Cass. Sez. III n. 14720 del 10 aprile 2024 (UP 13 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Tricomi
Rifiuti.Occasionale trasporto rifiuti pericolosi propri
Anche l'occasionale attività di trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti nell'esercizio della propria attività d'impresa richiede l'iscrizione nell'Albo nazionale gestori ambientali, sia pur nell'apposita sezione di cui all'art. 212, comma 8, d.lgs. 152/2006 e secondo la procedura semplificata ivi descritta, che presuppone una comunicazione. L'inadempimento di tali obblighi di comunicazione e iscrizione integra la contravvenzione di cui all'art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27/10/2022, il Tribunale di Messina condannava Antonino Tricomi alla pena di € 2.000 di ammenda in ordine al reato di cui all’articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006.
2. Avverso il provvedimento l’imputato proponeva appello, convertito in ricorso.
2.1. Con il primo motivo chiede l’assoluzione ai sensi dell’articolo 530 cod. proc. pen..
L’imputato avrebbe effettuato una attività di gestione dei rifiuti non autorizzata a bordo del camion tg. BAA30101, ma si è trattato di un episodio occasionale di scarico su terreno privato, di cui il giudice non ha tenuto conto.
Si ritiene violato il principio secondo cui la colpevolezza va provata oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2. Con il secondo motivo si duole della eccessiva severità della pena, che avrebbe dovuto essere contenuta nel minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Ed invero, è assolutamente consolidato, e dev'essere qui ribadito, il principio secondo cui, in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221; Sez. 5, n. 7403/2014 del 26/09/2013, Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 08/04/2013, Arena, Rv. 257117.
Tuttavia, Sez. 3, n. 1589 del 14/11/2019, dep. 2020, De Cicco, Rv. 277945 - 01 ha affermato che è inammissibile l'impugnazione proposta con mezzo di gravame diverso da quello prescritto, quando dall'esame dell'atto si tragga la conclusione che la parte abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di gravame non consentito dalla legge.
Né, rileva l’ultima pronuncia citata, la soluzione adottata si pone in contraddizione con la previsione contenuta nell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., atteso che l'applicazione della disposizione sopra riportata presuppone che, ad onta della denominazione ad essa attribuita dalla parte, la impugnazione abbia le caratteristiche proprio del mezzo di gravame proponibile di fronte ad un giudice di verso da quello, invece, prescelto dal ricorrente e che, pertanto, in sede di interpretazione dell'atto sia possibile attribuire all'atto stesso una qualificazione diversa da quella apparente.
Laddove, invece, il mezzo di impugnazione abbia le caratteristiche, sostanziali e formali, dello strumento di rivalutazione processuale esperibile, in via astratta, di fronte al giudice prescelto, ed emerga in termini di chiarezza che esso sia stato consapevolmente utilizzato per come lo stesso appare dalla parte ricorrente, non entra in gioco la tematica relativa all'incompetenza del giudice adito, essendo questo astrattamente competente, ma esclusivamente la questione della inammissibilità del mezzo di impugnazione effettivamente e consapevolmente adottato dalla parte ricorrente. In una tale fattispecie non viene, quindi, in discussione la necessità di procedere alla trasmissione degli atti al giudice competente, ma solo la valutazione della ammissibilità o meno nel caso concreto del mezzo processuale da parte del giudice in astratto competente per quello.
Valutazione che, quanto al caso di specie, deve essere espressa nei termini della inammissibilità del ricorso, avendo il Tricomi voluto esperire uno strumento di impugnazione non consentito, sviluppando censure strutturate nelle forme tipiche dello strumento impugnatorio prescelto (valgano, per tutte, la richiesta di assoluzione, il generico riferimento alla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio, ovvero ancora il riferimento a circostanze riferite da un testimone).
2. Ad abundantiam, il Collegio evidenzia come il ricorso sia anche manifestamente infondato.
Questa Corte ritiene (Sez. 3, n. 2290 del 28/11/2017, dep. 2018, Defilippis, n.m.) che anche l'occasionale attività di trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti nell'esercizio della propria attività d'impresa richiede l'iscrizione (che nel caso di specie non sussisteva) nell'Albo nazionale gestori ambientali, sia pur nell'apposita sezione di cui all'art. 212, comma 8, d.lgs. 152/2006 e secondo la procedura semplificata ivi descritta, che presuppone una comunicazione.
L'inadempimento di tali obblighi di comunicazione e iscrizione integra, per pacifico orientamento, la contravvenzione di cui all'art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006 (Sez. 3, n. 26435 del 23/03/2016, Pagliuchi, Rv. 267660, secondo cui «nelle ipotesi di trasporti occasionali o episodici di rifiuti propri non pericolosi, risponde del reato di cui all'art. 256, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006, chiunque vi provveda con mezzi propri e non autorizzati, anziché attraverso imprese esercenti servizi di smaltimento iscritte all'Albo nazionale dei gestori ambientali»).
Di talchè, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte evidenzia che, nel caso in esame, la legge prevede la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda e che, pertanto, la scelta di limitare il carico sanzionatorio verso la meno afflittiva pena pecuniaria dimostra un esercizio del potere discrezionale della dosimetria della pena in termini benevoli, e certamente non manifestamente illogici.
Anche il secondo motivo di ricorso è qundi manifestamente infondato.
3. Alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2024.