Messa in sicurezza e misure di prevenzione: cosa può essere richiesto al proprietario o al gestore del sito non responsabili della contaminazione.
di Luca PRATI
Nella prassi amministrativa relativa agli interventi sui siti contaminati si rinviene spesso notevole confusione tra le varie forme di “messa in sicurezza” previste e definite dall’art. 240 del D. Lgs. 152/2006 e quei diversi interventi che sono invece definiti come “misure di prevenzione”.
La distinzione è, sotto il profilo giuridico, fondamentale, in quanto mentre la “messa in sicurezza”, in base a quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza, può essere richiesta solo al responsabile dell’inquinamento, le “misure di prevenzione” devono essere poste in essere anche a cura del “ proprietario” o del “gestore dell'area” che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC), nel momento in cui ne dà comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti, così come previsto dall’art. 245 del D. Lgs. 152/2006. Dispone infatti l’art. 245 comma 1 che “fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242”.
Gli interventi di messa in sicurezza, a loro volta, sono giuridicamente inquadrabili in diverse fattispecie tra loro differenti per finalità e natura degli interventi.
Tra di esse, vi è in primo luogo la “messa in sicurezza operativa”, definita dall’art. 240, comma 1, lett. m) come “l’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli elementi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate”.
Esiste poi la “messa in sicurezza permanente”, definita dalla lettera o) dell’art. 240 come “l'insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente”.
In aggiunta a tale tipo di interventi, che sono destinati ad integrare la bonifica vera e propria, e che chiaramente non possono essere confusi, stante la loro finalità, con le “misure di prevenzione”, ricorre altresì la “messa in sicurezza d'emergenza”, definita alla lettera o) dell’art. 240 come “ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”
La lettera t) sopra richiamata prevede, a titolo esemplificativo (sulla non tassatività dei casi elencati nella norma, cfr. Tar Campania, Napoli, 27 luglio 2009, n. 4364), che siano da considerare “condizioni di emergenza: gli eventi al verificarsi dei quali è necessaria l'esecuzione di interventi di emergenza, quali ad esempio:
1) concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime ai livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute;
2) presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi di acqua superficiali o nella falda;
3) contaminazione di pozzi ad utilizzo idropotabile o per scopi agricoli;
4) pericolo di incendi ed esplosioni.
Il ricorso a misure di messa in sicurezza di emergenza, anche per il carattere immediato e a breve termine dell’intervento, deve sempre essere collegato alla necessità di evitare, nell’immediato ed al di fuori del percorso procedimentale descritto dal codice ambientale, fenomeni di estensione o propagazione del fenomeno inquinante che generino rischi concreti e imminenti per l’ambiente e la salute (cfr. in questo senso TAR Campania, Sentenza n. 3660/13).
L’Allegato 3 alla parte IV del D. Lgs. 152/2006 precisa altresì che “Gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza sono mirati a rimuovere le fonti inquinanti primarie e secondarie, ad evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate e matrici ambientali adiacenti, ad impedire il contatto diretto della popolazione con la contaminazione presente.
Gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza devono essere attuati tempestivamente a seguito di incidenti o all'individuazione di una chiara situazione di pericolo di inquinamento dell'ambiente o di rischio per la salute umana, per rimuovere o isolare le fonti di contaminazione e attuare azioni mitigative per prevenire ed eliminare pericoli immediati verso l'uomo e l'ambiente circostante.
Come si è anticipato, gli interventi di messa in sicurezza sono da detenere ben distinti dalle “misure di prevenzione”, le quali sono definite dall’art. 240, comma 1, lett. i), come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”.
E’ evidente tuttavia che non sempre può essere facile distinguere tra le “misure di messa in sicurezza di emergenza” e quelle “di prevenzione”, da un punto di vista pratico, dato che entrambi i tipi di intervento fanno sostanzialmente riferimento ad una situazione che presuppone l’ “urgenza” di un intervento mirato a contrastare una minaccia imminente.
Per comprendere la differenza tra i due tipi di interventi occorre considerare che le misure di prevenzione cui è tenuto il proprietario ai sensi dell’art. 245 comma 1 sono le stesse (anche se i presupposti che fanno scattare l’obbligo in parte differiscono) cui è chiamato il responsabile dell’inquinamento, ai sensi dell’art. 242 comma 1, norma quest’ultima che prevede che “Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
Analogamente, l’art. 304 richiamato prevede che “Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza”.
In sintesi, pertanto, sembra potersi dire che la peculiarità delle “misure di prevenzione” si possa ricavare da due elementi fondamentali, che debbono tra di loro concorrere affinché possa ritenersi sussistere una tale fattispecie:
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Ci si deve trovare di fronte ad una minaccia imminente di un danno che non si sia ancora verificato.
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Le misure da adottare devono consistere in interventi realizzabili in situazione di somma urgenza ed entro 24 ore.
Deve perciò escludersi che ricorra la necessità di “misure di prevenzione”, (dovendo invece in questo caso fare ricorso alla “messa in sicurezza”) quando un danno si sia già verificato, come ad esempio quando la contaminazione o la sua migrazione siano fenomeni già in essere da tempo.
Va poi ricordato che, ai sensi dell’art. 240 del D. Lgs. 152/2006, il sito è “contaminato” quando “i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), determinati con l'applicazione della procedura di analisi di rischio di cui all'Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, risultano superati”.
In questi casi perciò non si tratterà più di “prevenire” un danno, ma di “limitarne le conseguenze”, nelle more dell’attuazione di più incisive e definitive misure di ripristino. Ed infatti, a differenza che per le “misure di prevenzione”, la “messa in sicurezza”, anche d’emergenza, presuppone che l’intervento sia atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, presupponendo quindi che la “contaminazione” vi sia già stata e non possa quindi più essere “prevenuta”, ma solo mitigata e contenuta.
Sotto il profilo squisitamente giuridico, ove il danno si è già verificato (ossia vi sia stato il superamento delle CSR) l’intervento d’emergenza costituisce infatti l’anticipazione di una misura risarcitoria del pregiudizio ambientale, che come tale grava necessariamente sul responsabile dell’evento dannoso.
Al contrario, nel caso delle misure di prevenzione si versa in una situazione in cui, per un dovere di solidarietà sociale, viene richiesto al soggetto che ha la possibilità di intervenire su di una fonte di rischio di farlo a prescindere da una sua responsabilità connessa ad un illecito, e si basa quindi su una “responsabilità da posizione”, disancorata tanto dalla responsabilità colposa che da quella oggettiva. Ma in quanto tale essa presuppone un danno ambientale che possa ancora essere scongiurato con interventi minimali (adottabili in 24 ore), e non il contenimento di un pregiudizio già in gran parte verificatosi.
Ed infatti non a caso, come si è detto, la “messa in sicurezza di emergenza” deve essere posta in essere in “caso di eventi di contaminazione (quindi di superamento delle CSR, n.d.r.) repentini di qualsiasi natura”, e consiste in un intervento “atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione”.
Ove quindi la contaminazione (che rappresenta l’evento di danno) si sia già verificata e sia necessario procedere a “contenere la diffusione”, l’obbligo di intervento ricade esclusivamente sul responsabile dell’inquinamento, che deve adottare una vera e propria messa in sicurezza.
A questo riguardo, l’art. 245 comma 1 prevede, per il proprietario o gestore del sito, l’obbligo di adottare le misure di prevenzione quando “rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC)”, mentre l’art. 242 comma 1 estende un tale obbligo (ma riferendosi esplicitamente al solo “responsabile”) anche “all'atto di individuazione di contaminazioni storiche (quindi ove vi sia già stato il superamento delle CSR, n.d.r.) che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”, ossia generare nuovi superamenti delle CSR.
Deve anche ritenersi che non ricorra la necessità di “misure di prevenzione”, ma di veri e propri interventi di “messa in sicurezza”, in tutti quei casi in cui per contrastare la contaminazione sia necessario porre in essere interventi che, per importanza e complessità, non possano essere adottati entro ventiquattro ore. Si pensi al caso di una possibile migrazione di inquinamento che per essere contrastata richieda la realizzazione di un complesso sistema di barrieramento. Anche in questo caso deve escludersi che si ricada nelle “misure di prevenzione” di cui all’art. 245, dato che le stesse, in base alla previsione normativa, debbono poter essere adottate “entro le ventiquattro ore”. Ciò è coerente con il fatto che sarebbe del tutto iniquo richiedere ad un soggetto estraneo alla fonte inquinante di attivarsi con opere importanti ed estremamente costose solo in ragione del rapporto che esso ha con il bene interessato dall’evento.
Al riguardo, va ricordato come sia ormai assodato che il proprietario incolpevole non ha alcun obbligo di attivare il procedimento di messa in sicurezza e bonifica di un sito contaminato.
Il principio è stato recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, il quale con l’ordinanza n. 21 del 2013 dell’adunanza plenaria, ha confermato che il proprietario incolpevole non è obbligato a bonificare, né deve attuare le misure di messa in sicurezza d’emergenza, a meno che non decida di intervenire volontariamente.
L’unico obbligo da “posizione” previsto dall’articolo 245 del D. lgs. 152/2006 per il proprietario incolpevole, sempre secondo la predetta pronuncia, è quello di attuare le misure di prevenzione - di cui all’articolo 240, comma 1, lettera i) e di cui all’articolo 242, comma 1, precisando che “si tratta delle sole misure di somma urgenza, da adottare entro le prime ventiquattro ore dall’evento e il cui contenuto è puntualmente individuato dal decreto legislativo n. 152 del 2006”; tali misure, in applicazione del principio di tendenziale inestensibilità degli obblighi impositivi di prestazioni personali o patrimoniali (nonché del generale principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), costituiscono un numerus clausus. Il Consiglio di Stato ha anche precisato che non si applica, nella materia, la responsabilità per i beni tenuti in custodia, perché far riferimento all’articolo 2051 del Codice civile, di fatto, snaturerebbe l’impianto normativo del D. lgs. 152/2006.