Pres. Lupo Est. Squassoni Ric. Bruni
Rifiuti. Responsabilità del proprietario e articolo 40 codice penale
In materia di abbandono di rifiuti e realizzazione o gestione di discarica abusiva il proprietario, che non abbia commesso l'azione tipica, può essere chiamato a rispondere del reato in esame solo in presenza di comprovati comportamenti dai quali si possano ricavare elementi di una sua compartecipazione, al livello morale o materiale, nella altrui illecita condotta. Un comportamento meramente omissivo non è sufficiente ad integrare la fattispecie di concorso nel fatto illecito commesso da altre persone.
Il proprietario non può esser ritenuto responsabile ai sensi dell’articolo 40, secondo comma c.p. non esistendo una fonte formale dalla quale fare derivare l'obbligo giuridico specifico di controllo sui beni finalizzato ad impedire l'evento. Nel nostro ordinamento, una condotta omissiva può essere fonte di responsabilità solo nel caso ,previsto dalla norma citata, in cui il soggetto, per la sua particolare posizione di garanzia, sia destinatario dell' obbligo (derivato dalla legge, da contratto, da precedente azione pericolosa o da negotiorum gestio) di evitare la lesione di determinati beni giuridici. Esulano dall’ambito di applicazione delle responsabilità per causalità omissiva gli obblighi di legge indeterminati, compreso il generale dovere di solidarietà sancito dall'art.2 della Costituzione.
Motivi della decisione
Bruni Giovanni è stato tratto a giudizio
avanti il Tribunale di Trani per rispondere dei reati previsti
dall’art. 51 c. 1
e c. 3 D.L.vo 22/1997 (per avere gestito rifiuti e utilizzato una area
come
discarica in assenza della necessaria autorizzazione); all’esito del
dibattimento, il Giudice lo ha ritenuto - condannandolo alla pena di
giustizia -
responsabile della prima fattispecie di reato sotto il profilo di avere
colposamente tollerato che in un sito di sua proprietà ignoti
abbandonassero
rifiuti.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice
ha rilevato come il titolare di diritti reali, che non sia l’autore
materiale
del reato, risponda della contravvenzione prevista dall’art. 51 c.1
D.L.vo
citato se ha espressamente autorizzato l’abbandono o il deposto
incontrollato
di rifiuti posti in essere da altri oppure se a suo carico possa
riscontrarsi
qualche forma di imprudenza o negligenza sì da determinare una colpa in
senso
penale.
Tale è il caso in esame ove l’imputato,
informato della circostanza che ignoti depositavano rifiuti sul suo
suolo, ha
passivamente tollerato la situazione non prendendo provvedimenti per
impedire
l’accesso di estranei nella proprietà e non ha denunciato i reati alla
competente autorità.
Per l’annullamento della sentenza, l’imputato
ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e
violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che l’accusa originaria contestava una
condotta tipicamente commissiva, mentre il Giudice ha ritenuto una
condotta
omissiva con sostituzione dei contenuti essenziali dell’addebito e
violazione
del principio di correlazione di cui all’art.521 cpp;
- che la consapevolezza o la mera tolleranza
della altrui condotta illecita non gli può essere addebitata dal
momento che
non era gravato dell’obbligo giuridico di impedire l’evento;
- che, comunque, aveva provveduto a recintare
l’area ed a sostituire la serratura forzata da ignoti e non era
esigibile una
costante vigilanza sulla sua proprietà e la denuncia non era iniziativa
risolutiva.
La prima censura non è fondata.
Per verificare l’osservanza del principio di
necessaria correlazione tra quanto contestato e ritenuto in sentenza,
non è
sufficiente compiere un confronto tra l’imputazione ed il reato
ritenuto dal
Giudice, ma occorre tenere conto della possibilità che ha avuto
l’interessato
di concretamente difendersi in ordine a tutte le circostanze del fatto.
Pertanto, non si verifica alcuna immutazione non consentita dall’art.
521 cpp
quando l’accusa venga precisata, o integrata, con le risultanza degli
interrogatori o di altre emergenze processuali oppure (come è avvenuto
nel caso
concreto) quando il fatto, diverso da quello contestato nel capo di
incolpazione, sia stato prospettato dallo stesso imputato quale
elemento a suo
favore (Cassazione Sezione 5 sentenze 40538/2004, 33077/2003; Sezione 2
sentenza 11082/2000).
Le seconda deduzione è meritevole di
accoglimento.
Gli obblighi che gravano sul proprietario del
suolo sono dettati dal Decreto Ronchi all’art. 14, per le ipotesi di
abbandono
e deposito incontrollato di rifiuti, e dall’art. l7 per quelle di
bonifica dei
siti inquinati.
L’art.14 individua il soggetto obbligato alla
rimozione ed al ripristino nella persona che ha violato il divieto di
abbandono
al quale è affiancato in solido il proprietario del sito (e il titolare
di
diritti reali o di godimento sull’area) solo se la violazione gli è
imputabile
“a titolo di dolo o di colpa”; anche per l’art. 17 il proprietario è
gravato
dall’obbligo di bonifica solo se è l’inquinatore.
Analoghe disposizioni sono contenute negli
artt. 192, 242 D.L.vo 152/2006.
Le norme sono chiare nello stabilire che il
proprietario non è tenuto ad attivarsi ipsojure, per la qualifica che
lo
collega al suolo, ma solo se è il soggetto attivo che ha creato la
situazione di
pericolo per l’ambiente che l’ordinamento intende eliminare con azioni
ripristinatorie.
Correlata alla posizione del proprietario
“incolpevole” ed ancorata alle generali norme sul concorso nei reati,
si pone
la giurisprudenza di legittimità (ex plurimis: Sezioni Unite sentenza
12753/1994) che ha avuto modo di precisare come la mera consapevolezza,
o il
semplice mantenimento, da parte del proprietario di una discarica,
dello
stoccaggio realizzato da terzi sul suo fondo non sono sufficienti ad
integrare
ipotesi di concorso nel reato; analoga giurisprudenza si rinviene nella
ipotesi
di edificazione sul suolo altrui.
Di conseguenza, il proprietario, che non
abbia commesso l’azione tipica, può essere chiamato a rispondere del
reato in
esame solo in presenza di comprovati comportamenti dai quali si possano
ricavare elementi di una sua compartecipazione, al livello morale o
materiale,
nella altrui illecita condotta. Un comportamento meramente omissivo non
è
sufficiente ad integrare la fattispecie di concorso nel fatto illecito
commesso
da altre persone.
Nella fattispecie, la colpa, nella forma della
negligenza, evidenziata
dal Giudice di merito consiste nella mancata attiva vigilanza
dell’imputato sul
suo fondo e nella omessa segnalazione del reato alla competente
autorità; in
altre parole, il Giudice addebita all’imputato di avere colposamente
tollerato
l’illegittimo abbandono di rifiuti.
In tale modo, il Tribunale, anche se non cita
espressamente la norma,
assimila l’omissione non impeditiva alla azione causale in virtù della
clausola
di equivalenza prevista dall’art.40 c.2 c.p.
La tesi non è condivisibile.
Il proprietario non può esser ritenuto responsabile
a sensi della citata
norma non esistendo una fonte formale dalla quale fare derivare
l’obbligo
giuridico specifico di controllo sui beni finalizzato ad impedire
l’evento. Sul
punto, è appena il caso di rilevare come, nel nostro ordinamento, una
condotta
omissiva può essere fonte di responsabilità solo nel caso, previsto
dall’art. 40
c. 2 cp, in cui il soggetto, per la sua particolare posizione di
garanzia, sia
destinatario dell’ obbligo (derivato dalla legge, da contratto, da
precedente
azione pericolosa o da negotiorum gestio) di evitare la lesione di
determinati
beni giuridici.
Esulano dallo ambito di applicazione delle
responsabilità per causalità
omissiva gli obblighi di legge indeterminati, compreso il generale
dovere di
solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione.
La sentenza impugnata sì pone in contrasto con gli
enunciati principi di
diritto poiché il Giudice di merito ha fondato la colpevolezza del
Bruni
esclusivamente sul rilievo che costui non ha impedito l’abbandono di
rifiuti ad
opera di terzi sul fondo di sua proprietà.
Di conseguenza, la Corte deve annullare senza
rinvio la decisione perché
il ricorrente non ha commesso il fatto.