Cass. Sez. III n. 27692 del 21 giugno 2019 (UP 4 giu 2019)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci Ric. Merico
Rifiuti.Illecita gestione e discarica
L’illecita gestione può riguardare, in determinati casi, condotte prodromiche al conferimento di un rifiuto in discarica, mentre la realizzazione o gestione di una discarica in assenza di autorizzazione presuppongono la predisposizione di un’area adibita a tale scopo o l’apprestamento di una organizzazione, ancorché rudimentale, diretta al funzionamento della discarica.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza del 17 settembre 2018 ha confermato la decisione con la quale, in data 2 febbraio 2016, il Tribunale di quella città aveva affermato la responsabilità penale di Michele MERICO per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 256, 44 lett. b) d.P.R. 380/2001, così riqualificato il reato di cui all'art. 44, lett. c) d.P.R. 380/2001, per avere realizzato, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e in qualità di proprietario di un terreno agricolo, in assenza delle prescritte autorizzazioni, sia una discarica abusiva di rifiuti di vario genere (materiale da demolizione, pneumatici, amianto, plastica, etc.), sia una parziale trasformazione del terreno medesimo tramite accumuli e spianamenti, con realizzazione di una rampa e di un piazzale.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando che la Corte territoriale avrebbe confermato la sentenza del primo giudice travisando quanto emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, sostanzialmente sulla base della mera sua posizione di proprietario del terreno, non risultando dagli atti alcun elemento che consentisse di dimostrare che egli avesse effettivamente commesso i reati per cui è stato condannato o li avesse, in qualche modo, agevolati.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Occorre preliminarmente rilevare come tanto la sentenza impugnata, quanto il ricorso, contengono riferimenti normativi errati, peraltro presenti anche nella sentenza di primo grado.
Invero, il capo di imputazione richiama l’art. 256, comma 1, lett. b) del d.lgs. 152\2006, che riguarda l’illecita gestione di rifiuti pericolosi, mentre il testo dell’imputazione è chiaramente riferito ad una “discarica abusiva” di rifiuti di vario genere, anche pericolosi, stante l’indicazione dell’amianto tra i materiali presenti.
Nel riportare gli estremi della sentenza di primo grado, la sentenza impugnata richiama l’art. 256 d.lgs. 152\06 senza riferimenti ulteriori, essendo così indicato nel dispositivo dal Tribunale, mentre in motivazione si afferma che la condanna del primo giudice è intervenuta per il reato di cui all’art. 256, comma 3 d.lgs. 152\06, che sanziona, come è noto, la realizzazione e la gestione di discarica abusiva.
Nel corpo della motivazione viene fatto espressamente riferimento alla discarica, ma al termine della descrizione della condotta posta in essere dall’imputato si afferma che la stessa, oltre che nel reato edilizio, è inquadrabile “nella fattispecie prevista dall’art. 256, comma 1, lett. b) d.lgs. 252\06”, richiamando, ancora una volta, il reato di illecita gestione, facendo tuttavia seguire tale affermazione dal richiamo di principi giurisprudenziali relativi al reato di discarica abusiva.
Anche il ricorso contiene, nella prima parte, richiami all’art. 256 d.lgs. 152\06 senza ulteriori specificazioni, cui seguono altri all’art. 256, comma 1, lett. b) ed una massima giurisprudenziale, riferita all’art. 256, comma 2 d.lgs. 152\06, che riguarda, invece, l’abbandono di rifiuti da parte di titolari di enti o imprese.
Nella sentenza di primo grado è presente una situazione analoga.
Il capo di imputazione reca un richiamo all’art. 256, comma 1, lett. b), ma nella descrizione della condotta ci si riferisce espressamente alla realizzazione di una “discarica abusiva di rifiuti di vario genere”.
Nella sentenza (pag. 3) il Tribunale afferma che la condotta dell’imputato può integrare “il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all’art. 256 comma 1 lettera b) del d.lgs. 152/2006, norma che sanziona la raccolta, il recupero, lo smaltimento ed il commercio dei rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, graduando la pena in relazione alla natura dei rifiuti”.
Tuttavia, a tale generica premessa alla possibile configurabilità della disposizione richiamata, viene fatta seguire, dopo aver riferito dello stato dei luoghi come descritto dai testimoni escussi, la seguente affermazione: “in conclusione, si può dire, che per i motivi suindicati, il proprietario del sito abbia accumulato o consentito l’accumulo nel corso di diversi anni, sul fondo descritto in rubrica, di quantitativi consistenti di rifiuti, di fatto destinando l’area a discarica” (pag. 4)
A tale affermazione segue, poi, il richiamo ad alcuni principi giurisprudenziali in materia di discarica abusiva e, del tutto inconferente, un richiamo alla disciplina sulle “terre e rocce da scavo”, cui si aggiunge (pag. 5) la seguente affermazione: “concludendo, pertanto, per il quantitativo di rifiuti destinati al definitivo abbandono, per l’estensione dell’area interessata, per il disordine e l’eterogeneità dei rifiuti, per la protrazione nel tempo dello accumulo, la condotta illecita è stata correttamente sussunta nella ipotesi di discarica abusiva”, cui seguono alcune considerazioni sulla non configurabilità, nella fattispecie, di un mero deposito incontrollato.
3. Ciò posto, occorre chiarire che, indipendentemente dai confusi richiami ai vari commi dell’art. 256 d.lgs. 152\06, la condotta ascritta all’imputato risulta senz’altro quella inquadrabile nell’art. 256, comma 3 d.lgs. 152\06, il quale sanziona, fuori dai casi di cui dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, del medesimo decreto, chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata, nella specie di rifiuti anche in parte pericolosi (facendo riferimento, sia l’imputazione che la motivazione della sentenza impugnata, alla presenza di lastre di amianto).
Invero, questa Corte ha già avuto modo di indicare chiaramente, in più occasioni, le caratteristiche della discarica abusiva, ribadendo i principi già espressi anche recentemente, evidenziandone le differenze con la condotta di abbandono.
Si è affermato, in particolare, che è la mera occasionalità che differenzia l'abbandono dalla discarica e tale caratteristica può essere desunta da elementi indicativi quali le modalità della condotta (ad es. la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), la quantità di rifiuti abbandonata, l'unicità della condotta di abbandono. Diversamente, la discarica richiede una condotta abituale, come nel caso di plurimi conferimenti, ovvero un'unica azione ma strutturata, anche se in modo grossolano e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco (così, in motivazione, Sez. 3, n. 18399 del 16/3/2017, P.M. in proc. Cotto, Rv. 269914).
4. Sono inoltre evidenti anche le differenze con il reato di illecita gestione di cui al primo comma dell’art. 256 d.lgs. 152\06, il quale, come è noto, sanziona l’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti posta in essere in assenza di valido titolo abilitativo.
Si tratta, in generale, di condotte diverse da quelle di realizzazione e gestione di discarica abusiva, sebbene il trasporto e lo smaltimento possano correlarsi a tale ultima attività, pur differenziandosene.
L’art. 183, comma 1, lett. z) d.lgs. 152\06 definisce lo smaltimento “qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l'operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia”, specificando che l'Allegato B alla parte IV del decreto riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento.
Nell’elenco sono indicate operazioni di smaltimento, quali quelle di cui alle lettere D1 “Deposito sul o nel suolo (ad esempio discarica)” e D5 “Messa in discarica specialmente allestita (ad esempio sistematizzazione in alveoli stagni, separati, ricoperti o isolati gli uni dagli altri e dall'ambiente)” che, tuttavia, presuppongono la preesistenza della discarica.
Il trasporto, invece, riguarda la movimentazione del rifiuto dal luogo di produzione a quello della successiva destinazione.
5. In definitiva, l’illecita gestione può riguardare, in determinati casi, condotte prodromiche al conferimento di un rifiuto in discarica, mentre la realizzazione o gestione di una discarica in assenza di autorizzazione presuppongono la predisposizione di un’area adibita a tale scopo o l’apprestamento di una organizzazione, ancorché rudimentale, diretta al funzionamento della discarica.
6. Nel caso di specie, i giudici del merito hanno dato atto della rivenuta presenza, su un terreno di vasta estensione di proprietà dell’imputato, di un quantitativo, definito rilevantissimo, di rifiuti di diversa tipologia, indicati in motivazione come materiale tufaceo, pavimenti, piastrelle, gomme, pali dell’ENEL dismessi, lastre di amianto ed altro, accatastati anche in cumuli di oltre tre metri di altezza.
Viene altresì dato atto della stratificazione dei rifiuti, parte dei quali erano ricoperti da vegetazione, ritenendola sintomo evidente di conferimenti effettuati per un periodo di tempo assai prolungato, nonché dell’effettuazione di attività di “sistemazione” dei rifiuti medesimi, con la creazione, mediante una parte di essi, di un piazzale e di una rampa.
E’ dunque evidente che quanto riscontrato configura, inequivocabilmente, la realizzazione e la successiva gestione di una discarica abusiva, eliminando quindi ogni dubbio, al di là della errata indicazione dei riferimenti normativi, sulla qualificazione della condotta da parte del giudice del merito, come emerge chiaramente dalla motivazione del provvedimento impugnato (e della sentenza di primo grado).
7. Individuata dunque la condotta ascritta al ricorrente, occorre rilevare come lo stesso contesti l’affermazione di responsabilità, confermata dalla Corte territoriale, assumendo che la stessa si fonderebbe esclusivamente sul fatto che egli è proprietario dell’area interessata dal conferimento, travisando quanto emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale.
Ciò posto, va osservato che è del tutto pacifico che il proprietario di un terreno non possa essere chiamato a rispondere, in quanto tale, dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti (così Sez. 3, n. 40528 del 10/6/2014, Cantoni, Rv. 260754. Nello stesso senso, Sez. 3, n. 28704 del 5/4/2017 , Andrisani e altro, Rv. 270340; Sez. 3, n. 50997 del 7/10/2015, Cucinella e altro, Rv. 266030; Sez. 3, n. 49327 del 12/11/2013, Merlet, Rv. 257294; Sez. 4, n. 36406 del 26/6/2013, Donati e altro, Rv. 255957; Sez. 3, n. 2477 del 09/10/2007 (dep. 2008), Marciano' e altri, Rv. 238541, Sez. 3, n. 2206 del 12/10/2005 (dep. 2006), Bruni, Rv. 233007).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha, in primo luogo, confutato quanto evidenziato nel motivo di appello con il quale la difesa lamentava il fatto che il Tribunale non avesse considerato il dato, ritenuto rilevante, della denuncia di abbandono di rifiuto da parte di ignoti sporta dall’imputato prima dell’accesso del personale del Corpo Forestale e del tecnico comunale, osservando come, contrariamente a quanto affermato, la denuncia era del tutto strumentale, perché presentata solo dopo il primo accesso da parte del personale di polizia giudiziaria.
I giudici del gravame, inoltre, dando atto delle condizioni in cui versava l’area, di cui si è detto in precedenza, hanno anche rilevato come la stessa fosse adibita a discarica da più anni, nel corso dei quali l’imputato, “pur a conoscenza dello stato dei luoghi, si è solo limitato a sistemare i rifiuti presenti sul posto, tanto da trasformare il territorio con la creazione di un piazzale e di una rampa”
La Corte, dunque, non ha affatto considerato la responsabilità dell’appellante sulla base della mera proprietà dell’area, dando conto, al contrario, di precisi dati fattuali che evidenziano come egli non solo fosse ben consapevole dello stato dei luoghi, ma fosse anche materialmente intervenuto sui rifiuti utilizzandoli per la realizzazione delle opere descritte.
E’ stata dunque posta in evidenza non una mera condotta omissiva, caratterizzata da inerzia nella consapevolezza, da parte del proprietario del fondo, dell'abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terze persone - di per sé difficilmente ipotizzabile in presenza di rilascio di rifiuti ripetuto negli anni tanto da creare cumuli alti oltre tre metri come nel caso di specie - bensì di una condotta attiva, consistita nella movimentazione dei rifiuti, utilizzati per la realizzazione di una rampa e di un piazzale, che oggettivamente implicano una attiva partecipazione alla gestione della discarica, ancorché realizzata da terzi e la cui funzione, su un terreno agricolo, trasformato in maniera permanente e sottratto alla sua originaria destinazione, sembra quella di agevolare tale gestione anche in vista di futuri conferimenti.
A fronte di tali dati fattuali, peraltro esposti e valutati dai giudici del merito con argomentazioni scevre da cedimenti logici o manifeste contraddizioni e, come tali, non censurabili in questa sede di legittimità, il ricorrente si limita ad una sostanziale riproposizione della censura formulata con l’atto di appello, senza considerare quanto affermato dalla Corte territoriale ed, anzi, sostenendo che mancherebbe ogni riferimento alla condotta da lui posta in essere, ribadendo di avere denunciato l’abbandono “nel momento in cui ha preso atto che il proprio terreno veniva utilizzato da terzi quale discarica”, limitandosi, dunque, a negare l’addebito.
Tale evenienza rende evidente anche la sostanziale genericità del motivo di ricorso.
8. Va da ultimo rilevato che la Corte territoriale, pur a fronte della conferma della condanna, ha omesso di ordinare la confisca dell’area interessata dalla discarica.
L'art. 256, comma 3 d.lgs.152\06 stabilisce che alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale e' realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.
La confisca è, pacificamente, obbligatoria, come si desume dall'inequivoco tenore della norma che non ammette alcuna alternativa, pur non indicando espressamente tale obbligatorietà come invece avviene nell'articolo 259, comma 2, dove viene utilizzata l'espressione «consegue obbligatoriamente la confisca».
Tale obbligatorietà non è infatti mai stata posta in dubbio dalla giurisprudenza di questa Corte che, anzi, ha evidenziato, con riferimento alla sentenza di «patteggiamento», come non assuma rilievo il fatto che il provvedimento di confisca non abbia formato oggetto dell'accordo fra le parti, trattandosi di atto dovuto per il giudice non suscettibile di valutazioni discrezionali e, pertanto, sottratto alla disponibilità delle parti medesime (Sez. 3, n. 21640 del 26/4/2001, Cannavò F, Rv. 219523. Conf. Sez. 3, n. 22063 del 25/3/2003, Mascheroni, Rv. 224487).
La rilevata inammissibilità del ricorso, tuttavia, esclude ogni possibilità di intervento da parte di questa Corte ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. (rispetto alla utilizzabilità del quale, in tema di confisca obbligatoria, non vi è convergenza di opinioni da parte della giurisprudenza) potendosi eventualmente ovviare alla omessa statuizione in sede di esecuzione.
9. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 4/6/2019