Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. BALLOI
Rifiuti. Rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture
Una eccezione alla regola generale del divieto di creazione del deposito temporaneo in luogo diverso da quello di produzione si rinviene nell'art. 230 del D.Lgs, n. 152/2006. L'eccezione è espressamente rivolta a consentire l'effettuazione della "valutazione tecnica, finalizzata all'individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento". Deve pertanto escludersi l’applicabilità di tale disposizione nel caso di rifiuti vegetali in alcun modo riutilizzabili e sottoposti ad un trattamento di triturazione costituente già uno fase di smaltimento..
Svolgimento del processo
Il Gip del Tribunale di Cagliari, con decreto del
Detto sequestro veniva disposto in relazione al
reato di cui all’art.
256, comma 1, del D.Lgs.
- nell’area sequestrata (cortile
completamente recintato di una
distilleria in disuso) era presente un cumulo di circa 500 mc. di
rifiuti
biodegradabili non pericolosi, costituiti da sfalci e potature di
piante di
provenienza urbana triturati mediante il biotrituratore presente sul
posto;
- detti rifiuti provenivano dalla manutenzione di
aree verdi urbane, in
forza di contratti stipulati tra la cooperativa sociale “Sa
Striggiula” ed il
Comune di Cagliari, ma la stessa cooperativa non disponeva di alcuna
autorizzazione (tra l’altro mai richiesta) per la gestione e
lo stoccaggio di
rifiuti in quel sito;
- sempre nell’area sequestrata veniva
effettuata una prima fase di
smaltimento, mediante la triturazione, dei rifiuti di origine vegetale
ivi
raccolti.
Il Tribunale di Cagliari – con ordinanza
dell’
Il Tribunale, in particolare:
a) disattendeva la tesi difensiva secondo la quale
sarebbe stato
configurabile, nella specie, non uno stoccaggio ma un
“deposito temporaneo” dei
rifiuti anzidetti (secondo la nozione fornita dall’art. 183,
comma 1 – lett.
m., del D.Lgs. n. 152/2006), attività come tale non soggetta
ad autorizzazione,
e ciò per l’essenziale rilievo che essi non
provenivano da un’attività di produzione
svolta nello stesso luogo in cui erano depositati;
b) considerava non applicabile alla specie il
disposto dell’art. 230
del D.Lgs. n. 152/2006 – che, al primo comma, definisce
“luogo di produzione
dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle
infrastrutture” la sede
del cantiere o la sede locale del gestore della infrastruttura o
“il luogo di
concentramento dove il materiale tolto d’opera viene
trasportato per la
successiva valutazione tecnica” –
sull’asserito presupposto dell’ontologica
differenza
tra la nozione di “infrastruttura” e quella di area
destinata a verde pubblico.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la
difesa del Balloi,
eccependone la illegittimità:
- per l’erronea esclusione della
configurabilità di una situazione di
“deposito temporaneo”, ai sensi dell’art.
183, comma 1 – lett. m), del D.Lgs.
n. 152/2006;
- per l’incongrua interpretazione
dell’art. 230 del D.Lgs. n. 152/2006:
i parchi ed i giardini, costituenti verde pubblico – secondo
la prospettazione
difensiva – devono considerarsi, infatti,
“infrastrutture” cittadine e tale
norma consente al manutentore dell’infrastruttura di spostare
i rifiuti dal
luogo di produzione al cantiere o al sito ove essi vengono concentrati,
senza
porre in essere in tal guisa una attività di
“stoccaggio”.
Il ricorso deve essere rigettato, perché
le eccezioni in esso svolte
non valgono ad inficiare la legittimità della misura
cautelare reale adottata.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte
Suprema:
- l’art. 321 c.p.p. non menziona gli
indizi di colpevolezza fra le
condizioni di applicabilità del sequestro, né
può ritenersi applicabile l’art.
273 dello stesso codice di rito, dettato per le misure cautelari
personali e
non richiamato in materia di misure cautelari reali. Ne consegue che,
ai fini
dell’adozione del sequestro, è sufficiente la
presenza di un “fumus boni iuris”
e cioè l’ipotizzabilità in astratto
della commissione di un reato. Pertanto, il
decreto che dispone il sequestro preventivo non deve essere motivato in
ordine
alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla fondatezza
dell’accusa ed
alla probabilità di condanna dell’indagato (vedi
Cass., Sez. I,
- ai fini dell’applicazione di un
provvedimento di sequestro, è
necessario accertare la configurabilità di un reato nella
sua accezione
naturalistica e “prima facie”, senza
l’esame di questioni attinenti al giudizio
di cognizione (vedi Cass., Sez. III,
Alla stregua dei principi anzidetti va valutata la
legittimità
dell’ordinanza impugnata.
2. A norma dell’art. 183 del D.Lgs. n.
152/2006, si intende per:
“…i) luogo di produzione dei
rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti
o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di
un’area delimitata in
cui si svolgono le attività di produzione dalla quali sono
originati i rifiuti;
1) stoccaggio: le attività di
smaltimento consistenti nelle operazioni
di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15
dell’Allegato B alla
parte quarta del presente decreto, nonché le
attività di recupero consistenti
nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13
dell’Allegato C alla medesima parte quarta;
m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei
rifiuti effettuato, prima
della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle
seguenti
condizioni:
1) i rifiuti depositati non devono contenere
policlorodibenzodiossine,
policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità
superiore a 2,5
parti per milione (ppm), né policlorobifenile e
policlorotrifenili in quantità
superiore a 25 parti per milione (ppm);
2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed
avviati alle
operazioni di recupero o di smaltimento secondo le seguenti
modalità
alternative, a scelta del produttore:
2.1) con cadenza almeno bimestrale,
indipendentemente dalle quantità in
deposito;
2.2) quando il quantitativo di rifiuti pericolosi
in deposito raggiunga
i 10 metri cubi. In ogni caso, allorché il quantitativo di
rifiuti non superi i
10 metri cubi l’anno, il deposito temporaneo non
può avere durata superiore ad
un anno;
2.3) limitatamente al deposito temporaneo
effettuato in stabilimenti
localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di
un anno,
indipendentemente dalle quantità;
3) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed
avviati alle
operazioni di recupero o di smaltimento secondo le seguenti
modalità
alternative, a scelta del produttore:
3.1) con cadenza almeno trimestrale,
indipendentemente dalle quantità
in deposito;
3.2) quando il quantitativo di rifiuti non
pericolosi in deposito
raggiunga i 20 metri cubi. In ogni caso, allorché il
quantitativo di rifiuti
non superi i 20 metri cubi l’anno, il deposito temporaneo non
può avere durata
superiore ad un anno;
3.3) limitatamente al deposito temporaneo
effettuato in stabilimenti
localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di
un anno,
indipendentemente dalle quantità;
4) il deposito temporaneo deve essere effettuato
per categorie omogenee
di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche,
nonché, per i rifiuti
pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle
sostanze pericolose in essi contenute;
5) devono essere rispettate le norme che
disciplinano l’imballaggio e
l’etichettatura dei rifiuti pericolosi;…”
Nella disciplina vigente vanno considerate,
pertanto, attività di
stoccaggio:
- il deposito dei rifiuti prima di una delle
operazioni di smaltimento
(punto D15 dell’allegato B della parte IV del D.Lgs. n.
152/2006) elencate
nello stesso allegato (c.d. deposito preliminare);
- il deposito dei rifiuti prima di sottoporli ad
una delle operazioni
di recupero (punto R13 dell'allegato C della parte IV del D.Lgs. n.
152/2006)
elencate nello stesso allegato (c.d. messa in riserva);
‑ il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel
luogo in cui sono
prodotti rifiuti destinati al recupero qualora non vengano rispettate
le
condizioni stabilite dalla normativa vigente (punto R14 dell'allegato C
della
parte IV del D.Lgs. n. 152/2006).
A sua volta, il deposito temporaneo, nell'attuale
normativa, continua a
caratterizzarsi come una forma del tutto peculiare, di stoccaggio che
precede
ogni e qualsiasi fase della gestione raccolta, trasporto, smaltimento,
recupero) e non rientra, pertanto, nel concetto di gestione in quanto
si
configura sostanzialmente come un prolungamento
dell'attività dalla quale si
originano i rifiuti.
Il deposito temporaneo può e deve essere
realizzato esclusivamente
presso il luogo di produzione dei rifiuti e resta fermo in capo al
produttore
l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico.
3. Una eccezione alla regola generale del divieto
di creazione del
deposito temporaneo, in luogo diverso da quello di produzione si
rinviene
nell'art. 230 del D.Lgs. n. 152/2006, i cui primi quattro commi
prevedono
testualmente:
“1. Il luogo di produzione dei rifiuti
derivanti da attività di
manutenzione alle infrastrutture, effettuata direttamente dal gestore
dell’infrastruttura a rete e degli impianti per
l’erogazione di forniture e
servizi di interesse pubblico o tramite terzi, può
coincidere con la sede del
cantiere che gestisce l’attività manutentiva o con
la sede locale del gestore
della infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di
infrastruttura
interessata dai lavori di manutenzione ovvero con il luogo di
concentramento
dove il materiale tolto d’opera viene trasportato per la
successiva valutazione
tecnica, finalizzata all’individuazione del materiale
effettivamente,
direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto
ad alcun
trattamento.
2. La valutazione tecnica del gestore della
infrastruttura di cui al
comma 1 è eseguita non oltre sessanta giorni dalla data di
ultimazione dei
lavori. La documentazione relativa alla valutazione tecnica
è conservata,
unitamente ai registri di carico e scarico, per cinque anni.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano
anche ai rifiuti
derivanti da attività manutentiva, effettuata direttamente
da gestori erogatori
di pubblico servizio o tramite terzi, dei mezzi e degli impianti
fruitori delle
infrastrutture di cui al comma 1.
4. Fermo restando quanto previsto
nell’articolo 190, comma 3, i
registri di carico e scarico relativi ai rifiuti prodotti dai soggetti
e dalle
attività di cui al presente articolo possono essere tenuti
nel luogo di
produzione dei rifiuti così come definito nel comma
1”.
L’eccezione, dunque, è
espressamente rivolta a consentire
l’effettuazione della “valutazione tecnica,
finalizzata all’individuazione del
materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente
riutilizzabile, senza
essere sottoposto ad alcun trattamento”.
Nella fattispecie in esame – al contrario
– i rifiuti vegetali
rinvenuti nell’area assoggettata a sequestro non erano in
alcun modo
riutilizzabili e venivano altresì sottoposti ad un
trattamento di triturazione
costituente già una fase di smaltimento.
Non risulta, inoltre, la regola tenuta dei registri
di carico e scarico
ed è tutta da verificare la pretesa regolarità
quantitativa e temporale
connessa al successivo conferimento in discarica (tenuto conto che
nell’area in
oggetto vennero rinvenuti dai Carabinieri circa 500 mc. di rifiuti).
In una situazione siffatta perde rilievo, ad
evidenza, la questione
della qualificazione del “verde comunale” quale
“infrastruttura” cittadina, in
quanto l’inapplicabilità dell’art. 230
del D.Lgs. n. 152/2006 si connette
all’inesistenza della valutazione tecnica alla quale detta
norma è finalizzata.
4. L’ulteriore approfondimento e la
compiuta verifica spettano ai
giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi,
della cui
sufficienza in sede di cautela non può dubitarsi, le
contrarie argomentazioni
svolte dal ricorrente non valgono ad escludere la
legittimità della misura
adottata
Al rigetto del ricorso segue l’onere
delle spese del procedimento.