Cass. Sez. III n. 15562 del 18 aprile 2007 (Cc. 15 mar. 2007)
Pres. Vitalone Est. Teresi Ric. PM in proc. Prati
Rifiuti. Nozione di rifiuto
Svolgimento del processo
Con ordinanza 15 dicembre 2006 il Tribunale di Verona annullava il sequestro preventivo, disposto dal GIP in data 27 novembre 2006, dell’area sulla quale insiste un impianto di trattamento di rifiuti, in catasto al f. 16 del Comune di Erbezzo, mappali n. 145, 146, 223, 224, 225, 255, 363, appartenente alla ditta Prati s.r.l., di cui è legale rappresentante Prati Massimino, indagato del reato di cui all’art. 256, comma I lettera a). d.lgs. n. 152/2006 per avere effettuato attività di gestione di rifiuti [inerti lapidei, cocciame, sfridi e peloni provenienti da industrie di lavorazione del marmo] consistente nei recupero, trasporto, deposito e riciclo degli stessi, in assenza della prescritta autorizzazione.
Rilevava il Tribunale che dalle acquisizioni processuali non emergevano elementi di fatto che consentissero di individuare chiaramente la natura dei materiali lavorati sicché gli stessi non potevano essere qualificati rifiuti, donde l’insussistenza del fumus commissi delicti.
Proponeva ricorso per cassazione il PM denunciando violazione di legge in ordine all’esclusione del fumus commissi delicti.
Era stato accertato nel corso del sopralluogo eseguito dal Corpo Forestale in data 27 marzo 2006 che la ditta dell’indagato effettuava attività di recupero di materiali provenienti da industrie della lavorazione del marmo [sfridi, peloni, cioè testate inutilizzabili derivanti dalla segatura dei blocchi di marmo, cocciame costituente scarto di lavorazione] che andavano qualificati come rifiuti in quanto residui produttivi derivanti da processi di lavorazione del marmo operati da ditte terze.
Tali materiali, nell’ambito del ciclo produttivo delle ditte di provenienza, avevano perduto ogni concreta possibilità d’utilizzo e, una volta acquistati dalla ditta Prati, non venivano impiegati “tal quali”, ma sottoposti a lavorazioni preliminari, quali il lavaggio e la frantumazione, sicché non potevano essere qualificati “materie prime secondarie” o “sottoprodotti”, come tali esclusi dalla disciplina dei rifiuti ex art. 183 d.lgs. n.. 152/2006.
Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.
In tema di misure cautelari reali e di sequestro preventivo l’ipotesi accusatoria deve corrispondere, per costante giurisprudenza di questa Corte, ad una fattispecie astratta sicuramente prevista dalla legge come reato, sicché, quando nella fase delle indagini preliminari sia stato indicato un fatto inquadrabile nel reato in relazione al quale è stato disposto il sequestro, in sede di riesame del provvedimento, l’ipotesi di reato, verificabile sotto il profilo probatorio soltanto nel giudizio di merito, deve essere valutata sul piano dell’astrattezza.
Per il mantenimento del sequestro basta, quindi, la puntuale enunciazione di un’ipotesi di reato che renda necessaria la limitazione o l’esclusione della disponibilità delle cose che siano pertinenti a tale reato.
Soltanto quando l’enunciazione sia manifestamente illogica oppure quando la configurabilità del reato appaia impossibile il giudice del riesame, cui è attribuita pienezza di cognizione che gli consente di prendere in considerazione anche elementi sopravvenuti, è tenuto a revocare il sequestro.
Nella specie, il Tribunale, asserendo di non potere disporre di elementi di fatto che consentissero di individuare chiaramente la natura dei materiali lavorati dalla ditta Prati donde l’impossibilità di poterli qualificate rifiuti, ha sostanzialmente eluso l’obbligo della motivazione stante che la precisa descrizione degli stessi [erroneamente fatta risalire ad un elaborato redatto nel 2001 su incarico del Comune d’Erbezzo, mentre una descrizione più recente era contenuta nella comunicazione redatta dal Corpo Forestale dello Stato in data 2 maggio 2006] e la modalità del loro trattamento, che richiedeva per il riutilizzo un trattamento preventivo, ne avrebbero consentito l’agevole qualificazione alla stregua della vigente normativa.
In tema di rifiuti, la nuova definizione di rifiuto, contenuta nell’art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178 quale interpretazione autentica della nozione dettata dall’art. 6 lett. a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, comprendeva ogni sostanza inclusa nelle categorie riportate nell’allegato 4 del decreto citato di cui il detentore “si disfi”, che cioè il detentore sottoponga ad una delle attività di smaltimento o di recupero che sono precisate negli allegati B e C del decreto o di cui il detentore abbia “deciso di disfarsi”, che cioè il detentore voglia destinare ad una delle operazioni di smaltimento o di recupero, come sopra individuate o di cui il detentore abbia “l’obbligo dl disfarsi” in base ad una disposizione di legge, ad un provvedimento della pubblica autorità o alla natura stessa del materiale e, in particolare, in base alla natura di sostanze pericolose come individuate nell’allegato D del decreto.
Le ipotesi in cui il detentore “abbia deciso” ovvero “abbia l’obbligo di disfarsi” non ricorrevano [per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo] effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo senza subire alcun intervento di trattamento preventivo e senza recare pregiudizio all’ambiente ovvero dopo avere subito un trattamento preventivo, ma senza che fosse necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C del decreto n. 22.
A seguito della procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, la Corte di Giustizia, con sentenza 11 novembre 2004, Niselli, ha affermato l’illegittimità comunitaria dell’art. 14 della legge n. 178/2002.
Quindi, la questione va riesaminata alla stregua delle disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006, attuativo della delega di cui alla legge n. 308/2004, che ha abrogato l’art. 14 della legge n.. 178/2002 [art. 264, comma 1, lett. i)] secondo cui, ex art. 183, comma I lettera a), è rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell‘allegato A della parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi” e rifiuti speciali sono “I rifiuti da lavorazioni artigianali.” [art. 184, comma 3 lett. d)] tenendo presente che per potere riconoscere ai prodotti dell’attività d’impresa la qualità di sottoprodotto o di materia prima secondaria occorre la ricorrenza dei requisiti di cui alle lettere n) e q) del decreto citato.
Pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Verona che si atterrà ai principi sopraindicati.