Il delitto di combustione illecita di rifiuti
di Antonio DI TULLIO D’ELISIIS
Come è noto, l’art. 3 del decreto legge, 10 dicembre 2013, n. 136 ha inserito, in seno al decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152, un’apposita norma incriminatrice, intitolata «Combustione illecita di rifiuti» e numerata art. 256 bis, del seguente tenore testuale: «1.Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate e' punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni.
2.Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti.
3. La pena e' aumentata di un terzo se i delitti di cui al comma 1 siano commessi nell'ambito dell'attivita' di un'impresa o comunque di un'attivita' organizzata.
4. La pena e' aumentata se i fatti di cui al comma 1 sono commessi in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
5. I mezzi di trasporto utilizzati per la commissione dei delitti di cui al comma 1 sono confiscati ai sensi dell'articolo 259, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea al reato, la quale provi che l'uso del bene e' avvenuto a sua insaputa e in assenza di un proprio comportamento negligente. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale e' commesso il reato, se di proprieta' dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.
6. Si applicano le sanzioni di cui all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e)» del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Procedendo per gradi, con tale illecito penale, il Governo ha inteso contrastare «(anche attraverso la confisca obbligatoria del mezzo utilizzato per la commissione del reato) il preoccupante fenomeno dei roghi di rifiuti, al quale conseguono immediati danni all’ambiente ed alla salute umana, con la dispersione in atmosfera dei residui della combustione, incluso il rischio di ricadute al suolo di diossine»[1] e quindi, tale dettato normativo si prefigge lo scopo «di fare fronte al gravissimo allarme sociale (con pesanti ricadute economiche) provocato dalla diffusione di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e su eventuali pericoli per la salute umana di alcuni prodotti agroalimentari di quella regione»[2].
Al di là di tali peculiari finalità che connotato questa disposizione legislativa, la norma giuridica in argomento si innesta comunque nel solco teleologico che caratterizza questa normativa ossia quello di salvaguardare le condizioni dell’ambiente(art. 2, co. I, decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152) posto che la sua tutela nonché quella degli ecosistemi naturali «deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunita' in materia ambientale»(art. 3 ter decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152).
A questo proposito, l’aver scelto di incriminare chi incendia rifiuti abbandonati, anche se non pericolosi, rappresenta una concreta applicazione del principio di precauzione menzionato nella norma giuridica appena citata il quale, come è noto, essendo «finalizzato a prevenire i danni, anche solo potenziali, di attività ritenute lesive per l’ambiente, in mancanza di conoscenze scientifiche certe, deve indirizzare l’azione dei pubblici poteri volta a prevenire eventuali danni»[3].
Difatti, se, come appena menzionato, è obbligo della pubblica amministrazione prevenire la commissione di attività anche soltanto astrattamente pericolose per l’ambiente, è evidente che la norma giuridica in discorso si presta a tale scopo; difatti, può accadere che, dall’incendio di rifiuti abbandonati, possano conseguire un serio rischio per la zona circostante rispetto a dove questi sono stati ubicati.
A questo riguardo il delitto in oggetto è configurabile come un reato di pericolo astratto ove venga appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi essendo evidente che, in tal caso, tale condotta è sufficiente di per sé a rappresentare una minaccia per l’ambiente.
Invece, laddove analoga condotta venga posta in essere nei confronti di rifiuti semplicemente abbandonati o depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate, il pericolo richiesto, ai fini della configurabilità dell’illecito penale de quo, deve essere concreto essendo necessario appurare se, da tale evento, sia messa a repentaglio la zona circostante.
A questo proposito, può soccorrere, in chiave ermeneutica, quell’indirizzo ermeneutico, elaborato in relazione al reato di incendio di cosa propria(art. 423, co. II, c.p.), con cui, sulla scorta del chiaro tenore letterale di questo dettato normativo (la «disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica») è stato postulato che «il fuoco deve essere qualificato incendio ed il fatto configura il reato consumato di incendio della cosa propria se il fuoco è di tale intensità e di tale potere da costituire un concreto pericolo per la pubblica incolumità»[4]; ebbene, tale approdo intepretativo può essere mutuabile nel caso di specie potendosi affermare che l’incendio, affinchè possa rilevare ai sensi del primo comma, primo capoverso dell’art. 256 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, deve essere di intensità e di tale potere da costituire un concreto pericolo per l’ambiente.
Ciò posto, tale reato è configurabile solo quando non ricorra un reato più grave.
A questo proposito, anziché quello in commento, può essere applicato:
- il delitto preveduto dall’art. 434, co. II, c.p.[5] ove «il reato di crollo viene commesso cagionando un incendio»[6];
- il reato previsto dall’art. 423 c.p.[7] qualora il delitto in questione venga commesso incendiando rifiuti abbandonati ma non pericolosi.
La norma giuridica in esame, sotto il profilo obiettivo, sanziona tre condotte e segnatamente:
-
incendiare «rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate»(art. 256 bis, co. I primo capoverso, decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152) prevedendo un innalzamento della pena se i rifiuti siano pericolosi(art. 256 bis, co. I secondo capoverso, decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152);
-
l’avere abbandonato o depositato rifiuti ovvero averli immessi nelle acque superficiali o sotterranee «in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti»(art. 256 bis, co. II, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Ebbene, una prima osservazione da fare è quella di stabilire se, per quanto attiene l’ipotesi in cui l’incendio sia avvenuto nei confronti di rifiuti pericolosi, ricorra una circostanza aggravante o, al contrario, un’ipotesi autonoma di reato.
In un caso non molto dissimile da quello in oggetto ossia, nel caso in cui l’inquinamento del suolo sia stato provocato da sostanze velenose(art. 257, co. II, decreto legislativo, 3 aprile 2006, n. 152), è stato postulato in sede nomofilattica che tale modello delittuoso «costituisce circostanza aggravante e non ipotesi autonoma di reato»[8].
Purtuttavia, secondo insigne letteratura scientifica, preso atto del potenziale insorgere di un conflitto ermeneutico sul punto, si ritiene che la possibile opzione che verrà accolta sarà quella dell’ipotesi autonoma di reato[9].
A parere di chi scrive, questa seconda soluzione ermeneutica può prevalere rispetto all’altra per ragioni di carattere prettamente teleologico.
Se, infatti, come suesposto in precedenza, il bene giuridico, da tutelarsi con questo delitto, è quello di tutelare l’ambiente e la salute umana, va da sé che le immissioni e i fumi, che scaturiscono dall’incendio compiuto su rifiuti tossici, dispiegano un grado di lesione di tali diritti fondamentali di gran lunga superiore all’ipotesi in cui tale evento abbia ad oggetto rifiuti semplicemente abbandonati.
D’altra parte non sembra essere un caso che queste ipotesi delittuose vengano considerate unitariamente sia nel comma II, qualora le condotte, come summenzionato, siano prodromiche alla combustione dei rifiuti, sia nei casi in cui è previsto un aumento della pena sino ad un terzo, per i delitti di cui al comma I, qualora essi, senza distinzione alcuna, siano commessi:
- «nell'ambito dell'attivita' di un'impresa o comunque di un'attivita' organizzata»(art. 256 bis, co. III, decreto legislativo n. 152 del 2006);
- «in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225»(art. 256 bis, co. IV, decreto legislativo n. 152 del 2006)[10].
Tra l’altro, l’avere il legislatore, nella parte in cui ha disciplinato gli elementi accidentali, fatto riferimento ai delitti e ai fatti di cui al comma I e non al delitto o al fatto di cui al comma I, rappresenta un valido indice sintomatico da cui inferire come gli illeciti penali previsti nel comma I di tale disposto legislativo siano più di uno.
Da ciò consegue come nulla escluda che l’appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati, in modo incontrollato, in aree non autorizzate, da un lato, e l’appiccare il fuoco a rifiuti pericolosi, dall’altro, siano considerabili alla stregua di autonome ipotesi delittuose mentre la natura di circostanza può essere imputata alle condotte descritte dal comma III in poi dell’articolo in analisi.
Sarebbe tuttavia auspicabile, ad avviso di chi scrive, che, in sede di conversione, tali ipotesi criminose fossero trattate distintamente in separati commi e non congiuntamente proprio per evitare, nel senso precisato in precedenza, l’insorgere di eventuali contrasti ermeneutici.
Per quanto attiene l’elemento materiale, per rifiuto, si può ricorrere alle definizioni di “rifiuto” e di “rifiuto pericoloso” previste nella parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 ossia quella inerente la «materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati».
Infatti, in seno a questa normativa, rifiuto è definito «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi»(art. 183, co. I lett. a), decreto legislativo n. 152 del 2006) e quindi, tale norma giuridica ricollega «l'elemento materiale (sostanza od oggetto) ad un evento interruttivo della relazione di utilità tra fruitore del bene e quest'ultimo; evento ascrivibile al fatto oggettivo dell'intervenuta inidoneità all'uso e, comunque, del suo rilascio reale, intenzionale od obbligatorio, salva l'eventuale riappropriazione e riutilizzazione di terzi tramite l'istituto dell'occupazione (art. 923 c.c.)»[11].
Viceversa, per “rifiuto pericoloso”, si rinvia a quello che «presenta una o piu' caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto»(art. 183, co. I lett. b), decreto legislativo n. 152 del 2006) ossia qualunque sostanza «che e' o sara' classificata come pericolosa ai sensi della direttiva 67/548/CEE e successive modifiche»(allegato n. 20 – allegato d) alla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006) la quale, a sua volta, a norma del comma II dell’articolo 2, definisce pericolose le seguenti sostanze e preparati: «a)esplosivi: le sostanze e i preparati solidi, liquidi, pastosi o gelatinosi che, anche senza l'azione dell'ossigeno atmosferico, possono provocare una reazione esotermica con rapida formazione di gas e che, in determinate condizioni di prova, detonano, deflagrano rapidamente o esplodono in seguito a riscaldamento in condizioni di parziale contenimento; b)comburenti: le sostanze e i preparati, che a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, provocano una forte reazione esotermica; c)estremamente infiammabili: le sostanze e i preparati liquidi con un punto d'infiammabilità estremamente basso ed un punto di ebollizione basso e le sostanze e i preparati gassosi che a temperatura e pressione ambiente si infiammano a contatto con l'aria; d)facilmente infiammabili: le sostanze e i preparati che, a contatto con l'aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono riscaldarsi e infiammarsi; le sostanze ed i preparati solidi che possono facilmente infiammarsi a causa di un breve contatto con una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo il ritiro della sorgente di accensione; le sostanze ed i preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è molto basso; le sostanze e i preparati che, a contatto con l'acqua o l'aria umida, sprigionano gas estremamente infiammabili in quantità pericolose; e)infiammabili: le sostanze e i preparati liquidi con un basso punto infiammabilità; f)molto tossici: le sostanze e i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, in piccolissima quantità, possono essere mortali oppure provocare lesioni acute o croniche; g)tossici: le sostanze e i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, in piccole quantità, possono essere mortali oppure provocare lesioni acute o croniche; h)nocivi: le sostanze e i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono essere mortali oppure provocare lesioni acute o croniche; i)corrosivi: le sostanze e i preparati che, a contatto con tessuti vivi, possono esercitare su di essi un'azione distruttiva; j)irritanti: le sostanze e i preparati non corrosivi, il cui contatto diretto, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria; k) sensibilizzazioni: le sostanze o i preparati che, per inalazione o penetrazione cutanea, possono dar luogo ad una reazione di ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione alla sostanza o al preparato produce effetti nefasti caratteristici; l)cancerogeni: le sostanze o i preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono provocare il cancro o aumentarne la frequenza; m)mutageni: le sostanze e i preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza; n) tossici per il ciclo riproduttivo: le sostanze o i preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono provocare o rendere più frequenti effetti nocivi non ereditari nella prole o danni a carico della funzione o delle capacità riproduttive maschili o femminili; o)pericolosi per l'ambiente: le sostanze e i preparati che, qualora si diffondano nell'ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per una o più delle componenti ambientali».
Inoltre, l’elenco dei rifiuti, di cui all'allegato D alla parte quarta del presente decreto, «e' vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi»(art. 184, co. V, decreto legislativo n. 152 del 2006) fermo restando che, se «un rifiuto e' identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso e' classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o piu' delle proprieta' di cui all'allegato I»(comma V dell’allegato n. 20 – allegato d) alla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006).
Purtuttavia, se è vero che, in «tema di deposito incontrollato di rifiuti, in assenza di una precisa pesatura e misurazione dei rifiuti ritrovati o di un'analisi chimica degli stessi, non può essere definito "pericoloso" ed eccedente la misura consentita il supposto "rifiuto" stoccato in azienda»[12], è altrettanto vero che «l'accertamento della pericolosità di un rifiuto non richiede necessariamente il ricorso ad attività tecniche, quali il prelevamento di campioni e l'analisi degli stessi, potendo il giudice accertarne la natura sulla base di elementi probatori diversi, purché fornisca una motivazione congrua, giuridicamente corretta e logica»[13]; a questo proposito è stato rilevato che, a «seguito della entrata in vigore del nuovo elenco dei rifiuti pericolosi dal 1° gennaio 2002 (Decisione CE 3 maggio 2000, n. 532 e succ. modd.), l'accertamento della pericolosità di un rifiuto prescinde dal riferimento alla sostanza in esso contenuta solo per i rifiuti contrassegnati da un asterisco, per i quali vige una presunzione assoluta di pericolosità mentre, per i rifiuti in relazione ai quali la pericolosità viene fatta derivare dalle sostanze pericolose in essi contenute, la presunzione è solo relativa, in quanto è necessaria un'analisi per accertare se tali sostanze eccedano i limiti stabiliti»[14].
Oltre ciò, non può considerarsi rifiuto e quindi, non può configurarsi tale illecito penale, quando sia sottoposto «a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto e' comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana»(art. 184 ter, co. I, decreto legislativo n. 152 del 2006); a questo riguardo è stato asserito, in sede nomofilattica, che affinchè «un materiale perda la qualifica di rifiuto non è più necessario il requisito del valore economico, come richiesto dall'art. 181 bis comma 1 lett. e) d.lg. n. 152 del 2006, in quanto l'art. 184 ter, introdotto dall'art. 13 d.lg. n. 205 del 2010, richiede solo che vi sia "un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto"»[15].
Tali norme definitorie possono di conseguenza rappresentare validi strumenti ermeneutici per poter accertare, sotto il profilo oggettivo, uno degli elementi costitutivi richiesti dalla norma giuridica in esame (ossia, in sostanza, se i rifiuti siano pericolosi o no) ma non coprono, ai sensi dell’art. 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’intera categoria di essi; in effetti, non rientrano nel loro campo prescrittivo, «le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera e il biossido di carbonio catturato e trasportato ai fini dello stoccaggio geologico e stoccato in formazioni geologiche prive di scambio di fluidi con altre formazioni; il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno; il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attivita' di costruzione, ove sia certo che esso verra' riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui e' stato escavato; i rifiuti radioattivi; i materiali esplosivi in disuso; le materie fecali, paglia, sfalci e potature, nonche' altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana; le acque di scarico; i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio; le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformita' del regolamento (CE) n. 1774/2002; i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave, di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117; i sedimenti spostati all'interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d'acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccita' o ripristino dei suoli se e' provato che i sedimenti non sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/CE della Commissione del 3 maggio 2000, e successive modificazioni»[16].
Inoltre, l’abbandono di un rifiuto postula una «mera attività»[17] materiale riassumibile nella condotta di colui che «in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee ovvero incendia rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0.5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri»(art. 6, co. I, lett. a), decreto legge, 6 novembre 2008, n. 172 convertito, con modificazioni, in legge, 30 dicembre 2008, n. 210) fermo restando che «le dimensioni più o meno ingombranti e/o non corrispondenti alle misure indicate nella norma rilevano soltanto con riferimento alla categoria dei rifiuti ingombranti domestici»[18].
Per quanto attiene il deposito, rilevante ai fini del giudizio de quo, esso coincide con quello avvenuto in modo non controllato in aree non autorizzate e quindi va escluso da tale tipologia di deposito, ad esempio, quello temporaneo ossia «il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilita' giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari; di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni»(art. 183, co. I, lett. bb), decreto legislativo n. 152 del 2006) o quello «effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche»(argomentando a contrario, art. 183, co. I, n. 1), decreto legislativo n. 152 del 2006).
Sul punto è stato osservato, in sede nomofilattica, che, in «tema di gestione dei rifiuti, allorché il deposito degli stessi manchi dei requisiti fissati dall'art. 6 lett. m) D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 183 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152) per essere qualificato quale temporaneo, si realizzano, secondo i casi: a) un deposito preliminare, sanzionato dall'art. 51 D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 256, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006), se il collocamento dei rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento; b) una messa in riserva in attesa di recupero, sanzionata dall'art. 51, comma primo, del D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 256, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006), che, quale forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo; c) un deposito incontrollato od abbandono, sanzionato, amministrativamente o penalmente, secondo i casi, dagli artt. 50 e 51, comma secondo, del D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora artt. 255 e 256, comma secondo, D.Lgs. 152 del 2006), quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o di recupero; d) una discarica abusiva, sanzionata dall'art. 51, comma terzo, del D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 256, comma terzo, D.Lgs. n. 152 del 2006), quando l'abbandono è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi»[19].
Il deposito, a sua volta, si può definire incontrollato «quando non si prelude ad alcuna operazione di smaltimento o recupero»[20].
«A tale fine, la gestione dei rifiuti deve avvenire: a)nel rispetto degli obblighi istituiti attraverso il sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 14-bis del decreto-legge 1° luglio 2009, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009; oppure b)nel rispetto degli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico nonche' del formulario di identificazione di cui agli articoli 190[21] e 193[22]»(art. 188 bis, co. II, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Quindi il deposito, che non si attenga a queste prescrizioni, non potendosi considerare monitorato e tracciato - tracciabile, può rientrare tra quelli per cui, nel caso di specie, rileva tale fattispecie penale.
Per aree “non autorizzate”, si devono viceversa intendere quegli impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, per i quali:
- non viene rilasciata, a norma del comma VI dell’art. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’autorizzazione, alla loro realizzazione e gestione da parte della Conferenza dei servizi appositamente convocata dalla Regione competente per territorio, la quale, oltre a doversi imputare «alla p.a. che lo adotta»[23], non individua «i requisiti tecnici di ciascun tipo di operazione autorizzata, nonché il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione»[24];
- l’autorizzazione indicata nel punto precedente, di durata decennale e il cui dies a quo «va individuato nella data di scadenza della precedente autorizzazione, prescindendo da eventuali proroghe»[25], non sia stata rinnovata(art. 208, co. XII, decreto legislativo n. 152 del 2006);
- non venga riconosciuta l’autorizzazione integrata ambientale che, a norma dell’art. 213 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sostituisce l’autorizzazione indicata nei punti precedenti.
Per quanto attiene i rifiuti non pericolosi, in più, si richiama quanto esposto in precedenza ossia come sia necessario che la spazzatura, abbandonata o depositata nei termini suesposti, sia di quantità e caratteristiche tali che, se incendiata, possa porre concretamente in pericolo l’ambiente circostante.
Inoltre, a norma del comma II dell’art. 256 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, rilevano, sempre sotto il profilo materiale, le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, di questo testo normativo ma solo nella misura in cui siano commesse «in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti».
Come è noto, quest’ultima disposizione legislativa prevede che:
- fatto «salvo quanto disposto dall'articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro»;
- soggiace alla sanzione appena richiamata aumentata sino al doppio se, l’autore di questo illecito amministrativo, abbandoni rifiuti pericolosi.
Le modalità delittuose, che connotano tale ipotesi amministrativa, rilevano in questa sede solo nella misura in cui siano prodromiche per la successiva combustione illecita di rifiuti e siano commesse in violazione:
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dell’art. 192, commi I e 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006 i quali rispettivamente statuiscono quanto segue: «1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee»;
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dell’art. 226, comma II del succitato decreto ai sensi del quale: fermo «restando quanto previsto dall'articolo 221, comma 4[26], è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura»;
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dell’art. 231, commi I e II di tale articolato normativo secondo cui: «1.Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio, con esclusione di quelli disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2002, n. 209, che intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli articoli 208[27], 209[28] e 210[29]. Tali centri di raccolta possono ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore. 2.Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio di cui al comma 1 destinato alla demolizione può altresì consegnarlo ai concessionari o alle succursali delle case costruttrici per la consegna successiva ai centri di cui al comma 1, qualora intenda cedere il predetto veicolo o rimorchio per acquistarne un altro».
Sotto il versante ermeneutico, all’opposto, valgono le stesse considerazioni già svolte prima circa la portata applicativa dell’art. 255, co. I, decreto legislativo n. 152 del 2006 potendo limitarci in questa sede a rilevare che, in sede di legittimità, è stato affermato come tale norma giuridica ricomprenda «tutte le ipotesi in cui le medesime condotte delineate dal citato art. 256 comma 2, siano poste in essere da un qualunque soggetto privato»[30] e, pertanto, anche in tale caso, possono soccorrere quegli orientamenti ermeneutici secondo cui:
- il «deposito incontrollato di rifiuti si configura ogniqualvolta si accerti un'attività di stoccaggio e smaltimento di materiali, costituiti anche in parte da rifiuti, abusivamente ammassati su una determinata area rientrante nella disponibilità del reo»[31];
- la violazione dell’obbligo di non abbandonare i rifiuti rileva solo se vi sia la «responsabilità a titolo quantomeno di colpa in capo all'autore dell'abbandono dei rifiuti»[32].
Il problema è invece quello di accertare quando tali condotte siano state poste in essere allo scopo di una successiva combustione illecita di rifiuti.
A parere di chi scrive, questo accertamento è assai difficile da acclarare potendosi, ad esempio, pervenire a siffatta fonte di prova nel caso in cui taluno sia stato colto nell’abbandonare o depositare un rifiuto in un’area non autorizzata ove già vi erano stati incendi e sia stato colto in possesso di mezzi atti ad incendiare (esempio: una tanica di benzina rinvenuta nell’automobile utilizzata dalla persona fermata).
Per quanto inerisce l’elemento soggettivo, si ritiene come ricorra il dolo generico, per le ipotesi delittuose contemplate nel primo comma dell’art. 256 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, essendo sufficiente la coscienza e volontà di appiccare il fuoco ai rifiuti ivi indicati.
Purtuttavia, se in punto di prova non vi dovrebbero essere particolari profili di criticità per quanto attiene i rifiuti abbandonati essendo evidente la dimostrazione del loro stato di abbandono e soprattutto, della loro volontà di incendiarle (es. pattumiera lasciata lungo una via), qualche problema ermeneutico sembrerebbe sorgere in relazione ai rifiuti depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate e, soprattutto, a proposito di quelli pericolosi.
Infatti, è necessario che colui che appicca il fuoco sia a conoscenza del fatto che il rifiuto incendiato sia stato allocato in un’area non autorizzata.
In realtà, tale eventuale profilo di criticità in realtà è solo apparente sicchè le aree autorizzate sono note e conoscibili a tutti perchè l’autorizzazione, a realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, «deve essere comunicata, a cura dell'amministrazione competente al rilascio della stessa, al Catasto dei rifiuti di cui all'articolo 189[33] attraverso il Catasto telematico e secondo gli standard concordati con ISPRA[34] che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, dei seguenti elementi identificativi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»(art. 208, co. XVII bis, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Tal che, a fronte di un elenco facilmente accessibile a tutti, difficilmente si potrà affermare di non essere a conoscenza della natura del sito ove il reato in questione è stato compiuto.
Più complesso è invece il discorso inerente i rifiuti pericolosi essendo per l’appunto necessario che colui, commette questo illecito penale, sia a contezza di tale circostanza dato che, ad esempio, in materia di trasporto di rifiuti pericolosi, se è vero che è stato postulato, in sede nomofilattica, come rilevi l'ignoranza circa la natura di rifiuto pericoloso del materiale trasportato[35], è altrettanto vero che tale fatto è stato interpretato come una mera condotta imprudente che, in quanto tale, come è noto, funge da elemento rappresentativo dell’elemento soggettivo del reato rappresentato dalla colpa[36] ma non del dolo.
Ciononostante, trattandosi, come suesposto in precedenza, di un reato di pericolo presunto, si potrebbe replicare da un punto di vista teorico come sia sufficiente la coscienza e volontà di voler appiccare un fuoco a nulla rilevando che l’autore del reato non fosse a cognizione della pericolosità del rifiuto bruciato.
A questo riguardo, seppur per una norma incriminatrice, differente per la modalità delittuosa da quella in esame, ma assai simile sotto il profilo della struttura del reato, prevedendo anch’essa un reato di pericolo presunto (ossia l’art. 445 c.p.[37]), è stato asserito, in sede di merito, che l’elemento psicologico di questo delitto è ravvisabile «nella coscienza e volontà dell'irregolare somministrazione, senza coscienza e volontà del danno o del pericolo eventualmente conseguente alla somministrazione stessa»[38].
Per gli altri illeciti penali, anch’essi connotati dal fatto di essere commessi mediante l’utilizzo di sostanze pericolose, è stato però viceversa rilevato, in sede di legittimità, che è necessario come vi sia, per esempio per il delitto di cui all’art. 444 c.p.[39], «la volontà del commercio di sostanze alimentari nocive e la consapevolezza del pericolo che può esser arrecato»[40] ovvero, per quello di cui all’art. 443 c.p.[41], la consapevole detenzione per il commercio di medicinali scaduti o imperfetti la cui individuazione «deve avvenire attraverso indici esterni significativi di tale consapevolezza»[42].
Di conseguenza, anche alla luce di tali indirizzi interpretativi, si potrà ritenere raggiunto tale elemento dimostrativo nel caso di specie laddove:
- la pericolosità del rifiuto emerga ictu oculi ossia sia rilevabile da chiunque;
- l’incendio venga appiccato da chi solitamente, a causa della sua professione, tratti solitamente tale materiale quale può essere il trasportatore facente parte di un’impresa che provvede alla raccolta o al trasporto dei rifiuti a titolo professionale essendo perfettamente in grado di comprendere la natura del materiale incendiato.
Infatti, in casi di questo tipo, può ritenersi raggiunta, seppur a livello indiziario, la prova della conoscenza da parte del colpevole della pericolosità del rifiuto da lui incendiato.
Per quanto attiene all’opposto l’ipotesi prevista dall’art. 256 bis, co. II, decreto legislativo n. 152 del 2006, a parere di chi scrive, ricorre il dolo specifico non essendo sufficiente la coscienza e volontà, ad esempio, di immettere, nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, imballaggi terziari di qualsiasi natura o di abbandonare o depositare senza controllo rifiuti sul suolo e nel suolo, occorrendo per contro un quid pluris ossia che tali condotte siano finalizzate alla “successiva combustione illecita di rifiuti”.
Difatti, se si agisce in funzione di un dato fine, è necessario che la persona commetta il reato allo scopo di perseguire questo obiettivo e quindi non potrà che ricorrere il dolo specifico il quale, come è risaputo, per l’appunto, riguarda un fine ulteriore e diverso che non è necessario che si realizzi affinchè emerga il reato[43].
Da un punto di vista pratico, la prova si palesa assai difficile da formare non essendo sufficiente che taluno sia colto in una delle condotte menzionate in precedenza.
In questo caso, sembra essere necessaria un’indagine a più largo spettro che permetta di consentire acclarata tale volontà (esempio: una persona viene colta in più occasioni ad abbandonare rifiuti dove poi effettivamente si verificano degli incendi).
Al contrario, non costituisce reato ma un mero illecito amministrativo, qualora le condotte summenzionate siano state poste in essere nei confronti i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e) ossia «i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali»; nel qual caso, invero, si «applicano le sanzioni di cui all'articolo 255»(art. 256 bis, co. VI, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Venendo a questo punto della disamina a trattare gli elementi accidentali, sono previste due circostanze speciali ad effetto comune essendo previsto, per questa ipotesi di reato, l’aumento della pena sino ad un terzo:
- «se i delitti di cui al comma 1 siano commessi nell'ambito dell'attivita' di un'impresa o comunque di un'attivita' organizzata»(art. 256 bis, co. III, decreto legislativo n. 152 del 2006);
- «se i fatti di cui al comma 1 sono commessi in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225»(art. 256 bis, co. IV, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Per quanto attiene la prima circostanza, per risalire a quale sia l’impresa o l’attività organizzata a cui fare riferimento soccorre, per la nozione di “impresa”, l’art. 256, co. I, del decreto legislativo n. 152 del 2006 che incrimina chiunque «effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216» nonché l’art. 256, co. III, sempre di questo testo normativo, con cui viene punito chi, invece, «realizza o gestisce una discarica non autorizzata».
E’ evidente, trattandosi di reati commessi su rifiuti depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate, che può ritenersi solita, commettere un reato di questo tipo, l’impresa che non sia in regola con le prescrizioni normative appena citate ossia:
-
non abbia ottenuto l’autorizzazione prevista dall’art. 208, co. V, decreto legislativo n. 152 del 2006;
-
non abbia comunicato i titoli abilitativi a norma dell’art. 209, co. VII, decreto legislativo n. 152 del 2006;
-
in caso di riduzione dei termini indicati nei punti precedenti, l’autorizzazione non venga comunicata secondo le modalità previste dall’art. 211, co. V, decreto legislativo n. 152 del 2006;
-
non sia iscritta all’albo nazionale gestori ambientali condizione questa che «costituisce titolo per l'esercizio delle attivita' di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti»(art. 212, co. VI, decreto legislativo n. 152 del 2006);
-
non vengano comunicati i dati di cui al comma 9 dell’art. 214 (art. 214, co. X, decreto legislativo n. 152 del 2006);
-
non sia fatta la comunicazione di inizio di attività, a firma del legale rappresentante dell'impresa, per l’autosmaltimento, a norma dell’art. 215, co. III, decreto legislativo n. 152 del 2006;
-
non sia inoltrata la comunicazione di inizio di attività, per le operazioni di recupero, a norma dell’art. 216, co. I, decreto legislativo n. 152 del 2006.
Inoltre, ricorre tale tipologia di aggravante, pure qualora le attività imprenditoriali «per le loro concrete modalità, risultino totalmente difformi da quanto autorizzato»[44] nel senso di svolgersi «continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati»[45].
Al di là delle imprese che gestiscono abusivamente la raccolta o lo smaltimento dei rifiuti, altre tipologie imprenditoriali, che possono astrattamente rilevare nella fattispecie in esame, possono essere: a) l’«impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilita' dei rifiuti»(art. 183, co. I, lett. l), decreto legislativo n. 152 del 2006); b) l’«impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti»(art. 188, co. I, decreto legislativo n. 152 del 2006); c) l’impresa che effettua il trasporto di rifiuti speciali pericolosi(art. 188 ter, co. I, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Per quanto concerne, invece, le parole “attività organizzata”, la norma giuridica di riferimento, in chiave interpretativa, è l’art. 260, co. I, del decreto legislativo n. 152 del 2006 il quale, nel prevedere un apposito reato intitolato «attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti», punisce la condotta di chi, «al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti».
Da tale norma discende come l’attività organizzata sia configurabile quale attività continuativa organizzata che, secondo l’orientamento nomofilattico elaborato in ordine a quest’ultima disposizione legislativa, richiede «una pluralità di operazioni in continuità temporale relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti»[46].
Di talchè, pure nel caso di specie, un’attività organizzata può stimarsi tale se avviene attraverso molteplici operazioni, con cadenza temporale costante, non essendo sufficiente il deposito o l’abbandono di rifiuti avvenuto in modo saltuario e/o occasionale.
L’altra circostanza prevista, invece, prevede sempre un innalzamento della pena sino ad un terzo «se i fatti di cui al comma 1 sono commessi in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225».
A questo proposito, da un lato, l’art. 2, co. I, lett. c), della legge n. 225 del 1992 definisce calamità naturali o connesse con l'attivita' dell'uomo quelle che «in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo», dall’altro lato, l’art. 5, co. I, di questo testo di legge, stabilisce a sua volta che, al «verificarsi degli eventi di cui all' articolo 2, comma 1, lettera c), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, su sua delega, di un Ministro con portafoglio o del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri segretario del Consiglio, formulata anche su richiesta del Presidente della regione interessata e comunque acquisitane l'intesa, delibera lo stato d'emergenza, fissandone la durata e determinandone l'estensione territoriale con specifico riferimento alla natura e alla qualita' degli eventi e disponendo in ordine all'esercizio del potere di ordinanza».
Per quanto attiene la questione circa la normativa emergenziale da attribuirsi precisamente ai rifiuti, quella di riferimento è il decreto legge, 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge, 14 luglio 2008, n. 123 con cui, come si evince dall’art. 1, al «Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri e' attribuito il coordinamento della complessiva azione di gestione dei rifiuti nella regione Campania per il periodo emergenziale stabilito ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225» la cui durata, alla stregua di questa disposizione legislativa e, segnatamente, al co. I bis, così come previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 2), del D.L. 15 maggio 2012, n. 59 e successivamente sostituito dall' articolo 10, comma 1, lettera b) del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 ottobre 2013, n. 119, non può superare i 180 giorni prorogabile per non piu' di ulteriori 180 giorni.
Orbene, al di là della tragica vicenda che attualmente sta colpendo la regione Campania, nulla esclude che tale disciplina possa dispiegare una rilevanza nazionale.
Invero, la Cassazione, nell’analizzare il reato previsto dall’art. 6 del decreto legge n. 172 del 2008, proprio sulla scorta del suo tenore letterale che connota la parte introduttiva di tale previsione incriminatrice (nei «territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225»), è pervenuta ad affermare che le condotte ivi contemplate «hanno rilievo nell'ambito dell'intero territorio nazionale, essendo presupposto delle stesse unicamente la intervenuta dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi della l. n. 225 del 1992»[47].
Pertanto, l’aggravante in commento è applicabile per quell’area territoriale ove è stata oppure ove sarà emessa la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi della legge appena citata.
Si pone invece un profilo di criticità costituzionale in quale parte della disposizione che consente l’applicazione di tale elemento accidentale a quei territori che, nei cinque anni precedenti dal compimento della condotta, siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
Difatti, secondo quanto evidenziato da insigne letteratura scientifica, la retroattività, nel caso di specie, è irragionevole proprio perché l’assenza di una emergenza attuale contrasta con la stessa scelta del legislatore il quale ha introdotto un trattamento sanzionatorio più afflittivo proprio in ragione della situazione di maggior esposizione in cui si trova l’ambiente in tali situazioni[48].
Del resto, sempre in sede scientifica, è stato evidenziato come il divieto di retroattività involga il reato in tutti i suoi aspetti[49] e quindi, anche per quello che attiene gli elementi accidentali.
Tale evidente ostacolo di ordine giuridico, tuttavia non può, ad avviso di chi scrive, lasciare intentate altre strade percorribili, di natura extrapenale, volte a ristorare le vittime dei danni subiti e a bonificare le aree inquinate.
In questo caso, al di là di eventuali azioni risarcitorie praticabili sul piano civilistico, si auspica l’intervento dello Stato mediante lo stanziamento di adeguate risorse alle vittime ed ai loro familiari nonché interventi di riqualificazione delle aree territoriali inquinate.
A questo riguardo, in parte sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 140 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di controllo degli scarichi in relazione alle ipotesi delittuose di cui agli articoli 137 e 138, sarebbe auspicabile l’introduzione di una specifica attenuante speciale ad effetto speciale prevedendo per colui che, prima del giudizio penale, abbia riparato interamente il danno o eseguito interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino, la diminuzione delle sanzioni penali previste dalla metà a due terzi.
Orbene pur trattandosi di reati di pericolo, nulla esclude infatti che da tali illeciti penali possa discendere anche un danno concreto all’ambiente e alla salute delle persone e dunque, tale attenuante potrebbe rappresentare un forte incentivo agli autori del reato a provvedere, nel più breve tempo possibile, a ristorare la vittima delle sofferenze da lei patite e a bonificare l’area inquinata.
Analogo discorso milita a proposito dell’art. 139 di questo testo di legge a norma del quale, «la sentenza di condanna per i reati previsti nella parte terza del presente decreto, o con la decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato al risarcimento del danno e all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino».
Anche in questo caso, invero, la concedibilità di tale beneficio, subordinata all’espletamento di siffatte incombenze, potrebbero rappresentare un valido incentivo per l’autore del reato a ristorare i danni conseguenti alla sua condotta criminosa nonché a bonificare il territorio contaminato.
Del resto, ragioni di uniformità normativa militano a sostegno di quest’assunto sicchè nel titolo VI, capo I, del codice dell’ambiente ossia quello deputato alle sanzioni similari a quello in commento, è prevista un’analoga previsione legislativa per: a) l’abbandono di rifiuti(art. 255, co. III, ultimo capoverso, decreto legislativo n. 152 del 2006); b) la bonifica dei siti(art. 257, co. III, decreto legislativo n. 152 del 2006); c) l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti(art. 260, co. IV, decreto legislativo n. 152 del 2006).
Proseguendo nella disamina della norma giuridica in argomento, l’art. 256 bis, co. V, del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede due forme possibili di confisca ossia il sequestro:
-
dei mezzi di trasporto utilizzati per la commissione dei delitti di cui al comma 1 ai sensi dell'articolo 259, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea al reato, la quale provi che l'uso del bene e' avvenuto a sua insaputa e in assenza di un proprio comportamento negligente;
-
dell’area sulla quale è commesso il reato, se di proprieta' dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, disposta con la sentenza di condanna o la sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
Procedendo per gradi ed esaminando l’ablazione dei mezzi di trasporto, la confisca avviene obbligatoriamente (art. 259, co. II, decreto legislativo n. 152 del 2006) salvo che ricorrano le seguenti condizioni:
-
che il mezzo appartenga a colui che non ha commesso il reato né come autore materiale, né come concorrente;
-
che quest’ultimo, a sua volta, dimostri che l’uso del bene sia avvenuto a sua insaputa e non gli sia imputabile alcun comportamento negligente.
Per la prima ipotesi, nulla quaestio, in quanto tali soggetti sono agevolmente riconducibili al soggetto attivo del reato sia in qualità di concreto esecutore (esempio: colui che materialmente incendia i rifiuti), sia in qualità di agevolatore o che, in generale, abbia apportato un contributo concreto per la commissione di questo delitto (esempio: il camionista il quale trasporta i rifiuti che poi vengono incendiati da un’altra persona).
Quanto all’ipotesi per ultimo citata, tale norma giuridica sembra recepire nella sostanza il contenuto prescrittivo dell’art. 214, co. 1 bis, decreto legislativo, 30 aprile 1992, n. 285, secondo il quale, se «l'autore della violazione e' persona diversa dal proprietario del veicolo, ovvero da chi ne ha la legittima disponibilita', e risulta altresi' evidente all'organo di polizia che la circolazione e' avvenuta contro la volonta' di costui, il veicolo e' immediatamente restituito all'avente titolo».
A questo proposito, dunque, l’inciso “a sua insaputa” menzionato nell’articolo in commento può significare “contro la volontà di colui a cui appartiene il mezzo di trasporto utilizzato per la commissione dei delitti di cui al comma 1”.
L’ulteriore riferimento all’assenza di un comportamento negligente appare essere francamente eccessivo e ingiustamente punitivo nei confronti di chi abbia già fornito la prova della sua totale estraneità alla commissione dell’illecito penale in oggetto anche perché l’art. 260 ter, co. IV, del decreto legislativo n. 152, in un caso non molto dissimile a quello in commento (ossia il trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi), esclude sic et simpliciter la confisca del veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato per il trasporto del rifiuto qualora gli stessi appartengano «non fittiziamente a persona estranea al reato».
Ciononostante, nell’auspicio che tale secondo passaggio argomentativo venga espunto in sede di conversione, si può richiamare in chiave ermeneutica e a titolo meramente esemplificativo, quell’orientamento nomofilattico secondo cui il «proprietario del veicolo è tenuto a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell'eventuale incapacità di identificare detti soggetti necessariamente risponde a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento in modo da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l'identità del conducente»[50].
E’ inoltre statuito che «alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale e' commesso il reato, se di proprieta' dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi».
Tale costrutto normativo ricalca pedissequamente quanto previsto dal comma III dell’art. 256 del decreto in argomento che mira a colpire l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata e dall’art. 6, co. I, lett. e) del succitato decreto legge, 6 novembre 2008, n. 172.
Sul profilo interpretativo, possiamo quindi richiamare i seguenti indirizzi interpretativi già elaborati per queste norme giuridiche e così formulati:
-
non «è ammessa in sede esecutiva la revoca della confisca ancorché erroneamente disposta con decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per mancata opposizione, ostandovi la formazione del giudicato»[51];
-
«in caso di comproprietà, la confisca va limitata alla sola quota del comproprietario responsabile del reato escludendo la quota del soggetto estraneo»[52];
-
«la restituzione di un'area interessata dall'abbandono e/o dal deposito incontrollato di rifiuti ed oggetto di un sequestro probatorio o preventivo non può essere subordinata alla previa bonifica dell'area medesima, in quanto la restituzione costituisce un atto dovuto ed insuscettibile di essere sottoposto a condizione, salva la possibilità di convertire il sequestro per le altre finalità di legge o di sostituirlo con la confisca nei casi consentiti»[53];
-
il «divieto di restituzione delle cose sottoposte a sequestro, stabilito dall'art. 324, comma settimo, cod. proc. pen. per i casi in cui trattisi di cose per le quali sia prevista la confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240, comma secondo, cod. pen., non riguarda le ipotesi in cui l'obbligo di confisca sorga soltanto a seguito della pronuncia di una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta»[54].
Per quanto attiene la nozione di “compartecipe”, è stato giustamente osservato, da autorevole letteratura giudiziale, come tale termine potrebbe porre qualche problema ermeneutico nel senso che si dovrà stabilire se con esso si debba intendere il solo concorrente del reato o se tale parola può essere estesa anche a coloro che abbia commesso reati ad esso connessi (esempio: favoreggiamento)[55].
A parere di chi scrive, è preferibile la prima opzione ermeneutica:
- perché tale interpretazione è quella più aderente al principio di tassatività e al divieto di analogia dato che, nella norma in argomento, ci si riferisce al “compartecipe al reato” e non a chi commette un illecito penale correlabile a quello in oggetto;
- per esigenze di uniformità normativa sicchè, come suesposto, la confisca del mezzo di trasporto può avvenire solo se il mezzo appartenga a persona estranea al reato mentre non viene fatta menzione alcuna ad altri illeciti penali prodromici o agevolatori di quello in commento.
In ordine agli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, l’art. 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce quanto segue:«1.Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro.
2.Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
3.Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.
4.L'osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1».
A questo riguardo, è stato asserito che l’«ipotesi di bonifica "imperfetta", non integra, neppure in via astratta, la realizzazione di un nuovo inquinamento, con la conseguente impossibilità di attribuire la qualità di soggetto attivo del reato di cui all'art. 257 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 ai soggetti responsabili della bonifica»[56].
Per quanto invece riguarda la consumazione, trattandosi di un reato istantaneo, esso si perfeziona nel momento in cui viene compiuta una delle condotte menzionate nei primi due commi dell’art. 256 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 mentre, essendo l’illecito penale in questione, come suesposto, un reato di pericolo, aderendo a quell’orientamento scientifico che ritiene questo illecito penale non configurabile in forma tentata (Fiandaca – Musco), si ritiene non ravvisabile tale fattispecie delittuosa nella forma prevista dall’art. 56 c.p..
In materia di concorso di reati, qualora non ricorrano tutti gli elementi costitutivi previsti dal comma I, può stimarsi configurabile il delitto di incendio o, come suesposto, quello stabilito dall’art. 434, co. II, c.p. mentre, per quello prefissato al comma II, ove non sia provato che quelle attività siano finalizzate alla combustione di rifiuti illeciti, può applicarsi la fattispecie meno grave, in quanto di natura contravvenzionale, preveduta dall’art. 256 del decreto legislativo n. 152.
Per quanto ineriscono i profili procedurali, si può evidenziare sinteticamente in questa sede che: il giudice competente è il Tribunale monocratico; è prevista l’udienza preliminare; l’arresto è facoltativo nel caso previsto dal primo comma, primo capoverso e nel comma secondo ad esso speculare mentre è obbligatorio negli altri casi; il fermo indiziario di delitto è consentito solo per il caso contemplato dal primo comma, secondo capoverso e nel comma secondo ad esso corrispondente; è consentita la custodia cautelare in carcere; sono consentite le altre misure cautelari personali; la procedibilità è d'ufficio.
Infine, sempre sotto il profilo procedurale, l’art. 4 del decreto Legge, 10/12/2013, n.136, ha stabilito che, all’articolo 129 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo il comma 3-bis, e' aggiunto il seguente:«3-ter. Quando esercita l'azione penale per i reati previsti nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero per i reati previsti dal codice penale comportanti un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente, il pubblico ministero informa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione nel cui territorio i fatti si sono verificati. Qualora i reati di cui al primo periodo arrechino un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare, il pubblico ministero informa anche il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il pubblico ministero, nell'informazione, indica le norme di legge che si assumono violate anche quando il soggetto sottoposto a indagine per i reati indicati nel secondo periodo e' stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare. Le sentenze e i provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio sono trasmessi per estratto, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso i provvedimenti medesimi, alle amministrazioni indicate nei primi due periodi del presente comma».
Tale norma si innesta nel solco dell’obbligo per il pubblico ministero, ma non della polizia giudiziaria[57], di inviare l’informativa «contenente la indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare»(art. 129 disp. att. co. III bis, c.p.p.); difatti, tale figura processuale è tenuta a far ciò quando:
-
eserciti l'azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l'autorità da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione (art. 129, co. I, disp. att. c.p.p.);
-
l'azione penale sia esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico(art. 129, co. II, disp. att. c.p.p.);
-
eserciti l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione(art. 129, co. III, disp. att. c.p.p.).
In riferimento all’obbligo di informazione per così dire “aggiuntivo” ivi previsto, è stato autorevolmente sostenuto come debba ritenersi «che l’uso della particella disgiuntiva “o”, ripetuto due volte,e lo scopo della disposizione, determinino il dovere di informare: a) il solo Ministero della Salute, oltre che quello dell’Ambiente, nei casi in cui sia configurabile un pericolo per la tutela della salute, ma non anche per la sicurezza agroalimentare; b) il solo Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, oltre che quello dell’Ambiente, nei casi in cui vi è pericolo per la sicurezza agroalimentare, ma non anche per la tutela della salute; c) entrambi i Ministeri, oltre che quello dell’Ambiente, quando vi è pericolo per entrambi i beni giuridici»[58].
Inoltre, detto obbligo «si estende anche alle sentenze ed ai “provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio”, e, ma la previsione non è chiarissima, nei casi di arresto, fermo o misura cautelare disposta nei confronti di soggetto indagato per i reati previsti dal d. lgs. n. 152 del 2006, ovvero per i reati previsti dal codice penale comportanti un pericolo o un pregiudizio per l’ambiente, e che, inoltre, “arrechino un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare”»[59] e infatti, «la limitazione appena indicata dell’obbligo di informazione sembra derivare dal riferimento compiuto dal terzo periodo (relativo ai casi di arresto, fermo o custodia cautelare) del ‘nuovo’ comma 3 ter dell’art. 129 disp. att. cod. proc. pen. ai soli “reati indicati nel secondo periodo” del medesimo articolo, a differenza di quanto previsto dal quarto comma (riguardante le sentenze e gli altri provvedimenti ‘definitori’), che dispone la comunicazione “alle amministrazioni indicate nei primi due periodi del presente comma”»[60].
Infine, l’art. 256 bis, co. II, decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che, fermo «restando quanto previsto dalle disposizioni vigenti, i Prefetti delle province della regione Campania, nell'ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio prioritariamente finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalita' organizzata e ambientale, sono autorizzati ad avvalersi, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili, di personale militare delle Forze armate, posto a loro disposizione dalle competenti autorita' militari ai sensi dell'articolo 13 della legge 1° aprile 1981, n. 121» il quale, a sua volta, rimanda alle competenze del Prefetto.
Tale disposizione legislativa rappresenta il logico completamento, sul piano preventivo, di quanto statuito dalla norma incriminatrice in commento poichè finalizzata alla prevenzione dei delitti di criminalita' organizzata e ambientale.
In conclusione, la regola giuridica in esame si palesa in larga parte condivisibile sicchè volta a rafforzare la tutela ambientale e la salute dei cittadini.
L’auspicio dello scrivente, tuttavia, è quello di un rafforzamento di tali meccanismi di protezione giuridica oltre l’approntamento:
- dei necessari correttivi, in minima parte, schematicamente illustrati in questo scritto, volti a garantire una più completa applicazione dei principi che hanno ispirato tale disciplina legislativa (ed evidenziati in precedenza);
- di adeguate risorse finanziare necessarie per far fronte a questa grave condizione sociale e ambientale.
[1]Cosa prevede il decreto “Terra dei fuochi”, in http://www.governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=74002.
[2]Terra dei Fuochi, arriva il decreto. Orlando: "Passo decisivo per cancellare onta" – in http://www.minambiente.it/comunicati/terra-dei-fuochi-arriva-il-decreto-orlando-passo-decisivo-cancellare-onta.
[3]Tribunale amministrativo regionale Torino (Piemonte), sezione I, sentenza 25 marzo 2010 (dep. 3 maggio 2010), n. 2294, in Redazione Giuffrè, 2010. Sull’argomento, GIUNTA Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, p. 231; Castronuovo, Principio di precauzione e diritto penale, Paradigmi dell’incertezza nella struttura del reato, Roma, Aracne editrice, 2012; Forti, Principio di precauzione e diritto penale, Criminalia, 2006, pp. 156-225, spec. pp. 165-166.
[4]Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 26 febbraio 1991, in Giustizia penale, 1991, II, 497.
[5]Ai sensi del quale:«1.Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni».
[6]Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 24 gennaio 2006 (dep. 2 marzo 2006), n. 7629, in Cass. penale, 2007, 5, 2064.
[7]Secondo cui:«1. Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni. 2.La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica».
[8]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 13 aprile 2010 (dep. 9 giugno 2010), n. 22006, in Foro it., 2011, 4, II, 245.
[9]C. Ruga Riva, «Il decreto “Terra dei fuochi”: un commento a caldo...», in http://lexambiente.it/rifiuti/179-dottrina179/10088-rifiutiil-decreto-terra-dei-fuochi-un-commento-a-caldo.html.
[10]In senso analogo, il Cons. Dott. Corbo dell’Ufficio Massimario della Cassazione il quale ritiene di pervenire a questa conclusione giuridica anche perché, per la secondo previsione delittuosa contenuta nel primo comma dell’articolo in commento, sono previste pene differenti rispetto alla fattispecie base. Sempre questo insigne Magistrato non ha tuttavia stimato del tutto implausibile una ricostruzione di questo istituto come elemento accidentale sul versante obiettivo proprio perché l’elemento differenziale della prima fattispecie, rispetto alla seconda, risiederebbe per l’appunto nell’oggetto materiale(La relazione dell'Ufficio Massimario della Cassazione sul decreto legge in materia di contrasto alla combustione illecita di rifiuti, in http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%20III_04_2013.pdf).
[11]Tribunale amministrativo regionale Trento (Trentino Alto Adige), sezione I, sentenza 29 settembre 2011 (dep. 2 novembre 2011), n. 275, in Dir. giur. agr., 2013, 4, 261, (s.m.).
[12]Tribunale di Bari, sentenza 27 maggio 2011, in Riv. pen., 2011, 10, 1040.
[13]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 30 maggio 2007 (dep. 21 giugno 2007), n. 24481, in CED Cass. pen., 2008; Cass. pen., 2008, 6, 2595.
[14]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 11 marzo 2008 (dep. 9 aprile 2008), n. 14750, in CED Cass. pen., 2008.
[15]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 25 maggio 2011 (dep. 17 giugno 2011), n. 24427, in Foro it., 2012, 2, II, 104.
[16]Ad esempio, è stato asserito che «le rocce e le terre da scavo che presentino sostante esterne inquinanti sono sottratte alla disciplina sui rifiuti solo in presenza: a) di caratteristiche chimiche che escludano una effettiva pericolosità per l'ambiente; b) di approvazione di un progetto che ne disciplini il reimpiego; c) di prova dell'avvenuto rispetto dell'obbligo di reimpiego secondo il progetto»(Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 marzo 2013, n. 32797, in CED Cass. pen., 2013) così come «l’esclusione dalla disciplina sui rifiuti dei fanghi derivanti dallo sfruttamento delle cave (art. 185, lett. d), d.lg. 3 aprile 2006 n. 152) è subordinata alla condizione che gli stessi derivino direttamente dallo sfruttamento e restino entro il ciclo produttivo dell'estrazione e connessa pulitura, in quanto l'attività di sfruttamento del materiale di cava è distinta da quella della sua lavorazione successiva»(Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 28 gennaio 2009 (dep. 11 marzo 2009), n. 10711, in CED Cass. pen., 2009.
[17]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 18 febbraio 2012 (dep. 22 ottobre 2012), n. 41161, in Foro it., 2013, 1, II, 35.
[18]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 18 aprile 2012 (dep. 22 ottobre 2012), n. 41161, in Foro it., 2013, 1, II, 35.
[19]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 10 novembre 2009 (dep. 30 dicembre 2009), n. 49911, in CED Cass. pen., 2009.
[20]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 11 marzo 2009 (dep. 11 maggio 2009), n. 19883, in CED Cass. pen., 2009.
[21]Ai sensi del quale: «1.Sono obbligati alla compilazione e tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti: a) gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi e gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali non pericolosi di cui alle lettere c) e d) del comma 3 dell'articolo 184 e di rifiuti speciali non pericolosi da potabilizzazione e altri trattamenti delle acque di cui alla lettera g) del comma 3 dell'articolo 184; b) gli altri detentori di rifiuti, quali enti e imprese che raccolgono e trasportano rifiuti o che effettuano operazioni di preparazione per il riutilizzo e di trattamento, recupero e smaltimento, compresi i nuovi produttori e, in caso di trasporto intermodale, i soggetti ai quali sono affidati i rifiuti speciali in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell'impresa navale o ferroviaria o dell'impresa che effettua il successivo trasporto ai sensi dell'articolo 188-ter, comma 1, ultimo periodo; c) gli intermediari e i commercianti di rifiuti. 1-bis. Sono esclusi dall'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico: a) gli enti e le imprese obbligati o che aderiscono volontariamente al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), dalla data di effettivo utilizzo operativo di detto sistema; b) le attivita' di raccolta e trasporto di propri rifiuti speciali non pericolosi effettuate dagli enti e imprese produttori iniziali (3). 1-ter. Gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile produttori iniziali di rifiuti pericolosi adempiono all'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico con una delle due seguenti modalita': a) con la conservazione progressiva per tre anni del formulario di identificazione di cui all'articolo 193, comma 1, relativo al trasporto dei rifiuti, o della copia della scheda del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a); b) con la conservazione per tre anni del documento di conferimento di rifiuti pericolosi prodotti da attivita' agricole, rilasciato dal soggetto che provvede alla raccolta di detti rifiuti nell'ambito del 'circuito organizzato di raccolta' di cui all'articolo 183, comma 1, lettera pp). 1-quater. Nel registro di carico e scarico devono essere annotate le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti prodotti o soggetti alle diverse attivita' di trattamento disciplinate dalla presente Parte quarta. Le annotazioni devono essere effettuate: a) per gli enti e le imprese produttori iniziali, entro dieci giorni lavorativi dalla produzione e dallo scarico; b) per gli enti e le imprese che effettuano operazioni di preparazione per il riutilizzo, entro dieci giorni lavorativi dalla presa in carico dei rifiuti e dallo scarico dei rifiuti originati da detta attivita'; c)per gli enti e le imprese che effettuano operazioni di trattamento, entro due giorni lavorativi dalla presa in carico e dalla conclusione dell'operazione di trattamento; d) per gli intermediari e i commercianti, almeno due giorni lavorativi prima dell'avvio dell'operazione ed entro dieci giorni lavorativi dalla conclusione dell'operazione. 2.I registri di carico e scarico sono tenuti presso ogni impianto di produzione o, nel caso in cui cio' risulti eccessivamente oneroso, nel sito di produzione, e integrati con i formulari di identificazione di cui all'articolo 193, comma 1, relativi al trasporto dei rifiuti, o con la copia della scheda del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), trasmessa dall'impianto di destinazione dei rifiuti stessi, sono conservati per cinque anni dalla data dell'ultima registrazione. 3.I produttori iniziali di rifiuti speciali non pericolosi di cui al comma 1, lettera a), la cui produzione annua di rifiuti non eccede le dieci tonnellate di rifiuti non pericolosi, possono adempiere all'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti anche tramite le associazioni imprenditoriali interessate o societa' di servizi di diretta emanazione delle stesse, che provvedono ad annotare i dati previsti con cadenza mensile, mantenendo presso la sede dell'impresa copia dei dati trasmessi. 4.Le informazioni contenute nel registro di carico e scarico sono rese disponibili in qualunque momento all'autorita' di controllo qualora ne faccia richiesta. 5I registri di carico e scarico sono numerati, vidimati e gestiti con le procedure e le modalita' fissate dalla normativa sui registri IVA. Gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4, regolarmente numerata. I registri sono numerati e vidimati dalle Camere di commercio territorialmente competenti. 6.La disciplina di carattere nazionale relativa ai registri di carico e scarico e' quella di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 1° aprile 1998, n. 148, come modificato dal comma 7. 7.Nell'Allegato C1, sezione III, lettera c), del decreto del Ministro dell'ambiente 1° aprile 1998, n. 148, dopo le parole: “in litri” la congiunzione: “e” e' sostituita dalla disgiunzione: “o”. 8.I produttori di rifiuti pericolosi che non sono inquadrati in un'organizzazione di ente o impresa, sono soggetti all'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico e vi adempiono attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie delle schede del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), relative ai rifiuti prodotti, rilasciate dal trasportatore dei rifiuti stessi. 9.Le operazioni di gestione dei centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm), sono escluse dagli obblighi del presente articolo limitatamente ai rifiuti non pericolosi. Per i rifiuti pericolosi la registrazione del carico e dello scarico puo' essere effettuata contestualmente al momento dell'uscita dei rifiuti stessi dal centro di raccolta e in maniera cumulativa per ciascun codice dell'elenco dei rifiuti».
[22]Secondo cui: «1.Per gli enti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti e non sono obbligati o non aderiscono volontariamente al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), i rifiuti devono essere accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati: a) nome ed indirizzo del produttore dei rifiuti e del detentore; b) origine, tipologia e quantita' del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell'istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario. 2.Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore dei rifiuti e controfirmate dal trasportatore che in tal modo da' atto di aver ricevuto i rifiuti. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al predetto produttore dei rifiuti. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni. 3.Il trasportatore non e' responsabile per quanto indicato nella Scheda SISTRI - Area movimentazione o nel formulario di identificazione di cui al comma 1 dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformita' tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza, fatta eccezione per le difformita' riscontrabili con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. 4.Durante la raccolta ed il trasporto i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformita' alle norme vigenti in materia di imballaggio e etichettatura delle sostanze pericolose. 4-bis.Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano altresi' nel caso di trasporto di rifiuti speciali di cui all'articolo 184, comma 3, lettera a), effettuato dal produttore dei rifiuti stessi in modo occasionale e saltuario e finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con il quale sia stata stipulata una convenzione, purche' tali rifiuti non eccedano la quantita' di trenta chilogrammi o di trenta litri. 5.Fatto salvo quanto previsto per i comuni e le imprese di trasporto dei rifiuti urbani nel territorio della regione Campania, tenuti ad aderire al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), nonche' per i comuni e le imprese di trasporto di rifiuti urbani in regioni diverse dalla regione Campania di cui all´articolo 188-ter, comma 2, lett. e), che aderiscono al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI), le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico, ne' ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantita' di trenta chilogrammi o di trenta litri, ne' al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lett. mm). Sono considerati occasionali e saltuari i trasporti di rifiuti, effettuati complessivamente per non piu' di quattro volte l'anno non eccedenti i trenta chilogrammi o trenta litri al giorno e, comunque, i cento chilogrammi o cento litri l'anno. 6.In ordine alla definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione, si applica il decreto del Ministro dell'ambiente 1° aprile 1998, n. 145. 7.I formulari di identificazione devono essere numerati e vidimati dagli uffici dell'Agenzia delle entrate o dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura o dagli uffici regionali e provinciali competenti in materia di rifiuti e devono essere annotati sul registro Iva acquisti. La vidimazione dei predetti formulari di identificazione e' gratuita e non e' soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria. 8.Per le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi che non aderiscono su base volontaria al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), il formulario di identificazione e' validamente sostituito, per i rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla normativa comunitaria di cui all'articolo 194, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio nazionale. 9.La scheda di accompagnamento di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, relativa all'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, e' sostituita dalla Scheda SISTRI - Area movimentazione di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009 o, per le imprese che non aderiscono su base volontaria al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), dal formulario di identificazione di cui al comma 1. Le specifiche informazioni di cui all'allegato IIIA del decreto legislativo n. 99 del 1992 devono essere indicate nello spazio relativo alle annotazioni della medesima Scheda SISTRI - Area movimentazione o nel formulario di identificazione. La movimentazione dei rifiuti esclusivamente all'interno di aree private non e' considerata trasporto ai fini della parte quarta del presente decreto. 9-bis. La movimentazione dei rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola, ancorche' effettuati percorrendo la pubblica via, non e' considerata trasporto ai fini del presente decreto qualora risulti comprovato da elementi oggettivi ed univoci che sia finalizzata unicamente al raggiungimento del luogo di messa a dimora dei rifiuti in deposito temporaneo e la distanza fra i fondi non sia superiore a dieci chilometri. Non e' altresi' considerata trasporto la movimentazione dei rifiuti effettuata dall'imprenditore agricolo di cui all'articolo 2135 del codice civile dai propri fondi al sito che sia nella disponibilita' giuridica della cooperativa agricola ivi compresi i consorzi agrari, di cui e' socio, qualora sia finalizzata al raggiungimento del deposito temporaneo. 10.La microraccolta dei rifiuti, intesa come la raccolta di rifiuti da parte di un unico raccoglitore o trasportatore presso piu' produttori o detentori svolta con lo stesso automezzo, deve essere effettuata nel piu' breve tempo tecnicamente possibile. Nelle schede del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), relative alla movimentazione dei rifiuti, e nei formulari di identificazione dei rifiuti devono essere indicate, nello spazio relativo al percorso, tutte le tappe intermedie previste. Nel caso in cui il percorso dovesse subire delle variazioni, nello spazio relativo alle annotazioni deve essere indicato a cura del trasportatore il percorso realmente effettuato. 11.Gli stazionamenti dei veicoli in configurazione di trasporto, nonche' le soste tecniche per le operazioni di trasbordo, ivi compreso quelle effettuate con cassoni e dispositivi scarrabili non rientrano nelle attivita' di stoccaggio di cui all'articolo 183, comma 1, lettera v), purche' le stesse siano dettate da esigenze di trasporto e non superino le quarantotto ore, escludendo dal computo i giorni interdetti alla circolazione. 12.Nel caso di trasporto intermodale di rifiuti, le attivita' di carico e scarico, di trasbordo, nonche' le soste tecniche all'interno dei porti e degli scali ferroviari, degli interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci non rientrano nelle attivita' di stoccaggio di cui all'articolo 183, comma 1, lettera aa) purche' siano effettuate nel piu' breve tempo possibile e non superino comunque, salvo impossibilita' per caso fortuito o per forza maggiore, il termine massimo di sei giorni a decorrere dalla data in cui hanno avuto inizio predette attivita'. Ove si prospetti l'impossibilita' del rispetto del predetto termine per caso fortuito o per forza maggiore, il detentore del rifiuto ha l'obbligo di darne indicazione nello spazio relativo alle annotazioni della medesima Scheda SISTRI - Area movimentazione e informare, senza indugio e comunque prima della scadenza del predetto termine, il comune e la provincia territorialmente competente indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione. Ferme restando le competenze degli organi di controllo, il detentore del rifiuto dovra' adottare, senza indugio e a propri costi e spese, tutte le iniziative opportune per prevenire eventuali pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana. La decorrenza del termine massimo di sei giorni resta sospesa durante il periodo in cui perduri l'impossibilita' per caso fortuito o per forza maggiore. In caso di persistente impossibilita' per caso fortuito o per forza maggiore per un periodo superiore a 30 giorni a decorrere dalla data in cui ha avuto inizio l'attivita' di cui al primo periodo del presente comma, il detentore del rifiuto sara' obbligato a conferire, a propri costi e spese, i rifiuti ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformita' agli articoli 177 e 179. 13.La copia cartacea della scheda del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), relativa alla movimentazione dei rifiuti e il formulario di identificazione di cui al comma 1 costituisce documentazione equipollente alla scheda di trasporto di cui all'articolo 7-bis del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 e al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 30 giugno 2009».
[23]Tribunale amministrativo regionale Palermo (Sicilia), sezione I, sentenza 20 dicembre 2011 (dep. 27 gennaio 2012), n. 200, in Riv. giur. ed., 2012, 2, I, 459.
[24]Tribunale amministrativo regionale Brescia (Lombardia), sezione I, sentenza 12 ottobre 2011 (dep. 24 ottobre 2011), n. 1463, in Dir. e giur. agr., 2012, 6, 429, (s.m.).
[25]Tribunale amministrativo regionale Trieste (Friuli Venezia Giulia), sezione I, sentenza 10 gennaio 2007 (dep. 10 maggio 2007), n. 342, in Dir. e giur. agr., 2009, 4, 284, (s.m.).
[26]Secondo cui: ai «fini di cui al comma 3 (ossia adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private ndr.) gli utilizzatori sono tenuti a consegnare gli imballaggi usati secondari e terziari e i rifiuti di imballaggio secondari e terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato».
[27]Ai sensi del quale: «1.I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del presente decreto. 2.Resta ferma l'applicazione della normativa nazionale di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, per gli impianti rientranti nel campo di applicazione della medesima, con particolare riferimento al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59. 3.Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1, la regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita conferenza di servizi. Alla conferenza dei servizi partecipano, con un preavviso di almeno 20 giorni, i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle autorita' d'ambito e degli enti locali sul cui territorio e' realizzato l'impianto, nonche' il richiedente l'autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti. Nel medesimo termine di 20 giorni, la documentazione di cui al comma 1 e' inviata ai componenti della conferenza di servizi. La decisione della conferenza dei servizi e' assunta a maggioranza e le relative determinazioni devono fornire una adeguata motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza. 4.Entro novanta giorni dalla sua convocazione, la Conferenza di servizi: a) procede alla valutazione dei progetti; b) acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con quanto previsto dall'articolo 177, comma 4; c) acquisisce, ove previsto dalla normativa vigente, la valutazione di compatibilità ambientale; d) trasmette le proprie conclusioni con i relativi atti alla regione. 5.Per l'istruttoria tecnica della domanda le regioni possono avvalersi delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente. 6. Entro 30 giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza dei servizi, valutando le risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva del progetto, autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto. L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. 7.Nel caso in cui il progetto riguardi aree vincolate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, si applicano le disposizioni dell'articolo 146 di tale decreto in materia di autorizzazione. 8.L'istruttoria si conclude entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 con il rilascio dell'autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa. 9.I termini di cui al comma 8 sono interrotti, per una sola volta, da eventuali richieste istruttorie fatte dal responsabile del procedimento al soggetto interessato e ricominciano a decorrere dal ricevimento degli elementi forniti dall'interessato. 10.Ferma restando la valutazione delle eventuali responsabilita' ai sensi della normativa vigente, ove l'autorita competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. 11.L'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi: a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) Per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalita' di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto al progetto approvato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da adottare; d) la localizzazione dell'impianto autorizzato; e) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelino necessarie; g) le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell'avvio effettivo dell'esercizio dell'impianto; [a tal fine,] le garanzie finanziarie per la gestione della discarica, anche per la fase successiva alla sua chiusura, dovranno essere prestate conformemente a quanto disposto dall'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; h) la data di scadenza dell'autorizzazione, in conformità con quanto previsto al comma 12; i) i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico. 11-bis.Le autorizzazioni concernenti l'incenerimento o il coincenerimento con recupero di energia sono subordinate alla condizione che il recupero avvenga con un livello elevato di efficienza energetica, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. 12.L'autorizzazione di cui al comma 1 è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile. A tale fine, almeno centottanta giorni prima della scadenza dell'autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell'autorizzazione stessa. In ogni caso l'attività può essere proseguita fino alla decisione espressa, previa estensione delle garanzie finanziarie prestate. Le prescrizioni dell'autorizzazione possono essere modificate, prima del termine di scadenza e dopo almeno cinque anni dal rilascio, nel caso di condizioni di criticita' ambientale, tenendo conto dell'evoluzione delle migliori tecnologie disponibili e nel rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla legge n. 241 del 1990. 13.Ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo VI della parte quarta del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione l'autorita' competente procede, secondo la gravita' dell'infrazione: a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente; c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente. 14.Il controllo e l'autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84 e di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 di attuazione della direttiva 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente. Nel caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti, l'autorizzazione delle operazioni di imbarco e di sbarco non può essere rilasciata se il richiedente non dimostra di avere ottemperato agli adempimenti di cui all'articolo 193, comma 1, del presente decreto. 15.Gli impianti mobili di smaltimento o di recupero, esclusi gli impianti mobili che effettuano la disidratazione dei fanghi generati da impianti di depurazione e reimmettono l'acqua in testa al processo depurativo presso il quale operano, ed esclusi i casi in cui si provveda alla sola riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee, sono autorizzati, in via definitiva, dalla regione ove l'interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell'impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale, l'interessato, almeno sessanta giorni prima dell'installazione dell'impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l'autorizzazione di cui al comma 1 e l'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali, nonché l'ulteriore documentazione richiesta. La regione può adottare prescrizioni integrative oppure può vietare l'attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell'ambiente o della salute pubblica. 16.Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di valutazione di impatto ambientale. 17.Fatti salvi l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all'articolo 190 ed il divieto di miscelazione di cui all'articolo 187, le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall'articolo 183, comma 1, lettera m). 17-bis.L'autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell'amministrazione competente al rilascio della stessa, al Catasto dei rifiuti di cui all'articolo 189 attraverso il Catasto telematico e secondo gli standard concordati con ISPRA che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, dei seguenti elementi identificativi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: a) ragione sociale; b) sede legale dell'impresa autorizzata; c) sede dell'impianto autorizzato; d) attivita' di gestione autorizzata; e) i rifiuti oggetto dell'attivita' di gestione; f) quantita' autorizzate; g) scadenza dell'autorizzazione. 17-ter. La comunicazione dei dati di cui al comma 17-bis deve avvenire senza nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica tra i sistemi informativi regionali esistenti, e il Catasto telematico secondo standard condivisi. 18.In caso di eventi incidenti sull'autorizzazione, questi sono comunicati, previo avviso all'interessato, al Catasto dei rifiuti di cui all'articolo 189. 19.Le procedure di cui al presente articolo si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali in corso d'opera o di esercizio che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono piu' conformi all'autorizzazione rilasciata ».
[28]Per cui: «1.Nel rispetto delle normative comunitarie, in sede di espletamento delle procedure previste per il rinnovo delle autorizzazioni all'esercizio di un impianto ovvero per il rinnovo dell'iscrizione all'Albo di cui all'articolo 212, le imprese che risultino registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit , che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE o certificati Uni En Iso 14001, possono sostituire tali autorizzazioni con autocertificazione resa alle autorita' competenti, ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 2.L'autocertificazione di cui al comma 1 deve essere accompagnata da una copia conforme del certificato di registrazione ottenuto ai sensi dei regolamenti e degli standard parametrici di cui al medesimo comma 1, nonché da una denuncia di prosecuzione delle attività, attestante la conformità dell'impresa, dei mezzi e degli impianti alle prescrizioni legislative e regolamentari, con allegata una certificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. 3.L'autocertificazione e i relativi documenti, di cui ai commi 1 e 2, sostituiscono a tutti gli effetti l'autorizzazione alla prosecuzione, ovvero all'esercizio delle attività previste dalle norme di cui al comma 1 e ad essi si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1992, n. 300. Si applicano, altresì, le disposizioni sanzionatone di cui all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 4.L'autocertificazione e i relativi documenti mantengono l'efficacia sostitutiva di cui al comma 3 fino ad un periodo massimo di centottanta giorni successivi alla data di comunicazione all'interessato della decadenza, a qualsiasi titolo avvenuta, della registrazione ottenuta ai sensi dei regolamenti e degli standard parametrici di cui al comma 1. 5.Salva l'applicazione delle sanzioni specifiche e salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di accertata falsità delle attestazioni contenute nell'autocertificazione e dei relativi documenti, si applica l'articolo 483 del codice penale nei confronti di chiunque abbia sottoscritto la documentazione di cui ai commi 1 e 2. 6.Resta ferma l'applicazione del titolo II-bis della parte seconda del presente decreto, relativo alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, per gli impianti rientranti nel campo di applicazione del medesimo. 7.I titoli abilitativi di cui al presente articolo devono essere comunicati, a cura dell'amministrazione che li rilascia, all'ISPRA, comma 1, che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all'articolo 208, comma 17, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 7-bis.La comunicazione dei dati di cui al comma 7 deve avvenire senza nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica tra i sistemi informativi regionali esistenti, e il Catasto telematico secondo standard condivisi».
[29]Alla stregua del quale: «1.Coloro che alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto non abbiano ancora ottenuto l'autorizzazione alla gestione dell'impianto, ovvero intendano, comunque, richiedere una modifica dell'autorizzazione alla gestione di cui sono in possesso, ovvero ne richiedano il rinnovo presentano domanda alla regione competente per territorio, che si pronuncia entro novanta giorni dall'istanza. La procedura di cui al presente comma si applica anche a chi intende avviare una attività di recupero o di smaltimento di rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente utilizzato o adibito ad altre attività. Ove la nuova attività di recupero o di smaltimento sia sottoposta a valutazione di impatto ambientale, si applicano le disposizioni previste dalla parte seconda del presente decreto per le modifiche sostanziali. 2Resta ferma l'applicazione della normativa nazionale di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento per gli impianti rientranti nel campo di applicazione della medesima, con particolare riferimento al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59. 3.L'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi: a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare; b) i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell'impianto alla nuova forma di gestione richiesta; c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale; d) la localizzazione dell'impianto da autorizzare; e) il metodo di trattamento e di recupero; f) i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico; g) le prescrizioni per le operazioni di messa in sicurezza, chiusura dell'impianto e ripristino del sito; h) le garanzie finanziarie, ove previste dalla normativa vigente, o altre equivalenti; tali garanzie sono in ogni caso ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (Emas), e del quaranta per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001; i) la data di scadenza dell'autorizzazione, in conformità a quanto previsto dall'articolo 208, comma 12. 4.Ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo VI della parte quarta del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione l'autorita' competente procede, secondo la gravita' dell'infrazione: a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente; c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente (1). 5.Le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 183 comma 1, lettera m), che è soggetto unicamente agli adempimenti relativi al registro di carico e scarico di cui all'articolo 190 ed al divieto di miscelazione di cui all'articolo 187».
[30]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 22 febbraio 2012 (dep. 26 marzo 2012), n. 11595, in Dir. e giur. agr., 2012, 7-8, 514.
[31]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 29 gennaio 2009 (dep. 18 marzo 2009), n. 11802, in CED Cass. pen., 2009.
[32]Tribunale amministrativo regionale Milano (Lombardia), sezione IV, sentenza 27 aprile 2011 (dep. 7 giugno 2011), n. 1408, in Foro amm. - T.A.R., (Il), 2011, 6, 1858, (s.m).
[33]Ai sensi del quale: «1.Il catasto dei rifiuti, istituito dall'articolo 3 del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e' articolato in una Sezione nazionale, che ha sede in Roma presso l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e in Sezioni regionali o delle province autonome di Trento e di Bolzano presso le corrispondenti Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente.2. Il Catasto assicura un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato dei dati acquisiti tramite il sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lett. a), e delle informazioni di cui al comma 3, anche ai fini della pianificazione delle attivita' di gestione dei rifiuti.3.I comuni o loro consorzi e le comunita' montane comunicano annualmente alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, secondo le modalita' previste dalla legge 25 gennaio 1994 n. 70, le seguenti informazioni relative all'anno precedente:a) la quantita' dei rifiuti urbani raccolti nel proprio territorio;b) la quantita' dei rifiuti speciali raccolti nel proprio territorio a seguito di apposita convenzione con soggetti pubblici o privati;c) i soggetti che hanno provveduto alla gestione dei rifiuti, specificando le operazioni svolte, le tipologie e la quantita' dei rifiuti gestiti da ciascuno;d) i costi di gestione e di ammortamento tecnico e finanziario degli investimenti per le attivita' di gestione dei rifiuti, nonche' i proventi della tariffa di cui all'articolo 238 ed i proventi provenienti dai consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti;e) i dati relativi alla raccolta differenziata;f) le quantita' raccolte, suddivise per materiali, in attuazione degli accordi con i consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti. 4.Le disposizioni di cui al comma 3 non si applicano ai comuni della regione Campania, tenuti ad aderire al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lett. a). Le informazioni di cui al comma 3, lettera d), sono trasmesse all'ISPRA, tramite interconnessione diretta tra il Catasto dei rifiuti e il sistema di tracciabilita' dei rifiuti nella regione Campania di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210 (SITRA). Le attivita' di cui al presente comma sono svolte nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.5.Le disposizioni di cui al comma 3, fatta eccezione per le informazioni di cui alla lettera d), non si applicano altresi' ai comuni di cui all´articolo 188-ter, comma 2, lett. e) che aderiscono al sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a).6.Le sezioni regionali e provinciali del Catasto provvedono all'elaborazione dei dati di cui al comma 188-ter, commi 1 e 2, ed alla successiva trasmissione, entro trenta giorni dal ricevimento degli stessi, alla Sezione nazionale che provvede, a sua volta, all'invio alle amministrazioni regionali e provinciali competenti in materia rifiuti. L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) elabora annualmente i dati e ne assicura la pubblicita'. Le Amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui al presente comma con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.7. Per le comunicazioni relative ai rifiuti di imballaggio si applica quanto previsto dall'articolo 220, comma 2».
[34]Ossia: l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
[35]In tal senso, Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 19 ottobre 2011 (dep. 6 dicembre 2011), n. 45342, in CED Cass. pen., 2011.
[37]Ai sensi del quale: «Chiunque, esercitando, anche abusivamente, il commercio di sostanze medicinali, le somministra in specie, qualità o quantità non corrispondente alle ordinazioni mediche, o diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da centotre euro a milletrentadue euro».
[38]Tribunale di Torino, sezione I, sentenza 24 febbraio 2005, in Corriere del merito, 2006, 12, 1443, (s.m.).
[39]Ai sensi del quale: «1.Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all'alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a 51 euro. 2.La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve».
[40]Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 13 maggio 1992, in Cass. pen., 1993, 1990
Riv. pen., 1992, 1037.
[41]Secondo cui:«Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a 103 euro».
[42]Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 17 luglio 2003, n. 30133, in Ragiusan, 2004, 241/2, 342, (s.m.).
[43]In questo senso, Fiandaca - Musco, Diritto penale, Parte generale, quarta ed., Bologna, Zanichelli editore, 2004, pag. 332.
[44]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 20 novembre 2007 (dep. 8 gennaio 2008), n. 358, in CED Cass. pen., 2008; Cass. pen., 2008, 11, 4320.
[46]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 10 luglio 2008 (dep. 23 luglio 2008), n. 30847, in Dir. e giur. agr., 2009, 1, 46, (s.m.).
[47]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 21 febbraio 2013 (dep. 4 aprile 2013), n. 15630, in CED Cass. penale, 2013.
[48]C. Ruga Riva, «Il decreto “Terra dei fuochi”: un commento a caldo...», in http://lexambiente.it/rifiuti/179-dottrina179/10088-rifiutiil-decreto-terra-dei-fuochi-un-commento-a-caldo.html.
[49]Fiandaca – Musco, Diritto penale, Parte generale, Zanichelli editore, Bologna, 2004, pag. 76.
[50]Corte di Cassazione, sezione VI civile, sentenza 10 maggio 2013 (dep. 8 luglio 2013), n. 16952, in Diritto & Giustizia, 2013, 8 luglio.
[51]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 24 ottobre 2012 (dep. 20 dicembre 2012), n. 49477, in CED Cass. pen., 2012.
[52]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 2 luglio 2010 (dep. 19 ottobre 2010), n. 37199, in Foro it., 2011, 2, II, 83.
[53]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 12 giugno 2008 (dep. 1 ottobre 2008), n. 37280, i CED Cass. pen., 2008.
[54]Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 7 novembre 2007 (dep. 28 novembre 2007), n. 44279, in CED Cass. pen., 2008.
[55]La relazione dell'Ufficio Massimario della Cassazione sul decreto legge in materia di contrasto alla combustione illecita di rifiuti, in http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%20III_04_2013.pdf.
[56]Tribunale di Pavia, sentenza 14 giugno 2012, n. 30, in Riv. giur. amb., 2012, 6, 784.
[57]Corte di Cassazione, sez. VI penale, sentenza 17 novembre 1995 (dep. 1 febbraio 1996), n. 1169, in Cass. pen., 1997, 1396.
[58]La relazione dell'Ufficio Massimario della Cassazione sul decreto legge in materia di contrasto alla combustione illecita di rifiuti, in http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%20III_04_2013.pdf.