Rifiuti, codici a specchio e cassazione in attesa della Corte Europea. Ogni critica e' legittima purché non travisi la realtà
di Gianfranco AMENDOLA
Già molte volte su questo sito, che dà spazio a tutte le opinioni, è stata affrontata, la vexata quaestio dei rifiuti con codici a specchio e cioè di quei rifiuti che possono essere classificati come pericolosi o non pericolosi a seconda che le sostanze pericolose raggiungano o meno determinate concentrazioni, tali da conferire al rifiuto una o più delle proprietà di cui all’Allegato I del D.L.vo 152/06.
I lettori del sito, quindi, hanno avuto modo di formarsi una propria opinione leggendo le due diverse tesi- una cautelativa (più rigorosa) "della certezza" e l'altra "probabilistica" 1 - che sono state formulate in dottrina circa gli accertamenti necessari per classificare questi rifiuti. Ed hanno appreso che, da ultimo, la Suprema Corte ha demandato la questione alla Corte europea di giustizia con ordinanza sez. 3, del 27 luglio 2017 n. 37460, anche essa pubblicata sul sito unitamente alla requisitoria della Procura generale.
Non resta, quindi, che aspettare il responso della Corte europea. Il che, ovviamente, non preclude affatto la possibilità, anzi, il diritto di continuare a parlare della questione; anche, eventualmente, con accenti critici contro la motivazione della Suprema Corte che, pur rinviando alla Corte europea, sembra decisamente orientata verso la tesi cautelativa.
Ed è, peraltro, del tutto comprensibile che uno studio legale impegnato nella difesa di imputati per fatti connessi con questa problematica - e pertanto acceso sostenitore della meno rigorosa tesi "probabilistica"- formuli critiche contro la citata ordinanza della Cassazione.
Critiche del tutto legittime, quindi, ma a due sole condizioni: che esse siano riferite al testo reale dell'ordinanza e che non vi siano omissioni e letture parziali o di comodo della normativa e della giurisprudenza.
E' solo per questo, quindi, che sentiamo il dovere di un breve intervento a proposito delle critiche mosse all'ordinanza da un noto e stimato avvocato, esperto del settore, in un recente articolo di dottrina 2.
1. La normativa per lo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica previo trattamento
L'articolo premette che intende approfondire un aspetto di particolare rilevanza, opportunamente evidenziato nella requisitoria della Procura generale e invece totalmente ignorato dalla Suprema Corte la quale " ha omesso qualunque riferimento alla normativa nazionale e comunitaria speciale, in tema di smaltimento in discarica di rifiuti urbani, previo trattamento dei medesimi ".
Questa affermazione, così come formulata, è fuorviante e non corretta nei confronti della Cassazione.
Se, infatti, è vero che la Corte non ha trattato questa problematica, è anche vero che non la ha affatto ignorata, ed anzi, all'inizio della motivazione in diritto, ha espressamente spiegato perchè non poteva trattarla con il seguente periodo:
" La vicenda in esame si fonda sulla sostanziale contrapposizione delle due tesi prospettate in dottrina e delle quali si è in precedenza dato conto ed il ricorso affronta, riguardo alla decisione del Tribunale, lo specifico argomento della classificazione dei rifiuti con voci “a specchio”, sicché ritiene il Collegio che non vadano affrontate, quanto meno in questa fase del procedimento, le questioni concernenti la corretta interpretazione delle disposizioni in tema di conferimento di rifiuti in discarica cui fanno riferimento la requisitoria del Procuratore Generale ed una delle memorie difensive, nonché altre questioni non espressamente sottoposte al giudizio di questa Corte. "
In altri termini, il ricorso in Cassazione proposto dal Procuratore della Repubblica della DDA di Roma verteva esclusivamente sulla interpretazione delle disposizioni nazionali e comunitarie in materia di classificazione dei rifiuti e, segnatamente, di quelle concernenti i rifiuti identificati con le c.d. voci specchio. E, pertanto, in assenza di appello incidentale da parte dell'imputato, la diversa questione relativa alla normativa sul conferimento dei rifiuti in discarica non poteva essere esaminata dalla Suprema Corte, visto che il ricorso è stato trattato in camera di consiglio non partecipata (art. 611 c.p.p.) e, soprattutto, visto che l'art. 609, comma 1, c.p.p., sotto il titolo "Cognizione della corte di cassazione" stabilisce che "i l ricorso attribuisce alla Corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti ". E, come detto, tale questione non rientrava tra i motivi proposti.
Ma, a questo proposito, il noto e stimato avvocato, certamente a conoscenza dell'art. 609, richiama più volte, in termini entusiastici, la "elaborata" requisitoria del sostituto Procuratore Generale, al quale "non è sfuggita" l'importanza della questione, e, quindi, aveva proposto (invano) "appositi quesiti integrativi", con riferimento alla normativa sul conferimento in discarica.
Anche questo rilievo è fuorviante e non corretto verso la Corte.
Infatti, se pure è vero che la requisitoria della Procura Generale, in totale assonanza con le richieste della difesa, aveva dedicato molto spazio proprio alla normativa sulle discariche, e se pure è vero che la requisitoria, sempre in totale assonanza con le richieste della difesa, aveva proposto alla Corte di inserire, a questo proposito, 3 appositi quesiti alla Corte europea, è anche vero che " in tema di giudizio per cassazione, la disposizione contenuta nell' art. 611, comma primo, cod.proc.pen., non abilita l'ufficio del procuratore generale presso la Corte di legittimità a far valere vizi non dedotti dal ricorrente o concernenti punti del provvedimento diversi da quelli impugnati, dovendo tale norma essere coordinata con quella dell'art. 609, comma primo, cod.proc.pen. attuativa del generale principio devolutivo.. "3.
E pertanto correttamente la Suprema Corte, richiedendo l'intervento della Corte di Giustizia, si è attenuta alle questioni ad essa devolute dal ricorso del Procuratore della Repubblica della DDA di Roma senza prendere in considerazione le richieste della Procura Generale relative a problematiche non oggetto del ricorso stesso. Anzi, proprio per evitare strumentalizzazioni ed equivoci, ha anche specificato, quanto alla questione del conferimento dei rifiuti in discarica, di non poterla "affrontare, quanto meno in questa fase del procedimento", lasciando aperta la possibilità di affrontarla in altra fase o, ovviamente, in altro procedimento.
Peraltro, è appena il caso di rilevare che la Corte europea, chiamata a decidere sulla interpretazione relativa alla normativa sui codici a specchio, certamente conosce bene anche quella (comunitaria) sul conferimento in discarica; e, pertanto, se la riterrà rilevante per la decisione sui quesiti relativi alle voci a specchio, sicuramente ne terrà conto, pur in assenza di appositi quesiti. Così come terrà conto di qualsiasi altro atto comunitario rilevante.
Peraltro, sotto questo profilo, desta perplessità la circostanza che, di contro, un atto comunitario certamente e specificamente relativo alla classificazione dei rifiuti con codici a specchio- e cioè la guida per la definizione e la classificazione dei rifiuti pericolosi elaborata dalla Commissione europea nel 2015 proprio per la interpretazione delle norme in esame, la quale propende per la tesi cautelativa 4- ampiamente riportato dal P.M. rimettente nel suo ricorso alla Suprema Corte-, sia stato completamente ignorato dalla "elaborata" requisitoria della Procura generale la quale ha preferito, invece, dedicare ampio spazio alla normativa sulle discariche non oggetto di impugnazione.
Perplessità ancora maggiori desta l'affermazione più volte reiterata nell'articolo in esame -che è cosa ben diversa da una memoria difensiva- secondo cui la Cassazione aveva il dovere di informare la Corte di Giustizia della normativa italiana per il conferimento in discarica e, soprattutto, dei "parametri in punto di fatto", e cioè dei " dati processuali acquisiti dal giudice a quo" nel caso di specie: in particolare " gli esami di laboratorio dei rifiuti, usciti dall'impianto di trattamento della soc. Giovi.. .". Infatti, la Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla interpretazione degli atti e della normativa comunitaria. E pertanto nulla ha a che fare con il merito e con gli atti di un processo italiano di cui si cita addirittura il nome di uno degli imputati, peraltro ben noto alle cronache giudiziarie nazionali per le vicende di Malagrotta.
Comunque, se a questo punto vogliamo realmente andare al cuore di questo problema sollevato dalla difesa e condiviso dalla Procura Generale, bisogna dire con chiarezza, una volta per tutte, che, a nostro sommesso avviso, la problematica dei codici a specchio non ha niente a che vedere con la problematica per il conferimento dei rifiuti in discarica, in quanto le procedure per la classificazione sono cosa diversa dalle procedure per la caratterizzazione di un rifiuto: infatti, le procedure per la classificazione sono quelle impiegate per definire il codice CER di un rifiuto mentre quelle utilizzate per la caratterizzazione di un rifiuto sono quelle finalizzate a stabilire se un rifiuto è ammissibile ad un certo tipo di smaltimento o meno. E pertanto, la procedura di analisi per stabilire se un rifiuto è ammissibile allo smaltimento in discarica non può e non deve essere confusa con la procedura di analisi per la classificazione di un rifiuto. Potrà quindi accadere che un rifiuto sia ammissibile in una discarica per quanto riguarda il codice CER che gli compete, che risulta tra quelli ammessi nella discarica, ma non risulti invece ammissibile perché le concentrazioni rilevate nell’analisi di caratterizzazione del rifiuto sono superiori a quelle stabilite per quel tipo di discarica dal D.M. 27.9.2010 come modificato dal D.M. 24.6.2015. Così come potrà avvenire il contrario, e quindi che il rifiuto sia ammissibile per le sue caratteristiche ma non per il suo codice CER.
2 La presunzione di pericolosità e il principio di precauzione
Una volta chiarita la questione relativa alla critica principale (la mancata considerazione della normativa sulle discariche), resta tuttavia un'altra precisazione da fare.
Il noto e stimato avvocato, nell'articolo critico in esame, ritiene, infatti, di dover svolgere anche " rilievi preliminari sulla irrilevanza della presunzione assoluta di pericolosità... ".
Ed anche in questo caso, svolge questi rilievi in modo, a nostro avviso, fuorviante e incompleto.
L'articolo in esame, infatti, in primo luogo, ritiene non pertinente, a giustificazione della tesi cautelativa, il richiamo della Cassazione al principio comunitario di precauzione in quanto " in contrasto con l'art. 178, comma 1 del TUA" e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Affermazione che lascia perplessi in quanto appare evidente che, se in un ricorso alla Corte europea si vuole discettare del principio comunitario di precauzione, occorre basarsi non sulla normativa italiana ma sulla norma comunitaria che lo impone, e cioè sull'art. l’art. 174, comma 2, del Trattato di Amsterdam, che riprende l’art. 130 R del Trattato di Maastricht, il quale modifica il trattato costituivo della CE, secondo cui << La politica della Comunità in materia ambientale mira a un livello elevato di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga" ...>>5 .
In altri termini, il principio di precauzione " discende direttamente dal Trattato UE e, per ciò solo, costituisce criterio interpretativo valido in Italia, a prescindere da singoli atti di recepimento delle direttive in cui esso si compendia... " 6.
E, se si vuole capire come questo principio fondamentale venga interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, occorre ovviamente rifarsi a quella più pertinente rispetto al quesito della incertezza sulla classificazione dei rifiuti a specchio come pericolosi o non. E non si può, allora, non citare - anche se l'articolo la dimentica- la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia sui criteri di decisione qualora vi siano dubbi se un oggetto o una sostanza sia o non sia un rifiuto: problematica, quindi, del tutto assimilabile a quella in esame. E non ricordare, di conseguenza, che, secondo questa giurisprudenza consolidata, << L’ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del verbo «disfarsi». Esso deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva 75/442, che, ai sensi del suo terzo ‘considerando’, è la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, ma anche alla luce dell’art. 174, n. 2, CE, secondo il quale la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi della precauzione e dell’azione preventiva (v., in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I‑3533; in prosieguo: la «sentenza Palin Granit», punti 22 e 23 ove si conclude: << Ne consegue che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo >> ….) >> 7.
Criterio che, se vale per qualificare il "rifiuto", a maggior ragione, deve valere nel dubbio, altrettanto rilevante ai fini della tutela ambientale e sanitaria, se un rifiuto con codice a specchio debba essere classificato come pericoloso (con tutte le conseguenze ai fini precauzionali).
Chiarissima conferma, quindi, dell'esattezza della tesi cautelativa accolta dalla Cassazione proprio in ossequio al principio comunitario di precauzione, così come interpretato dalla Corte di Giustizia 8.
Ma andiamo avanti.
L'articolo in esame, sostiene anche che " non sembra pertinente il richiamo (ritenuto equivalente) al principio comunitario di precauzione, invocato dal Supremo Collegio a fondamento del preteso obbligo probatorio, gravante sul produttore e/o detentore del rifiuto, attraverso la c.d. prova esaustiva ovvero la prova analitica del 99,9% dei componenti del rifiuto, al fine di escluderne la pericolosità ". Affermazione che reitera nelle conclusioni quando attribuisce al Supremo Collegio una " preferenza per la tesi (dottrinale) della presunzione assoluta di pericolosità dei rifiuti con voce a specchio, in difetto di prova analitica, da estendere al 99% dei suoi componenti e per tutte le sostanze pericolose ".
Francamente c'è da rimanere stupefatti. Nell'ordinanza della Cassazione che si vuole criticare, non vi è alcun cenno ad alcun presunto "obbligo probatorio con prova esaustiva del 99%" 9, tanto meno per "tutte le sostanze pericolose" 10.
Ecco cosa dice invece, testualmente, la Suprema Corte:
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"“Ciò che si richiede, in tali casi, è in ogni caso una adeguata caratterizzazione del rifiuto e non anche la ricerca indiscriminata di tutte le sostanze che esso potrebbe astrattamente contenere. In altre parole – e l’assunto sembra del tutto logico – tale affermazione starebbe a significare che, accertando l’esatta composizione di un rifiuto, è conseguentemente possibile verificare la presenza o meno di sostanze pericolose . Altrettanto coerente sembra l’ulteriore osservazione secondo la quale la composizione di un rifiuto non è sempre desumibile dalla sua origine , come nel caso in cui non derivi da uno specifico processo produttivo, ma sia talvolta conseguenza di altri fenomeni o trattamenti che ne rendono incerta o ne mutano la composizione.”
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“ Una caratterizzazione spinta e sistematica del rifiuto sarebbe necessaria quando lo stesso è sconosciuto, con la conseguenza che se la stessa dovesse richiedere costi eccessivi per il detentore, questi potrà eventualmente classificare comunque il rifiuto come pericoloso. Diversamente, quando il rifiuto è conosciuto, l’analisi chimica dovrebbe riguardare esclusivamente le sostanze che sono potenzialmente presenti in base alle fonti dei dati e del processo di formazione del rifiuto, osservando che una simile scelta non sarebbe comunque aleatoria, ma conseguente alla conoscenza delle materie prime che hanno concorso alla formazione del rifiuto e del processo di formazione dello stesso, con applicazione di metodi razionali di deduzione e che, in ogni caso, ove tale accertamento non fosse possibile, dovrebbe necessariamente procedersi alla classificazione del rifiuto come pericoloso "
Affermazioni ben diverse, quindi, da quelle (critiche) sopra riportate; e peraltro, a nostro avviso, totalmente condivisibili.
Tanto più che esse sembrano perfettamente in linea con quanto afferma la Commissione europea nella citata Guida per la classificazione dei rifiuti del 2015. A questo proposito, l'articolo in esame, sempre con riferimento al principio di precauzione, sembra sostenere la tesi che la versione del documento del 4 dicembre 2015 sia totalmente diversa da quella, citata dalla Cassazione, del giugno 2015, affermando che questa ultima versione sconfesserebbe la tesi che richiede "criteri di esaustività" ed eliminerebbe qualsiasi presunzione di pericolosità. A parte, ancora una volta, la solita inesattezza nel riferirsi alla tesi cautelativa (che, come abbiamo visto, non propugna affatto un obbligo di analisi esaustive al 99% ma si incentra sulla conoscenza della composizione del rifiuto), basta leggere il documento di cui sopra per verificare che esso, pur con maggiore elaborazione, per quanto interessa in questa sede, dice, in sostanza, nel paragrafo 3.2.1, le stesse cose che diceva nella versione precedente e cioè che occorre acquisire, -attraverso molteplici vie, fra cui elenca anche campionamento ed analisi-, una conoscenza della composizione del rifiuto che, indipendentemente dai metodi scelti per ricercare sostanze pericolose, sia sufficiente a consentire di verificare se lo stesso presenta caratteristiche di pericolosità. E, soprattutto, stabilisce testualmente che solo "u na volta raccolte le informazioni sulla composizione dei rifiuti, diventa possibile valutare se le sostanze identificate sono classificate come pericolose, ossia se è stato assegnato un codice di indicazione di pericolo "; concludendo, sempre testualmente, che "i nfine, se le informazioni raccolte sulla composizione dei rifiuti (prendendo in considerazione le opzioni esposte sopra) non consentono di concludere o valutare le proprietà pericolose mostrate dal rifiuto, né mediante calcolo né mediante test di rifiuti in linea con il successivo passaggio 4, il rifiuto deve essere classificati come pericoloso . "11.
Appare, quindi, del tutto evidente la piena corrispondenza di impostazione tra la Commissione europea e la Cassazione: in sostanza, se le parole hanno un senso, entrambe richiedono una adeguata conoscenza della composizione del rifiuto (da raggiungere in vari modi, incluso, ma non solo, il ricorso ad analisi) e, soprattutto, entrambe richiamano, in caso di conoscenza non adeguata sulla composizione (presupposto indispensabile per valutare e controllare la presenza di sostanze pericolose), la presunzione di pericolosità, in evidente applicazione del principio di precauzione.
Tesi totalmente opposta, come impostazione a quella "della probabilità", la quale, non solo nega, in caso di dubbio, l'applicabilità del principio di precauzione, ma ritiene che sarebbe sufficiente " prendere in considerazione la ricerca di tutte quelle sostanze pericolose considerate ubiquitarie, o, comunque, molto comuni, oltrechè di tutte le eventuali sostanze specifiche, pertinenti con il processo di produzione del rifiuto, risultanti a valle dei processi logici di valutazione che il Chimico deve aver potuto/dovuto effettuare "12.
In altri termini, secondo i fautori di questa tesi, per i rifiuti con codici a specchio non può ipotizzarsi, in caso di incertezza, alcuna presunzione di pericolosità e vige la " regola generale sullo svolgimento delle analisi, della ricerca, caso per caso, dell'effettiva natura del rifiuto, mediante l'individuazione dei parametri “opportuni”, “proporzionati” e “pertinenti”, all'esito di un'attività a contenuto valutativo (come si evince dal ricorso ai concetti di opportunità e proporzionalità, da parte delle norme europee), ancorché caratterizzata da discrezionalità tecnica (il concetto di “pertinenza” implica la individuazione di criteri oggettivi , verificabili , coerenti con la natura dei cicli produttivi e tecnicamente attendibili ). ” 13
Appare, quindi, evidente che tale impostazione da un lato nega il ricorso, in caso di dubbio, al principio di precauzione, e dall'altro, è caratterizzata da una elevata discrezionalità in quanto non richiede di determinare, con adeguata certezza, la composizione del rifiuto 14 e, quindi, può essere appena sufficiente a determinare, per tentativi, la presenza o l’assenza di un ridotto numero di sostanze in esso presenti (quelle, cioè, fornite dai pacchetti di standard in commercio); tanto è vero che deve, in sostanza, ricorrere al criterio della probabilità, certamente non previsto dalla normativa in vigore 15.
Conclusioni
La questione della classificazione dei rifiuti con codici a specchio è certamente questione complessa e controversa, tanto più se si considera che, in sostanza, la sua soluzione in un senso o nell'altro riguarda in modo rilevante da un lato la tutela della salute e dell'ambiente e dall'altro una pesante incidenza di costi per molte imprese.
E' quindi naturale, visti gli interessi in gioco, che su questa questione vi siano opinioni contrastanti, tutte legittime purchè si resti, senza distorsioni strumentali, nell'ambito della correttezza.
Auguriamoci che presto, grazie alla Cassazione, la Corte europea dica una parola conclusiva, valida per tutti i paesi della Unione europea.
1 Si rinvia per approfondimenti e richiami, per tutti, al nostro Voci a specchio: l'Ordine dei chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge in www.industrieambiente. it, marzo 2017, nonchèCodici a specchio: arriva il partito della scopa, ivi, aprile 2017; AMENDOLA-SANNA, C odici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, ivi, giugno 2017
2 GIAMPIETRO F. Rifiuti con codice a specchio: i quesiti alla Corte di Giustizia e la disciplina speciale sullo smaltimento dei rifiuti urbani , in Ambiente e sviluppo 2018, n. 1, pag. 5 e segg. Leggibile anche in questo sito Rifiuti.Rifiuti con codice a specchio: i quesiti alla Corte di Giustizia e la disciplina speciale sullo smaltimento dei rifiuti urbani (NDE)
3 Cass. Pen., sez. 1, c.c. 11novembre- 18 dicembre 2014, n. 52579, Rv 261461, Moretti
4 già accolta, peraltro, in altri paesi europei . In proposito, si rinvia a AMENDOLA, Codici a specchio. meno male che la Cassazione c’è!, 1 agosto 2017, in www.lexambiente.it
5 Articolo neppure citato da GIAMPIETRO
6 Consiglio di Stato, sez. 4, n. 4227 del 21 agosto 2013
7 CGCE, (seconda sezione), 11 novembre 2004, Niselli
8 Per la giurisprudenza italiana, cfr. per tutti, da ultimo Consiglio di Stato Sez. IV n. 826 del 8 febbraio 2018, secondo cui " il c.d. "principio di precauzione", di derivazione comunitaria (articolo 7 del Regolamento n. 178/2002), impone che quando sussistono incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l'effettiva esistenza e la gravità di tali rischi "
9 Si noti che GIAMPIETRO, op. cit., pag.5, nota n. 2, definendo la "tesi restrittiva" ("della certezza") cita esclusivamente scritti a mia firma. E pertanto, quanto meno per fatto personale, mi corre l'obbligo di evidenziare che non ho mai propugnato una tesi del genere . Così come non l'ha mai propugnata la Cassazione. In proposito, si rinvia, da ultimo. anche per approfondimenti e richiami, al già citato AMENDOLA, Codici a specchio. meno male che la Cassazione c’è!, dove dimostro, con citazioni testuali, di non avere mai parlato di alcun obbligo di prova esaustiva con analisi del 99,9% dei componenti del rifiuto, ma solo di adeguata conoscenza della composizione del rifiuto. Anzi, sostenevo e sostengo che non vi sia bisogno di alcuna analisi quando, dalla documentazione, l'origine dimostri la non pericolosità del rifiuto. Così come ho sempre ricordato che “ qualora l’analisi chimica non fosse in grado di procedere alla caratterizzazione del rifiuto al fine di escludere la presenza in esso delle sostanze pericolose e quindi delle relative caratteristiche di pericolo, la normativa ha previsto la possibilità, in specifiche circostanze, di ricorrere ai test di laboratorio al fine di determinare le caratteristiche di pericolo del rifiuto ”. Quanto alla certezza sulla composizione del rifiuto, si rinvia a AMENDOLA-SANNA , Codici a specchio, cresce il partito della certezza (scientifica) , in www.industrieambiente.it, 11 luglio 2017, ove ricordiamo che " una caratterizzazione completa al 100% del rifiuto è impossibile ", purchè sia chiaro che occorre procedere alla " individuazione ed alla misura delle sostanze contenute nel rifiuto. Se si rinuncia a priori a tale misura e ci si attesta sulla conoscenza del 50 % della sua composizione non si potrà certo sostenere che il residuo 50% è costituito dalla incertezza della misura. Misura che per altro non è stata effettuata, cercando di colmare la mancanza di conoscenza del residuo incognito e delle sostanze che lo potrebbero costituire solo con ipotesi e supposizioni... .".
10 L'affermazione che vuole caratterizzare la tesi cautelativa con un presunto obbligo di ricercare nel rifiuto tutte le sostanze pericolose è una invenzione fatta ad arte per screditarla. Anche perchè nessuna persona di media intelligenza potrebbe pretendere una ricerca analitica di circa 20.000 sostanze. Spiace solo che ancora si continui a tirarla in ballo nonostante più volte chi aderisce, come noi, alla tesi cautelativa, abbia chiarito che, a nostro avviso, la normativa sui codici a specchio "n on pretende affatto di ricercare tutte le sostanze pericolose, ma prescrive soltanto che per classificare un rifiuto si proceda alla sua caratterizzazione, cioè ad individuare le sostanze in esso contenute e a verificare se tra queste vi siano o meno sostanze pericolose. La norma prevede perciò soltanto che il rifiuto sia caratterizzato senza che permangano zone d'ombra o addirittura incognite, le quali comportino che l'assenza di sostanze pericolose sia basata solo su un principio di presunzione elaborato dal chimico che procede " (AMENDOLA, Voci a specchio, l'Ordine dei chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge , cit, che peraltro GIAMPIETRO dovrebbe aver letto, visto che lo cita nella nota n. 2)
11 Proprio in questi giorni, sulla GUCE del 9 aprile 2018, è stata pubblicata una comunicazione della Commissione su orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (2018/C 124/01) dove (pag. 16) la stessa riconferma interamente quanto già contenuto nei documenti citati del 2015 e, in particolare, sulla importanza di acquisire informazioni sufficienti sulla presenza e sul tenore di sostanze pericolose ; e, a tal fine, sulla necessità di acquisire, comunque, talune informazioni sulla composizione del rifiuto, elencando i diversi modi attraverso i quali si possono raccogliere informazioni sulla composizione pertinente dei rifiuti, sulle sostanze pericolose presenti e sulle potenziali caratteristiche di pericolo..., tra le quali inserisce campionamento ed analisi chimica dei rifiuti (rinviando, in proposito all'allegato 4); e riafferma che solo una volta raccolte le informazioni sulla composizione del rifiuto è possibile valutare se le sostanze identificate sono classificate come pericolose . Quanto alla conclusione, nello schema sulle voci a specchio (pag. 15) si riproduce esattamente quello del dicembre 2015 dove si rappresenta graficamente che, se non sono disponibili conoscenze sufficienti sulla composizione dei rifiuti per stabilire se gli stessi presentano caratteristiche di pericolo effettuando calcoli o prove in linea con la fase 4 , i rifiuti si considerano pericolosi, mentre, nel testo si usa (probabilmente su pressione di qualche Stato membro, quale l'Italia) una formula più "diplomatica", ma sostanzialmente equivalente, affermando che, in tal caso " l'operatore prende in considerazione la possibilità di classificare i rifiuti come pericolosi (se necessario previa consultazione con l'autorità competente )".
12 "Parere pro veritate" emesso il 12 febbraio 2017 dall' ordine interregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise. Nel merito cfr. appresso nota 14.
13 FIMIANI, La classificazione dei rifiuti dopo la novità della legge 125/2015 , in Rifiuti, n. 231, agosto-settembre 2015.
14 occorre considerare, in proposito, che spesso i rifiuti non derivano da un processo produttivo in senso proprio ma da processi di combustione o di trattamento termico, da processi di degradazione e lisciviazione o comunque per alterazione incontrollata di un materiale. In questi casi, le sostanze che li costituiscono sono del tutto ignote e non ipotizzabili.
15 E' peraltro evidente la marcata diversità di questa impostazione rispetto alla affermazione della Cassazione secondo cui " quando il rifiuto è conosciuto, l’analisi chimica dovrebbe riguardare esclusivamente le sostanze che sono potenzialmente presenti in base alle fonti dei dati e del processo di formazione del rifiuto, osservando che una simile scelta non sarebbe comunque aleatoria, ma conseguente alla conoscenza delle materie prime che hanno concorso alla formazione del rifiuto e del processo di formazione dello stesso, con applicazione di metodi razionali di deduzione ". Affermazione che, peraltro, sembra, invece, del tutto in linea con il pensiero della Commissione europea quando, nel suo ultimo documento cit. (GUCE 9 aprile 2018, pag. 16) afferma che " coloro che classificano i rifiuti sono tenuti ad adottare tutte le misure ragionevoli per determinare la composizione e le caratteristiche di pericolo dei rifiuti prima di raggiungere questo punto " (campionamento e analisi chimica del rifiuto).