Cass. Sez. III n. 31403 del 10 luglio 2018 (Ud 11 mag 2018)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Ercolini
Rifiuti.Ecopiazzole o isole ecologiche

In tema di gestione di rifiuti non autorizzata, i centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, o "ecopiazzole", necessitano, pur dopo l'introduzione della apposita disciplina di cui all'art. 183 lett. mm) del D.Lgs. n. 152 del 2006, del rilascio di previa autorizzazione regionale laddove il centro non risponda ai requisiti dei decreti ministeriali di riferimento o le attività in esso svolte esulino dalle funzioni proprie del centro.



RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 19/6/2017 ha confermato la decisione con la quale, in data 17/11/2016, il Tribunale di Pistoia aveva affermato la responsabilità penale di Giorgio ERCOLINI per i reati di cui agli artt. 256, comma 1, lett. a); 256, commi 2 e 1, lett. a), 256, comma 5 e 137, comma 1 d.lgs. 152\06 perché, quale legale rappresentante della “Ecologia & Servizi s.r.l.”, effettuava attività di gestione non autorizzata di rifiuti presso un centro di raccolta non rispettando quanto previsto dal d.m. 8/4/2008 e dal d.m. 13/5/2009, effettuando anche attività di trasporto e abbandonando sul suolo rifiuti speciali non pericolosi, effettuando la miscelazione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi ed attivando uno scarico di acque reflue industriali in assenza di autorizzazione (fatti accertati in Montecatini il 27/6/2012, 5/7/2012, 10/8/2012, 19/9/2012 e 212/9/2012).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che la gestione del centro di raccolta veniva effettuata disponendo dell’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali e solo la mancanza di tale titolo consentirebbe di configurare una violazione dell’art. 256 d.lgs. 152\06.

3. Con un secondo motivo di ricorso  deduce il vizio di motivazione in relazione alla contestazione di cui al capo A) dell’imputazione,  ritenendo la sussistenza del reato esclusa da plurime emergenze processuali, che indica nel dettaglio.

4. Con un terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso svolge analoghe censure con riferimento agli ulteriori capi della rubrica.

5. Con un settimo motivo di ricorso rileva l’intervenuta prescrizione dei reati.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va premesso che l’attività di cui si discute è afferente alla gestione di un “centro di raccolta” dei rifiuti, altrimenti denominato come “ecopiazzola”.
Come ricordato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 1690 del 11/12/2012 (dep. 2013), Pellegrino, Rv. 254413, con richiami anche ai precedenti. Conf. Sez. 3, n. 22260 del 31/3/2016 (dep. 2017), Nutini, non massimata), la definizione di tali aree è stata introdotta nel d.lgs. 152\06 ad opera del d.lgs. 4\2008 (in vigore dal 13.2.2008), il quale ha disposto, con l'art. 2, comma 20, la modifica dell'art.183 del «codice ambientale», il quale alla lettera cc) contemplava i «centri di raccolta». Ciò è verosimilmente avvenuto, come osservato da accorti commentatori, in ragione dei principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte e di cui meglio si dirà successivamente.  
A seguito delle modifiche poi apportate alla richiamata disposizione, la definizione di «centro di raccolta» è ora contenuta nella lettera mm) del citato articolo, nella quale si legge che si intende come tale un' «area  presidiata  ed  allestita,  senza nuovi  o  maggiori  oneri  a  carico  della  finanza  pubblica, per l'attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori  per  il trasporto agli impianti di recupero e trattamento».
L'art. 183 d.lgs. 152\06 stabiliva, fin dall'origine, che alla disciplina dei centri di raccolta doveva provvedersi con decreto del Ministro dell'ambiente  e della tutela  del  territorio e del  mare, sentita la Conferenza unificata Stato - Regioni, città e autonomie locali, di cui al decreto legislativo 28.8.1997, n. 281.
Ciò avveniva con il D.M. 8.4.2008, recante «Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche» (in G.U. n. 99 del 28.4.2008), nel quale i «centri di raccolta» venivano individuati nell’articolo 1.
I titoli abilitativi richiesti venivano indicati nel successivo articolo 2, che individuava anche la disciplina transitoria per i centri già in attività, mentre gli allegati fornivano l'indicazione dei requisiti tecnico – gestionali dei centri medesimi ed i modelli di «scheda rifiuti».
Con Deliberazione del 29.7.2008 (in G.U. n. 206 del 3.9.2008), il Comitato nazionale dell'Albo nazionale gestori ambientali ha indicato criteri e requisiti per l'iscrizione all'Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell'attività di gestione dei centri di raccolta di cui al D.M. 8.4.2008. E' questo il provvedimento al quale si riferisce il ricorrente nel ricordare la disciplina transitoria di cui all'art. 2, comma 7 del D.M., osservando che, alla data di commissione del reato indicata nell'imputazione, il termine per l'adeguamento non era ancora scaduto.
Il D.M. 8 aprile 2008, tuttavia, è stato successivamente dichiarato improduttivo di effetti con nota dell’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 4 novembre 2008, con la quale veniva reso noto che esso, al momento della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non poteva produrre effetti in quanto era privo dei necessari riscontri da parte degli organi di controllo. Con la medesima nota il predetto Ufficio legislativo precisava anche che l’inefficacia del d.m., perdurando al momento dell’adozione della citata deliberazione 29.7.2008, si era riverberata sulla delibera stessa ed invitava il Comitato nazionale a voler formalizzare il ritiro in autotutela della deliberazione stessa, cosa che avveniva con deliberazione del 25.11.2008 ( in G.U. n. 295 del 18.12.2008).
Con successivo D.M. 13.5.2009 sono state apportate modifiche al decreto 8.4.2008, sostanzialmente ampliando le categorie di rifiuti conferibili rispetto all'originaria elencazione, nonché dilatando i termini della disciplina transitoria di cui all'art. 2, comma 7, termini ulteriormente prorogati al 30 giugno 2010 dall'articolo 8, comma 4-ter, d.l. 30.12.2009, n. 194, convertito nella legge 26.2.2010 n.25.
In seguito, con Deliberazione del 20 luglio 2009, il Comitato nazionale dell'Albo nazionale gestori ambientali (in G.U. n. 180 del 5.8.2009) ha nuovamente fissato criteri e requisiti per l’iscrizione all’Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell’attività di gestione dei centri di raccolta.

3. Alla luce delle richiamate disposizioni, la citata sentenza “Pellegrino” è pervenuta alla conclusione che i centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, o "ecopiazzole", necessitano, pur dopo l'introduzione della apposita disciplina di cui all'art. 183 lett. mm) del d.lgs.  n. 152 del 2006, del rilascio di previa autorizzazione regionale laddove il centro non risponda ai requisiti dei decreti ministeriali di riferimento o le attività in esso svolte esulino dalle funzioni proprie del centro.
Tale affermazione, pienamente condivisa dal Collegio, rende evidente la correttezza delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito, avendo ritenuto, sulla base di quanto accertato in fatto, che la gestione dell’ecopiazzola avveniva con modalità che esulavano da quelle tipiche dei centri di raccolta, minuziosamente descritte nella corposa imputazione.
Tale evenienza, proprio per le ragioni rappresentate dalla richiamata giurisprudenza, rendeva valutabili tali comportamenti alla luce di quanto disposto dalla disciplina generale in tema di rifiuti, evidenziandosi, così, la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.

4. Va poi rilevato che gli ulteriori motivi di ricorso, nel lamentare il vizio di motivazione, si risolvono in censure inammissibili, perché finalizzate alla proposizione, in questa sede, di una lettura alternativa delle risultanze processuali, peraltro attraverso richiami ad atti del procedimento la cui disamina non è consentita al giudice di legittimità, il cui compito, come è noto, non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463)    
 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 11/5/2018