta risalente nel tempo né si è verificato alcun evento emergenziale, improvviso e imprevedibile, che non consentisse all’amministrazione il pieno rispetto della normativa vigente.

Invero, ad avviso di questo Collegio, tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l'art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione d’inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa. Al contrario, l'obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L'Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento.

8. In sostanza, si afferma l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario (ovvero gestore a vario titolo) di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.

L'enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Tale impostazione, già sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l'addossamento dell'obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell'inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell'area interessata (TAR Calabria, Catanzaro, n. 954 del 2012; T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009).

9. Va precisato, in argomento, che il principio "chi inquina, paga" vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d'emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall'art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente).

Infatti, anche l'adozione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell'inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).

Invero, i suddetti principi si attagliano al disposto di cui all'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal momento che siffatta disposizione legislativa non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato art. 14 del D.lgs. n. 22/1997, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma, in più, integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente "in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo".

10. Si deve altresì sottolineare che a carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava, infatti, che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448; T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398).

Nel caso di specie, dalla documentazione in atti non si evince alcun accertamento istruttorio volto a determinare la sussistenza dei presupposti soggettivi per l'imposizione, a carico dell'odierna ricorrente, degli obblighi di messa in sicurezza; in particolare, né nelle conferenze di servizi che hanno preceduto l'emanazione degli atti impugnati, né nei decreti direttoriali impugnati si rinviene alcun approfondimento istruttorio volto ad accertare un comportamento dell'odierna ricorrente, che possa aver dato luogo all'inquinamento dell'area.

11. Per completezza si osserva che l'obbligo di procedere alla bonifica dell'area non potrebbe neanche essere desunto dall'applicazione della previsione dell'art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode); a prescindere da ogni considerazione relativa all'aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l'accertamento della qualità di custode dell'area al momento dell'inquinamento e non in un periodo di tempo di molto successivo, come avvenuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 e ss. e 252-bis, 2° comma del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

In buona sostanza, si tratta di una disciplina esaustiva della problematica che non può certo essere integrata dalla sovrapposizione di principi (come quello previsto dall'art. 2051 c.c.) desunti da diversa normativa e che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a ben diversi principi.

12. A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).

Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).

13. Detto principio del "chi inquina paga " consiste, in definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall'attività di trasformazione industriale dell'ambiente che non supera gli standard legali).

Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale". Anche tale Direttiva è conformata dal principio "chi inquina paga ", per cui l'operatore che provoca un danno ambientale o è all'origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe, di massima, sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l'autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell'operatore. È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.

La Direttiva non si applica al danno di carattere diffuso se non in presenza di un nesso causale tra il danno e l'attività di singoli operatori.

Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell'ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive.

In sostanza, la corretta interpretazione della normativa porta ad escludere che il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di obbligazione "propter rem" di diritto pubblico (in quanto funzionale al pubblico interesse e coercibile da parte dell'amministrazione nell'ambito dei suoi poteri di polizia amministrativa) a carico del proprietario o del titolare di un diritto reale sul fondo (ed estesa anche ai titolari di un diritto personale di godimento, nel caso in cui il contenuto di questo conferisca al suo titolare i poteri di disposizione necessari per provvedere alla rimozione), con riferimento all'ipotesi in cui non sia stato accertato il responsabile del deposito abusivo di rifiuti, e, cioè, qualora non possa trovare applicazione la sanzione amministrativa ripristinatoria prevista.

Ed invero, soltanto nel caso in cui l'obbligazione ripristinatoria fosse connessa alla mera titolarità del diritto sul bene (in tal senso "propter rem"), a prescindere dalla sua responsabilità in ordine alla formazione di un deposito abusivo attraverso l'abbandono di rifiuti, si potrebbe pervenire alle conclusioni cui è pervenuto il Ministero, ma, poiché il legislatore ha positivamente stabilito l'inserimento della colpa fra gli elementi costitutivi della fattispecie in discorso, se ne trae sicura conferma della non condivisibilità dell'esegesi seguita dallo stesso.

14. Va rilevato che il potere è comunque attivabile anche a fronte di una situazione di mero pericolo d’inquinamento come imposto dal principio comunitario di precauzione come enunciato sin dalla Conferenza di Rio del 2004 (secondo l'art. 15 del documento conclusivo della Conferenza "in caso di rischi di danni gravi o irreversibili, l'assenza di certezza scientifiche non deve servire come pretesto per rinviare l'adozione di misure efficaci volte a prevenire il degrado dell'ambiente") e dal principio di doverosa prevenzione dei danni.

Una significativa applicazione dei suddetti principio e corollari è stata effettuata dall'Avvocato Generale J. Kokott nelle conclusioni presentate in data 13 marzo 2008 relativamente alla causa C-188/07, Comune de Mesquer c. Total France SA e Total International LTD, relativa ad un noto caso di inquinamento marino da idrocarburi, con riguardo all'art. 15 della Direttiva 2006/12/CE.

Dette conclusioni sono state accolte dalla sentenza Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 24 giugno 2008.

L'Avvocato Generale ha correttamente concluso che « l'addebitamento a singoli soggetti dei costi dello smaltimento di rifiuti che essi non hanno prodotto sarebbe incompatibile con il principio “chi inquina paga”. A fronte di tale richiesta da parte delle autorità statali gli interessati potrebbero, pertanto, opporre l'art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti ».

L'Avvocato Generale ha argomentato tale conclusione sulla base di una nota sentenza della Corte di Giustizia (Corte giust. Ce, 7 settembre 2004, in causa C-1/2003, Van de Walle et al.) : « La sentenza Van de Walle aveva ad oggetto idrocarburi fuoriusciti da una stazione di servizio, che avevano prodotto l'inquinamento del terreno circostante. In via di principio, la responsabilità di tale evento ricade sul gestore della stazione di servizio che ha acquistato gli idrocarburi per le proprie necessità aziendali e pertanto ne era detentore ed è il soggetto che li aveva in deposito, per esigenze della sua attività, nel momento in cui sono divenuti rifiuti ai sensi dell'art. 1, lett. b), della Direttiva 75/443. Soltanto se il cattivo stato degli impianti di stoccaggio della stazione di servizio e la fuoriuscita degli idrocarburi fossero eccezionalmente imputabili ad una violazione degli obblighi contrattuali incombenti alla compagnia petrolifera fornitrice della stazione di servizio, ovvero a diversi comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità della detta compagnia, quest'ultima sarebbe responsabile. Per effetto della sua attività, infatti, la compagnia petrolifera avrebbe prodotto rifiuti ai sensi dell'art. 1, lett. b) , della Direttiva 75/442 ed essa potrebbe dunque essere considerata la detentrice di tali rifiuti. Secondo la Corte, pertanto, i costi devono essere sostenuti dal soggetto che ha prodotto i rifiuti.

I soggetti menzionati nell'art. 15 identificano invece soltanto l'insieme dei possibili responsabili finanziari, all'interno del quale, in conformità al principio “chi inquina paga”, deve essere scelto il soggetto che deve sostenere i costi. Detta interpretazione del principio “chi inquina paga” quale principio per la ripartizione dei costi è conforme ad altre versioni linguistiche che — a differenza della versione tedesca — non utilizzano il concetto di causalità, ma affermano che chi inquina paga (Polluter pays, pollueur-payeur) . [...] Applicato alla normativa ambientale, ciò consente innanzitutto di concludere che non è possibile sostenere i costi dello smaltimento di rifiuti prodotti da altri » (punti 118, 119 e 120) .

15. Ed infatti la citata sentenza della Corte giust. Ce, 7 settembre 2004, in causa C-1/2003, Van de Walle et al., aveva puntualmente affermato che « dalle disposizioni citate nei tre punti precedenti risulta che la Direttiva 75/442 distingue la materiale realizzazione delle operazioni di recupero o smaltimento — che essa pone a carico di ogni “detentore di rifiuti”, indipendentemente da chi sia il produttore o il possessore degli stessi — dall'assunzione dell'onere finanziario relativo alle suddette operazioni, che la medesima direttiva accolla, in conformità del principio “chi inquina paga”, ai soggetti che sono all'origine dei rifiuti, a prescindere se costoro siano detentori o precedenti detentori dei rifiuti oppure fabbricanti del prodotto che ha generato i rifiuti » (punto 58) .

Per la giurisprudenza interna, Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009 n. 3885; TAR Toscana, Sez. II, 3 marzo 2010, n. 594; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254; TAR Toscana, Firenze, Sez. III, 28 aprile 2011, n. 746; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, ord. 1º dicembre 2010, che ha dichiarato l'illegittimità di un’ordinanza con la quale è stata ordinata al proprietario di una cava la bonifica del sito per l'inquinamento della falda sottostante, nel caso in cui non sia possibile desumere una situazione di sicura imputabilità dell'inquinamento al proprietario della cava) .

In sostanza, a carico del proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione non incombe, dunque, alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in questione, avendo solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato, per l'appunto, da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.

Pertanto, il provvedimento impositivo della messa in sicurezza e bonifica ben può essere notificato al proprietario al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l'area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l'inquinamento del sito.

16. Va ricordato, in questo contesto, che gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati non tanto alla diminuzione del livello di inquinamento dell'area interessata (obiettivo questo che va perseguito attraverso l'attivazione delle opere di bonifica) quanto a scongiurare che la contaminazione in atto si espanda nel terreno o nella falda in attesa dell'esecuzione di interventi definitivi di bonifica del sito.

17. Riassumendo e compendiando: il D. Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente) stabilisce che l'obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell'inquinamento che le autorità amministrative hanno l'onere di individuare e ricercare (artt. 192, 242 e 244); che il proprietario dell'area non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253).

Ne consegue che, laddove l'Amministrazione non provi che l'inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alla società, a quest’ultima non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un'ottica di recupero del sito. (Cons. di Stato, Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376).

A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori.

Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono, ritenendo, anche se per fattispecie diversa, che l'addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio "chi inquina paga" (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).

18. Volendo schematizzare e riepilogare, dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (in particolare nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi le seguenti regole:

1) il proprietario, ai sensi dell'art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett.1), ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";

2) gli interventi di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l'inquinamento (art. 244, comma 2);

3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dall'Amministrazione competente (art. 244, comma 4);

4) le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi tra l'altro l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4);

5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).

19. Peraltro in tale materia rileva altresì il tredicesimo considerando della direttiva 2004/35/Ce, in cui si legge: "A non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest'ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e qualificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l'inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi ad atti o omissioni di taluni soggetti".

Tale considerando, evidenziando l'insufficienza in materia ambientale della responsabilità civile (sia pure con riferimento all'inquinamento a carattere diffuso e generale) mostra, comunque, l'esigenza di individuare criteri di imputazione del danno ambientale che prescindano dagli elementi costitutivi dell'illecito civile e, dunque, non solo dall'elemento soggettivo, ma anche dal rapporto di causalità.

20. Ancora, appare importante ai fini che in questa sede rilevano, il considerando n. 24 della citata direttiva 2004/35/Ce in cui si afferma la necessità di "assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione ed esecuzione efficaci, garantendo un'adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate", conferendo "alle autorità competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare l'entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere".

La discrezionalità amministrativa evocata dalla direttiva potrebbe, invero, essere letta nel senso di sottintendere anche il potere per l'autorità competente di individuare il soggetto che si trova nelle condizioni migliori per adottare le misure di riparazione, anche a prescindere dal rigoroso accertamento del nesso eziologico.

21. Significativa, inoltre, è anche la previsione dell'art. 8, n. 3, lett.b), della direttiva 2004/35/Ce, secondo cui i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione non sono a carico dell'operatore "se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno è stato causato da un terzo o si è verificato nonostante l'esistenza di opportune misure di sicurezza".

Tale disposizione dà rilievo al rapporto di causalità, ma non in positivo, bensì in negativo, nel senso che la presenza del nesso di causalità (e, dunque, la necessità che esso sia dimostrato dall'autorità competente) non sembra essere condizione necessaria al fine del sorgere della responsabilità; è, al contrario, la prova, fornita dall'operatore, dell'assenza del rapporto di causalità, o meglio la dimostrazione di un nesso eziologico che permetta di ricondurre l'evento lesivo ad un soggetto terzo, che lo esonera dalla responsabilità. Sembrerebbe, quindi, confermata la possibilità di imporre misure di prevenzione e di riparazione anche senza rapporto di causalità, ferma restando la possibilità per l'operatore di recuperare i costi di tali interventi dimostrando che l'evento lesivo è eziologicamente imputabile ad un soggetto terzo.

22. Da quanto testé illustrato, emerge che, oltre al principio "chi inquina paga", vengono poi in rilievo i principi di precauzione, di prevenzione e di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, anch'essi esplicitamente richiamati dall'art. 191, paragrafo 2, TFUE, come fondamenti della politica dell'Unione in materia ambientale.

I principi di precauzione e di prevenzione rendono legittimo un approccio anticipatorio ai problemi ambientali, sulla base della considerazione che molti danni causati all'ambiente possono essere di natura irreversibile.

Per prevenire il rischio del verificarsi di tali danni, il principio di precauzione legittima l'adozione di misure di prevenzione, riparazione e contrasto ad una fase nella quale il danno non solo non si è ancora verificato, ma non esiste neanche la piena certezza scientifica che si verificherà. In altri termini, la ricerca di livelli di sicurezza sempre più elevati porta ad un consistente arretramento della soglia dell'intervento delle Autorità a difesa della salute dell'uomo e del suo ambiente: la tutela diviene "tutela anticipata" e oggetto dell'attività di prevenzione e di riparazione diventano non soltanto i rischi conosciuti, ma anche quelli di cui semplicemente si sospetta l'esistenza.

Il principio di prevenzione presenta tratti comuni con il principio di precauzione, in quanto entrambi condividono la natura anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno per l'ambiente. Il principio di prevenzione si differenzia da quello di precauzione perché si occupa della prevenzione del danno rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o prodotti per i quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosità per l'ambiente.

23. Si può evidenziare che, se la ratio dei principi di precauzione e di prevenzione è quella di legittimare un intervento dell'autorità competente anche in condizioni di incertezza scientifica (sulla stessa esistenza del rischio o delle sue ulteriori conseguenze), sul presupposto che il trascorrere del tempo necessario per acquisire informazioni scientificamente certe o attendibili potrebbe determinare danni irreversibili all'ambiente, allora non appare peregrino sostenere che la medesima ratio consenta l'intervento in via precauzionale o preventiva non solo quando l'incertezza da dipanare riguardi l'evento di danno, ma anche quando concerna il nesso causale e, quindi, l'individuazione del soggetto responsabile di un danno certo.

24. In quest'ottica, quindi, i principi di precauzione e di prevenzione potrebbero legittimare l'imposizione, a prescindere dalla prova circa la sussistenza del nesso di causalità, in capo al soggetto che, essendo proprietario del sito contaminato, si trova nelle migliori condizioni per attuarle, non solo delle misure di prevenzione descritte dall'art. 240, comma 1, lett.i) decreto legislativo n. 152 del 2006, (già previste a suo carico dall'art. 245, comma 2, decreto legislativo n. 152 del 2006), ma anche di misure di sicurezza di emergenza. Anche queste misure, infatti, hanno una finalità precauzionale ed una connotazione di urgenza, essendo dirette a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente.

25. Infine, viene in rilievo il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati. Tale principio, infatti, dispone che i danni causati all'ambiente vengano contrastati in una fase il più possibile vicino alla fonte, per evitare che i loro effetti si amplifichino e si ingigantiscano. Nelle situazioni d’impossibilità di individuare il responsabile, o d’impossibilità di evitare da questi le misure correttive, la "fonte" cui il principio fa riferimento sembra potere essere ragionevolmente individuata nel soggetto attualmente proprietario del fondo, che, proprio per la sua posizione di proprietario, è quello meglio in grado di controllare la fonte di pericolo rappresentata dal sito contaminato (su tali questioni si veda Adunanza Plenaria n 13 del 2013).

26. Venendo ora alla specifica questione in esame va innanzitutto osservato che per quanto riguarda gli ordini del ministero dell'ambiente alla ditta ricorrente di presentare un piano di caratterizzazione delle aree di competenza all'interno del sito interesse nazionale la questione va considerata superata sulla base delle ultime determinazione del ministero dell'ambiente che ha convenuto sull'adesione della SIOT al tale piano di caratterizzazione predisposto dall'ente zona industriale. Allo stato quindi non esiste più l'interesse per impugnare i provvedimenti che impongono la caratterizzazione, essendo stato deciso che l'adesione volontaria della ditta ricorrente al piano di caratterizzazione generale presentato dall'ente zona industriale di Trieste EZIT assorbe tutte le precedenti determinazioni superandole.

Va inoltre evidenziato come dalla documentazione in atti il piano di caratterizzazione per la parte riguardante le aree a mare risulta anch'esso superato.

Come si è già evidenziato i precedenti ordini di caratterizzazione non risultano più efficaci in quanto superati dalla determinazione del ministero e inoltre non risulta necessario né un formale loro annullamento in autotutela né in sede giudiziaria.

27. Rimane la questione delle disposizioni riguardanti i vari ordini di messa in sicurezza di emergenza e le prescrizioni effettuate in relazione ai lavori di manutenzione e in particolare gli scavi effettuati.

Su questa questione invero se risulta esatta l'affermazione di parte ricorrente che anche gli obblighi di messa in sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale gravano esclusivamente sul responsabile dell’inquinamento e non sul proprietario incolpevole, tuttavia alcune prescrizioni imposte, quelle che riguardano gli scavi effettuati per manutenzione, non costituiscono a ben leggere un'attività di bonifica o di messa in sicurezza di siti contaminati, ma vanno qualificati come interventi preventivi collegati non già o non esclusivamente a un precedente inquinamento, ma a una messa in sicurezza di emergenza dei suoli e delle acque di falda in relazione a una nuova attività svolta dalla ditta ricorrente, cioè gli scavi per la manutenzione. Si tratta invero di ovviare al pericolo che nelle aree in questione, a seguito del suo movimento di terra e degli scavi di manutenzione, l'inquinamento possa estendersi alle acque di falda ovvero ai terreni interessati allo scavo medesimo. Viene in questione in tale ipotesi non già il principio “chi inquina paga” bensì l'altro principio, anch’esso di matrice comunitaria, di precauzione e prevenzione.

Ciò spiega anche l'indeterminatezza delle prescrizioni e delle misure imposte, indeterminatezza non tanto dovuta alla mancanza d’istruttoria bensì all'obbligo di precauzione di matrice comunitaria. Invero al di là della terminologia usata, probabilmente impropria, che fa riferimento alla messa in sicurezza, si tratta semplicemente di un ordine alla ditta che ha effettuato gli scavi di manutenzione e quindi è intervenuta nelle aree o di proprietà o in concessione, di porre in essere tutti quegli accorgimenti tecnici, lasciati alla discrezionalità della ditta medesima, idonei a prevenire eventuali diffusioni dell'inquinamento che la stessa ditta ricorrente dichiara sussistere sulle aree in questione, sia pure causato da altri soggetti.

28. Nell'equilibrio tra i vari principi europei, in tale caso, trattandosi di un'attività nuova sia pure limitata nel tempo, appare giustificata la richiesta di applicazione del principio di precauzione che riguarda alla fine solamente una serie di analisi dei terreni e il conferimento a discarica del terreno rimosso, tra l'altro per stessa ammissione della ditta di limitata consistenza (si veda pagina 29 della memoria del 23 ottobre 2013).

In sostanza, riprendendo la questione di diritto fondamentale sottesa alla controversia, il principio comunitario che accolla al colpevole dell’inquinamento l’onere di porvi rimedio, sia con misure di bonifica sia di messa in sicurezza, non può essere inteso come assoluto ma va contemperato con gli altri principi di precauzione, prevenzione e tutela dell’ambiente, per cui al proprietario ancorché non responsabile della situazione di inquinamento illecito si possono accollare limitati e definiti oneri di realizzazione di misure precauzionali, soprattutto in occasione di interventi gestionali e manutentivi sulla zona, e ovviamente previa congrua istruttoria e motivazione.

29. Conclusivamente sul punto, vanno annullati in questa sede tutti gli ordini di messa in sicurezza rivolti alla SIOT, esclusi quelli emanati in relazione alle attività di manutenzione delle tubazioni e ai relativi scavi.

Chiaramente si tratta nel caso non già di imposizione di una bonifica e disinquinamento ma di una semplice misura di prevenzione e di precauzione.

Ad avviso di questo collegio nell'equilibrio e nel bilanciamento tra i vari interessi nonché tra i vari principi comunitari, le prescrizioni imposte alla ditta ricorrente in occasione degli scavi appaiono ragionevoli e legittime.

30. In conclusione, i ricorsi in epigrafe, riuniti, e i relativi motivi aggiunti, vanno in parte dichiarati improcedibili per quanto concerne i provvedimenti di caratterizzazione superati da provvedimenti successivi, in parte vanno accolti per quanto riguarda i provvedimenti che impongono alla ditta ricorrente oneri che sono previsti unicamente per il responsabile dell'inquinamento, e vanno rigettati per le parti che impongono alla medesima oneri di precauzione in relazione all'attività di manutenzione riguardanti gli impianti di sua competenza, indicate al n 29.

Ritiene infine questo collegio che la complessità e varietà delle questioni sollevate rendono opportuna una compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, riunitili, in parte li dichiara improcedibili, in parte li accoglie e in parte li rigetta.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

Umberto Zuballi, Presidente, Estensore

Enzo Di Sciascio, Consigliere

Manuela Sinigoi, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/05/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)