Cass. Sez. III n. 2996 del 20 gennaio 2017 (Ud 13 lug 2016)
Presidente: Andreazza Estensore: Aceto Imputato: Niemen
Rifiuti.Gestione di rifiuti e buona fede
Onde evitare che ciascun consociato si faccia misura dell'ambito di applicabilità della legge penale, è necessario che il dubbio sul precetto si trasformi in granitica certezza della liceità del proprio agire tale da escludere ogni benché minimo margine di dubbio. E' altresì necessario che tale certezza sia instillata esclusivamente dall'esterno e non costituisca, invece, il frutto, ragionato o meno, di un personale convincimento. In presenza anche solo di un minimo dubbio, l'azione resta il frutto di un'opzione interiore ben precisa che tiene in conto la possibilità della natura antidoverosa dell'azione stessa.
RITENUTO IN FATTO
1.La sig.ra Niemen Fatma ricorre per l'annullamento della sentenza del 12/03/2015 del Tribunale di Cuneo che l'ha condannata alla pena di 1.800,00 euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 256, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006 a lei ascritto perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, aveva effettuato la raccolta di rifiuti non pericolosi costituiti da rottami ferrosi per un quantitativo di 180 quintali, in mancanza della prescritta autorizzazione; fatto contestato come commesso in Clavesana a partire dal mese di novembre 2011 e fino al mese di marzo dell'anno successivo.
1.1.Con unico, articolato motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione carente e/o manifestamente illogica in ordine alla affermazione della sua penale responsabilità con particolare riferimento all'esclusione della propria buona fede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.
3.Risulta dal testo della sentenza impugnata (il dato è incontestato) che, tra il mese di novembre 2011 e quello di marzo dell'anno 2012, l'imputata, benché non iscritta all'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, conferì al centro autorizzato di raccolta di rottami ferrosi «Zinnbardi» di Clavesana 180 quintali di rottami di vario tipo (ferro e acciaio, rame, bronzo e ottone, alluminio, cavi, piombo, componenti rimossi da apparecchiature fuori uso).
3.1. Il Tribunale ha escluso che l'imputata versasse in buona fede, non ritenendo a tal fine applicabile la Circolare della Provincia di Cuneo del 03/07/2006 che, interpretando l'(allora) art. 58, comma 7-quater, d.lgs. n. 22 del 1997 (oggi art. 266, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006) alla luce dell'abrogazione della norma (l'art. 121, TULPS) istitutiva del registro degli esercenti dei mestieri girovaghi, aveva escluso dagli obblighi in materia di raccolta e trasporto di rifiuti «i nomadi, coloro che esercitano mestieri girovaghi, le persone senza fissa dimora, le associazioni "no profit", le Parrocchie e, in generale, tutti coloro che svolgono tali attività, ma che non costituiscono impresa».
3.2.L'imputata lamenta la contraddittorietà e illogicità della motivazione perché prima degli arresti giurisprudenziali di questa Corte, successivi alla condotta da lei tenuta e che hanno precisato l'ambito di applicabilità della suddetta norma, numerose pronunce di merito dei Tribunali piemontesi avevano avallato l'interpretazione della Provincia di Cuneo, confortando la convinzione della liceità del proprio agire.
3.3.E' agevole innanzitutto obiettare a questo specifico argomento che le sentenze precedenti alla condotta tenuta dall'imputata sono solo due, tutte del medesimo giudice persona fisica (come le altre due del 2013), inidonee pertanto a dimostrare l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale condiviso e consolidato nel distretto.
3.4. Il Collegio intende però ribadire, sul punto, quanto, sull'identico argomento è stato già sostenuto da questa Corte con sentenza Sez. 3, n. 35314 I. 2 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000, la cui motivazione viene qui di seguito riportata per la peculiare sovrapponibilità del caso a quello scrutinato: «dev'essere qui ricordato, con le Sezioni Unite di questa Corte, che a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 - dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885). Ne discende, dunque, che, per chi non svolga professionalmente una attività nel settore di interesse - qual è l'imputata nella vicenda in esame -, la scusabilità dell'ignoranza della legge penale comporta necessariamente che questi assolva con il criterio dell'ordinaria diligenza - come sottolineato dalle Sezioni Unite -, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia (...) Da ultimo, e conclusivamente sul punto, non può mancarsi di rilevare come anche al privato cittadino che intenda svolgere un'attività di gestione di rifiuti (nella specie, raccolta di rifiuti prodotti da terzi e consegna per fini di lucro degli stessi ad un operatore professionale) è infatti richiesto l'assolvimento di quella diligenza che richiede la cd. conoscenza parallela nella sfera laica o conoscenza da profano (sorta nel diritto tedesco come Parallelwertung in der Laiensphare), nel senso che, per l'attribuibilità a titolo di colpa del fatto all'agente, occorre certamente che questi si rappresenti anche gli aspetti che fondano la rilevanza giuridica delle situazioni di fatto richiamate dalla fattispecie, e quindi è necessario che il reo abbia avuto consapevolezza - sia pure, appunto, secondo la "conoscenza parallela nella sfera laica" - che ciò che stava commerciando costituisse un bene soggetto ad un particolare regime di gestione. E, nel caso in esame, non può mettersi in dubbio che, anche senza una particolare avvedutezza, per poter commercializzare 430 kg. di rifiuti metallici occorresse quantomeno informarsi presso l'autorità se ciò poteva esser fatto del tutto liberamente o se occorresse 3 invece una qualche forma di autorizzazione, nella specie l'iscrizione all'Albo Gestori, come previsto dalla normativa di settore, non essendosi peraltro trattato (...) della modesta gestione di un rifiuto costituito "una lattina vuota raccolta da terra" o di un episodio isolato di chi si disfi "di un armadio blindato" rivendendolo al centro di recupero", ma di una condotta che, riferito ad un singolo conferimento, aveva riguardato quantitativi eccedenti ben quattro volte quello massimo annuale normalmente consentito dall'art. 193, comma quinto, d. Igs. n. 152 del 2006 (...) Occasionalità della condotta, dunque, nella specie, inesistente».
3.5. 0rbene, ritenere di poter lecitamente effettuare senza autorizzazione più trasporti di rifiuti, in misura pari a 180 quintali con continuità ed in perfetta buona fede, sol perché così aveva sostenuto una circolare della Provincia e due sentenze di merito, non soddisfa il requisito dell'errore scusabile; il rimprovero, di natura alternativamente colposa, è anche (e sopratutto) quello di non aver approfondito il piano dell'indagine accontentandosi (ed in qualche modo profittando) di una circolare e di un paio di pronunce giurisdizionali per sottrarsi all'obbligo quantomeno di informarsi e/o di provare a chiedere il rilascio dell'autorizzazione o comunque l'iscrizione all'Albo.
3.6. 0nde evitare che ciascun consociato si faccia misura dell'ambito di applicabilità della legge penale, è necessario che il dubbio sul precetto si trasformi in granitica certezza della liceità del proprio agire tale da escludere ogni benché minimo margine di dubbio. E' altresì necessario che tale certezza sia instillata esclusivamente dall'esterno e non costituisca, invece, il frutto, ragionato o meno, di un personale convincimento. In presenza anche solo di un minimo dubbio, l'azione resta il frutto di un'opzione interiore ben precisa che tiene in conto la possibilità della natura antidoverosa dell'azione stessa.
3.7.Ne consegue che il ricorso deve essere respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese.
Così deciso, il 13/07/2016