Cass. Sez. III n. 21029 del 21 maggio 2015 (Ud 3 feb 2015)
Pres. Mannino Est. Di Nicola Ric. Dell'Utri
Beni Ambientali.Conseguenze del positivo accertamento di compatibilità paesaggistica

Il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dall'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, con la conseguenza che, a fronte di una contestazione di lavori eseguiti su aree dichiarate di notevole interesse pubblico (e comunque in tutte le ipotesi di contestazione della fattispecie delittuosa ex art. 181, comma 1 bis, d.lgs. n. 42 del 2001), l'accertamento di compatibilità paesaggistica è del tutto irrilevante, a prescindere dall'ambito di operatività dell'art. 181, comma 1 ter, che esclude, a determinate condizioni, la rilevanza penale (non anche amministrativa dal punto di vista sanzionatorio) dell'art. 181, comma 1 (e non invece del comma 1 bis) ed anche a prescindere dalla rimessione in pristino che, ai sensi dell'art. 181, comma 1 quinquies, estingue la contravvenzione di cui al comma 1 e giammai il delitto dì cui al comma 1 bis.

RITENUTO IN FATTO

1. D.M. ricorre per cassazione impugnando la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano, in parziale riforma di quella emessa dal tribunale di Como, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per le contravvenzioni a lui ascritte perchè estinte per prescrizione ed ha determinato la pena in mesi otto di reclusione per la residua imputazione con la quale è stato accusato del reato previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, perchè, nella sua qualità di committente dei lavori, sull'immobile sito in (OMISSIS), in assenza di provvedimento concessorio e/o autorizzatorio, realizzava le seguenti opere abusive:

realizzazione di una "casa sull'albero" in struttura lignea, di due piani fuori terra più una torretta, avente una superficie totale di 70,20 mq. ed un volume totale di 180, mc. commettendo il fatto su area soggetta a vincolo cimiteriale ai sensi del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 338, nonchè a vincolo ambientale ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 136, quale immobile di notevole interesse pubblico, e dell'art. 142, comma 1, lett. b), del medesimo decreto legislativo. In (OMISSIS).

In relazione al vincolo paesaggistico - unica vicenda per la quale è residuata la condanna - la Corte di appello è pervenuta alla suddetta conclusione rilevando come fosse incontroverso che la struttura era stata realizzata in una zona soggetta al predetto vincolo, derivando da ciò che, per la sua realizzazione, era indispensabile che fossero state richieste e concesse le necessarie autorizzazioni amministrative con la conseguenza che, nella conclamata assenza di esse, non poteva essere accolta la tesi facente leva sulla natura accessoria del manufatto, onde sostenere la liceità dell'edificazione senza atti autorizzatori e comunque l'intervenuta sanatoria da parte del Comune di Torno a costruzione conclusa.

La Corte territoriale ha osservato in proposito che la questione non fosse rilevante essendo evidente dal combinato disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, comma 1, e 181, commi 1 e 1 bis, come fossero soggetti ad autorizzazione i lavori di qualsiasi genere purchè riferibili, come nella specie, ad aree di interesse paesaggistico e quindi anche la creazione di pertinenze.

Non era stato poi contestato che la costruzione avesse comportato la creazione di un volume pari a circa 180 metri cubi, sicchè l'atto di sanatoria ambientale è apparso alla Corte d'appello palesemente illegittimo ed è stato perciò disapplicato.

Parimenti disattesa è stata la doglianza circa la mancata indagine sull'elemento soggettivo del reato da parte del primo giudice e tanto sul rilievo che la condotta del ricorrente non sarebbe stata fuorviata dal comportamento della pubblica amministrazione in quanto la costruzione della casa sull'albero era avvenuta in assenza di qualsiasi autorizzazione ed era anzi proseguita nonostante l'ordine di sospensione dei lavori, di demolizione e di rimessione in pristino del 30 aprile 2008.

In altri termini, secondo la ratio decidendi, l'atto amministrativo illegittimo di sanatoria non aveva preceduto la realizzazione del manufatto, ma l'aveva seguita con la conseguenza che la condotta dell'imputato era ampiamente perfezionata e l'imputato stesso aveva già realizzato la fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, nella piena consapevolezza della presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato.

2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza, D.M., tramite i difensori, solleva un unico complesso motivo di gravame, cui hanno fatto rituale seguito due motivi nuovi, motivo principale e motivi aggiunti qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione della legge processuale e sostanziale e per vizio di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e)) su punti decisivi per il giudizio.

Si sostiene come la Corte del merito non si sia confrontata con tutti i motivi di appello (richiamati nel ricorso), essendosi piuttosto acriticamente assestata sulle rationes decidendi della prima sentenza ampiamente però censurata.

Invero era sfuggita ad entrambi i decidenti la più corretta visione delle peculiari connotazioni del manufatto quale "bird watching".

Analizzata e superata la questione concernente il vincolo cimiteriale per la mancanza, nel caso di specie, di qualsiasi edificazione, il ricorrente osserva che le caratteristiche del bird watching, sono tali da escludere la necessità di un controllo pubblico: ciò, in particolare, con riferimento ai seguenti aspetti: a) mancanza di fondamenta; b) impiego del legno invece del cemento, mattoni, etc.;

c) mancanza di impianti di qualsiasi genere;d) funzione non abitativa o, comunque, con permanenza di persone; e) facile e veloce rimovibilità.

Si tratterebbe perciò di un manufatto di carattere precario non soggetto, secondo la giurisprudenza amministrativa, al rilascio del permesso di costruire.

Si richiama, a tale proposito, la giurisprudenza di legittimità secondo la quale la sola realizzazione di interventi non autorizzati non è sufficiente per la configurabilità del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, dato che è necessario, secondo il consolidato orientamento della Corte Suprema, che "tali interventi abbiano un minimo di offensività, nel senso che essi devono essere idonei ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a vincolo".

Pertanto la messa in pericolo del bene tutelato deve concretarsi pur sempre in un nocumento potenziale da valutarsi ex ante, oggettivamente insito nella minaccia ad esso portata, dovendosi escludere qualsiasi forma di lesione del bene tutelato nel caso di trasformazione del territorio consistente in comportamenti che non incidano in senso fisico ed estetico sui beni protetti ovvero non modifichino in modo apprezzabile, sia pure temporaneamente, il paesaggio.

Sotto tale profilo, dunque, difetterebbe, secondo il ricorrente, l'elemento oggettivo del reato.

2.2. In ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico, la Corte di appello non avrebbe inoltre colto appieno, ad avviso del ricorrente, la valenza delle censure, sicchè la motivazione anche in ordine a tale punto sarebbe illogica e mancante. Il contegno (sia pure successivo) degli organi amministrativi non ha potuto che corroborare (e posteriormente confermare) lo stato di buona fede di chi si era determinato a commissionare (a ditta a ciò specializzata) una realizzazione lignea nella certezza che tale realizzazione - come pubblicizzato - non richiedesse autorizzazioni di sorta.

Infine osserva il ricorrente come la Corte di appello - affermando che "l'ordine di demolizione consegue di diritto alla condanna e non può essere revocato", laddove la censura concerneva invece la legittimità e/o l'opportunità di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto - abbia del tutto omesso di fornire adeguata risposta alla doglianza formulata, incorrendo, ancora una volta, nel vizio di motivazione denunciato.

2.3. Con il primo motivo nuovo si deduce la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 25 Cost., comma 2, Cost., art. 49 c.p., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis.

Con il secondo motivo nuovo si lamenta la nullità della sentenza impugnata per la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 27 Cost., comma 1, artt. 43 e 47 c.p., art. 192 c.p.p., e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis.

Con tali censure vengono approfonditi i rilievi mossi con il motivo di ricorso principale attraverso ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte, alla giurisprudenza costituzionale e alla dottrina.

2.3.1. In buona sostanza, si denuncia l'omessa motivazione e la violazione di legge circa la oggettiva configurabilità della concreta fattispecie criminosa, sotto il peculiare profilo della sua connotazione "offensiva" (sia pure solo in via potenziale) rispetto al bene giuridico protetto (integrità del paesaggio).

Si assume che la gravata sentenza, con riferimento ai reati formali e di pericolo presunto, avrebbe omesso di considerare un punto decisivo per il giudizio ossia che il bene tutelato va individuato non soltanto nell'interesse (formale e strumentale) della pubblica amministrazione competente a controllare preventivamente che la trasformazione dell'assetto territoriale sia conforme alla conservazione della integrità ambientale, ma altresì nell'interesse sostanziale (e finale) della integrità paesaggistico - ambientale.

Siccome la difesa dell'imputato ha correttamente eccepito che l'intervento posto in essere dal ricorrente era da ritenersi inoffensivo, a tal fine valorizzando, nei propri motivi d'appello, una serie di dati oggettivi, la Corte distrettuale ha non soltanto omesso di prendere in considerazione, (quantomeno) nella prospettiva esaminata, le questioni sollevate ma ha erroneamente disatteso i principi generali in tema di (doverosa) verifica della specifica offensività della condotta contestata.

Nella vicenda in esame, quindi, l'assenza di pericolosità dell'intervento eseguito non era stata astrattamente argomentata dall'imputato, bensì provata allegando dati obiettivi specifici, tra cui il parere favorevole di compatibilità paesaggistica reso dalla competente Soprintendenza, che aveva escluso, senza incertezze, che il c.d. bird watching, sì come progettato e realizzato, potesse avere un negativo impatto sul paesaggio circostante.

Sotto tale profilo, secondo il ricorrente, la gravata sentenza andrebbe cassata senza rinvio "perchè il fatto non sussiste" o perchè l'imputato "non è punibile" per inoffensività della condotta (ai sensi dell'art. 49 c.p., comma 2, o del generale criterio della necessaria offensività) ovvero andrebbe annullata in parte qua con rinvio alla Corte distrettuale per una risposta specifica ed adeguata sulle questioni controverse oggetto di censura.

2.3.2. Quanto all'elemento psicologico, ciò che è emerso, ad avviso del ricorrente, è in realtà il mero intendimento, da parte dell'imputato, di creare una modesta struttura in legno che, per caratteristiche costruttive e per la ovvia funzione cui avrebbe dovuto ragionevolmente assolvere (consentire l'avvistamento degli uccelli e la godibilità del paesaggio circostante), appariva pienamente coerente, anzichè distonica, con la natura del vincolo che si assume violato, così da non ingenerare nel prevenuto, al momento dell'affidamento dei lavori, alcun dubbio sulla (asserita) assoggettabilità del manufatto al preventivo controllo dell'autorità preposta alla gestione del vincolo (Comune di Torno).

E' infatti emerso come il ricorrente si sia affidato a tecnici del settore, riponendo ragionevole affidamento nella loro elevata competenza professionale e ciò esclude che egli abbia agito con la consapevolezza di realizzare un manufatto edilizio "abusivo", anche in violazione della disciplina paesaggistica prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004.

Ne consegue che l'elevato grado di complessità della normativa di settore, la ritenuta natura "precaria" e "pertinenziale" dell'intervento eseguito (tale da far escludere, quantomeno nella percezione del ricorrente, la necessità di ottenere preventivi titoli abilitativi) costituiscono circostanze che hanno certamente contribuito a far incorrere in errore il ricorrente stesso sulla interpretazione delle disposizioni che regolano la materia (in particolare, sui limiti di operatività del vincolo e sulla conseguente necessità di premunirsi di autorizzazione rispetto alla tipologia dei lavori da eseguire), portandolo a credere (sia pur erroneamente) di realizzare un fatto diverso da quello vietato, per tale ragione non punibile ai sensi dell'art. 47 c.p., comma 3.

In assenza sia di qualunque elemento idoneo a comprovare la piena consapevolezza e la diretta volontà del ricorrente di porre in essere il fatto illecito contestato, inammissibile essendo il ricorso a presunzioni di dolo (dolus in re ipsa), sia di una benchè minima confutazione delle censure difensive poste a sostegno della insussistenza della natura "dolosa" della condotta attribuibile all'imputato, deve pertanto ritenersi integrata, anche sotto tale concorrente profilo, non solo la denunciata carenza ed illogicità motivazionale ma altresì il vizio di inosservanza o erronea interpretazione della legge penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. In punto di fatto, i Giudici del merito, con doppia conforme motivazione, hanno accertato come la sola descrizione della struttura realizzata fosse ampiamente indicativa della sua rilevanza paesaggistica, essendo risultato (in particolare dal secondo verbale di sopralluogo) che dal giardino - in cui è sito l'albero attorno al quale è stata realizzata la "casa sull'albero", costituita da una struttura orizzontale e verticale in legno - si raggiungeva, salendo da una scala sempre in legno, il primo piano della stessa composto da due locali, notandosi sulle pareti verticali di essi la presenza di dieci aperture di varie dimensioni; attraverso una scala in legno interna al locale principale, si saliva poi dal piano primo al secondo piano, dotato per numero e dimensioni delle stesse aperture del piano primo e poi dal piano secondo dove, attraverso una scaletta interna, provvisoria, si raggiungeva il locale torretta; nel complesso, è stata rilevata un'altezza interna minima del manufatto pari a metri 2,31 e massima pari a metri 3,69 (al colmo della copertura); la struttura era fissata a terra con plinti di cemento in cui erano annegati i pilastri in legno che la sostenevano, le saette di sostegno della struttura a sbalzo erano fissate al fusto dell'albero con profili metallici.

I Giudici del merito hanno verificato tali affermazioni riscontrandole dai particolari fotografici e dai documenti filmati allegati a corredo degli atti processuali, sottolineando (v. sentenza del tribunale) che il secondo sopralluogo si era concluso, sotto la dicitura "considerazioni tecniche", nel seguente modo: "rispetto allo stato di fatto del manufatto realizzato abusivamente alla data del primo sopralluogo, all'atto del secondo sopralluogo è emerso che i lavori sono proseguiti nonostante la ns. diffida, di cui all'ordinanza sopra citata. E' stato realizzato un incremento di volume che sommato a quello già realizzato, costituisce un volume totale pari a 180,15 me. Ai sensi delle nostre norme tecniche di attuazione le opere realizzate costituiscono un volume edilizio.

Inoltre l'intervento è stato realizzato in zona soggetta a vincolo ambientale e soggetta a vincolo cimiteriale".

Non contestato che la zona su cui insiste il manufatto è stata dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 15 aprile 1958 pubblicato in G.U. n. 110, i Giudici del merito, dopo avere rilevato il comportamento contraddittorio degli organi della pubblica amministrazione al riguardo, hanno ritenuto che il parere (favorevole), propedeutico al rilascio della c.d. "sanatoria ambientale", espresso dalla Soprintendenza fosse fondato su circostanze contrarie alla realtà dei fatti, come cristallizzati negli esiti dei precedenti e documentati sopralluoghi, conseguendo da ciò l'illegittimità dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, in quanto adottato in violazione della previsione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter, sul rilievo che la costruzione della c.d. "casa sull'albero" avesse determinato la creazione di superfici utili e volumi considerata la tipologia del manufatto e le sue caratteristiche strutturali come dettagliatamente descritte nei verbali di sopralluogo.

Peraltro, la destinazione a bird watching del manufatto, così come sostenuta dall'imputato, è apparsa, sotto il profilo sostanziale, non condivisibile attesa la complessità strutturale e le dimensioni dell'opera che non trovano giustificazione rispetto a tale limitato utilizzo, atteso il sovradimensionamento dell'intervento rispetto alla invocata, meramente contemplativa, destinazione.

3. Al cospetto di tali articolate argomentazioni, congruamente motivate e prive di qualsiasi profilo di illogicità, come tali del tutto sufficienti a ritenere configurata la messa in pericolo dell'interesse penalmente tutelato dalla ritenuta incriminazione, il ricorrente obietta come, nel caso di specie, fosse del tutto assente ex ante (ma anche ex post) l'offensività della condotta e, in ogni caso, il dolo, facendo leva sul fatto che la stessa pubblica amministrazione ha riconosciuto (in un secondo momento) la compatibilità paesaggistica dell'intervento, convalidando l'inoffensività (ex ante) della condotta e rendendo comunque evidente (ex post) con la rilasciata "sanatoria ambientale" che alcuna offesa al bene giuridico sarebbe nella specie minimamente ipotizzabile.

Il ricorrente tuttavia non si è affatto confrontato con la motivazione censurata relativamente alla natura e alle dimensioni dell'opera (fissata a terra con plinti di cemento in cui erano annegati i pilastri in legno che la sostenevano; in aggiunta, le saette di sostegno della struttura a sbalzo erano fissate al fusto dell'albero con profili metallici) che la rendevano concretamente irrealizzabile, in assenza delle prescritte autorizzazioni (semmai potessero essere legittimamente rilasciate per consentire un'opera del genere) sia dal punto di vista urbanistico che paesaggistico, attesa la natura dei vincoli insistenti sulla zona.

Neppure il ricorrente si è confrontato con la parte di motivazione censurata che ha "disapplicato" la c.d. "sanatoria ambientale".

Sotto quest'ultimo aspetto, va chiarito che il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, (Sez. 3, n. 7216 del 17/11/2010, dep. 25/02/2011, Zolesio ed altro, Rv. 249526), con la conseguenza che, a fronte di una contestazione di lavori eseguiti, come nella specie, su aree dichiarate di notevole interesse pubblico (e comunque in tutte le ipotesi di contestazione della fattispecie delittuosa D.Lgs. n. 42 del 2001, ex art. 181, comma 1 bis), l'accertamento di compatibilità paesaggistica è del tutto irrilevante, a prescindere dall'ambito di operatività dell'art. 181, comma 1 ter, che esclude, a determinate condizioni, la rilevanza penale (non anche amministrativa dal punto di vista sanzionatorio) dell'art. 181, comma 1 (e non invece del comma 1 bis) ed anche a prescindere dalla rimessione in pristino che, ai sensi dell'art. 181, comma 1 quinquies, estingue la contravvenzione di cui al comma 1 e giammai il delitto di cui al comma 1 bis.

4. Il che lascerebbe impregiudicata la questione sull'inoffensività ex ante della condotta, correttamente esclusa dalle sentenze di merito in considerazione dalla natura e dalla consistenza dell'intervento eseguito, con accertamento di fatto che, siccome adeguatamente e logicamente motivato (e, per altro, neppure specificamente censurato), si sottrae al sindacato di legittimità.

Va a tale proposito ricordato come questa Corte - nell'affermare il richiamato principio secondo il quale il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis - abbia anche affermato che la mancata estensione alla fattispecie delittuosa della causa di non punibilità, prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter, per la sola fattispecie contravvenzionale di cui al comma primo, non viola il principio di offensività e tanto sul rilievo che, quanto alla incidenza del principio di offensività nel delitto di specie, la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale dell'originaria fattispecie di cui alla L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 1 sexies, (D.Lgs. del 2004, art. 181, ripropone relativamente ai commi 1 e 2, le previsioni già contenute nel D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, ed ancor prima dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies, conv. L. 8 agosto 1985, n. 431, ponendosi con questi precedenti in sostanziale continuità normativa, salvo modifiche formali) sotto il profilo dell'asserito contrasto di detta norma con i principi costituzionali di cui agli artt. 13, 25 e 27 Cost., nella parte in cui sottopone a sanzione penale tutte le modifiche ed alterazioni, con opere non autorizzate, di beni specificamente tutelati dal vincolo paesaggistico, senza valutare la concreta incidenza dannosa per i beni tutelati, pur rigettando la questione, ha tuttavia affermato che, con riferimento all'offensività in concreto delle condotte incriminate, l'accertamento in concreto dell'offensività specifica della singola condotta, anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto, è devoluto in ogni caso al sindacato del giudice penale, mentre la mancanza di offensività in concreto, lungi dall'integrare un potenziale vizio di costituzionalità, implica una valutazione di merito rimessa al giudice (sentenza n. 247 del 1997).

Non vi è dubbio (e lo stesso ricorrente ne è consapevole) che la fattispecie incriminatrice descritta nel D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, configuri, al pari di quella contravvenzionale, un reato di pericolo.

Da ciò consegue che, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano ictu oculi inidonee a compromettere i valori del paesaggio.

Come questa Corte ha affermato il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell'attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato conto dell'entità dell'opera eseguita e del fatto che la stessa è risultata - sulla base della documentazione anche fotografica in atti - non irrilevante sotto il profilo oggettivo, oltre ad essere stata realizzata in area dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento. Pertanto i giudici, dandone congrua motivazione, hanno valutato l'intervento idoneo a compromettere l'ambiente, pervenendo alla corretta conclusione circa la sussistenza di un'effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonchè una violazione dell'interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all'esercizio di un efficace e sollecito controllo.

Ne consegue che la condotta, nella situazione data, ha realizzato il pericolo pronosticato in astratto dal legislatore, su cui fonda la natura dei reati di pericolo presunto, con la conseguenza che solo astraendosi dalla fattispecie concreta, come adeguatamente ricostruita dal giudice di merito, è possibile, con estrapolazione logico - fattuale non consentita, ritenere vinta quella ipotetica presunzione, postulata nel ricorso, che il legislatore ha ritenuto di porre a fondamento del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

In altri termini, pur volendo distinguere, per la ricaduta che, in materia, può esercitare il principio di offensività, i reati di pericolo astratto (dove il pericolo si ritiene effettivamente implicito nella condotta) dai reati di pericolo presunto (dove il pericolo non è necessariamente insito nella condotta, poichè nel momento in cui la stessa viene posta in essere è possibile controllare l'esistenza o meno delle condizioni per il verificarsi dell'evento lesivo) e sussumendo la fattispecie incriminatrice, secondo una corretta operazione ermeneutica fatta propria e pronosticata dal ricorrente, nel novero dei reati di pericolo presunto, la verifica condotta dai Giudici del merito è ampiamente nel senso della concreta offensività della condotta a produrre l'evento temuto.

Sul punto, è sufficiente considerare la sproporzione rilevata dai Giudici del merito tra lo scopo per il quale si assume che l'opera doveva essere realizzata (mero avvistamento degli uccelli, "bird watching") e la consistenza del manufatto nonchè il suo stabile radicamento al suolo e la oggettiva funzione della struttura a poter essere persino adibita all'uso abitativo, con la conseguenza che neppure sarebbe stata fornita ex adverso la prova negativa, il cui onere normalmente si adempie fornendo la prova dei corrispondenti fatti positivi diretti a svalutare i primi o a vincere le presunzioni sui quali essi si radicano, della non offensività ex ante della condotta realizzata in relazione al fatto storico contestato.

Va allora ricordato che il paesaggio costituisce bene di rilevanza costituzionale, opzione che legittima anche la funzione anticipata di tutela affidata al diritto penale in tale nevralgico settore della vita della comunità, sull'indiscutibile rilievo che il preciso riconoscimento della valenza costituzionale attribuita al bene "ambiente - territorio" secondo una concezione dinamica del "paesaggio" (art. 9 Cost., comma 2) giustifica una tutela che esige il controllo e la direzione degli interventi che, ricadendo sul territorio stesso, influiscono sul paesaggio che, come è stato opportunamente osservato, non può essere assolutamente confinato in forma statica, quale mera conservazione del visibile.

Questa Corte ha fornito in passato una interpretazione rigorosa del principio di offensività in questa materia, affermando che la sanzione penale è posta in riferimento a condotte che violino l'interesse pubblico a che l'autorità deputata alla tutela dei beni ambientali possa valutare previamente (ossia anteriormente alla realizzazione dell'opera) il suo possibile impatto ambientale. Questo interesse pubblico, che è sotteso strumentalmente a quello avente ad oggetto direttamente la tutela del paesaggio, è leso - ed in ciò risiede l'offensività della condotta - quando non viene resa possibile questa valutazione preventiva. In tal caso la lesione del bene tutelato e l'offensività della condotta sussistono anche ove ex post la stessa autorità amministrativa possa verificare che l'opera non comportava alcun impatto ambientale negativo (Sez. F, n. 35527 del 31/08/2001, Fontana ed altri, Rv. 219895 e in motivazione).

Si tratta di un orientamento - enunciato in tema di protezione delle bellezze naturali in relazione alla modificazione dello stato di luoghi vincolati ai sensi della L. 29 giugno 1939, n. 1497, integrante il reato previsto dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies, convertito nella L. n. 431 del 1985 - che, agli effetti penali, tuttora non smentisce (v. sub 3 del considerato in diritto) quanto la disciplina positiva, a determinate condizioni, espressamente ammette o implicitamente esclude, ossia la rilevanza della sanatoria paesaggistica in relazione agli abusi ex art. 181, comma 1, escludendola categoricamente per quelli, come nel caso in esame, di cui al comma 1 bis.

Il principio di offensività, di ardua declinazione normativa e in forza del quale non è concepibile un reato senza offesa ("nullum crimen sine iniuria"), opera, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, su due piani, "rispettivamente, della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensività in astratto), e dell'applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio interpretativo - applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato" (così testualmente Corte cost. n. 265 del 2005 e, in senso conforme, v. Corte cost. nn. 360 del 1995, 263 del 2000, 519 del 2000, 354 del 2002).

Con specifico riferimento si reati paesaggistici, la Corte costituzionale ha chiarito che l'accertamento in concreto dell'offensività specifica della singola condotta, anche per i reati formali e di pericolo presunto, in ogni caso, è devoluta al sindacato del giudice penale, tanto sul presupposto che "non è incompatibile con il principio di offensività la configurazione di reati di pericolo presunto" (sentenze n. 360 del 1995 già citata; n. 133 del 1992; n. 333 del 1991; per il reato paesaggistico, sentenza n. 67 del 1992).

Nè può configurarsi una irragionevole od arbitraria valutazione operata dal legislatore, nella sua discrezionalità, della pericolosità connessa alla condotta in violazione delle speciali disposizioni stabilite a tutela delle zone di particolare interesse ambientale, contemporaneamente alla introduzione di vincoli paesistici generalizzanti, in relazione a categorie di beni, in quanto la ratio della scelta legislativa deve essere ricercata nella valutazione (così sent. n. 248 del 1997, cit.) che "l'integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che pertanto va salvaguardato nella sua interezza", giustificandosi perciò la configurazione del reato a "carattere formale e di pericolo in quanto il vincolo posto in determinate parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al suo governo", (sent. n. 67 del 1992, cit.).

Da ciò deriva pure come al Giudice di merito sia affidata la delicata operazione di bilanciamento tra principi per la verifica della concreta offensività ex ante della condotta proprio in subiecta materia (Corte cost. sent. 247 del 1997, cit.), operazione che deve tenere perciò in debito conto l'interesse pubblico a che l'autorità deputata alla tutela dei beni ambientali possa valutare previamente (ossia anteriormente alla realizzazione dell'opera) il suo possibile impatto ambientale.

Ciò conferma che, in materia di tutela del paesaggio, non hanno rilievo penale soltanto le condotte che si prospettano ictu oculi inidonee a compromettere i valori del paesaggio, con la conseguenza che la ritenuta compatibilità paesaggistica intervenuta ex post non implica necessariamente che la condotta possa, tout court, stimarsi inoffensiva ex ante (come invece si assume nel ricorso) con riferimento alla fattispecie incriminatrice D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 181, comma 1 bis.

5. Peraltro, quantunque il ricorrente non abbia sollevato alcuna questione in tal senso, non è possibile estendere, per via interpretativa, l'esclusione della punibilità prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, commi 1 ter e 1 quater, in conseguenza dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, anche alla contestata incriminazione di cui all'art. 181, comma 1 bis, dello stesso decreto legislativo, non sussistendo omogeneità e piena identità di funzione fra le discipline poste a raffronto per diversità dell'oggetto materiale del reato e dello scopo delle incriminazioni.

Questa Corte ha perciò affermato, con condivisibili pronunce alle quali occorre dare continuità, che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 ter, per contrasto con gli artt. 3, 25, 27, 42 e 97 Cost., nella parte in cui non prevede che, nonostante il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'opera, siano comunque applicabili le sanzioni penali contemplate dallo stesso art. 181, al comma 1 bis, atteso che la diversità delle situazioni disciplinate dalle norme richiamate rende non irragionevole una disciplina normativa differenziata (Sez. 3, n. 13736 del 26/02/2013, Manzella, Rv. 254762; Sez. 3, n. 7216 del 17/11/2010, dep. 25/02/2011 Zolesio ed altro, Rv. 249527). Con il delitto paesaggistico di cui all'art. 181, comma 1 bis, il legislatore ha ritenuto di sanzionare più severamente quelle condotte che, configurate come delitto e non come contravvenzioni, sono state ritenute maggiormente offensive del bene tutelato dell'integrità ambientale, consistenti o in lavori di qualsiasi genere eseguiti, come nel caso di specie, su immobili o aree tutelate già in precedenza con apposito provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, ovvero in lavori di consistente entità (come determinata con i parametri richiamati dalla lett. b) del citato comma) che ricadono su immobile o aree tutelate per legge ai sensi dell'art. 142 dello stesso testo normativo.

6. Neppure può essere sostenuta la carenza dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente.

La fattispecie di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, è punita a titolo di dolo generico (Sez. 3, n. 48478 del 24/11/2011, Mancini, Rv. 251635) con la conseguenza che, quanto alla coscienza dell'antigiuridicità della condotta, il presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma.

Nella fattispecie in esame, indipendentemente dal fatto di aver o meno incaricato esperti della materia, l'imputato aveva il dovere di informarsi preventivamente (anche) circa l'eventuale assoggettamento a vincoli dell'area sulla quale andava ad eseguire una costruzione in legno di rilevanti dimensioni e ancorata al suolo e non ha dimostrato (anzi si deve ritenere abbia escluso a cagione dell'affidamento riposto verso terzi) di avere assunto alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.

Peraltro, la pacifica prosecuzione dei lavori nonostante fosse stato emesso l'ordine di sospensione degli stessi è stata correttamente e logicamente ritenuta dai Giudici del merito quale ulteriore indice comprovante l'esistenza di una pregressa intenzione diretta a realizzare l'evento vietato e ciò esclude la configurazione di un errore, peraltro genericamente invocato, su norma extrapenale, che abbia potuto cagionare un errore sul fatto costituente il reato (ex art. 47 c.p., comma 3) attraverso la incolpevole percezione di una diversa realtà.

Va poi precisato che - nel caso di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici che ricadano, come nella specie, su aree dichiarate di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori - non può essere escluso il reato sotto il profilo soggettivo, per errore sulla non necessità dell'autorizzazione, perchè nemmeno in virtù del criterio della ignoranza inevitabile, teorizzato nella sentenza 24 marzo 1988, n. 364 della Corte costituzionale, è lecito scusare chi compia o abbia consentito ad altri di eseguire lavori di qualsiasi genere su aree sottoposte al più rigoroso vincolo senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia e la cui doverosa conoscenza avrebbe dovuto indurre a desistere da qualsiasi manomissione del luogo al massimo livello protetto.

Ne consegue che il ricorrente ha volontariamente posto in essere un'attività edilizia senza richiedere l'autorizzazione all'autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo sicchè, in assenza di dubbi circa la diretta volizione del comportamento illecito, neppure si rinvengono elementi idonei a configurare l'errore scusabile sul precetto di cui all'art. 5 c.p., ovvero l'errore su norma extrapenale ex art. 47 c.p., comma 3.

7. Va da ultimo esaminato il rilievo mosso nei confronti della sentenza impugnata circa il difetto di motivazione sul capo della decisione relativo alla sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione delle opere abusive, attività che, secondo l'assunto del ricorrente, non sarebbe più da lui esperibile avendo egli ceduto a terzi la proprietà dell'area sulla quale l'abuso stesso insiste.

Sennonchè l'imputato, che abbia beneficiato della sospensione condizionale della pena subordinata all'adempimento di determinati obblighi stabiliti nella sentenza, può certamente invocare l'impossibilità ad adempiere per caso fortuito o forza maggiore, ma non può, invece, ritenersi esonerato dall'adempimento per le ipotesi di impossibilità sopravvenute dipendenti da un proprio atto volontario, ostandovi il principio della personalità della pena e della obbligatorietà ed effettività di essa (v. Sez. 3, n. 2944 del 05/12/1983, dep. 21/02/1984, Mungai, Rv. 162774).

Perciò, essendo stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato all'esecuzione dell'ordine di demolizione da eseguirsi nel termine di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, il ricorrente, avendo ceduto nel frattempo a terzi la proprietà del luogo sul quale insiste l'abuso, non poteva invocare l'impossibilità giuridica ad adempiere, avendo egli stesso volontariamente posto in essere la causa dell'inadempimento e, fatta salva l'azione del terzo realizzata nell'interesse dell'obbligato, ogni atto volontario impeditivo dell'adempimento equivale a rinunzia ad avvalersi del beneficio per volontaria inosservanza della condizione.

La sottoposizione del condannato agli obblighi di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato è infatti riconducibile alla stessa matrice specialpreventiva che connota l'istituto della sospensione condizionale della pena nel suo complesso sicchè l'esecuzione della prestazione personale o patrimoniale imposta al reo, nei limiti previsti dalla norma sostanziale che disciplina gli obblighi cui la sospensione della pena può essere ancorata, contribuisce a ricostruire il rapporto di fiducia tra la collettività ed il soggetto e costituisce prova di ravvedimento attraverso l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

Se il soggetto stesso, cui il beneficio è stato attribuito, precostituisce volontariamente le condizioni per non adempiere, egli indebitamente si sottrarrebbe all'obbligatorietà e all'effettività della pena sicchè il mancato adempimento della condizione impedisce l'operatività del concesso beneficio.

Ne consegue che il Giudice d'appello si sarebbe dovuto limitare a rigettare, in diritto, la doglianza, lasciando, come ha fatto, inalterato il capo della sentenza impugnato.

Perciò il rilievo, pur essendo esatto in quanto effettivamente il Giudice d'appello non ha motivato sui punto, non comporta l'annullamento della decisione impugnata perchè la mancata motivazione del rigetto di un motivo di appello non può importare la nullità della sentenza quando il motivo, se esaminato, non sarebbe stato in astratto suscettibile di accoglimento. In tal caso l'omessa motivazione non arreca alcun pregiudizio alla parte e, se trattasi, di questione di diritto, all'omissione può porre rimedio, situazione nella specie sussistente, la Corte di Cassazione quale giudice di legittimità ai sensi dell'art. 619 c.p.p. (v., sotto il vigore del codice del 1930, Sez. 5, n. 1176 del 06/10/1967, dep. 22/02/1968, Caffi, Rv. 106910).

Sempre sotto il vigore del codice abrogato, questa Corte, con orientamento consolidato e tuttora valido, ha infatti affermato che non costituisce vizio di motivazione, e non comporta l'annullamento della sentenza, l'omesso esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo non suscettibile di accoglimento (Sez. 3, n. 14239 del 21/10/1986, Centoze, Rv. 174656) sicchè il mancato esame da parte del giudice di appello di un motivo di gravame manifestamente infondato non costituisce causa di annullamento della sentenza in sede di legittimità, non avendo arrecato il mancato esame del motivo nel giudizio di secondo grado alcun pregiudizio all'imputato (Sez. 4, n. 656 del 10/03/1969, Melino, Rv. 111559).

8. Trattandosi di delitto, commesso nel corso del 2008 (la sentenza di appello, non impugnata sul punto, ha statuito che i lavori sono stati ultimati nel 2008, dies a quo per il decorso del tempo necessario a prescrivere), non può ritenersi consumato il termine di prescrizione.

Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenti statuizioni come da pedissequo dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2015.