Corte Costituzionale sent. 59 del 24 marzo 2017
Oggetto: Acque - Norme della Regione Abruzzo - Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane - Canoni di concessione per le derivazioni di acqua pubblica ad uso idroelettrico - Determinazione in base alla "potenza efficiente" di ciascun impianto, come ufficialmente definita dall'AEEG [Autorità per l'energia elettrica e il gas] e dal GES [Gestore dei servizi elettrici].

Dispositivo: illegittimità costituzionale - illegittimità costituzionale parziale - ill. cost. conseguenziale ex art. 27 legge n. 87/1953


SENTENZA N. 59

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane in attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto legislativo n. 152/2006 e modifica alla L.R. n. 5/2015), dell’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 19 gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)», e dell’art. 1, comma 1, lettere a), b) e c), della legge della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi, il primo notificato il 4-5 gennaio 2016, il secondo spedito per la notifica il 22 marzo 2016 ed il terzo notificato l’8-9 giugno 2016, depositati in cancelleria il 13 gennaio, il 24 marzo ed il 10 giugno 2016 e, rispettivamente, iscritti ai nn. 2, 21 e 29 del registro ricorsi 2016.

Visti gli atti di costituzione della Regione Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2017 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi gli avvocati dello Stato Massimo Salvatorelli e Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefania Valeri per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 4-5 gennaio 2016 e depositato il successivo 13 gennaio (reg. ric. n. 2 del 2016), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane in attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto legislativo n. 152/2006 e modifica alla L.R. n. 5/2015), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «tutela della concorrenza».

1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato – dopo aver preliminarmente rammentato che, in materia di concessioni di derivazioni di acque, l’art. 35 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici), prevede che le utenze di acqua pubblica siano sottoposte al pagamento di un canone annuo, regolato sulla media della forza motrice nominale disponibile nell’anno – rileva che la disposizione regionale censurata interviene sull’art. 12 della legge della Regione Abruzzo 3 agosto 2011, n. 25 (Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque pubbliche). Tale ultima disposizione era già stata modificata dal legislatore regionale con l’art. 16 della legge 10 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Abruzzo (Legge Finanziaria Regionale 2012)», il quale aveva stabilito un nuovo importo del costo unitario del canone, associato però alla potenza efficiente, come identificata dai rapporti annuali del Gestore dei servizi energetici (GSE), di ciascun impianto idroelettrico e non più alla potenza nominale.

Detto art. 16 era stato impugnato dallo Stato, che lo aveva ritenuto lesivo delle sue competenze esclusive in materia di tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza, nonché per contrasto con i principî fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia di cui alla legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia). La Corte costituzionale, tuttavia – dopo aver trasferito la questione, in ragione del contenuto sostanzialmente analogo, sull’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 17 luglio 2012, n. 34, denominata «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 3 agosto 2011, n. 25 recante: “Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque pubbliche”, integrazione alla legge regionale 17 aprile 2003, n. 7 recante: “Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2003 e pluriennale 2003-2005 della Regione Abruzzo (legge finanziaria regionale 2003)”, modifiche alla legge regionale 12 aprile 2011, n. 9 recante “Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo” e modifica all’art. 63 della L.R. n. 1/2012 recante: Legge finanziaria regionale 2012» – con la sentenza n. 85 del 2014 aveva dichiarato il ricorso in parte infondato, perché la disposizione allora censurata non era afferente alla materia dell’ambiente, e in parte inammissibile, perché non era stato specificato come il riferimento alla potenza efficiente potesse esplicare influenza sui costi.

La disposizione oggi impugnata – prosegue la difesa statale – sostituisce il comma 1-bis dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011 e fornisce espressamente una definizione di potenza efficiente, da intendersi quale «massima potenza elettrica, con riferimento alla potenza attiva, comunque realizzabile dall’impianto durante un intervallo di tempo di funzionamento pari a 4 ore, supponendo le parti dell’impianto in funzione in piena efficienza e nelle condizioni ottimali di portata e di salto».

L’Avvocatura generale dello Stato ritiene tale disciplina «gravemente violativa dei principi di concorrenza, la cui tutela è rimessa alla normazione statale secondo la previsione dell’art. 117, comma 2, lettera e) Cost.». La difesa dello Stato osserva che la giurisprudenza costituzionale, con le sentenze n. 64 e n. 28 del 2014, ha riconosciuto che, in relazione al settore dell’attività di generazione idroelettrica, il legislatore statale ha «affrontato l’esigenza di tutelare la concorrenza garantendo l’uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale», prevedendo espressamente, in particolare, che con decreto del Ministro per lo sviluppo economico, sentita la Conferenza Stato-Regioni, siano stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle Regioni, di valori massimi delle concessioni ad uso idroelettrico (art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134). La circostanza che detto decreto ministeriale non sia stato ancora adottato non farebbe venire meno la competenza statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza».

Alla luce di tale quadro normativo, il ricorrente lamenta che la disciplina regionale censurata avrebbe «l’effetto di alterare le condizioni concorrenziali sul territorio nazionale, discriminando gli operatori idroelettrici insediati in Abruzzo», così violando l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Tutte le Regioni, infatti, adottano canoni parametrati alla potenza nominale media di concessione, con valori oscillanti tra i 13 e i 37 euro per Kw, mentre la disposizione regionale impugnata, nel definire la potenza efficiente come quella «teoricamente producibile durante quattro ore di ipotetico funzionamento, in condizioni ottimali di portata e di salto, sfruttando la massima efficienza possibile dell’impianto», prevede una diversa grandezza di riferimento la quale, essendo sovrastimata, può discostarsi di molto dal valore della potenza nominale. Conseguentemente, l’importo dei canoni potrebbe risultare triplicato, sino a raggiungere un ammontare pari a un terzo dell’attuale prezzo di vendita dell’energia elettrica.

2.– Con memoria depositata l’11 febbraio 2016 si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, chiedendo che sia dichiarata cessata la materia del contendere o, in subordine, l’infondatezza del ricorso.

2.1.– La difesa della resistente ripercorre, innanzitutto, l’evoluzione della legislazione regionale in materia di canoni idroelettrici, per poi rilevare come, successivamente alla proposizione del ricorso, sia stata approvata la legge della Regione Abruzzo 19 gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di stabilità Regionale 2016)», il cui art. 11, comma 6, è intervenuto sull’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011. In particolare, il legislatore regionale ha disposto la sostituzione del comma 1-bis del suddetto art. 12, come precedentemente modificato dalla disposizione censurata, sostanzialmente ripristinando – secondo la difesa della Regione – la previsione antecedente alla normativa impugnata che, per la definizione di potenza efficiente, rinviava alla definizione ufficiale utilizzata dal GSE e dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG).

Osserva la Regione Abruzzo che su tale previsione antecedente la Corte costituzionale era stata già chiamata a pronunciarsi su ricorso dello Stato, dichiarato in parte infondato e in parte inammissibile con la sentenza n. 85 del 2014: in detta occasione, si affermò, per un verso, che «l’unico principio fondamentale della materia è quello dell’onerosità della concessione e della proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava»; per un altro, che il Presidente del Consiglio dei ministri non aveva dimostrato quale influenza sui costi avesse il riferimento alla potenza efficiente. Nella richiamata pronuncia, inoltre, non si fece alcun riferimento all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, che neppure oggi – a parere della resistente – potrebbe considerarsi «parametro legislativo influente ai fini della connotazione di un conflitto, in difetto della emanazione del relativo D.M. di attuazione».

In ragione della novella legislativa, che ripropone una disposizione già previamente impugnata e non dichiarata illegittima, così «uniformandosi, sul piano precettivo, alla lettura costituzionalmente orientata» fornita dalla Corte costituzionale, la difesa regionale chiede, pertanto, che sia dichiarata cessata la materia del contendere.

2.2.– In via subordinata, la Regione Abruzzo ritiene il ricorso infondato.

Osserva, infatti, che il Presidente del Consiglio dei ministri non si sarebbe discostato da quanto già argomentato in sede di impugnazione della legge regionale n. 1 del 2012, limitandosi ad ipotizzare una presunta triplicazione del canone «in maniera del tutto teorica», di modo che anche in questo caso – come in quello deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 85 del 2014 – non sarebbe stato specificato «in che modo il riferimento alla potenza efficiente influisca sui costi e quale sia il “verso economico” di tale effetto».

La Regione Abruzzo rileva, poi, che l’art. 35 del r.d. n. 1775 del 1933 sancisce il principio generale di onerosità della concessione di derivazione di acque pubbliche determinato sulla base dell’entità dello sfruttamento della risorsa, che rappresenta – secondo quanto chiarito dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 30 giugno 2009, n. 15234) – l’unico principio fondamentale della materia, assieme alla proporzionalità del canone all’effettiva entità dello sfruttamento e all’utilità che il concessionario ne ricava. Al contrario, secondo quanto avrebbe affermato anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2014, non può considerarsi principio fondamentale la determinazione del canone in base a un importo fisso per ogni cavallo nominale di forza motrice.

In applicazione dei principî ora ricordati, la Regione Abruzzo avrebbe «inteso discostarsi dal criterio della potenza nominale concessa investendo la potenza efficiente lorda come parametro oggettivo», in attuazione della competenza legislativa di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». La legittimità di tale scelta deriverebbe dall’impossibilità di considerare principio fondamentale una previsione – quella dell’art. 35 del r.d. n. 1775 del 1933 – che costituisce una mera misurazione della tariffa (viene richiamata la sentenza n. 64 del 2014), mentre, a fronte della scarsità della risorsa idrica, sarebbe ragionevole l’aumento del canone attuato con la disposizione censurata, la quale consente che a un aumento del quantitativo di risorsa sottratta corrisponda un aumento del canone in misura progressiva.

Quanto, poi, al comma 7 dell’art. 37 del d.l. n. 83 del 2012, la Regione Abruzzo ritiene che esso debba leggersi in combinato disposto coi commi 4, 5 e 6 del medesimo articolo: prospettiva nella quale i criteri generali di determinazione dei canoni idrici che devono essere fissati con decreto ministeriale dovrebbero ritenersi diretti ad assicurare una omogenea disciplina sul territorio nazionale «solo nei casi di scadenza, rinuncia, revoca e decadenza delle concessioni di grande derivazione». Conseguentemente, la disposizione impugnata non potrebbe ritenersi in contrasto con l’evocata disposizione statale, dal momento che essa «si rivolge esclusivamente agli attuali concessionari, ovvero a coloro che attualmente utilizzano l’acqua per uso idroelettrico e non si trovano nelle condizioni previste dall’art. 37 richiamato». Inoltre, la difesa regionale rileva che la Regione Abruzzo è, con riferimento alla determinazione dei canoni, in linea con le altre Regioni italiane, le quali peraltro applicano canoni anche molto diversi tra loro, così che, a condividere le argomentazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe concludersi che «l’intero sistema attuale di regolazione dei canoni finirebbe per risultare “anticoncorrenziale”».

La Regione Abruzzo esclude, altresì, che la disposizione censurata possa considerarsi invasiva di competenze esclusive statali. La potestà regionale di determinazione dei canoni, infatti, troverebbe fondamento negli artt. 86 e 89 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), come peraltro sarebbe stato ripetutamente confermato tanto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, quanto da decisioni della Corte costituzionale (si richiama, oltre alla sentenza n. 85 del 2014, la sentenza n. 1 del 2008).

La resistente, inoltre, reputa inconferente il richiamo effettuato dal Presidente del Consiglio dei ministri alla sentenza n. 28 del 2014 della Corte costituzionale. Ad avviso della Regione Abruzzo, in detta sentenza la Corte avrebbe bensì ricondotto alla materia «tutela della concorrenza» i commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell’art. 37 del d.l. n. 83 del 2012, ma solo perché dette disposizioni «mirano ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale». Nondimeno, con la disposizione impugnata il legislatore regionale avrebbe voluto esclusivamente «regolare i canoni legati alle derivazioni in atto da molti anni e non certo i criteri e le gare per le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, che sono riservate – senza possibilità di contestazioni di sorta – allo Stato», come è noto sin dalla adozione del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), e come si evince altresì dalla sentenza n. 339 del 2011 della Corte costituzionale. Pertanto, poiché la censurata disposizione regionale riguarda concessioni già in essere, per queste ultime non potrebbe presentarsi alcun problema di accesso al mercato e, conseguentemente, il richiamo del ricorrente all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. dovrebbe reputarsi privo di fondamento.

Parimente inconferente, infine, sarebbe il richiamo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri alla sentenza n. 64 del 2014 della Corte costituzionale. La Regione Abruzzo, infatti, con la disposizione impugnata non avrebbe definito alcun criterio generale per la determinazione dei valori massimi dei canoni. Secondo la resistente, peraltro, la disposizione impugnata sarebbe conforme alla direttiva 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque), la quale impone il principio del recupero dei costi ambiente, recepito dall’art. 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 24 febbraio 2015, n. 39 (Regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego dell’acqua).

3.– Con un successivo ricorso, spedito per la notifica il 22 marzo 2016 e depositato il successivo 24 marzo (reg. ric. n. 21 del 2016), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo n. 5 del 2016 – sostitutivo del già menzionato art. 12, comma 1-bis, della legge regionale n. 25 del 2011, nel testo risultante dalla sostituzione operata con l’art. 1, comma 2, lettera b), della legge regionale n. 36 del 2015, impugnato con il ricorso n. 2 del 2016 – ancora per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «tutela della concorrenza».

3.1.– Dopo aver ricostruito il quadro normativo statale e regionale in cui detta disposizione si inserisce, il ricorrente osserva che essa – rinviando per la definizione di potenza efficiente alla definizione ufficiale utilizzata dal GSE e dall’AEEG – solo apparentemente è caratterizzata da profili di novità, trattandosi, in realtà, di previsione avente portata normativa equivalente a quella impugnata con il precedente ricorso n. 2 del 2016. L’Avvocatura generale dello Stato precisa, in particolare, che il parametro della potenza efficiente con rinvio alla definizione del GSE era già previsto dall’art. 16 della legge regionale n. 1 del 2012, il quale era stato oggetto di ricorso dinanzi alla Corte costituzionale, dichiarato inammissibile perché non era stato dimostrato «come il riferimento alla potenza efficiente [influisse] sui costi e quale [fosse] il “verso economico” di tale effetto» (sentenza n. 85 del 2014).

Il Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto, in primo luogo ripropone i medesimi argomenti già utilizzati per contestare la legittimità costituzionale della disposizione regionale impugnata con il ricorso n. 2 del 2016, che dimostrerebbero come, anche in questo caso, la disposizione regionale si ponga in contrasto con i principî in materia di tutela della concorrenza posti dall’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e, conseguentemente, violi l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

In secondo luogo, pone in evidenza come la disposizione impugnata preveda la stessa definizione di potenza efficiente che GSE e AEEG adottano dal 2014, ai sensi della delibera AEEGSI 179/2014/R/EFR, con il che apparirebbe evidente come il censurato art. 11, comma 6, lettera b), riproponga una definizione del tutto equivalente a quella contenuta nella legge regionale n. 36 del 2015 e, perciò, sia inidoneo a determinare la cessazione della materia del contendere nel giudizio instaurato avverso di essa, richiamandosi a tal proposito quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (si evocano le sentenze n. 249 del 2014 e n. 272 del 2009).

4.– Con memoria depositata il 29 aprile 2016 si è costituita, anche nel giudizio instaurato con il ricorso n. 21 del 2016, la Regione Abruzzo, chiedendo che sia dichiarata cessata la materia del contendere o, in subordine, l’infondatezza del ricorso.

4.1.– Ricostruita, innanzitutto, l’evoluzione della legislazione regionale in materia di canoni idroelettrici, la difesa regionale rileva che la disposizione oggetto di censura è stata espressamente abrogata ad opera dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), il cui art. 1, comma 1, lettera b), ha inoltre sostituito il comma 1-bis dell’art. 12 della citata legge regionale n. 25 del 2011, nel testo risultante dalla sostituzione operata con la suddetta disposizione impugnata.

La Regione Abruzzo afferma che quest’ultima è stata in vigore dal 1° gennaio 2016 sino al 14 aprile 2016 e non ha avuto applicazione: per un verso, il breve arco temporale di vigenza non avrebbe, di fatto, consentito ai titolari delle concessioni idroelettriche di effettuare il pagamento dei canoni sulla base di quanto previsto da detta disposizione; per un altro, tale adempimento non sarebbe stato sollecitato dalla struttura regionale competente, la quale ha ritenuto di attendere la definizione della questione di legittimità costituzionale pendente.

La difesa regionale – per il caso in cui la Corte costituzionale ritenesse l’abrogazione e la mancata applicazione non sufficienti a determinare la cessata materia del contendere – procede, poi, a illustrare quelle che ritiene siano le innovazioni sostanziali apportate con la nuova disposizione regionale e la loro portata satisfattiva rispetto alle doglianze prospettate nel ricorso statale.

La nuova formulazione dell’art. 12, comma 1-bis, della legge regionale n. 25 del 2011 rinvia, per la definizione di potenza efficiente, alla «definizione ufficiale utilizzata per la potenza efficiente netta dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI)». Secondo la Regione Abruzzo, la circostanza che quest’ultima faccia riferimento alla potenza efficiente netta – pari alla potenza risultante dalla differenza tra la potenza efficiente lorda dell’impianto e quella assorbita dai suoi servizi ausiliari e dalle perdite nei trasformatori della centrale – parametra la determinazione dei canoni idroelettrici a una potenza reale, «tale da non incidere negativamente sulla capacità delle imprese Abruzzesi di operare in pari condizioni sul mercato unico dell’energia elettrica». Non vi sarebbe, pertanto, alcun contrasto con il parametro costituzionale evocato dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Tanto premesso, la resistente osserva, altresì, che con la disposizione censurata il legislatore regionale ha inteso uniformarsi alle più recenti esigenze di tutela e salvaguardia del bene acqua, «individuando un criterio diverso dalla potenza nominale introdotto dal R.D. 1775/1933 e certamente più attuale». D’altro canto, quella della potenza efficiente è definizione tecnica utilizzata già per altri aspetti legali ed economici e, pertanto, il suo uso al fine di determinare il reale potenziale di produttività idroelettrica di un impianto sarebbe in linea con il quadro generale di riferimento.

4.2.– In via subordinata, la Regione Abruzzo ritiene il ricorso infondato.

A tal proposito la difesa regionale – dopo aver sottolineato come le argomentazioni del Presidente del Consiglio dei ministri non siano, di nuovo, sufficienti a chiarire in qual modo il riferimento alla potenza efficiente influisca sui costi e quale sia il “verso economico” di tale effetto e come, quindi, non appaia suffragata da adeguati riscontri l’opinata violazione dei principî in materia di tutela della concorrenza di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 – ripropone i medesimi argomenti già utilizzati per replicare alle censure di costituzionalità mosse alla disposizione regionale impugnata con il ricorso n. 2 del 2016.

5.– Con un ulteriore e successivo ricorso, notificato l’8-9 giugno 2016 e depositato il successivo 10 giugno (reg. ric. n. 29 del 2016), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’art. 1, comma 1, lettere a), b) e c), della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2016 – sostitutivo dei commi 1, 1-bis e 1-ter del più volte menzionato art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, nel testo risultante dalla sostituzione operata con l’art. 11, comma 6, della legge della Regione Abruzzo n. 5 del 2016, parzialmente impugnato con il ricorso n. 21 del 2016 – novamente per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «tutela della concorrenza».

5.1.– Ricostruito il quadro normativo statale in tema di determinazione dei canoni, il ricorrente osserva che le disposizioni impugnate provvedono a fissare il costo unitario per l’uso idroelettrico, per le utenze con potenza nominale superiore a 220 Kw, in euro 35,00 per ogni Kw di potenza efficiente; a rinviare, per la definizione di potenza efficiente, a quella ufficiale utilizzata per la potenza efficiente netta dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il sistema idrico (AEEGSI); a stabilire che il canone annuo, calcolato applicando il valore per ogni Kw di potenza nominale, sia versato a titolo di acconto ogni anno entro il 28 febbraio; a prevedere che il Servizio regionale, una volta certificata la potenza efficiente da organismo terzo, quantifichi l’importo complessivo a conguaglio; a disporre, infine, che nulla è dovuto nel caso in cui detto conguaglio risulti inferiore a quanto versato anticipatamente a titolo di acconto e che, in caso di mancata comunicazione della potenza efficiente, il canone dovuto è triplicato rispetto al canone dovuto calcolato sulla potenza nominale media di concessione.

Tali disposizioni riprodurrebbero sostanzialmente, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le disposizioni oggetto dei ricorsi n. 2 e n. 21 del 2016 «e [presenterebbero] quindi i medesimi profili di illegittimità costituzionale». La differenza tra di esse sarebbe, in effetti, solo apparente, perché non solo non è mutata la definizione di potenza efficiente, ma «lo scostamento di valori riveniente dal riferimento alla potenza efficiente netta contenuto nella norma che si impugna è, rispetto a quello risultante dalle precedenti definizioni e previsioni normative, assolutamente marginale». In ragione di ciò, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che l’abrogazione dell’art. 11, comma 6, della legge regionale n. 5 del 2016 da parte dell’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2016 e la contestuale riproduzione del suo contenuto nelle disposizioni oggetto di questo nuovo ricorso si risolva «nel tentativo del legislatore regionale abruzzese di eludere la definizione dei giudizi di legittimità costituzionale» già instaurati, il che, secondo la giurisprudenza costituzionale, dovrebbe portare al trasferimento della questione sulle norme riproduttive di quelle già impugnate (vengono novamente richiamate le sentenze n. 249 del 2014 e n. 272 del 2009).

Sulla falsariga degli argomenti utilizzati nei due precedenti ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che se, come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, «l’unico principio fondamentale della materia è quello della onerosità della concessione e della proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava», il parametro della potenza efficiente non è però proporzionato né all’entità dello sfruttamento né all’utilità economica. Applicando il parametro della potenza efficiente, infatti, il canone concessorio sarebbe sino a tre volte maggiore rispetto a quello calcolato applicando il parametro della potenza nominale media: il che inciderebbe sulla capacità delle imprese di operare in condizioni di parità sul mercato unico dell’energia elettrica.

Si osserva, in particolare, che, dovendo i produttori idroelettrici abruzzesi pagare un canone più elevato, essi non sarebbero in grado di competere con gli operatori stabiliti in altre regioni italiane, i quali, dovendo invece corrispondere canoni più bassi, sarebbero «in condizione di produrre a costi più contenuti e, quindi, di offrire sul mercato dell’energia elettrica prezzi proporzionalmente inferiori a quelli degli impianti abruzzesi». Le disposizioni censurate, pertanto, contrastando con i principî in materia di tutela della concorrenza posti dall’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

6.– Con memoria depositata il 19 luglio 2016 si è costituita, anche nel giudizio instaurato con il ricorso n. 29 del 2016, la Regione Abruzzo, chiedendo che ne sia dichiarata l’infondatezza.

6.1.– Ripercorsa ampiamente l’evoluzione della legislazione regionale in tema di canoni idroelettrici, la difesa regionale insiste, innanzitutto, nel sostenere che l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 si limiterebbe a disciplinare le procedure di gara per l’affidamento delle nuove concessioni nel settore idroelettrico, di modo che, applicandosi il parametro della potenza efficiente di cui alla disposizione impugnata per la quantificazione dei canoni dovuti dagli attuali concessionari, non vi sarebbe contrasto tra la normativa regionale e quella statale.

La Regione Abruzzo rileva, poi, che, alla luce del novellato Titolo V della Costituzione, la disciplina afferente alle derivazioni di acqua pubblica andrebbe ricondotta alla potestà legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nell’ambito della quale, in ragione di quanto sarebbe stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2014, «il parametro della “potenza nominale” non costituisce un caposaldo inamovibile e insuperabile per il legislatore regionale, il quale, infatti, può legittimamente intervenire nella determinazione dei canoni idroelettrici, con l’unico limite del rispetto del principio di onerosità e proporzionalità della concessione».

La difesa regionale, inoltre, ribadisce novamente come le argomentazioni utilizzate dal Presidente del Consiglio dei ministri, non discostandosi da quelle proposte nelle precedenti impugnative, non siano in grado di dimostrare i lamentati effetti sperequativi sul sistema concorrenziale correlati alla determinazione del canone in base alla potenza efficiente. Il ricorrente, in particolare, si sarebbe limitato a una mera illustrazione della differenza tra potenza efficiente netta e potenza efficiente lorda, non supportata però da una dimostrazione tecnico-scientifica sulla paventata maggiore incidenza dei costi. Al contrario, il rinvio alla potenza efficiente netta operato dalla disposizione impugnata farebbe sì che il valore di riferimento sia «sicuramente inferiore» rispetto a quello della potenza efficiente lorda, tanto che il legislatore regionale ha dovuto disciplinare l’ipotesi in cui il dato della potenza efficiente, così calcolato, sia inferiore a quello della potenza nominale.

La Regione Abruzzo osserva, altresì, che, in assenza del decreto ministeriale previsto dall’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, le Regioni non possono non determinare i canoni avendo quali soli parametri, secondo quanto affermato nella sentenza n. 85 del 2014 della Corte costituzionale, i principî dell’onerosità della concessione e della proporzionalità del canone all’entità dello sfruttamento e all’utilità economica che se ne ricava; principî cui il legislatore regionale avrebbe ispirato la propria azione, «potenziando l’applicazione del criterio della proporzionalità, attraverso una più realistica e ragionevole parametrazione del canone alla effettiva entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava».

Dopo aver riproposto le osservazioni e gli argomenti già svolti nelle precedenti memorie di costituzione, la Regione Abruzzo assume che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la disposizione impugnata avrebbe una portata innovativa sostanziale rispetto alle precedenti disposizioni regionali in materia, in particolare perché la potenza efficiente netta rappresenterebbe una potenza reale, che può essere anche inferiore alla potenza nominale.

Infine, la resistente ritiene che con la disposizione censurata si sarebbe finito «per perseguire una finalità pro-concorrenziale», creando una situazione di riequilibrio del mercato laddove, per un verso, il Ministero competente non ha ancora adottato il decreto ministeriale di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e, per un altro, mediante il medesimo decreto-legge, che ha modificato l’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, sono state prorogate le concessioni in essere sino al 31 dicembre 2017. Tale circostanza, assieme a quella che il concessionario uscente continua a gestire l’impianto fino al subentro dell’aggiudicatario della gara «alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti» (art. 12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79 del 1999), renderebbe evidente come, almeno fino al 31 dicembre 2017, non sussistano in Italia i presupposti per un mercato competitivo.

Considerato in diritto

1.– Con tre distinti ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in via principale, questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni contenute in tre distinte leggi regionali abruzzesi, le quali – intervenendo tutte, in vario modo, sull’art. 12 della legge della Regione Abruzzo 3 agosto 2011, n. 25 (Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque pubbliche) – prescrivono che, ai fini della determinazione del canone idroelettrico per le utenze con potenza nominale superiore a 220 kw, si faccia riferimento alla potenza efficiente.

Il ricorrente ritiene che con le disposizioni censurate la Regione Abruzzo abbia invaso la competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.

1.1.– Con l’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane in attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto legislativo n. 152/2006 e modifica alla L.R. n. 5/2015) – impugnato con il primo ricorso (reg. ric. n. 2 del 2016) – il legislatore regionale ha definito autonomamente la nozione di potenza efficiente.

Con l’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 19 gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)» – adottato a seguito del primo ricorso e impugnato con il secondo (reg. ric. n. 21 del 2016) – il legislatore regionale ha rinviato, per la nozione di potenza efficiente, a quella ufficiale utilizzata dal Gestore dei servizi energetici (GSE) e dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG).

Con l’art. 1, comma 1, lettere a), b) e c), della legge della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011) – adottato a seguito del secondo ricorso e impugnato con il terzo (reg. ric. n. 29 del 2016) – il legislatore abruzzese ha, infine, rideterminato il costo unitario del canone, ancorandolo alla potenza efficiente, e, per la definizione di quest’ultima, ha rinviato alla nozione di potenza efficiente netta adoperata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il sistema idrico (AEEGSI). Ha, inoltre, disciplinato le modalità per la riscossione del canone idroelettrico.

1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, come detto, che tutte le censurate disposizioni siano invasive della competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Esse, infatti, si porrebbero in contrasto con quanto previsto dall’art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale ha disposto che «[a]l fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico». Con tale disposizione, come avrebbe riconosciuto questa Corte con le sentenze n. 64 e n. 28 del 2014, il legislatore statale sarebbe intervenuto al fine di tutelare la concorrenza nel settore, garantendo l’uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale.

In tutte le altre Regioni, rileva il ricorrente, i canoni sono parametrati alla potenza nominale media, conformemente a quanto previsto dalla normativa statale di riferimento, con valori oscillanti tra i 13 e i 37 euro per Kw. Il diverso parametro della potenza efficiente, adottato dalle disposizioni regionali impugnate, determinerebbe un sensibile aumento dei canoni concessori, fino a triplicarli, alterando le condizioni concorrenziali a detrimento degli operatori insediati in Abruzzo.

La potenza efficiente è, infatti, quella teoricamente producibile durante quattro ore di funzionamento in condizioni ottimali di portata e di salto, sfruttando la massima efficienza possibile dell’impianto. Si tratterebbe, quindi, di una potenza sovrastimata, che può risultare di molto superiore alla potenza nominale media.

2.– In considerazione della sostanziale identità dei motivi di censura e della connessione esistente tra i ricorsi, i tre giudizi, come sopra delimitati, devono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.

Resta riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni promosse con il ricorso n. 29 del 2016.

3.– Preliminarmente, va disattesa la richiesta, formulata dalla Regione Abruzzo, di dichiarare cessata la materia del contendere in relazione ai giudizi introdotti con i ricorsi n. 2 e n. 21 del 2016, in ragione dell’abrogazione delle disposizioni regionali impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

3.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, perché possa dichiararsi la cessazione della materia del contendere è necessario il concorso di due requisiti: lo ius superveniens deve avere carattere satisfattivo delle pretese avanzate con l’atto introduttivo del giudizio e le disposizioni oggetto d’impugnazione non devono avere avuto medio tempore applicazione (da ultimo, sentenze n. 8 del 2017, n. 257, n. 253, n. 242 e n. 199 del 2016).

Nel caso di specie, è palese come non sussista già il primo dei suddetti requisiti. L’abrogazione delle disposizioni censurate, difatti, è stata contestualmente accompagnata dall’approvazione di disposizioni, non a caso parimente impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri con i ricorsi n. 21 e n. 29 del 2016, dal contenuto sostanzialmente identico: anch’esse ancorano la determinazione del canone idroelettrico, per le utenze con potenza nominale superiore a 220 Kw, al parametro della potenza efficiente (quand’anche netta, come stabilito dalle disposizioni regionali censurate con il terzo ricorso statale, e non lorda, come invece previsto dalle disposizioni oggetto delle prime due impugnative). Né rileva, in proposito, la circostanza che la novella legislativa successiva al ricorso n. 2 del 2016, del resto impugnata con il ricorso n. 21 del 2016, avrebbe riprodotto una disposizione già previamente impugnata e non dichiarata illegittima, tanto più che la correlata decisione di questa Corte al riguardo – la sentenza n. 85 del 2014 – è una pronuncia d’inammissibilità.

4.– Venendo all’esame del merito delle questioni, va premesso che, in materia di derivazioni di acqua a scopo idroelettrico e, in particolare, in tema di determinazione dei canoni di concessione, la normativa di riferimento affonda le sue radici nel regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici).

L’art. 6 di detto testo unico, tanto nella formulazione originaria quanto in quella oggi vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 1 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275 (Riordino in materia di concessione di acque pubbliche), stabilisce che le utenze di acqua pubblica hanno per oggetto grandi e piccole derivazioni e precisa, per quanto qui rileva, che sono grandi derivazioni quelle che per produzione di forza motrice eccedono la potenza nominale media annua di kilowatt 3000. L’art. 35 del medesimo regio decreto stabilisce che le utenze di acqua pubblica sono sottoposte al pagamento di un canone annuo, ancorato a ogni kilowatt di potenza nominale.

L’art. 18 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), ha stabilito che i canoni relativi alle utenze di acqua pubblica costituiscono il corrispettivo per gli usi delle acque prelevate e ne ha fissato l’importo in relazione alle diverse utilizzazioni. Per quel che concerne le concessioni di derivazione ad uso idroelettrico, ha determinato il canone, per ogni kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta, in lire 20.467.

Con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), è stata conferita alle Regioni competenti per territorio l’intera gestione del demanio idrico (art. 86), specificando che detta gestione comprende, tra le altre, le funzioni amministrative relative alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi (art. 88).

Nel conferire tali funzioni, il citato decreto legislativo ha peraltro fatto temporaneamente salva la competenza dello Stato in materia di grandi derivazioni, prevedendo che, fino all’entrata in vigore delle norme di recepimento della direttiva 19 dicembre 1996, n. 96/92/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), le concessioni sono rilasciate dallo Stato d’intesa con la Regione interessata ovvero, in caso di mancata intesa nel termine di sessanta giorni, dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (art. 29, comma 3). Successivamente, con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), è stata data attuazione a tale direttiva e si è pertanto realizzata la condizione cui la sopracitata disposizione subordinava il trasferimento delle competenze alle Regioni.

L’art. 12, comma 11, dello stesso d.lgs. n. 79 del 1999 prevedeva, inoltre, che con altro decreto legislativo sarebbero state stabilite le modalità per la fissazione dei canoni demaniali di concessione.

In seguito, con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione è stata attribuita alle Regioni ordinarie, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, la competenza legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

Con l’art. 154, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), si è disposto, poi, che «[a]l fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica». Con lo stesso decreto legislativo si è proceduto, nell’art. 175, all’abrogazione della citata legge n. 36 del 1994, il cui art. 18 determinava il canone idroelettrico.

Infine, è intervenuto il già menzionato art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, il quale demanda a un decreto ministeriale, adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente, di stabilire i criteri generali per la determinazione, da parte delle Regioni, dei valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico.

4.1.– Alla luce dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento, questa Corte, chiamata a pronunciarsi circa il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di canoni idroelettrici, ha affermato che la determinazione e la quantificazione della misura di detti canoni devono essere ricondotte alla competenza legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenze n. 158 del 2016, n. 85 e n. 64 del 2014). È invece ascrivibile alla «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la disciplina di cui all’art. 37, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012, ovvero la definizione, con decreto ministeriale, dei «criteri generali» che condizionano la determinazione, da parte delle Regioni, dei valori massimi dei canoni (sentenze n. 158 del 2016 e n. 28 del 2014).

Si è altresì precisato che, in attesa del decreto ministeriale, oggi come allora ancora non adottato, la competenza regionale alla determinazione della misura dei canoni idroelettrici non può ritenersi paralizzata, poiché in assenza del suddetto decreto la disposizione legislativa che ad esso rinvia «non è ancora pienamente operante ed efficace» (sentenza n. 158 del 2016). Le Regioni, salvo l’onere di adeguarsi a quanto verrà stabilito dallo Stato, hanno attualmente titolo, nell’ambito della propria competenza ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., a determinare i canoni idroelettrici nel rispetto del principio fondamentale «della onerosità della concessione e della proporzionalità del canone alla entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità economica che il concessionario ne ricava» (sentenza n. 158 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 64 del 2014), nonché dei principî di economicità e ragionevolezza, previsti espressamente dallo stesso art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e condizionanti l’esercizio della competenza regionale già prima della definizione con decreto ministeriale dei criteri generali (sentenza n. 158 del 2016).

4.2.– Le Regioni, in altri termini, sono competenti a determinare e a quantificare, nel rispetto dei sopra ricordati principî, la misura dei canoni idroelettrici, dovendosi ricondurre tale intervento alla materia di potestà concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». È loro precluso, però, adottare «criteri generali» per detta determinazione, essendo tale attività ascrivibile alla competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza»: nella perdurante attesa che sia adottato il ricordato decreto ministeriale, in tale ambito restano pur sempre fermi, ove stabiliti, i criteri previsti dalla normativa statale di riferimento.

5.– Ai fini della risoluzione delle odierne questioni, questa Corte è, allora, chiamata a valutare se le impugnate disposizioni regionali abruzzesi abbiano invaso la competenza esclusiva statale, in materia di «tutela della concorrenza», a dettare «criteri generali» o se, invece, si siano limitate a determinare e quantificare la misura dei canoni idroelettrici, nell’ambito della competenza regionale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».

La disciplina statale di cui al citato art. 37, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012 – intervenuta successivamente all’atto introduttivo del giudizio conclusosi con la sentenza n. 85 del 2014 – è diretta, infatti, a porre criteri che, al fine di evitare effetti anticoncorrenziali, garantiscano omogeneità sull’intiero territorio nazionale nella determinazione dei canoni idroelettrici, siano essi dovuti dai concessionari futuri come dagli attuali, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale.

6.– Le questioni sono fondate, poiché tutte le censurate disposizioni regionali sono invasive della competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza».

6.1.– A differenza di quanto compiuto dalla Regione Piemonte con la legge scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 158 del 2016, la Regione Abruzzo non si è limitata, in effetti, a quantificare il costo unitario del canone, competenza certo di sua spettanza e che incontra il limite del rispetto dei principî fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Essa ha, invece, adottato un criterio per la determinazione della misura del canone idroelettrico – la potenza efficiente – diverso da quello, previsto dagli artt. 6 e 35 del r.d. n. 1775 del 1933, della potenza nominale media, il quale, ad oggi e finché non sia adottato il più volte rammentato decreto ministeriale, è inderogabile da parte delle Regioni.

Che questo sia il significato delle disposizioni impugnate emerge nitidamente dalla loro lettera: dette disposizioni, difatti, intervenendo a volta a volta sull’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, affiancano alla quantificazione del costo unitario del canone la potenza efficiente quale grandezza di riferimento – il criterio, appunto – attraverso cui determinare la potenza prodotta dall’impianto idroelettrico e calcolare il canone complessivo dovuto dal concessionario. La circostanza è ammessa apertamente, del resto, dalla stessa resistente, la quale in tutte le tre memorie di costituzione afferma che, con la normativa impugnata, «ha inteso discostarsi dal criterio della potenza nominale concessa investendo la potenza efficiente lorda come parametro oggettivo».

6.2.– Sono, dunque, invasivi dell’ambito materiale di competenza esclusiva statale e, pertanto, vanno dichiarati costituzionalmente illegittimi l’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo n. 36 del 2015 (impugnato con il ricorso n. 2 del 2016) e l’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo n. 5 del 2016 (impugnato con il ricorso n. 21 del 2016). Entrambi, difatti, sono rivolti all’utilizzazione della potenza efficiente per il calcolo del canone complessivo dovuto dai concessionari: l’uno in quanto, sostituendo il comma 1-bis dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, espressamente la definisce; l’altro in quanto, novamente sostituendo il citato comma 1-bis, per la sua definizione rinvia a quella adoperata dal GSE e dall’AEEG.

6.3.– Vanno, invece, prese partitamente in esame le lettere a), b) e c) dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2016 (impugnato con il ricorso n. 29 del 2016).

6.3.1.– La lettera a), sostitutiva del comma 1 dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, non è intieramente riconducibile alla competenza esclusiva statale.

Essa, infatti, è innanzitutto diretta a (ri)quantificare e (ri)determinare il canone idroelettrico per le utenze con potenza nominale superiore a 220 Kw, attività che, come si è detto, è ascrivibile alla potestà concorrente nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e, pertanto, spetta alle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale. Tuttavia, la disposizione de qua stabilisce che il costo unitario per l’uso idroelettrico è di € 35,00, oltre ai relativi aggiornamenti al tasso di inflazione programmata, «per ogni Kw di potenza efficiente», così discostandosi dalla normativa statale, la quale prevede invece che esso sia dovuto per ogni Kw di potenza nominale media. Detto altrimenti, nell’esercitare la propria competenza alla determinazione del costo unitario del canone idroelettrico, la Regione ha pro parte invaso la competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza», adottando, ancora una volta, un parametro, per il calcolo del canone complessivo dovuto dai concessionari, diverso da quello della potenza nominale media.

L’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2016 va pertanto dichiarato illegittimo per la sola parte in cui, nello stabilire il costo unitario del canone per l’uso idroelettrico, prevede che esso sia dovuto «per ogni Kw di potenza efficiente» anziché «per ogni Kw di potenza nominale media». Come detto, fintanto che non intervenga il decreto ministeriale di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, è soltanto il criterio della «potenza nominale media», posto dagli artt. 6 e 35 del r.d. n. 1775 del 1933, quello cui le Regioni possono parametrare i canoni idroelettrici.

6.3.2.– Le lettere b) e c) – sostitutive, rispettivamente, dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011 – intervengono in toto, invece, nella materia «tutela della concorrenza» e, pertanto, debbono essere integralmente dichiarate costituzionalmente illegittime.

Con la prima, infatti, il legislatore regionale rinvia, per la definizione di potenza efficiente, a quella di potenza efficiente netta utilizzata dall’AEEGSI, sostanzialmente riproducendo le disposizioni impugnate con i ricorsi n. 2 e n. 21 del 2016; con la seconda, pone norme correlate all’adozione del criterio della potenza efficiente, poiché provvede a disciplinare le modalità di riscossione del canone idroelettrico calcolato in base a detto criterio.

6.3.2.– La dichiarazione d’illegittimità costituzionale deve essere estesa in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alla lettera d) del medesimo art. 1, comma 1, la quale inserisce, dopo il comma 1-ter dell’art. 12 della legge regionale n. 25 del 2011, il comma 1-ter-1. Tale ultima disposizione stabilisce, per l’anno 2016, al 31 maggio 2016 il termine di cui al primo periodo dell’art. 12, comma 1-ter, della legge regionale n. 25 del 2011, come sostituito dalla citata lettera c), ed è, perciò, in stretta e inscindibile connessione con quest’ultima.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

riservata a separata pronuncia la decisione sulle altre questioni promosse con il ricorso n. 29 del 2016;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 3 novembre 2015, n. 36 (Disposizioni in materia di acque e di autorizzazione provvisoria degli scarichi relativi ad impianti di depurazione delle acque reflue urbane in attuazione dell’art. 124, comma 6, del decreto legislativo n. 152/2006 e modifica alla L.R. n. 5/2015);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, lettera b), della legge della Regione Abruzzo 19 gennaio 2016, n. 5, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio pluriennale 2016-2018 della Regione Abruzzo (Legge di Stabilità Regionale 2016)»;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11 (Modifiche alle leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), nella parte in cui, nello stabilire il costo unitario del canone per l’uso idroelettrico, prevede che esso sia dovuto «per ogni Kw di potenza efficiente» anziché «per ogni Kw di potenza nominale media»;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2016;

5) dichiara in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2016.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2017.