Sez. 3, Sentenza n. 2950 del 28/01/2004 (Ud. 12/11/2003 n.01859 ) Rv. 227395
Presidente: Savignano G. Estensore: Onorato P. Imputato: Pizzolato ed altro. P.M. Siniscalchi A.
(Conf.)
(Rigetta, App.Venezia, 11 dicembre 2002).
515001 BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Beni paesaggistici e ambientali - Interventi agro-silvo-pastorali - Preventiva autorizzazione - Necessità - Condizioni.
CON MOTIVAZIONE
MASSIMA (Fonte CED Cassazione)
In tema di beni paesaggistici ed ambientali, gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che comportano un'alterazione permanente dell'assetto territoriale richiedono la preventiva autorizzazione di cui all'art. 151 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, atteso che, se pure l'art. 152 del citato decreto richiede l'autorizzazione allorché l'intervento di alterazione permanente avvenga attraverso costruzioni ed altre opere civili, gli interventi che, pur avendo una finalità agro-silvo-pastorale, sono idonei a cagionare un mutamento permanente del paesaggio, tutelato dalla legge come forma estetica dell'assetto territoriale, assumono la natura di opera civile.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 12/11/2003
1. Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere - SENTENZA
2. Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1859
3. Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
4. Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 027738/2002
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PIZZOLATO Marilena, nata a Longare il 30.10.1939;
2) ZERBINATO Enea, nato a Gambellara il 17.11.1937;
avverso la sentenza resa l'11.12.2002 dalla corte d'appello di Venezia;
vista la sentenza denunciata e il ricorso;
udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Siniscalchi Antonio, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore dell'imputata Pizzolato, avv. Andra Rizzato. Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - La corte d'appello di Venezia, con sentenza dell'11.12.2002, riformando totalmente quella resa il 20.6.2001 dal tribunale monocratico di Vicenza, ha dichiarato Marilena Pizzolato e Enea Zerbinato colpevoli del reato di cui all'art. 1 sexies legge 431/1985, perché, la prima quale committente dei lavori, e il secondo quale assuntore degli stessi, senza la prescritta autorizzazione ambientale, avevano realizzato opere di sbancamento e movimento terra in un'area di circa 5.600 mq., con scavo sino a 3 m., in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, determinando così un'alterazione permanente del territorio sotto il profilo geologico:
in Creazzo il 18.5.1999.
Per l'effetto, la corte veneziana, concesse a entrambi le attenuanti generiche, ha condannato la Pizzolato a un mese di arresto ed euro 12.000 di ammenda e lo Zerbinato a venti giorni di arresto ed euro 10.000 di ammenda, con i doppi benefici di legge.
2 - I difensori della Pizzolato hanno presentato ricorso per Cassazione, deducendo tre motivi a sostegno.
2.1 - Col primo deducono inosservanza o erronea applicazione dell'art. 152 lett. b) D.Lgs. 490/1999.
Sostengono che ai sensi di questa norma non sono soggetti ad autorizzazione ambientale gli interventi inerenti all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che non alterino l'assetto idrogeologico o che, pur comportando un'alterazione permanente dello stato dei luoghi, non consistano in costruzioni edilizie o altre opere civili. Tale era - secondo i difensori - l'intervento de qua destinato al reimpianto di un vigneto.
2.2 - Col secondo motivo i ricorrenti denunciano mancanza di motivazione e violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.. Sostengono che il giudice di appello ha assunto mezzi istruttori esorbitanti rispetto al fatto contestato, disponendo una perizia volta ad accertare anche l'eventuale alterazione dell'assetto idrogeologico.
2.3 - Col terzo motivo deducono violazione di legge penale e mancanza di motivazione, giacché la sentenza impugnata ha ignorato che la Pizzolato ha ottenuto in data 28.7.2000 l'autorizzazione ambientale e in data 18.10.2000 la concessione comunale per l'esecuzione di lavori più consistenti, comprendenti anche quelli oggetto del processo. 3 - Anche il difensore dello Zerbinato ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo cinque motivi a sostegno.
3.1 - Col primo deduce inosservanza o erronea applicazione dell'art. 152 lett. b) D.Lgs. 490/1999, nonché dell'art. 522 c.p.p.. Sostengono che l'art. 152 esonera dalla necessità
dell'autorizzazione gli interventi agro-silvo-pastorali che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi per costruzioni edilizie o altre opere civili. Tale era l'intervento realizzato; se poi esso comportava un'alterazione dell'assetto idrogeologico, questo profilo non era stato contestato. 3.2 - Col secondo motivo il difensore lamenta inosservanza o erronea applicazione degli artt. 597 e 581 c.p.p., giacché il giudice di primo grado aveva assolto entrambi gli imputati con la formula "il fatto non sussiste", ma aveva anche escluso l'elemento soggettivo del reato in capo allo Zerbinato; poiché l'appello del procuratore generale avverso la sentenza assolutoria non riguardava il profilo soggettivo, sul punto s'era formato il giudicato, sicché la corte d'appello avrebbe dovuto assolvere lo Zerbinato perché il fatto non costituiva reato. L'effetto devolutivo, insomma, non arrivava a investire il giudice dell'appello anche sui punti non impugnati. 3.3 - Col terzo motivo, il ricorrente eccepisce in subordine l'incostituzionalità dell'art. 597 c.p.p., se interpretato in senso contrario a quello sostenuto, per contrasto con gli artt. 111, 3 e 24 Cost..
3.4 - Col quarto motivo si lamenta mancanza o manifesta illogicità di motivazione laddove la sentenza impugnata ha ravvisato l'elemento colposo in capo allo Zerbinato, senza considerare che questi aveva realizzato i lavori commissionatigli dalla Pizzolato, facendo legittimo affidamento sulla esistenza delle necessarie autorizzazioni, posto che la medesima era consorte del sindaco in carica, comproprietario del terreno.
3.5 - Con l'ultimo motivo, infine, il difensore denuncia inosservanza o erronea applicazione dell'art. 163 D.Lgs. 490/1999, sostenendo che l'art. 20 legge 47/1985, al quale rinvia quoad poenam, è ormai abrogato per effetto del nuovo testo unico in materia edilizia approvato con D.P.R. 380/2001, rimasto in vigore per soli nove giorni (dal 1 al 10.1.2002) e poi differito nella sua efficacia al 30.6.2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Va preliminarmente esaminata la tesi dell'abrogazione dell'art. 20 legge 47/1985, al quale rinviano quoad poenam sia il contestato art. 1 sexies della legge 431/1985, sia l'art. 163 D.Lgs. 490/1999 che l'ha sostituito in perfetta continuità normativa (v. sopra n. 3.5).
La tesi è infondata.
Come questa sezione ha più volte statuito, è vero che dall'1 al 9 gennaio 2002 la norma dell'art. 20 legge 47/1985 è stata abrogata per effetto dell'art. 136 (L), comma 2, lett. f) del testo unico sull'edilizia, approvato con D.P.R. 6.6.2001 n. 380; ma è altrettanto vero che essa è stata contestualmente sostituita dall'art. 44 (L) dello stesso testo unico, che si pone in evidente continuità normativa con la norma abrogata. Si tratta quindi di una abrogatio sine abolitione.
D'altro canto, è vero che dal 10.1.2001 il vigore del predetto testo unico è stato inusualmente "differito" o "sospeso" prima al 30.6.2002 (per effetto dell'art. 5 bis D.L. 23.11.2001 n. 411, convertito in legge 31.12.2001), poi al 30.6.2003 (per effetto dell'art. 2 D.L. 20.6.2002 n. 122, convertito in legge 1.8.2002 n. 185). Ma è chiaro che per il periodo in cui viene meno il vigore del testo unico rivivono le vecchie norme che in quel testo sono confluite in base alla legge 8.3.1999 n. 50 (Delegificazione e testi unici concernenti procedimenti amministrativi. Legge di semplificazione 1998) (v. Cass. Sez. 3^ del 6.3.2003, c.c. del 28.1.2003, P.M. in proc. De Masi, rv. 224349).
Ne consegue che, essendo rimasta in vigore la norma di riferimento quoad poenam, la norma incriminatrice del reato ambientale si configura come norma perfetta, contenente il precetto e la sanzione. 5 - Vanno quindi esaminati i motivi di ricorso attinenti all'applicabilità dell'art. 152 lett. b) D.Lgs. 490/1999, secondo cui non è richiesta l'autorizzazione ambientale "per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio", (n. 2.1 del ricorso Pizzolato e n. 3.1 del ricorso Zerbinato).
Al riguardo però la giurisprudenza di questa corte è stata sempre costante nel ritenere necessaria l'autorizzazione regionale per ogni intervento agro-silvo-pastorale che comportasse un'alterazione permanente dell'assetto territoriale, come lo sbancamento del terreno (Sez. 3^, n. 1172 del 14.1.2002, Totaro, rv. 220855, Sez. 3^, n. 4424 del 16.4.1994, Capparelli, rv. 197599), il taglio totale o lo sradicamento di alberi (Sez. 3^, n. 10964 del 13.11.1992, Pavese, rv. 192343, nonché sent. Capparelli cit.), la costruzione di una strada interpoderale (Sez. 3^, n. 2689 dell'1.3.1991, Zona, rv. 186678). Atteso che la norma dell'art. 152 citato richiede l'autorizzazione quando l'intervento di alterazione permanente del luogo avvenga attraverso "costruzioni" o "altre opere civili", la giustificazione ermeneutica di tale orientamento giurisprudenziale è evidentemente quella di ritenere che gli interventi sopra esemplificati, pur avendo una finalità agro-silvo-pastorale, assumono la natura di "opera civile", in quanto, non essendo necessariamente implicati da quella finalità, sono idonei a cagionare un mutamento permanente del paesaggio, tutelato dalla legge come forma estetica dell'assetto territoriale (ovverosia come "esteriore aspetto" espressamente protetto ex art. 151, comma 1, D.Lgs. 490/1999). In tal senso "opera civile" è nozione più ampia di quella di "costruzione", che è un'opera civile di specie particolare (una motivazione di tal fatta è implicitamente contenuta nella sentenza Pavese). A questa stregua, non v'è dubbio che l'intervento realizzato dagli imputati, anche se asseritamente finalizzato a reimpiantare un vigneto, configurava una "opera civile" che immutava in modo permanente l'assetto dei luoghi, posto che comportò lo scavo di circa 5.600 mq. di terreno per una profondità sino a 3 metri, intaccando "massicciamente" lo strato roccioso originario (pag. 3 sent. imp.).
6 - In ogni caso, la necessità della previa autorizzazione regionale era imposta anche dall'alterazione dell'assetto idrogeologico del terreno, che è pacifica tra le parti.
Nè è fondato sostenere - come fa il difensore di Zerbinato nel motivo 3.1 - che questo profilo del fatto non era stato contestato, giacché nel capo di imputazione era stata espressamente contestata "l'alterazione permanente del terreno dal punto di vista geologico", in cui è compresa anche l'alterazione idrogeologica. Nella lingua italiana la idrogeologia è "lo studio delle acque superficiali e sotterranee, in quanto costituenti dei terreni e agenti esogeni di fenomeni geologici" (vocabolario Zanichelli), sicché è compresa nella geologia, come la species nel genus.
Per la stessa ragione è infondato anche il motivo di ricorso 2.2 del difensore della Pizzolato.
La perizia disposta dal giudice di appello per accertare l'alterazione dell'assetto idrogeologico rientrava perfettamente nei suoi poteri istruttori, posto che non presupponeva una immutazione strutturale dell'imputazione, senza considerare che sul punto gli imputati hanno potuto pienamente esercitare i loro diritti difensivi. 7 - Destituita di fondamento giuridico è anche la censura n. 2.3 della Pizzolato.
Il fatto che questa abbia ottenuto ex post l'autorizzazione ambientale non esclude il reato di cui all'art. 1 sexie legge 431/1985 (e ora quello di cui all'art. 163 D.Lgs. 490/1999), giacché trattasi di reato formale che ha per oggetto giuridico la tutela dell'interesse della pubblica amministrazione al preventivo controllo di ogni immutazione del territorio, a prescindere dall'effettivo danneggiamento ambientale.
Nè rileva che la proprietaria abbia poi ottenuto una concessione edilizia per la realizzazione di ulteriori e più estesi interventi sullo stesso terreno.
Ignorando questi sopravvenuti elementi di fatto, quindi, la sentenza impugnata non è incorsa in alcun vizio di legittimità o di motivazione.
8 - Restano da esaminare da ultimo i motivi di ricorso dello Zerbinato attinenti all'elemento soggettivo della contravvenzione. La circostanza che lo Zerbinato avesse realizzato il lavoro commissionatogli dalla Pizzolato facendo affidamento sul fatto che questa era consorte del sindaco in carica, comproprietario del terreno, e che quindi si era verosimilmente munita della necessaria autorizzazione ambientale (v. n. 3.4), non lo esonerava dalla colpa, che è il minimo requisito psicologico atto a integrare la contravvenzione de qua.
Secondo la giurisprudenza costante di questa corte la colpa nelle contravvenzioni è esclusa solo quando l'agente abbia fatto affidamento su un atto positivo della pubblica amministrazione competente o dell'autorità giudiziaria. Nel caso di specie non risulta alcun atto positivo di questa natura idoneo a fondare la buona fede dell'imputato.
8.1 - Quanto al motivo n. 3.2, va osservato che il giudice di primo grado aveva assolto entrambi gli imputati con la seguente motivazione: a) l'intervento era stato realizzato in una zona già alterata per la presenza di una cava a breve distanza; b) l'intervento era comunque inoffensivo giacché non aveva provocato danno paesaggistico; c) quanto all'elemento psicologico, era certo in capo alla Pizzolato, sotto forma di dolo, mentre era da escludersi in capo allo Zerbinato, anche nella forma colposa.
Coerentemente con tale motivazione, il giudice aveva assolto entrambi gli imputati con la formula "il fatto non sussiste".
Sostiene ora il ricorrente che, dal momento che l'appello del Pubblico Ministero non aveva censurato l'argomentazione relativa al profilo soggettivo del reato in capo allo Zerbinato, sul punto si era formato il giudicato, con la conseguenza che la corte d'appello doveva assolvere lo stesso Zerbinato con la formula "il fatto non costituisce reato".
Ma la tesi è infondata.
Com'è noto, secondo l'uniforme interpretazione della giurisprudenza, per "punti" della sentenza che delimitano l'effetto devolutivo dell'appello ex art. 597 c.p.p. si intendono quelle statuizioni della decisione che, investite dai motivi di impugnazione, sono rimesse alla cognizione del giudice di secondo grado, mentre rimangono estranee al devolutum quelle altre statuizioni della decisione, che, non essendo investite dall'impugnazione, acquistano autorità di cosa giudicata. Di conseguenza, per delimitare l'ambito della devoluzione, si deve aver riguardo non solo ai motivi dell'appello, ma anche alle statuizioni del dispositivo, indipendentemente dalle argomentazioni che le sorreggono, perché queste attengono al momento logico e non a quello decisionale del provvedimento impugnato (cfr. per tutte Cass. Sez. Un. n. 1 del 4.1.1996, Timpanaro; Cass. Sez. 1^, n. 2390 del 12.3.1997, De Luca).
Orbene, nel caso di specie, la decisione adottata dal primo giudice e impugnata dal Pubblico Ministero che era devoluta al giudice d'appello aveva ad oggetto l'assoluzione di entrambi gli imputati con la formula "il fatto non sussiste" e prescindeva dalla motivazione, del tutto ultronea, sul profilo psicologico del reato. Non esisteva invece una assoluzione dello Zerbinato con la formula "il fatto non costituisce reato"; e quindi non poteva formarsi il giudicato su una siffatta assoluzione.
In altri termini, è assolutamente illogico sostenere che, sol perché il Pubblico Ministero non aveva censurato quella ultronea motivazione sull'elemento psicologico, si era formato il giudicato su una decisione di assoluzione dello Zerbinato - perché il suo fatto non costituiva reato - che in realtà non esisteva. Questo "punto", infatti, non era compreso nel dispositivo della sentenza, ma semmai solo nella motivazione.
Si comprende così perché l'appello del Pubblico Ministero contro una sentenza di assoluzione "investe l'intera sentenza con effetto pienamente devolutivo, con la conseguenza che il giudice è legittimato a rivalutare tutte le precedenti risultanze processuali e a considerare sotto diverso aspetto anche i punti della motivazione della sentenza che non abbiano formato oggetto di specifica censura" (Cass. Sez. 3^, n. 11054 del 2.12.1997, Merenda, rv. 209050; nello stesso senso Cass. Sez. 3^, n. 1808 del 16.2.1996, Casadei, rv. 203786).
Sulla stessa linea questa corte ha già precisato che "L'atto di appello, secondo l'art. 597, comma primo, cod. proc. pen., attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.
Per punto della decisione (art. 581, lett. a), cod. proc. pen.) deve intendersi quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo, quale, ad esempio, la sussistenza o meno di un determinato reato, ivi compresi tutti gli elementi essenziali alla configurazione della medesima. Rimangono fuori della devoluzione le varie argomentazioni strumentali contenute sia nell'impugnativa sia nel provvedimento impugnato, giacché solo il momento decisionale del procedimento di impugnazione è sottoposto al principio devolutivo, mentre il momento argomentativo ne è svincolato e viene regolamentato soltanto dai canoni della logica e del diritto. L'impugnazione del proscioglimento "perché il fatto non sussiste", emesso dal giudice dell'udienza preliminare, ad opera del Pubblico Ministero che richiede alla Corte di Appello di disporre il rinvio a giudizio dell'imputato, devolve al giudice di appello l'esame della sussistenza o meno di tutti gli estremi (sottolineatura nostra) per la configurazione del delitto in questione" (Cass. Sez. 2^, sent. n. 5116 del 04,05.1994, Devoto, rv. 98488). 8.2 - Il ricorrente sostiene tuttavia che questa interpretazione dell'art. 597 c.p.p. sarebbe in contrasto con gli artt. 111, 3 e 24 Cost., senza peraltro specificarne adeguatamente le ragioni. Accenna soltanto all'argomento secondo cui "tale amplissimo effetto devolutivo concesso solamente all'impugnazione del P.M. creerebbe una evidente disparità di trattamento tra accusa e difesa". Ma l'argomento è palesemente infondato sotto più profili:
anzitutto, in realtà, è proprio una corretta concezione della nozione di "punto" della sentenza che permette di non "ampliare" l'effetto devolutivo, estendendolo alla motivazione, ma piuttosto consente di "restringerlo" alle statuizioni della decisione; in secondo luogo, l'effetto devolutivo è definito solo dai "punti" decisionali impugnati, senza fare alcuna differenza tra le parti processuali che impugnano, siano essi Pubblici Ministeri o imputati. Non è quindi ravvisabile alcun contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 o con quello di parità delle parti davanti al giudice, di cui all'art. 111, e, per conseguenza, neppure col diritto di difesa dell'imputato di cui all'art. 24 Cost.. 9 - I ricorsi vanno quindi respinti. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto dei ricorsi, non si ritiene di dover irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione dichiara manifestamente infondata la proposta questione di illegittimità costituzionale, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2004