Pres. Lupo Est. Marini Ric. Sacchet
Rifiuti. Cessazione dell’attività produttiva e obblighi di gestione
L'avvenuta cessazione dell'attività produttiva non fa venire meno gli obblighi che gravano sul titolare dell'attività con riferimento alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti aziendali. Il fatto di avere ceduto a terzi i macchinari non ha alcun rilievo per quanto concerne la permanenza in capo al titolare dell'impresa o dell'attività produttiva degli adempimenti relativi alle cautele di legge ed alla necessaria destinazione dei prodotti chimici e dei fanghi residuati. Solo l'effettivo trasferimento d'azienda ad altro soggetto, che ne assume in toto la titolarità ed i relativi obblighi, può far cessare la responsabilità del precedente titolare
Rileva
Tratto a giudizio in concorso con
L’indagine aveva preso avvio dalla
segnalazione di un cittadino circa l’anomala colorazione di un rio che
scorreva
davanti alla propria abitazione, ed avevano consentito di verificare
che la
colorazione dipendeva da sostanze contenenti nichel e provenienti da un
capannone ove fino a qualche tempo prima erano svolte attività
galvaniche ad
opera di una ditta di cui il Sig. Sacchet era responsabile. Il
Tribunale ha
ritenuto accertato che lo smaltimento dei liquidi galvanici rientrasse
nelle
competenze e nei doveri del Sig. Sacchet e non in quelle della Sig.ra
Tiezzi,
acquirente dei macchinari, così mandando assolta quest’ultima e
condannando
alla pena di euro 5.000,00 di ammenda il Sig. Sacchet per il reato a
lui
contestato.
Il Sig. Sacchet propone ricorso per
cassazione articolato attorno a tre motivi.
Con primo e secondo motivo si lamenta la
violazione dell’art. 606, lett. e) e lettera b) c.p.p. per errata
applicazione
delle regole contenute nell’art. 192 c.p.p., nonché per
contraddittorietà e
illogicità della motivazione, avendo il Tribunale affermato la
responsabilità
del ricorrente sulla base di elementi indiziari incoerenti e di una
valutazione
circa l’interesse ad agire che non può certo essere ricondotta ad
“indizio” in
senso tecnico.
Con terzo motivo si lamenta violazione
dell’art. 606, lett. b) c.p.p. per avere il Tribunale erroneamente
applicato
l’art. 51 del d.lgs. n. 22 del 1997, non sussistendo in capo al Sig.
Sacchet la
qualifica di titolare dell’azienda, ormai cessata.
Osserva
Il primo ed il secondo motivo di ricorso
rendono necessaria una premessa.
Una dimostrazione della sostanziale
differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra
l’altro, dalla
motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale,
che
(punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla
legge n. 46
del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che
la
esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce
una
limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in
quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge
comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)
dall’appello”.
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte
di cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria
del
controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il
nuovo testo
dell’art. 606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a
fondare la
richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice
di
legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda
oggetto di
giudizio.
Come fondatamente osservato dalla citata sentenza
Capri ed altra, il rapporto tra il disposto degli artt. 544 e 546
c.p.p., e
cioè tra completezza e concisione della motivazione, comporta che la
motivazione del giudice di merito non deve dare conto di tutti gli
elementi di
prova esaminati, ma concentrarsi su quelli che assumono valore decisivo
ai fini
della decisione, posto che la finalità della motivazione resta quello
di
rendere edotte le parti delle ragioni essenziali della decisione stessa
e del
percorso logico seguito. E’ all’interno dì questa prospettiva di ordine
generale che deve essere inteso il riferimento agli specifici atti del
processo, con la conseguenza che il giudice di legittimità è chiamato a
valutare l’incidenza di eventuali violazioni commesse dalla decisione
impugnata
sul risultato finale. Restano pertanto escluse dal controllo della
Corte “non
soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica
consistenza degli elementi di prova, ma anche le incongruenze logiche
che non
siano assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate in altri
passaggi
argomentativi adottati dai giudici; cosicché non possono trovare
ingresso in
sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa
prospettazione
dei fatti adottata dai ricorrenti né su altre spiegazioni fornite dalla
difesa
per quanto plausibili, ma comunque inidonee ad inficiare la decisione
di
merito. Al di là di questi limiti finirebbe per accreditarsi la Corte
di
cassazione di poteri rivalutativi che, come tali, appartengono alla
sola
cognizione del giudice di merito.”.
In altri e conclusivi termini, questa Corte
ritiene che il giudizio sulla completezza e correttezza della
motivazione della
sentenza impugnata non possa confondersi “con una rinnovata valutazione
delle
risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di
merito”,
con la conseguenza che una motivazione esauriente nell’affrontare i
temi
essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si
sottrae al
sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo
la
novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle
Sezioni
Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini
(rv
203767).
2. Alla luce di tali principi, ritiene la
Corte che la motivazione della sentenza impugnata non presenti i vizi
logici e
giuridici lamentati dal ricorrente. Il Tribunale, infatti, considerate
smentite
dai fatti alcune delle (centrali) affermazioni difensive del
ricorrente, ha
correttamente valutato i contenuti dell’accordo commerciale stipulato
fra
costui e
La pur condivisibile impostazione teorica del
ricorso nella parte in cui affronta il concetto di indizio non risulta
in
concreto conferente rispetto alla motivazione della sentenza e finisce
per
chiedere a questa Corte di sostituire la ricostruzione e valutazione
del
materiale probatorio operata dal Tribunale con una diversa richiesta
che, come
si è detto in precedenza, esula dalle competenze del giudice di
legittimità.
I primi due motivi di ricorso sono, dunque,
manifestamente infondati.
3. Ad analoga conclusione deve giungersi
quanto al terzo motivo di ricorso. L’avvenuta cessazione dell’attività
produttiva non fa venire meno gli obblighi che gravano sul titolare
dell’attività con riferimento alla gestione e allo smaltimento dei
rifiuti
aziendali. Il fatto di avere ceduto a terzi i macchinari non ha alcun
rilievo
per quanto concerne la permanenza in capo al titolare dell’impresa o
dell’attività produttiva degli adempimenti relativi alle cautele di
legge ed
alla necessaria destinazione dei prodotti chimici e dei fanghi
residuati. Solo
l’effettivo trasferimento d’azienda ad altro soggetto, che ne assume in
toto la
titolarità ed i relativi obblighi, può far cessare la responsabilità
del
precedente titolare (sotto diverso profilo, in tema di cesura per le
autorizzazioni agli scarichi da insediamento produttivo, si veda il
principio
affermato con sentenza di questa Sezione, n. 2877 del 21 dicembre
2006-25
gennaio 2007, Camurati, rv 235880). E’ pacifico che nel caso dì specie
neppure
il ricorrente prospetta una simile realtà.
4. La manifesta infondatezza dei motivi di ricorso
comporta la
dichiarazione di inammissibilità originaria dell’impugnazione, così
che,
secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, nessun effetto
estintivo
può collegarsi alla circostanza che il termine di prescrizione sia
maturato in
data 18 settembre 2006 (cfr. Sezioni Unite Penali n. 23428 del 22
marzo-22
giugno 2005, Bracale, rv 23 1164).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue
l’onere per il ricorrente,
ai sensi dell’art. 61 6 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data del
13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere
che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro