Cass. Sez. III n. 36929 del 3 ottobre 2024 (CC 12 set 2024)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. PM in proc. Bottoni
Urbanistica.Permesso di costruire illegittimo e poteri del giudice penale

La "macroscopica illegittimità" del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un'ipotesi di reato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ex art. 44 mentre (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell'amministrazione) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all'apprezzamento della colpa.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27 febbraio 2024, il Tribunale del riesame di Latina annullava il decreto di sequestro preventivo, emesso in ordine ai reati di cui agli artt. 110, cod. pen., 44, lett. b), TU edilizia e 181, d. lgs. n. 42 del 2004, contestati a Corica Luigi e Borrelli Mario, rispettivamente nella qualità di legale rappresentante della Green Building s.r.l. e della Eurospin Lazio s.p.a., società proprietarie di un terreno sito in Comune di Latina nonché nei confronti di Anagni Viviana, quale progettista e direttore dei lavori e di Gargano Stefano, quale dirigente del SUAP del predetto Comune, firmatario dei titoli unici ed, infine a Petraccione Mario, quale responsabile del procedimento relativo ai predetti titoli unici. 

2. Per migliore intelligibilità del ricorso, agli indagati è contestato di aver realizzato in concorso tra loro un imponente intervento edilizio, costituito da un unico edificio al cui interno venivano prefigurate, al piano terra, tre distinte strutture commerciali, nonché un’attività di vicinato posta al primo piano, della superficie complessiva pari a mq. 5484,80, ed una volumetria totale pari a mc. 26616,29, unitamente alle correlate opere di urbanizzazione, accessi, parcheggi, viabilità interna e reti di approvvigionamento, intervento autorizzato mediante la concessione di atti ampliativi illegittimi, nonché di aver posto in essere tale condotta previo danneggiamento integrale di un bosco avente una superficie di mq. 5073 circa sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. g), d. lgs. n. 42 del 2004.

3. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Latina ha proposto ricorso per cassazione, deducendo attraverso un unico, articolato, motivo, il vizio di violazione di legge nonché il correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 321, cod. proc. pen. 
3.1. In sintesi, si premette che il tribunale del riesame ha ritenuto che nel rilascio dei titoli unici sulla cui base sono stati eseguiti gli interventi edilizi oggetto di contestazione non fossero riscontrabili macroscopiche illegittimità con conseguente mancanza del presupposto richiesto dall'articolo 24, lettera B, numero 2, della legge regionale n. 33 del 1999, secondo cui le medie strutture di vendita sono classificate come centri commerciali quando sono composti da un minimo di quattro esercizi direttamente comunicanti tra loro ovvero situati all'interno di una struttura funzionalmente unitaria che si articola lungo un percorso pedonale di accesso comune, con superficie di vendita complessiva rientrante nella definizione di medie strutture di vendita, affinché l'intervento edilizio possa essere qualificato come centro commerciale e possa dirsi integrata una competenza della Regione al rilascio del titolo abilitativo. 
Secondo il Pubblico ministero, ad erroneo giudizio del tribunale, a fronte di quanto rappresentato sia nella richiesta del PM che nel decreto di sequestro, quanto sostenuto dall'accusa non troverebbe riscontro nella documentazione trasmessa, ed in particolare nella planimetria agli atti in cui sono indicati tre soli esercizi commerciali, nei titoli unici rilasciati in favore della Latina Green Building S.r.l., anch'essi riferiti a tre esercizi commerciali, e nei rilievi fotografici nei quali sono chiaramente individuabili i locali denominati Maury’s, McDonald's ed Eurospin. 
Diversamente, sostiene il Pubblico ministero, tale tesi sarebbe erronea proprio sulla base dell'esame dei documenti acquisiti e delle normative di settore. A tal proposito, dopo aver richiamato ed operato la cronistoria del procedimento amministrativo nonché le normative regionali applicabili e susseguitesi nel tempo, il PM ha evidenziato come risultasse provato che, alla data dell'8 agosto 2021, data di presentazione al SUAP di Latina dell'istanza della richiedente Green Building S.r.l. e dell'assentimento del progetto unitario, che comprendeva tre medie strutture commerciali al piano terra ed un negozio al primo piano, e che ha costituito il presupposto del rilascio dei tre titoli unici a stralcio, erano vigenti in via transitoria le disposizioni di cui alla legge regionale n. 33 del 1999 e, in particolare, l'articolo 24, comma 1, lettera B, n. 2, secondo cui l'edificio avrebbe dovuto essere classificato quale centro commerciale in quanto composto da quattro esercizi situati all'interno di una struttura funzionalmente unitaria, articolata lungo un percorso pedonale di accesso comune. 
Secondo il pubblico ministero, l'originaria configurazione architettonica, strutturale e funzionale del progetto unitario sarebbe rimasta tal quale negli interventi a stralcio assentiti dal Comune di Latina con i titoli unici rilasciati negli anni 2021 e 2022, ed in particolare: 1) nell'intervento assentito con il titolo unico n. 8 del 2022, contenente il permesso di costruire per la realizzazione a stralcio di una media struttura di vendita, unità commerciale 1, ed un negozio al primo piano; 2) negli elaborati progettuali assentiti dal Comune di Latina con il titolo unico n. 8 del 2022, e, segnatamente, alla tavola 4/6 del progetto a stralcio unità commerciale 1 sottoscritto con firma digitale del dirigente del SUAP di Latina, elaborato regolarmente trasmesso al tribunale che rappresenterebbe chiaramente la realizzazione di tre medie strutture di vendita, ossia unità commerciale 1, unità commerciale 2 e unità commerciale 3 (la cui realizzazione è stata assentita rispettivamente con il titolo unico n. 8 del 2022, con il titolo unico n. 6 del 2022 e, infine, con il titolo unico n. 13 del 2021, rettificato con titolo unico del 21 marzo 2022), poste al piano terra del complesso commerciale nonché la realizzazione di un negozio, e più specificamente esercizio di vicinato, al primo piano, della superficie a destinazione commerciale di mq. 162,58, oltre a mq. 5,69 e mq. 7,30 per WC e antiWC e di mq. 2,85 per ripostiglio. 
Sulla scorta di quanto sopra, il pubblico ministero conclude per l'assoluta infondatezza delle argomentazioni rappresentate dal Tribunale in quanto, nella progettazione unitaria e nel rilascio dei tre titoli unici a stralcio assentiti dal comune per la realizzazione dell'intervento edilizio, risulterebbe pienamente ravvisabile il presupposto richiesto dal citato articolo 24, lettera B, n. 2, della legge regionale n. 33 del 1999 donde, contrariamente a quanto dedotto dal tribunale, avrebbe dovuto ritenersi integrata la competenza della Regione al rilascio del titolo abilitativo. Aggiunge, inoltre, il Pubblico ministero come il limite dei quattro esercizi commerciali sarebbe stato rimosso dalle disposizioni di cui all'articolo 15, comma 1, lettera n), del testo unico del commercio di cui alla legge regionale n. 22 del 2019; sotto tale aspetto a nulla varrebbe il tentativo operato dagli indagati di aggirare la predetta disposizione legislativa con la presentazione al SUAP di Latina di una SCIA in variante in data 1° dicembre 2023, attraverso la quale è stata meramente prefigurata l'unificazione del negozio al primo piano con la sottostante unità commerciale n. 1 in quanto, diversamente, l'esame delle situazioni giuridico-organizzative delle strutture commerciali e la configurazione architettonico-distributiva dell'edificato, rivelano in modo non equivoco la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa per la loro classificazione all'interno dell'unità concetto di centro commerciale. A tal proposito, il Pubblico ministero richiama a sostegno giurisprudenza amministrativa che riguarderebbe fattispecie analoghe a quelle in esame (il riferimento è a Cons.st., nn. 5902 del 2019 nonché a Tar Emilia Romagna, n. 425 del 2004). 
Risulterebbe dunque evidente che la presentazione al SUAP di Latina della SCIA in variante attraverso cui è stata meramente prefigurata l'unificazione del negozio al primo piano con la sottostante unità commerciale 1 rappresenterebbe un escamotage, ad indagini già avviate e concluse dalla polizia giudiziaria, per cercare di rendere conforme il progetto alla precedente normativa di settore. Dalla consultazione degli atti progettuali, risulterebbe poi che l'unitarietà del progetto riguarda non solo il corpo edilizio ma anche le infrastrutture di servizio, il sistema di parcheggio, la viabilità carrabile e l'accessibilità pedonale, come attestato anche dall'atto d'obbligo a rogiti notaio Maciariello datato 22 novembre 2021, infrastrutture che presenterebbero caratteristiche di beni comuni necessitanti di una gestione unitaria, assimilabile a quella condominiale. 
3.2. Da ultimo, il Pubblico ministero sostiene che il collegio avrebbe poi totalmente omesso di motivare su ulteriori profili di criticità contestati nell'occupazione provvisoria che risultavano rilevanti ai fini della sussistenza del fumus del reato ipotizzato (quali la circostanza che parte del complesso commerciale e dell'area funzionale ricadevano in una fascia di rispetto della SS 148 Pontina avente vincolo di inedificabilità assoluta; ancora che in un'area destinata a verde pubblico, ossia la particella 18, che non risultava interessata della variante al PPE Q3, venivano prefigurati ed autorizzati la realizzazione di parcheggi a servizio della struttura commerciale questi ultimi necessari per il raggiungimento degli standard di cui al DM 1444/1968; ancora, che per la realizzazione del predetto complesso commerciale era stato eliminato un bosco della superficie descritta nell'imputazione, sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi articolo 142, lett. g), d. lgs. n. 42 del 2004; ancora, come la conformazione planimetrica dei parcheggi privati ad uso pubblico non risultava conforme alla viabilità del PPEQ3; infine, che l'utilizzazione della Via Viterbo come accesso ai realizzandi parcheggi privati ad uso pubblico risultava in contrasto con il predetto PPE Q3). 
Tali criticità non avrebbero potuto essere escluse sul mero presupposto che le stesse non fossero macroscopiche, sull’assunto cioè che negli atti accusatori non veniva fornita alcuna prova di collusione tra privati beneficiari e pubblici funzionari del Comune, sì che le eventuali illegittimità dei titoli edificatori non rileverebbero ai fini della sussistenza del fumus delicti, trattandosi di tesi sostenuta da una giurisprudenza minoritaria che sarebbe rimasta isolata e secondo la quale non possono ritenersi realizzate in assenza di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macroscopica tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante (il riferimento è alla sentenza n. 7423 del 2015 nonché alla sentenza n.52861 del 2016), richiamandosi invece giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto configurabile in tale ipotesi il fumus delicti del reato ipotizzato (il riferimento, oltre alle sentenze delle Sezioni Unite Giordano e Borgia, è anche alla sentenza n. 49687 del 2018 ed alla sentenza n. 56678 del 2018).

4. Avverso l’ordinanza in esame, inoltre, ha proposto ricorso per cassazione anche il terzo interessato, Centro per i diritti del cittadino – Codici, con cui si articolano cinque motivi, di seguito sommariamente indicati. 

4.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 185, cod. pen. e 324, cod. proc. pen., in relazione al diritto delle persone offese ad esercitare le facoltà ed i poteri previsti dalla stessa norma anche ai sensi dell’art. 90, cod. proc. pen. nonché il correlato vizio di contraddittorietà rispetto ai provvedimenti originariamente assunti mediante i quali si consentiva in un primo momento l’estrazione di copia degli atti e si disponeva l’avviso dell’udienza camerale del 13 febbraio 2024, anche al difensore della persona offesa.
In sintesi, richiamato quanto dedotto nel separato ricorso per cassazione proposto avverso l’ordinanza del medesimo tribunale del riesame del 13 febbraio 2024, la difesa sostiene l’illegittimità dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di rilascio copie depositata in data 19 marzo 2024 per le medesime ragioni già esposte nel separato ricorso per cassazione avverso la citata ordinanza del 13 febbraio 2024, attesa la singolarità e la stranezza dell’atteggiamento assunto dai giudici del riesame che, dopo aver rilasciato l’autorizzazione al rilascio copie degli atti del procedimento camerale in data 7 febbraio 2024 e disposto l’avviso dell’udienza camerale alla difesa dell’associazione per l’udienza camerale del 13 febbraio 2024, avrebbero, violando il diritto al contraddittorio della difesa dell’associazione, precluso la partecipazione alla camera di consiglio del 13 febbraio 2024.

4.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 44, comma 1, TU edilizia, non richiedendosi la macroscopica illegittimità dei titoli edificatori rilasciati nonché per l’assenza delle condizioni sulla cui base poteva ritenersi icto oculi insussistente l’elemento psicologico del reato contravvenzionale ipotizzato.
In sintesi, richiamata la giurisprudenza di questa Corte circa la possibilità di valutare l’elemento soggettivo del reato, si sostiene che ricorrevano una serie di elementi tali da escludere la buona fede degli indagati e, quindi, l’insussistenza dell’affidamento (il fatto che l’indagato Corica fosse stato indagato anche in altro procedimento penale; la circostanza che sia il progettista che il dirigente del SUAP, oltre che il responsabile dei procedimenti culminati nei suddetti “titoli unici” risultassero tutti indagati a titolo di concorso ex art. 110, cod. pen., non essendovi quindi soggetti dotati di competenze tecniche nel cui lecito operato i privati possano aver riposto legittimo affidamento; la circostanza che la mera sussistenza del titolo abilitativo non genera di per sé affidamento incolpevole). Prosegue, poi, la difesa sostenendo che per la configurazione dei reati ipotizzati non è neppure richiesta la macroscopica illegittimità degli atti di assentimento. Infine, conclude evidenziando come la vicenda in esame trae origine dalla presentazione al SUAP di un’istanza avente ad oggetto il progetto unitario dell’intera struttura, cui facevano seguito, secondo un iter rimasto fittiziamente nebuloso i tre titoli unici rilasciati per stralcio, cioè in evidente connessione tra loro, oltre con l’originario progetto unitario, ciò che renderebbe evidente l’illiceità dell’intera operazione edificatoria originariamente prospettata come unitaria e poi parcellizzata in un secondo momento allo scopo di eludere la normativa regionale sui centri commerciali.

4.3. Deduce, con un terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 110, cod. pen., in quanto la responsabilità a titolo di concorso non richiede la dimostrazione, in fase cautelare reale, della prova del previo accordo tra i concorrenti.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata per non aver correttamente considerato il capo di imputazione in cui veniva compiutamente descritto il titolo di responsabilità concorsuale degli indagati, rilevando altresì che non è richiesto il dolo per il reato oggetto di contestazione e che il concorso non richiede necessariamente la prova di un preventivo accordo tra i concorrenti, citando giurisprudenza a sostegno. Sul punto, sottolinea, al fine di evidenziare la sussistenza del concorso, il passaggio definito come fondamentale, dall’unitario progetto originario presentato il 9 agosto 2021 al rilascio dei tre titoli per stralcio tra il 2021 ed il 2022, che non troverebbe alcuna plausibile giustificazione se non nella finalità di eludere l’applicazione della normativa regionale sui centri commerciali, che all’evidenza non potrebbe non essere stato compiuto dal dirigente e dal responsabile del procedimento in maniera autonoma, in difetto quantomeno di un contatto con il privato consenziente. 

4.4. Deduce, con un quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 44, comma 1, lett. b), TU edilizia ed alle leggi regionali n. 33/1999 e n. 22/2019.
In sintesi, pur ribadendo che l’accertamento del reato oggetto di contestazione non vi è necessità della macroscopica illegittimità dei titoli rilasciati, sostiene la difesa dell’associazione che detta macroscopica illegittimità sarebbe comunque sussistente per molteplici ragioni (la circostanza che si trattava di un imponente intervento edilizio, costituente un unico complesso commerciale, che consta di quattro negozi situati all’interno di una struttura unitaria). Aggiunge la difesa che la l. reg. 22/2019 ha abrogato la previgente l.reg. 33/1999 e, all’art. 15, nel definire il centro commerciale, non contiene più alcun riferimento al numero minimo di esercizi commerciali, prima quattro, necessari per la classificazione come tale, sicchè eventuali variazioni che il privato abbia ritenuto di poter strumentalmente apportare al progetto originario, anche rivolte a ridurre a tre il numero degli esercizi commerciali, sarebbero del tutto irrilevanti, tenuto conto dell’entrata in vigore in data 17 agosto 2022 del regolamento regionale n. 10/2022 in virtù del quale le disposizioni della legge reg. 22/2019 trovavano definitiva applicazione.  Ne discenderebbe, pertanto, che tenuto conto dell’evidente unitarietà della struttura commerciale, persino la sussistenza o meno di un quarto esercizio commerciale si rivelerebbe irrilevante, costituendo un tema trascurabile, risultando evidente la complessiva illiceità dell’attività edificatoria posta in essere.

4.5. Deduce, con un quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 324, cod. proc. pen., attesa l’omessa considerazione dei molteplici profili di illiceità penale enucleati nella richiesta di sequestro preventivo del PM datata 22 settembre 2023 e nel decreto di sequestro del GIP del 9 gennaio 2024 nonché in relazione all’art. 44, lett. b), TU edilizia e dell’art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004.
In sintesi, si duole la difesa dell’associazione per non avere i giudici del riesame esaminato le ulteriori violazioni che, singolarmente considerate, dimostrerebbero la sussistenza del fumus e che avrebbero imposto il rigetto delle istanze di riesame (la circostanza che l’edificio commerciale cadrebbe in una fascia di rispetto stradale della SS 148 Pontina, sottoposta vincolo di inedificabilità assoluta; il nulla osta per l’apertura dei passi carrabili sarebbe stato rilasciato in contrasto con il regolamento vicario del comune di Latina; una parte dell’area, la p.lla 18, è destinata a verde pubblico e non avrebbe potuto essere inclusa nel progetto per la realizzazione delle strutture commerciali, nel progetto unitario risulta inclusa anche la p.lla 126 del foglio 170, senza che risulti che la stessa fosse di proprietà della Latina Green Building s.r.l.; l’utilizzazione della viabilità della via Viterbo risulterebbe in contrasto con il PPE Q3; la conformazione planimetrica dei parcheggi privati ad uso pubblico indicata nel progetto non risulterebbe conforme alla viabilità del PPE Q3; l’area in questione era parzialmente ricoperta di vegetazione arborea, sicché sarebbe integrata anche la violazione dell’art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004 stante la necessaria autorizzazione preventiva nella specie mancante). Infine, sottolinea la difesa dell’associazione, sussisterebbe nella specie il periculum, ben potendo la libera disponibilità dei beni di cui si chiede il sequestro consentire l’aggravamento delle conseguenze dei reati ipotizzati, da considerarsi in itinere fino all’eventuale rilascio delle concessioni prescritte. 

5. In data 14.08.2024, l’Avv. Tamburrini ha fatto pervenire memoria difensiva comprensiva di allegati. In data 31.08.2024, l’Avv. Elena Tomassetti, nell’interesse della Punto Immobiliare s.r.l., ha fatto pervenire una memoria difensiva, comprensiva di allegato, con cui ha insistito per il rigetto del ricorso.
In estrema sintesi, secondo le prospettazioni difensive, vi sarebbe una sopravvenuta carenza di interesse a seguito della riformulazione dell’imputazione posta a sostegno del sequestro, evidenziando come con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, il P.M. ha radicalmente modificato – peraltro successivamente alla proposizione del ricorso – la contestazione, ipotizzando il diverso reato di “lottizzazione abusiva” dell’area. Il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile dovendo, il PM, rimettere gli atti al G.I.P. competente affinché proceda, sulla base del rinnovato presupposto giuridico, con una nuova e diversa valutazione sul diverso presupposto giuridico che porti, o meno, ad una nuova adozione di provvedimento cautelare. Si aggiunge come sia i presupposti normativi, sia gli effetti del sequestro nell’ambito di un procedimento penale volto alla contestazione del reato di lottizzazione abusiva, si rappresentano assai diversi (e ben più gravi) degli effetti sottesi alle precedenti contestazioni, poiché recano finanche la “confisca” del bene, effetto che mai si sarebbe potuto produrre in relazione ai reati edilizi per cui si è proceduto ed in relazione ai quali gli indagati hanno avuto la possibilità di difendersi in sede di riesame. 
Si sostiene, in secondo luogo, la violazione del principio del “ne bis in idem” e dell’art. 414 cod. proc. pen. poiché, nel 2020, la medesima Procura ed il medesimo Pubblico Ministero avevano già contestato il reato di lottizzazione abusiva sul medesimo terreno (all’epoca gli edifici non erano ancora stati realizzati), all’originario unico proprietario (il Sig. Corica, l.r. di Latina Green Building), procedimento oggetto di archiviazione in data 30/09/2020 (n. 452/20 rgnr). Si sarebbe, inoltre, assistito -nel procedimento in esame- ad una palese violazione dell’art. 414 cod. proc. pen. in quanto, stante l’identità della contestazione attuale rispetto a quella archiviata, si è assistito ad una riapertura delle indagini da parte del medesimo P.M., senza l'autorizzazione del Giudice. Quanto alla ipotizzata natura di centro commerciale dell’area per cui è ricorso, sostiene che il ricorso del PM è puramente fattuale e dunque inammissibile. Ancora, si deduce l’inammissibilità del ricorso per violazione dei principi di specificità ed autosufficienza del motivo relativo alla mancata valutazione delle ulteriori criticità contestate nell’incolpazione provvisoria. Da ultimo, evidenzia come l’Ente Pubblico Comunale, in data 14 agosto 2024, su domanda della società Punto Immobiliare S.r.l., concludeva la propria istruttoria positivamente, come si rileverebbe dall’allegato documento.

6. A seguito di tempestiva richiesta di trattazione orale dei ricorsi pervenuta dal Procuratore Generale presso questa Corte e dalle difese (avv. Giorgio Tamburrini, anche quale procuratore speciale della Latina Green Building s.r.l.; avv. Luca Ciaglia, anche quale procuratore speciale della Eurospin Lazio s.p.a.; avv. Guglielmo Pezzolla, nell’interesse della Punto Immobiliare s.r.l.), in data 24 giugno 2024, il Presidente titolare ha disposto procedersi con trattazione orale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso del PM è fondato, mentre quello dell’Associazione Codici è inammissibile. 

    2. Muovendo, anzitutto, dall’esame del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, ritiene il Collegio di dover rilevare preliminarmente l’inaccoglibilità della richiesta difensiva finalizzata ad ottenere una declaratoria di inammissibilità del ricorso del PM per sopravvenuta carenza di interesse al ricorso a seguito della modifica dell’imputazione intervenuta successivamente alla decisione impugnata. 
2.1. A tal fine, va qui ribadito che nel giudizio di legittimità instaurato a seguito di ricorso per cassazione contro i provvedimenti in materia di misure cautelari reali, ammesso soltanto per violazione di legge, possono essere introdotti solo documenti, non attinenti al merito, che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi e dai quali possa derivare l'applicazione dello "ius superveniens" di cause estintive e di disposizioni più favorevoli (tra le tante, ad es., nell’analoga materia delle misure di prevenzione: Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016, Rv. 267801 – 01). 
2.2. Nel caso di specie, la documentazione prodotta dalle difese, con cui si mira ad evidenziare l’intervenuto mutamento della contestazione da parte del PM in esito alle indagini preliminari (peraltro del tutto legittima, tanto che questa Corte ha già affermato come la modifica dell'addebito cautelare ad opera del pubblico ministero in sede di riesame non impedisce al tribunale di confermare la misura coercitiva in riferimento alla nuova ipotesi accusatoria: Sez. 2, n. 35356 del 26/05/2010, Rv. 248399 – 01), introduce nel giudizio di legittimità – si ribadisce, limitato alla sola deduzione del vizio di violazione di legge ex art. 325, cod. proc. pen. – elementi di novità che, all’evidenza, imporrebbero non solo un apprezzamento di merito circa la sussistenza della “nuova” imputazione di lottizzazione abusiva, ma richiederebbero da parte di questa Corte un intervento non consentito sulla riqualificazione giuridica del fatto, operata dal PM, sulla base di valutazioni da questi svolte in considerazione dello sviluppo delle attività di indagine. 
2.3. Il giudizio della Corte, pertanto, non può che svolgersi, in difetto dell’apprezzabilità della modifica dell’imputazione cautelare, su quella cristallizzata al momento della decisione del giudice del riesame ed è pertanto su tale imputazione che questa Corte è chiamata a pronunciarsi, dovendosi valutare l’interesse al ricorso alla luce dell’insegnamento di questa Corte secondo cui in materia di impugnazioni, la nozione della "carenza d'interesse sopraggiunta" va individuata nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all'impugnazione, la cui attualità è venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall'impugnante, o perché la stessa abbia già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto abbia perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep.  2012, Marinaj, Rv. 251694 – 01). 
2.4. Nella specie, l’intervenuta modifica del titolo di reato, determina certamente un mutamento della situazione di diritto, ma non esclude la permanenza dell’interesse al ricorso del PM non solo e non tanto in relazione alla intervenuta riqualificazione giuridica del fatto ma anche in relazione all’originaria qualificazione giuridica (essendo sempre possibile una nuova modifica dell’imputazione da parte dell’organo dell’Accusa), fermo restando che i presupposti della misura cautelare richiesta erano quelli relativi all’originaria imputazione, con conseguente limitazione del sequestro (e della conseguente valutazione giuridica) alle sole finalità impeditive poste a sostegno dell’originaria domanda cautelare, non essendo stata medio tempore proposta – per quanto risulta dagli atti offerti in esame a questa Corte – una nuova domanda cautelare con richiesta di estensione della finalità del sequestro preventivo a fini di confisca ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen. in relazione alla nuova qualificazione giuridica (peraltro più grave rispetto a quella originaria, che evidenzia l’incidenza negativa dell’intervento edilizio non solo sul piano urbanistico ma anche su quello della programmazione territoriale, dunque oggetto di una nuova ed evidentemente più ponderata valutazione da parte del PM procedente su cui questa Corte in questa fase non è legittimata a pronunciarsi), ciò che destituisce di fondamento anche l’ulteriore doglianza afferente al tema delle esigenze cautelari, da ritenersi sussistenti con riferimento, allo stato, ai sensi del comma 1 dell’art. 321, cod. proc. pen. 

3. Tanto premesso, il ricorso del Pubblico Ministero è fondato. 
3.1. Ed invero, le doglianze svolte dal PM con riferimento alla configurabilità del fumus dei reati oggetto di contestazione, segnatamente degli illeciti edilizio e paesaggistico, meritano accoglimento, alla luce degli elementi probatori acquisiti e che rendono evidente il predetto fumus. 
3.2. L’esame degli atti e l’analisi della disciplina normativa applicabile, in particolare, conferma la prospettazione accusatoria inerente alla configurabilità degli estremi, anzitutto, della contravvenzione edilizia oggetto di contestazione. 
L'originaria istanza, concernente tre medie strutture di vendita e un esercizio di vicinato, è stata presentata al SUAP di Latina attraverso il portale "impresainungiorno" in data 8 agosto 2021 con il prot. n. 02890930593-08082021-0845 ed è stata acquisita in atti del SUAP del Comune di Latina in data 9 agosto 2021 con la pratica n. REP_PROV_LT/LT-SUPRO 51420/09-08-2021. All'epoca della domanda era entrata in vigore (a far data dall'8 novembre 2019) la legge regionale del Lazio 6 novembre 2019, n. 22 Testo unico del commercio (in BUR n. 90 del 7 novembre 2019), che, alla lettera d), dell'articolo 107 (Abrogazioni), ha abrogato la previgente legge regionale 18 novembre 1999, n. 33 recante la Disciplina relativa al settore commercio (in BUR n. 33 del 30 novembre 1999). L'articolo 4 della richiamata l.r. n. 22/2019 Testo unico del commercio prevede espressamente l'adozione (entro il termine di centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore e quindi entro il 6 aprile 2020) di uno o più regolamenti, con lo scopo di disciplinare, tra l'altro e per quanto qui d'interesse: «a) per le attività commerciali in sede fissa e per le forme speciali di vendita di cui al capo II: 1) i criteri, i requisiti e le modalità per lo sviluppo, l'insediamento e l'adeguamento delle attività commerciali di cui all'articolo 19, comma 12; 2) le procedure semplificate ai fini del rilascio dei titoli abilitativi per l'apertura e l'ampliamento delle superfici di vendita delle medie e grandi strutture ai sensi degli articoli 25, comma 73 e 26, comma 114, lettera b); 3) le modalità, i criteri e i requisiti per l'istituzione dei punti ni sensi dell'articolo 26, comma 11, lettera c); 4) le procedure e i termini relativi allo svolgimento della conferenza di servizi unica nel caso di insediamento di medie o grandi strutture di vendita o seguito di variante urbanistica, ai sensi dell'articolo 275, nonché le modalità di raccordo tra le strutture regionali ai fini dell'espressione del parere; 5) le modalità con cui effettuare il consumo sul posto degli alimenti negli esercizi di vicinato;». L'articolo 99 rubricato, Disposizioni transitorie per l'attività di commercio al dettaglio in sede fissa del Testo unico del commercio l.r. n. 22/20206 prevede che - nelle more dell'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 19 e del successivo adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, ai procedimenti relativi all'attività del commercio in sede fissa - si applicano le seguenti disposizioni: a) le domande di autorizzazione all'apertura, al trasferimento e all'ampliamento di medie e grandi strutture di vendita presentate al SUAP competente per territorio prima della data di entrata in vigore della l.r. n. 22/2019 (quindi prima all'8 novembre 2019), conformi alle norme e agli strumenti di carattere edilizio e urbanistico, avrebbero dovuto essere valutate in base ai requisiti e standard urbanistici stabiliti dalla l.r. 33/1999 (comma 2); b) i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione per l'apertura, il trasferimento e l'ampliamento di medie e grandi strutture di vendita presentate successivamente alla data dell'8 maggio 2020 sarebbero rimasti sospesi fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 19 e comunque, per non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 22/2019 (quindi fino all'8 maggio 2020) (comma 4); c) allo scadere del termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 22/2019 (quindi a far data dall'8 maggio 2020), in mancanza dell'entrata in vigore il regolamento di cui all'articolo 19, le domande di autorizzazione, trasferimento e ampliamento delle medie e grandi strutture di vendita, sospese ai sensi dello stesso comma 4, sarebbero state valutate sulla base dei requisiti e standard urbanistici di cui alla l.r. 33/1999, fino all'adozione del predetto regolamento (comma 7).
3.3. Alla data di presentazione dell'istanza de qua - 8 agosto 2021 - il regime transitorio applicabile era, dunque, come correttamente evidenzia il PM, quello di cui alla lettera c) che precede e la domanda pervenuta al SUAP di Latina avrebbe dovuto essere valutata sulla base dei requisiti e standard urbanistici di cui alla l.r. n. 33/1999.
Occorre osservare che la l.r. n. 33 del 18 novembre 1999, all'articolo 24 (rubricato Tipologia e classificazione degli esercizi di vendita), comma 1, lett. b), numero 2, prevedeva testualmente: «1. Gli esercizi di vendita al dettaglio in sede fissa sono definiti secondo le seguenti tipologie: [... omissis ...] - b) medie strutture di vendita, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera e), del d.lgs. 114/1998, dotate di superficie di vendita superiore a mq. 150 e fino a mq. 1.500 nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e superiore a mq. 250 e fino a mq. 2.500 nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti, classificate in: 1) esercizi con superficie rientrante nella definizione di media struttura per la vendita di prodotti alimentari, non alimentari od entrambi; 2) centri commerciali composti da un minimo di quattro esercizi direttamente comunicanti tra loro ovvero situati all'interno di una struttura funzionalmente unitaria che si articola lungo un percorso pedonale di accesso comune, con superficie di vendita complessiva rientrante nella definizione di media struttura di vendita; ….. omissis ...». 
La Sezione I, Disposizioni comuni, del subentrato Testo unico del commercio l.r. 6 novembre 2019, n. 22, all'articolo 15 (rubricato Definizioni) prevede testualmente: «1. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni contenute nel presente capo si intende per: [... omissis ...] 1) centro commerciale, una media o grande struttura di vendita consistente in un insieme di più esercizi al dettaglio. realizzati sulla base di un progetto unitario all'interno di un'unica struttura edilizia con infrastrutture e servizi gestiti unitariamente; [... omissis ...]».
Il regolamento di cui all'articolo 19 della l.r. n. 22/2019 - Regolamento regionale 11 agosto 2022 n. 10 recante le Disposizioni di attuazione e integrazione della legge regionale 6 novembre 2019, n.22 (Testo Unico del Commercio), concernenti le attività commerciali in sede fissa e le forme speciali di vendita (in BUR n. 68 del 16 agosto 2022) - è entrato in vigore il 17 agosto 2022 con la conseguenza che, da tale data, deve farsi riferimento esclusivamente alle disposizioni di cui al novellato Testo unico del commercio. 
Per la realizzazione dell'edificio commerciale, oggetto di una preventiva progettazione unitaria, il Comune di Latina ha rilasciato, a stralcio, i seguenti tre diversi titoli: 1) il titolo unico n. 13 Anno 2021 Protocollo n. 0212367/2021 del 23 dicembre 2021, rettificato con titolo unico Protocollo n. 0048922/2022 del 21 marzo 2022, riguardante l'unità commerciale 3, costituita da una media struttura di vendita al piano terra - della superficie netta di vendita mq. 1.374 - e da un negozio al piano primo - della superficie netta di vendita di mq. 162,58 -; 2) il titolo unico n. 6 Anno 2022 Protocollo n. 0106393/2022 del 31 maggio 2022, riguardante l'unità commerciale 2, costituita da una media struttura di vendita al piano terra - della superficie netta di vendita mq. 1.900 -; 3) il titolo unico n. 8 Anno 2022 Protocollo n. 0143310/2022 del 9 agosto 2022, riguardante L'unità commerciale 1, costituita da una media struttura di vendita al piano terra - della superficie netta di vendita mq. 1.004 -.
3.4. Dunque, la situazione amministrativa, sotto il profilo urbanistico, era la seguente: 1) alla data del 23 dicembre 2021 di rilascio del titolo unico n. 13 relativo all'unità commerciale 3, in forza del regime transitorio previsto dall'articolo 99 della l.r. n. 22/2019, i requisiti e gli standard urbanistici applicabili erano quelli di cui alla l.r. n. 33/1999, ivi compresa la classificazione di centro commerciale di cui all'articolo 24 (rubricato Tipologia e classificazione degli esercizi di vendita), comma 1, lett. b), numero 2; 2) alla data del 31 maggio 2022 di rilascio del titolo unico n. 6 relativo all'unità commerciale 2, in forza del regime transitorio previsto dall'articolo 99 della l.r. n. 22/2019, i requisiti e gli standard urbanistici applicabili erano quelli di cui alla l.r. n. 33/1999, ivi compresa la classificazione di centro commerciale di cui all'articolo 24 (rubricato Tipologia e classificazione degli esercizi di vendita), comma 1, lett. b), numero 2; 3) alla data del 9 agosto 2022 di rilascio del titolo unico n. 8 relativo all'unità commerciale 1, essendo già entrato in vigore il Regolamento regionale 11 agosto 2022 n. 10, i requisiti e gli standard urbanistici applicabili erano quelli di cui alla l.r. n. 22/2019, ivi compresa la classificazione di centro commerciale di cui all'articolo 15 (rubricato Definizioni), comma 1, lett. n). 
3.5. L'originaria configurazione architettonica, strutturale e funzionale del progetto unitario è rimasta tal quale negli interventi a stralcio assentiti dal Comune di Latina con i titoli unici rilasciati negli anni 2021 e 2022 e in particolare: a) nell'intervento assentito con il titolo unico n. 8 Anno 2022 Protocollo n. 0143310/2022 del 9 agosto 2022 contenente il Permesso di Costruire per la realizzazione a stralcio di una media struttura di vendita - unità commerciale 1 e negozio al primo piano; b) negli elaborati progettuali assentiti dal Comune di Latina con il titolo unico n. 8 Anno 2022 Protocollo n. 0143310/2022 del 9 agosto 2022 e, segnatamente, alla TAV. 4/6 del Progetto a stralcio unità commerciale 1, sottoscritta con firma digitale dal Dirigente del SUA di Latina, elaborato regolarmente trasmesso al Tribunale che rappresenta chiaramente la realizzazione di: 1) tre medie strutture di vendita - unità commerciale 1, unità commerciale 2 e unità commerciale 3 la cui realizzazione è stata assentita rispettivamente con il: (1) titolo unico n. 8 Anno 2022 Protocollo n. 0143310/2022 del 9 agosto 2022; (2) titolo unico n. 6 Anno 2022 Protocollo n. 0106393/2022 del 31 maggio 2022; (3) titolo unico n. 13 Anno 2021 Protocollo n. 0212367/2021 del 23 dicembre 2021, rettificato con titolo unico Protocollo n. 0048922/2022 del 21 marzo 2022 - poste al piano terra del complesso commerciale; 2) un negozio (recte, come correttamente evidenzia il PM: esercizio di vicinato) al primo piano, della superficie a destinazione commerciale di mg. 162,58, oltre a mq. 5,69 e mq. 7,30 per wc e antiwc ed a mq. 2,85 per ripostiglio. 
3.6. Alla luce di quanto sopra, è quindi palesemente errata la prospettazione del Tribunale in quanto, nella progettazione unitaria e nel rilascio dei tre titoli unici a stralcio assentiti dal Comune di Latina per la realizzazione dell'intervento edilizio, è all’evidenza ravvisabile il presupposto richiesto dall'articolo 24, lett. b), n. 2 della L.R. n. 33/1999 a mente della quale le medie strutture di vendita sono classificate come "centri commerciali" quando - come nella fattispecie - sono composti da quattro esercizi direttamente comunicanti tra loro ovvero situati all'interno di una struttura funzionalmente unitaria che si articola lungo un percorso pedonale di accesso comune, con superficie di vendita complessiva rientrante nella definizione di media struttura di vendita. Conseguentemente, contrariamente a quanto erroneamente dedotto dal Tribunale, avrebbe dovuto ritenersi integrata la competenza della Regione al rilascio del titolo abilitativo.
Sul punto occorre ulteriormente osservare, come correttamente evidenziato dal PM nel ricorso, che il limite (di quattro esercizi commerciali) posto dall'articolo 24, lett. b), n. 2 della L.R. n. 33/1999, è stato rimosso dalle subentrate disposizioni di cui all'articolo 15 (rubricato Definizioni), comma 1, lett. n), del Testo unico del commercio l.r. 6 novembre 2019, n. 22, secondo cui un centro commerciale consiste «in un insieme di più esercizi al dettaglio, realizzati sulla base di un progetto unitario all'interno di un'unica struttura edilizia con infrastrutture e servizi gestiti unitariamente».
3.7. Sotto tale aspetto, del tutto coerente con le emergenze processuali è la ricostruzione operata dal PM che ritiene strumentale (e sostanzialmente inutile) il tentativo operato dagli indagati di aggirare la cennata disposizione legislativa (per altro già rappresentata nell'incolpazione scolpita nella richiesta di sequestro del 26 settembre 2023, sequestro disposto con decreto del GIP di Latina in data 8 gennaio 2024, depositato il 9 gennaio 2024) con la presentazione al SUAP di Latina della SCIA in variante prot. 121344 del 1° dicembre 2023 attraverso cui è stata meramente prefigurata l'unificazione del negozio al primo piano con la sottostante unità commerciale. 
In effetti, come puntualmente rileva il Pubblico Ministero, l'esame delle situazioni giuridico-organizzative delle strutture commerciali in esame e della configurazione architettonico-distributiva dell'edificato, rivelano in modo non equivoco la sussistenza dei requisiti richiesti dalla norma (l'articolo 24 della l.r. n. 33/99 prima; l'articolo 15 della l.r. n. 22/2019 poi) per la loro classificazione all'interno dell'unitario concetto di centro commerciale, in quanto: 1) l'edificato è costituito da tre medie strutture di vendita, coinvolgenti complessivamente la superficie di mq. 4.440,58 (unità commerciale 1 al piano terra: superficie netta di vendita mq. 1.004; unità commerciale 2La al piano terra: superficie netta di vendita mq. 1.900; unità commerciale 3 al piano terra: superficie netta di vendita mq. 1.374; un negozio al piano primo: superficie netta di vendita mg. 162,58 unificato alla sottostante media struttura con la SCIA in variante prot. 121344 del 1° dicembre 2023) superiore a quella di mq. 2.500, limite dimensionale oltre la quale si configura una grande struttura di vendita (cfr. articolo 24, lettera c), l.r. n. 33/99 e articolo 15, comma 1, lett. l), l.r. n. 22/2019) e di centro commerciale (ex articolo 15 della l.r. n. 22 del 6 novembre 2019); 2) tutte le unità immobiliari sono poste all'interno di una struttura funzionalmente unitaria articolata lungo un percorso pedonale di accesso comune sul quale si affacciano; 3) le unità immobiliari configurano un insieme unitario della offerta commerciale e dei servizi connessi, organizzato in superfici coperte e a cielo libero, presentandosi, per altro, all'utente come quadro integrato d'insieme unitariamente fruibile. Risulta dunque evidente, come rappresentato dal PM, che la presentazione al SUAP di Latina della SCIA in variante avente prot. 121344 del 1° dicembre 2023 attraverso cui è stata meramente prefigurata l'unificazione del negozio al primo piano con la sottostante unità commerciale 1, rappresenta un escamotage - ad indagini già avviate e concluse dalla p.g. - per cercare di rendere conforme il progetto alla precedente norma di settore.
3.8. A conforto di tale assunto, il PM richiama giurisprudenza amministrativa (in particolare, il riferimento è a Cons. St., Sez. IV, n. 5902 del 18 aprile 2019, dep. 27 agosto 2019 nonché a TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, n. 425 del 29 marzo 2004 e Cons. St., Sez. V, n. 6304/2004 del 24 settembre 2004). La giurisprudenza amministrativa, dunque, anche di recente (Cons. St., Sez. IV, sentenza 27 agosto 2019, n. 5902), ha individuato i presupposti per considerare unitariamente talune strutture di vendita localizzate su aree contigue. In particolare, affinché più strutture siano qualificabili come un unico complesso aggregato, secondo il Collegio, due presupposti convergenti e contestuali devono essere soddisfatti: uno materiale e l’altro funzionale. Quanto al presupposto materiale, le strutture devono essere collegate materialmente tra loro, consentendo ai consumatori di accedere con facilità dall’una all’altra attraverso percorsi dedicati, diversi dalla mera transitabilità pubblica ordinariamente assicurata alla collettività. Con riferimento al presupposto funzionale, occorre che si verifichi una comunanza di gestione, relativamente agli spazi e locali accessori alla vendita (magazzini, uffici amministrativi etc…), nonché ai servizi all’utenza e agli spazi pertinenziali (aree per bambini, parcheggi etc…). 
3.9. Alla stregua di quanto sopra emergente dagli atti e puntualmente rappresentato dal PM in ricorso, entrambi i predetti presupposti, risulterebbero soddisfatti nel caso in esame. Ed invero, un insieme di esercizi commerciali, qualora sia, come recita il D.lgs. n. 114 del 1998 "inserito in una struttura a destinazione specifica e usufruisca di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente" integra la fattispecie di centro commerciale ed in quanto tale si configura, in base alla somma delle superfici di vendita, come media o grande struttura. Diversamente, l'applicazione della norma resterebbe facilmente elusa in tutti quei casi di aggregazione di più autorizzazioni distinte tra loro solo formalmente. Anche sotto il profilo pratico, si evidenzia la conseguente negativa incidenza sul generale contesto viario, il carico urbanistico, nonché l'impatto sulla qualità dell'ambiente e sulla vivibilità del relativo ambito localizzativo. Ciò che rileva, è, quindi, l'unicità oppure il collegamento tra i locali di vendita, la condivisione delle infrastrutture e dei servizi (parcheggi, viabilità, etc.) e, in definitiva, l'unitarietà della gestione.
Sotto tale ultimo profilo, come evidenzia il PM, dalla consultazione degli atti progettuali risulta poi che l'unitarietà del progetto riguarda non solo il corpo edilizio ma anche le infrastrutture di servizio (reti di smaltimento e approvvigionamento), il sistema di parcheggio, la viabilità carrabile e l'accessibilità pedonale (come attesta anche l'atto d'obbligo per Notaio Maciariello del 22.11.2021 Rep. 77.387 - Racc. 34.231), le quali presentano caratteristiche di beni comuni che necessitano, dunque, di una gestione unitaria, assimilabile a quella condominiale. Dunque, quantomeno a livello di fumus, e allo stato degli atti, nei limiti del sindacato incidentale svolto da questa Corte, non può dubitarsi della configurabilità del reato edilizio, in quanto la realizzazione del “centro commerciale” avrebbe richiesto il rilascio del titolo abilitativo da parte della Regione. 
3.10. Deve, infine, rilevarsi che il Tribunale del riesame è incorso nell’ulteriore doglianza di omessa motivazione (vizio pacificamente deducibile a norma dell’art. 325, cod. proc. pen., risolvendosi l’omessa motivazione in un vizio di violazione di legge: per tutte, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 – 01), laddove ha completamente omesso di motivare sulle altre criticità contestate nell'imputazione provvisoria che, secondo l’impostazione accusatoria, risultavano rilevanti ai fini della sussistenza del fatto reato, nonché della collegata violazione paesaggistica ex art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004. In particolare, il richiamo è ai profili dell’imputazione cautelare non esaminati (parte del complesso commerciale e dell'area funzionale ricadeva nella "fascia di rispetto" della "S.S. 148 Pontina" avente vincolo di inedificabilità assoluta; su un'area destinata a verde pubblico (particella 18), la quale non risultava interessata dalla variante al PPE Q3, venivano prefigurati e autorizzati la realizzazione di parcheggi a servizio della struttura commerciale, quest'ultimi, necessari per il raggiungimento degli standard di cui al D.M. 1444/68; per la realizzazione del predetto complesso commerciale veniva eliminato un bosco avente una superficie di mq. 5.073 circa, sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 142 comma 1 lettera g) del D. Lgs. 42/2004; la conformazione planimetrica dei parcheggi privati ad uso pubblico non risultava conforme alla viabilità del PPE Q3; l'utilizzazione della via Viterbo come accesso ai realizzandi parcheggi privati ad uso pubblico risultava in contrasto con il PPE Q3). 

4. Ulteriori violazioni, si aggiunga, che non possono essere escluse sul mero presupposto, indimostrato, che le medesime non fossero macroscopiche, in base all'assunto che negli atti accusatori non sarebbe fornita alcuna prova di collusione tra i privati beneficiari e i pubblici funzionari del Comune di Latina, sicché le eventuali illegittimità dei titoli edificatori non avrebbero rilevanza ai fini della sussistenza del fumus delicti. 
4.1. Trattasi di valutazione, a ben vedere, che si basa su approdi giurisprudenziali oggetto di errata interpretazione da parte dei giudici del riesame, i quali hanno ritenuto che ai fini della configurabilità degli illeciti previsti nelle lettere b) e c) dell'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non potrebbero ritenersi realizzate in "assenza" di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macroscopica, tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante. Il riferimento è ad una decisione di questa Sezione, più volte richiamata dalle difese anche in procedimenti diversi da quello sub iudice (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep.  2015, Rv. 263916 – 01, seguita da Sez. 4, n. 38610 del 20/07/2017, Rv. 270931 – 01), decisione che, tuttavia, deve essere intesa nel senso corretto. 
4.2. Ed invero, la sentenza n. 7423/2015, prendendo in esame le censure di costituzionalità della fattispecie penale ipotizzata per asserito contrasto con l'art. 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost. e disattendendole sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni applicate e, richiamando parte delle pronunce succedutesi nel tempo in materia di illegittimità del permesso di costruire ed abuso edilizio, è giunta alla conclusione che, ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in "assenza" di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macroscopica, tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante.
4.3. La decisione veniva indicata dalla dottrina come indicativa di una inversione di tendenza nella giurisprudenza di questa Corte che, prendendo atto di quanto sostenuto, chiariva successivamente (Sez. 3, n. 12389 del 21/2/2017, Minosi, Rv. 271170) che un così radicale cambiamento non avrebbe potuto prescindere da una esplicita e puntuale critica ai principi affermati dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, P.M. in proc. Borgia ed altri, Rv. 195359; Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001 (dep.2002), Salvini, Rv. 220708, in tema di lottizzazione abusiva) e dalle pronunce che sono seguite nel corso degli anni, rilevando che, piuttosto, nella sentenza "Cervino", si era voluto escludere ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico, eliminando così il rischio, paventato nella prospettata questione di legittimità costituzionale, di una irragionevole equiparazione interpretativa "in malam partem" tra mancanza "ab origine" dell'atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata "ex post", sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole. Veniva anche dato conto del fatto che in tal senso sembrava essersi orientata anche la successiva sentenza "Gnudi" (Sez. 3, n. 52861 del 14/07/2016, Gnudi, non massimata), ove, dopo un richiamo al principio affermato, si è rinvenuta la macroscopica illegittimità di un articolo delle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico, rilevante nella definizione del caso preso in esame. L’orientamento veniva successivamente ribadito, affermando che il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire (nella fattispecie, in sanatoria) e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga e altri, Rv. 273218, nonché, con riferimento all'autorizzazione paesaggistica, Sez. 3, n. 38856 del 4/12/2017 (dep. 2018), Schneider e altro, Rv. 273703). In una successiva pronuncia (Sez. 3, n. 50648 del 9/10/2018, Fabbri, non massimata) gli argomenti sviluppati nella sentenza Minosi venivano ribaditi, osservando come altre decisioni avessero rinvenuto, nel richiamare la sentenza "Cervino", un difforme orientamento che, per le ragioni indicate, doveva invece essere escluso. Si faceva così notare che in una decisione (Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016 (dep.2017), Bonanno, PC. e altri, Rv. 269345), nel dare conto anche delle altre pronunce, si rileva come, nel caso specifico, il rilascio del titolo abilitativo era frutto di un accordo corruttivo, potendosi quindi ritenere comunque mancante, mentre in altra (Sez. 4, n. 38610 del 20/7/2017, Comune Di Sperlonga e altro, Rv 270931) venivano prese in considerazione esclusivamente la sentenza Giordano delle Sezioni Unite ed alcune pronunce conformi alla stessa.
4.4. In altre due pronunce la questione è stata affrontata in maniera ancor più esaustiva, tenendo conto anche dei contenuti delle sentenze appena richiamate. In particolare, in una prima decisione (Sez. 3, n. 49687 del 7/6/2018, Bruno, non massimata), ripercorrendo l'evoluzione della giurisprudenza in materia partendo da quella di merito sviluppatasi negli anni settanta del secolo scorso e dando atto del diverso approdo cui sono pervenute altre decisioni, in parte richiamate in precedenza, le quali richiamando i principi della sentenza Giordano, sostengono che le ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell'articolo 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 non possono ritenersi realizzate in "assenza" di permesso di costruire quando le opere siano state eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macroscopica tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep. 2015, Cervino, Rv. 263916; Sez. 4, n. 38824 del 17/9/2008, Raso, Rv. 241064; Sez. 3, n. 2906 del 28/11/1997, dep. 1998, Bortoluzzi, Rv. 210460; Sez. 6, n. 2378 del 27/6/1995, Barillaro, Rv. 202581; Sez. 3, n. 3459 del 23/12/1994, dep. 1995, De Nobili, Rv. 201225. Viene anche richiamata Sez. 4, n. 38610 del 20/7/2017, Comune di Sperlonga, Rv. 270931 in tema di lottizzazione abusiva) ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ritiene preferibile l'indirizzo maggioritario. 
4.5. All'esito di tale estesa disamina, cui si rinvia, la sentenza Bruno afferma, tra l'altro, che, nell'ipotesi in cui si edifichi con permesso di costruire illegittimo, non rileva più la disapplicazione di un atto amministrativo, ma la questione riguarda piuttosto il potere di accertamento del giudice penale dinanzi ad un provvedimento, che costituisce presupposto o elemento costitutivo di un reato. In tale ambito l'individuazione dell'interesse tutelato dalle norme penali urbanistiche non serve per attribuire tipicità ad un fatto di reato che sia privo di tale indefettibile connotato, la qual cosa sarebbe, come ovvio, giuridicamente impraticabile, ma svolge piuttosto la funzione di attribuire l'esatto significato all'elemento normativo delineato nella fattispecie incriminatrice di riferimento e che, in quanto tale, è ricompreso toto iure nella tipicità del fatto, dovendo ritenersi compreso nel tipo e, dunque, nel controllo, tutto ciò che, al di là della lettera della legge, sia imposto dalla immancabile funzione interpretativa, anche estensiva, della disposizione penale che va condotta alla luce del bene giuridico tutelato, della ratio della norma e di ogni altro elemento ricavabile dal sistema per ricostruire l'intenzione del legislatore, sicché il giudice penale deve verificare, al fine di ritenere sussistente o meno il reato, tutto ciò che nella descrizione delle varie fattispecie penali, sia stato indicato, esplicitamente o implicitamente, come rilevante.
4.6. Alle medesime conclusioni della sentenza Bruno è poi pervenuta successivamente altra pronuncia (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565 – 01), ove, all'esito di altrettanto approfondita analisi, si sono ribaditi, anche alla luce della sentenza Bruno, i principi in precedenza ricordati, osservando, tra l'altro che il reato di lavori eseguiti in assenza di permesso (o di equipollente s.c.i.a.) tutela non già la funzione di controllo riservata alla pubblica amministrazione, ma l'esigenza di impedire trasformazioni del territorio in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia e che, detto in altre parole, si punisce chi costruisce senza aver previamente ottenuto il permesso (o aver formalizzato l'equipollente s.c.i.a.) perché in questo modo non è stato consentito all'autorità pubblica preposta di effettuare i necessari controlli finalizzati ad evitare che le attività di trasformazione effettuate dai privati possano porsi in contrasto con l'ordinato sviluppo del territorio, quale definito dalle norme di legge e pianificato dall'amministrazione nel rispetto delle stesse. Se, tuttavia, quel controllo è stato sin dall'inizio impedito con condotte criminose fraudolente (si cita la c.d. truffa edilizia) o collusive, oppure è stato soltanto apparentemente esercitato da un soggetto non funzionalmente competente o con un atto assunto in palese violazione della disciplina urbanistico-edilizia, l'interpretazione teleologica porta a ritenere che esso sia in radice mancato e che il provvedimento rilasciato (o la segnalazione certificata presentata) sia un titolo meramente apparente ed ictu oculi improduttivo di effetti.
4.7. Condividendosi appieno quanto efficacemente argomentato nelle sentenze Bruno e lodice (e riaffermato, successivamente, da questa stessa sezione con la sentenza Sez. 3, n. 17866 del 29/03/2019, De Simone, non massimata), deve dunque rilevarsi che un diverso approccio alla questione in esame non può affatto risolversi nella mera opzione tra l'uno o l'altro (decisamente minoritario) orientamento tenendo conto anche del fatto che le più recenti decisioni le quali ad esso si ascrivono, lo esprimono, come si è già detto, attraverso il mero richiamo a precedenti ovvero, come nel caso della sentenza Cervino, sono oggetto di una lettura che ne travisa il contenuto. Ritiene pertanto il Collegio che alla questione in esame non può darsi una soluzione diversa da quella prospettata dalle ultime pronunce richiamate, come sostanzialmente è stato fatto, semplicemente riferendosi alla sentenza Giordano (Sez. U, n. 3 del 31/01/1987, Rv. 175115 – 01) e ad altre disposizioni che a quella semplicemente si riportano, senza chiarire le ragioni per le quali tutta la giurisprudenza successiva, a cominciare dalla successiva sentenza Borgia, sempre delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Rv. 195359 – 01), avrebbe per anni ed anni perseverato nell'affermare principi che sarebbero errati. Tale osservazione, già formulata in altra sentenza (Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170 – 01), è giustificata, quanto meno, dal fatto, posto in evidenza dalla sentenza Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565 - 01, che il contributo interpretativo offerto dalla sentenza Giordano non può neppure ritenersi attuale, poiché, come rilevato dalle Sezioni Unite Borgia, essa era stata assunta sotto la vigenza della legge urbanistica n. 10/1977 e teneva conto del sistema delineato dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942, la quale consentiva di individuare l'oggetto della tutela penale nel "bene strumentale" del controllo e della disciplina degli usi del territorio, mentre la configurazione normativa dell'interesse tutelato era successivamente venuta a mutare ed aveva segnato una vera e propria svolta con la successiva legge n. 47/1985, risultando quindi "evidente che, se l'urbanistica disciplina l'attività pubblica di governo degli usi e delle trasformazioni del territorio, lo stesso territorio costituisce il bene oggetto della relativa tutela, bene esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni in danno del benessere complessivo della collettività e delle sue attività, ed il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente".
4.8. Ne discende, pertanto, che l’approdo cui sono pervenuti i i giudici del riesame, ad avviso del Collegio, contrasta con la ragionata ed articolata soluzione interpretativa ribadita, da ultimo, in maniera che si ritiene pienamente esaustiva, dalle sentenze Bruno e lodice, accedendo ad una interpretazione che quest'ultima pronuncia ha ritenuto manifestamente irragionevole e contrastante con la complessiva ratio del sistema, perché si risolverebbe nella possibilità di "sanzionare chi, pur non avendo richiesto il necessario permesso di costruire, edifichi in conformità alla disciplina urbanistico-edilizia sostanziale e di considerare invece penalmente irrilevante la condotta di chi, pur munito di titolo illegittimamente rilasciato, quella disciplina violi con condotta dolosa o gravemente colposa, realizzando interventi non consentiti dalle previsioni normative o contenute negli strumenti urbanistici".

5. Da ultimo, ancora, rileva il Collegio come non sia giuridicamente corretta l’affermazione dei giudici del riesame i quali hanno ritenuto insussistente il fumus delicti, stante la prova di una collusione illecita tra privato e pubblico funzionario che ha rilasciato il titolo abilitativo, non potendo nella specie escludersi che il privato sia incorso in un affidamento incolpevole. 
5.1. Il riferimento è alla sentenza di questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep.  2019, Cerra SRL, Rv. 275850 – 01), che ha affermato il principio secondo cui, in tema di reati edilizi, in caso di non macroscopica illegittimità del titolo abilitativo, il giudice deve procedere, stante la presenza di un atto autorizzativo della Pubblica Amministrazione, ad un accertamento più approfondito dell'elemento soggettivo del reato, dandone conto adeguatamente in motivazione, soprattutto nel caso in cui l'imputato alleghi circostanze dirette a rivendicare la propria buona fede e un affidamento incolpevole. 
5.2. Questo principio, si noti, è stato già tracciato limpidamente dalla giurisprudenza di legittimità quando ha affermato che la "macroscopica illegittimità" del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un'ipotesi di reato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ex art. 44 mentre (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell'amministrazione) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all'apprezzamento della colpa, aggiungendo, poi, come spetti, in ogni caso, al giudice del merito, e non certo a quello del riesame dei provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buonafede e di affidamento incolpevole (Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo, in motiv.).
5.3. A ben vedere, il GIP, nell’emettere il decreto di sequestro preventivo, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, non si è discostato da tale indirizzo. Occorre, invero muovere da un principio di diritto ormai consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità in forza del quale, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, con la conseguenza che lo stesso giudice può senza dubbio rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato ma a condizione che esso emerga "ictu oculi" (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi, Rv. 266896; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007, Citarella, Rv. 236474). 
5.4. Nel caso di specie, è sufficiente osservare come l'illegittimità del progetto presentato fosse talmente evidente e macroscopica da poter essere rilevata anche da non addetti ai lavori. 
5.5. Ma vi è di più. A comprova che, nel caso in esame, non potesse versarsi in uno dei casi di mancanza “lampante” del fumus dei reati ipotizzati, milita anche il comportamento posto in essere dagli indagati ad indagini in corso: il riferimento è al tentativo di aggirare la normativa di cui all’art. 24, lett. b), n. 2, legge reg. n. 33/1999, con la presentazione al SUAP di Latina della SCIA in variante prot. 121344 del 1° dicembre 2023, attraverso cui è stata meramente prefigurata l’unificazione del negozio al primo piano con la sottostante unita commerciale 1. 
5.6. Condotta, questa, che esclude la praticabilità della tesi dell’affidamento incolpevole dei privati, dovendosi, peraltro, aggiungere che l’ipotizzato concorso ex art. 110, cod. pen., non richiede necessariamente la prova irrefutabile di un previo accordo. 
E’ stato infatti più volte affermato da questa Corte, anche a Sezioni Unite, che la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro (per tutte: Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218525 – 01). 
5.7. In relazione a tale profilo, del resto, era stato lo stesso PM, nella richiesta di sequestro 22 settembre 2023, ad evidenziare come, ad indebolire se non a neutralizzare la tesi della mancanza del preventivo accordo, militassero proprio le modalità procedimentali adottate dal Comune  in quanto, sebbene si fosse in presenza di una struttura unitaria e di un progetto unitario presentato in data 9.08.2021, vennero rilasciati tre titoli amministrativi “a stralcio” come se fossero strutture di medie dimensioni, sottraendo di fatto il controllo e la competenza alla regione, cui è demandata ai sensi della legge reg. n. 33/1999 l’autorizzazione per l’apertura delle grandi strutture di vendita, qual è quella sub iudice. Coerente con le emergenze processuali e non manifestamente illogica, dunque, appare la prospettazione accusatoria che ha ritenuto evidente come il SUAP del comune di Latina avesse autorizzato il “centro commerciale” in questione come si si trattasse di tre medie superfici commerciali autonome, così violando i criteri e la procedura prescritta dalla legislazione regionale. 

6. L’impugnata ordinanza dev’essere, conclusivamente, annullata, con rinvio al tribunale di Latina per nuovo esame, che dovrà essere condotto alla luce dei richiamati principi di diritto e valutando compiutamente le emergenze documentali, al fine di assolvere al ruolo affidatogli dall’ordinamento di verificare la legittimità del provvedimento di sequestro, disposto non soltanto in relazione al reato edilizio, ma anche a quello paesaggistico, su cui si registra (unitamente agli ulteriori profili dianzi evidenziati dal PM a sostegno della configurabilità del fumus del reato edilizio), un’omessa motivazione. 

7. Può, quindi, procedersi all’esame del ricorso proposto dal terzo interessato, Centro per i diritti del cittadino – Codici, che, come già anticipato, è inammissibile. 
7.1. il ricorso è, in particolare, inammissibile perché proposto da soggetto non legittimato ex art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. 
7.2. Pacifico è infatti nella giurisprudenza di legittimità il principio, autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui soltanto la persona offesa che ha diritto alla restituzione delle cose sequestrate ha facoltà di intervento spontaneo nel giudizio di riesame del sequestro preventivo o probatorio, ciò che non solo non produce alcuna irregolarità o nullità procedurale, ma rappresenta la manifestazione minore di una più ampia facoltà espressamente ammessa dalla legge. Ne consegue, secondo le Sezioni Unite, che all'interveniente qualificato sono attribuite le stesse prerogative riconosciute al soggetto che ha proposto la richiesta di riesame, e quindi anche quella di produrre documenti e altri elementi di prova, nonché di partecipare all'eventuale giudizio di legittimità, da altri o da lui stesso promosso, con correlativo diritto a ricevere, in quest'ultimo caso, i prescritti avvisi, conformemente al disposto degli artt. 325, comma terzo, 311, comma quinto e 127, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239697 – 01; conf., S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto).
7.3. Nella specie, diversamente, l'Associazione CODICI - Centro per i Diritti del Cittadino, è terza interessata al procedimento che si qualifica come un'associazione portatrice di interessi qualificati, lesi dai reati edilizi e paesaggistici per cui si procede nei confronti degli attuali indagati, suscettibili di provocare un danno diretto - patrimoniale e non patrimoniale - anche in capo all'associazione. Già in passato questa Corte ha ammesso l'autonomo intervento di tale associazione quale persona offesa ai sensi dell'art. 90 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 51080 del 13/11/2014, Rv. 261373 – 01), affermando la nullità di decreto di archiviazione, emesso senza previo avviso alla predetta associazione che ne aveva fatto espressa richiesta per ragioni di tutela del diritto alla salute, in relazione ad ipotesi di delitto di abuso in atti di ufficio. 
7.4. Se, dunque, nessun dubbio sussiste in ordine alla possibilità dell’intervento ex art. 90, cod. proc. pen. di tale associazione nell’ipotesi esaminata dalla richiamata sentenza, tuttavia, osserva il Collegio, diversamente deve rilevarsi nel caso di procedura di riesame, avendo infatti le stesse Sezioni Unite limitato alla sola persona offesa che ha diritto alla restituzione delle cose sequestrate la facoltà di intervento spontaneo nel giudizio di riesame del sequestro preventivo o probatorio. Del resto, già in precedenza le Sezioni Unite erano intervenute in materia affermando come in tema di sequestro preventivo, la persona offesa che non sia titolare del diritto all'eventuale restituzione delle cose sequestrate, non è legittimata a partecipare o a presentare memorie nel procedimento di riesame del sequestro instaurato ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., ne', conseguentemente, nel giudizio di cassazione sull'ordinanza di riesame (Sez. U, n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227728 – 01), ciò perché a norma dell’art. 322, comma 1, cod. proc. pen. possono presentare istanza di riesame solo l’imputato (o indagato) e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. 
Le richiamate Sezioni Unite Corsi, infatti, puntualizzarono come lo ius postulandi che l’art. 90 cod. proc. pen. attribuisce alla persona offesa dal reato presuppone pur sempre la legittimazione di questa a partecipare al procedimento. In altri termini, la norma non costituisce una legitimatio ad processum – derivante invece dall’art. 322 cod. proc. pen.– ma definisce soltanto il contenuto delle facoltà che la persona offesa può esercitare nell’ambito del procedimento per il quale è legittimata. Questa Corte ha già correttamente chiarito che dal combinato disposto degli artt. 325, comma 1, e 322 cod. proc. pen. si desume che sono legittimati a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze rese a norma dell’art. 324 cod. proc. pen. (riesame in tema di sequestro preventivo) solo i soggetti che hanno partecipato al relativo procedimento di riesame (Sez. 3, n. 1318 del 26/04/1994, Rv. 198865 – 01). La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, chiarito che non è tanto la qualità di persona offesa ad attribuire a un soggetto la legittimazione a presentare istanza di riesame del sequestro preventivo di un bene e a partecipare al successivo procedimento, quanto la qualità di soggetto che avrebbe diritto alla restituzione della res sequestrata. 
7.5. Se si tiene conto di quanto le Sezioni unite Corsi hanno affermato in proposito, non può conclusivamente ritenersi che la persona offesa, in quanto tale, possa trarre legittimazione alla partecipazione al giudizio di riesame (ed alla successiva impugnazione in questa sede di legittimità) per la sola circostanza che l’art. 90 cod. proc. pen. prevede la sua facoltà di presentare memorie e di indicare elementi di prova. Trova, dunque, applicazione il principio affermato dalle richiamate Sezioni Unite e successivamente ribadito dalle sezioni semplici di questa Corte (segnatamente da Sez. 3, n. 43504 del 12/07/2012, Rv. 253557 – 01), secondo cui i soggetti legittimati a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze rese dal tribunale in sede di riesame delle misure cautelari reali sono solo coloro che hanno partecipato al procedimento incidentale. 

8. Tutti i residui motivi (dal secondo al quinto), pertanto, sono da ritenersi assorbiti, attesa la mancanza di legittimazione all’impugnazione in questa sede di legittimità della ricorrente, non avendo la stessa partecipato al procedimento di riesame. 

9. Segue la condanna ex art. 616, cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso. 
  
P.Q.M.

In accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Latina competente ai sensi dell'art. 324, co. 5, c.p.p. 
Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal terzo interessato Centro per i diritti del cittadino - Codici che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 12/09/2024