Cass. Sez. III n. 7466 del 19 febbraio 2008 (ud. 15 gen. 2008)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Pagliaroli
Rifiuti. Nozione di rifiuto
L\'articolo 6 lettera a) del decreto Ronchi definiva rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie riportate nell\'allegato A) ,di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l\'obbligo di disfarsene. La definizione è stata sostanzialmente riprodotta nell\'articolo 183 lettera a) del decreto legislativo n 152 del 2006 e consiste in definitiva nella traduzione di quella contenuta nella direttiva comunitaria già utilizzata nel D.P.R. n 915 del 1982. Dalla definizione dianzi indicata emerge chiaramente che il legislatore ha optato per la nozione cosiddetta" oggettiva" del rifiuto, legata, da un lato, all\' obiettiva possibilità di ricondurre determinate sostanze entro le categorie predeterminate a livello comunitario e, dall\' altro, all\' obiettiva condotta del detentore o ad un obbligo cui lo stesso è tenuto. Disfarsi di un rifiuto significa avviarlo alla sua normale destinazione costituita dal recupero o dallo smaltimento. Pertanto, se la destinazione data dal detentore ad una determinata sostanza è costituita dal recupero o dallo smaltimento, non v\'è dubbio sulla natura di rifiuto della sostanza stessa . In altri termini la natura di rifiuto di una determinata sostanza sussiste, non solo quando il detentore abbia deciso di disfarsene, ma anche quando ha l\'obbligo di disfarsene avviando la sostanza stessa al recupero o allo smaltimento.
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Pagliaroli
Rifiuti. Nozione di rifiuto
L\'articolo 6 lettera a) del decreto Ronchi definiva rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie riportate nell\'allegato A) ,di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l\'obbligo di disfarsene. La definizione è stata sostanzialmente riprodotta nell\'articolo 183 lettera a) del decreto legislativo n 152 del 2006 e consiste in definitiva nella traduzione di quella contenuta nella direttiva comunitaria già utilizzata nel D.P.R. n 915 del 1982. Dalla definizione dianzi indicata emerge chiaramente che il legislatore ha optato per la nozione cosiddetta" oggettiva" del rifiuto, legata, da un lato, all\' obiettiva possibilità di ricondurre determinate sostanze entro le categorie predeterminate a livello comunitario e, dall\' altro, all\' obiettiva condotta del detentore o ad un obbligo cui lo stesso è tenuto. Disfarsi di un rifiuto significa avviarlo alla sua normale destinazione costituita dal recupero o dallo smaltimento. Pertanto, se la destinazione data dal detentore ad una determinata sostanza è costituita dal recupero o dallo smaltimento, non v\'è dubbio sulla natura di rifiuto della sostanza stessa . In altri termini la natura di rifiuto di una determinata sostanza sussiste, non solo quando il detentore abbia deciso di disfarsene, ma anche quando ha l\'obbligo di disfarsene avviando la sostanza stessa al recupero o allo smaltimento.
In fatto
Con sentenza del 9 maggio del 2007, il tribunale di Bologna condannava Pagliaroli Marino alla pena di € 1800,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, quale responsabile del reato di cui all’articolo 51 commi 1 e 2 decreto Ronchi, perché, nella qualità di legale rappresentante dell\'impresa edile COIRIV S.N.C., aveva abbandonato kg 12.000 di rifiuti speciali costituiti da materiale edile. Fatto accertato in Loiano il 17 settembre del 2003.
Il prevenuto si era giustificato asserendo che quel materiale non era stato abbandonato, ma era stato ivi accatastato per essere riutilizzato come sottofondo per la realizzazione di un piazzale nell\'ambito della programmata ristrutturazione di tre fabbricati.
Il tribunale a fondamento della decisione osservava invece che la tesi dell\'imputato non poteva essere accolta, sia perché quel materiale non poteva essere riutilizzato senza trattamenti preliminari, in quanto era costituito da pezzature piuttosto voluminose, sia perché nell\'ambito della progettata ristrutturazione dei tre fabbricati non era prevista la realizzazione di alcun piazzale.
Ricorre per cassazione il difensore denunciando:
1) la violazione dell\'articolo 6 del decreto Ronchi - ora art 183 lettera a) del decreto legislativo n. 152 del 2006 - in merito alla nozione di rifiuto nonché omessa motivazione in ordine all\'intenzione del detentore: assume che il materiale in questione non poteva considerarsi rifiuto perché destinato ad essere riutilizzato come sottofondo e, d\'altra parte, mancherebbe la prova della volontà del prevenuto di disfarsene: il tribunale aveva omesso di considerare che la nozione di rifiuto richiede l\'intenzione del detentore di disfarsene, intenzione che nella fattispecie mancava;
2) la violazione dell\'articolo 14 legge n. 178 del 2002 e 183 lettera n) del decreto legislativo n. 152 del 2006, in merito alla nozione di sottoprodotto nonché omessa motivazione in ordine all\'applicabilità alla fattispecie di tale nozione, posto che il materiale in esame poteva considerarsi un sottoprodotto;
3) carenza dell\'elemento psicologico della colpa poiché l\'interpretazione dell\'articolo 14 della legge n. 178 del 2002 in ordine all\'utilizzazione dei residui era complessa e poteva causare in buona fede errori da parte degli operatori.
In diritto
Il ricorso va respinto perché infondato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
I primi due motivi, essendo strettamente connessi perché relativi alla nozione di rifiuto, vanno esaminati congiuntamente.
L\'articolo 6 lettera a) del decreto Ronchi definiva rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie riportate nell\'allegato A), di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l\'obbligo di disfarsene. La definizione è stata sostanzialmente riprodotta nell’articolo 183 lettera a) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e consiste in definitiva nella traduzione di quella contenuta nella direttiva comunitaria già utilizzata nel D.P.R. n. 915 del 1982. Dalla definizione dianzi indicata emerge chiaramente che il legislatore ha optato per la nozione cosiddetta "oggettiva" del rifiuto, legata, da un lato, all\'obiettiva possibilità di ricondurre determinate sostanze entro le categorie predeterminate a livello comunitario e, dall\'altro, all\'obiettiva condotta del detentore o ad un obbligo cui lo stesso è tenuto. Disfarsi di un rifiuto significa avviarlo alla sua normale destinazione costituita dal recupero o dallo smaltimento. Pertanto, se la destinazione data dal detentore ad una determinata sostanza è costituita dal recupero o dallo smaltimento, non v\'è dubbio sulla natura di rifiuto della sostanza stessa. In altri termini la natura di rifiuto di una determinata sostanza sussiste, non solo quando il detentore abbia deciso di disfarsene, ma anche quando ha l\'obbligo di disfarsene avviando la sostanza stessa al recupero o allo smaltimento. La teoria cosiddetta soggettiva della nozione del rifiuto, che privilegiava l\'intenzione del detentore, come auspicato dal ricorrente, si deve ormai ritenere superata perché respinta, sia da questa corte (cfr per tutte: cass. n 31011 del 18 giugno del 2002, Zatti), che dalla stessa giurisprudenza comunitaria.
Invero, dalla giurisprudenza comunitaria si traggono i seguenti principi relativi alla nozione di rifiuto:
- obbligo d\'interpretare in maniera estensiva la nozione dì rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli);
- il verbo «disfarsi» deve essere interpretato considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell\'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell\'ammasso e del deposito dei rifiuti (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit);
- la riutilizzazione economica di una sostanza o un di un oggetto non esclude necessariamente la sua natura di rifiuto (Corte Giustizia 28 marzo 1990, Vessoso ed altro);
- l\'applicazione delle direttive in tema di rifiuti non può dipendere dall\'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altre persone delle sostanze o degli oggetti di cui si disfa (Corte di Giustizia 28 marzo 1990 Vessovo, già citata);
- la nozione di rifiuto non esclude, in via di principio, alcun tipo di residuo, di prodotto di scarto e di altri materiali derivanti da processi industriali (Corte di Giustizia 18 dicembre 1997,Wallonie);
- il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto (Corte Giustizia 18 dicembre 1997, cit.).
Ciò premesso sulla nozione di rifiuto, si rileva che gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi costituivano rifiuti speciali ex art. 7 comma terzo lettera b) del decreto Ronchi, salvo che fossero destinati ad essere riutilizzati secondo le previsioni di cui all\'articolo 14 del D.L. 18 luglio del 2002 n. 138 convertito nella legge n. 178 del 2002, e cioè a condizione che fosse certa: a) l\'individuazione del produttore o del detentore; b) la provenienza degli stessi; c) la sede ove erano destinati; d) il loro riutilizzo in un ulteriore ciclo produttivo senza trasformazioni preliminari; e) la mancanza di danno per l\'ambiente, (cfr Cass. 46680 del 2004; 37508 del 2003). La sussistenza delle condizioni anzidette era contestuale e la mancanza di una sola di esse rendeva l\'inerte soggetto alla disciplina sui rifiuti. La nozione di rifiuto del materiale derivante da attività di demolizione e costruzione è stata ribadita con l\'articolo 184 coma terzo lettera b) del decreto legislativo n. 152 del 2006.
L\'anzidetto materiale non può essere assimilato alle terre o rocce da scavo già escluse, a determinate condizioni, dalla nozione di rifiuto, a norma della lettera f bis) dell\'articolo 8 del decreto Ronchi inserita con l’articolo 10 comma 1 legge 23 marzo 2001 n. 93.
Sotto la vigenza del decreto Ronchi la giurisprudenza prevalente di questa sezione aveva affermato la non assimilazione degli inerti alle terre e rocce da scavo, sia perché il materiale proveniente da demolizioni non è costituito soltanto da terriccio e ghiaia, come quello proveniente da scavi, ma anche da cemento, asfalto, mattoni, ecc. sostanze che costituiscono rifiuti (cfr Cass. n. 8936 del 2003; n. 12851 del 2003; 16695 del 2004), sia perché l\'attività di demolizione e costruzione che riguarda gli edifici o le strade è strutturalmente diversa dagli scavi che riguardano i terreni (Cass. 15 gennaio 2002, Dessena; nello stesso senso Cass. 14 marzo del 2002 n. 16383, Li Petri, nella quale si è sottolineato che l\'esclusione, essendo stata inserita con una legge relativa all\'esecuzione di grandi opere, doveva essere limitata appunto alle esecuzione delle grandi opere indicate nella legge Lunardi, posto che siffatta esclusione era contenuta in una legge funzionale alle esecuzione di tali opere). In ogni caso, a prescindere dal problema relativo alla limitazione dell\'esclusione alle sole terre e rocce da scavo provenienti dalle grandi opere, sul quale esisteva contrasto presso questa sezione, si può considerare assolutamente prevalente l\'orientamento in forza del quale gli inerti provenienti da demolizioni e costruzioni non erano comunque assimilabili alle terre e rocce da scavo perché previsti come rifiuti speciali dall\'articolo 7 comma 3 lettera b) del decreto Ronchi ed erano distinti dai rifiuti pericolosi provenienti dalle attività dì scavo. Questi ultimi, ossia i rifiuti provenienti dalle attività di scavo, erano esclusi dalla disciplina sui rifiuti alle condizioni stabilite con l\'articolo 1 comma 17-19 della legge 21 dicembre del 2001 n. 443, che ha interpretato autenticamente sia il comma 3 lettera b) dell\'articolo 7 del decreto Ronchi che l\'articolo 8 lettera f) bis del menzionato decreto, lettera inserita, come sopra precisato, con l\'articolo 10 comma 1 legge 23 marzo del 2001 n. 93.
La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizioni di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n. 156 del 2006, posto che continuano ad essere considerati rifiuti quelli derivanti da attività di demolizione o costruzione (articolo 184 comma terzo lettera b), mentre sono escluse dalla disciplina dei rifiuti le terre e rocce da scavo alle condizioni dettate dal legislatore con l\'articolo 186, condizioni che sono state analiticamente formulate al fine di recepire le indicazioni della Commissione europea contenute nelle varie procedure d\'infrazione aperte contro l\'Italia proprio per l\'esclusione dalla categoria dei rifiuti delle terre e rocce da scavo.
Pertanto gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l\'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento (cfr. sotto la vigenza del decreto legislativo n. 152 del 2006: Cass. n 23788 del 2007).
Il riferimento all\'articolo 14 della legge n. 178 del 2002 ed alla nozione di sottoprodotto di cui all\'articolo 183 lettera n) del decreto legislativo n. 152 del 2006, per escludere il materiale in questione dalla disciplina sui rifiuti, non è pertinente.
L\'articolo 14 è stato abrogato dall\'articolo 264 del decreto legislativo n.. 152 del 2006 e comunque, quando era in vigore, escludeva l\'applicazione della disciplina sui rifiuti ai residui di produzione a condizione però che fossero riutilizzati senza subire alcun trattamento preliminare e senza danno per l\'ambiente. Nella fattispecie quel materiale per essere riutilizzato come sottofondo doveva subire un trattamento preliminare perché era costituito da pezzature di rilevanti dimensioni, come risulta dalla sentenza impugnata. Inoltre il riutilizzo doveva essere certo e non eventuale. Nella fattispecie tale riutilizzo è stato escluso dal tribunale perché in base al progetto non era prevista la costruzione di alcun piazzale dove impiegare gli inerti in questione come sottofondo.
L\'articolo 183 lettera n) ha sì introdotto la nozione di "sottoprodotto", che non era indicata nel decreto Ronchi, ma siffatta nozione è stata subordinata a determinate condizioni imposte anch\'esse da varie decisioni comunitarie, tra le quali la nota sentenza "Palin Granit" del 2002 ed altre successive. Secondo la definizione datane dall\'art. 183 lettera n) sono dunque sottoprodotti quelli "dell\'attività dell\'impresa che, pur non costituendo l\'oggetto dell\'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell\'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo".
I sottoprodotti non sono soggetti alle disposizioni sui rifiuti qualora presentino le seguenti, ulteriori caratteristiche:
- l\'impresa che li produce non se ne disfi, non è obbligata a disfarsene e non ha deciso di disfarsene secondo l\'accezione del termine cui si è accennato in precedenza;
- i sottoprodotti vengono impiegati direttamente dall\'impresa che li produce o sono commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l\'impresa stessa direttamente per il consumo o per l\'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo: si intende come trasformazione preliminare qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo;
- l\'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale e, a tale scopo, deve essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell\'impianto dove avviene l\'effettivo utilizzo;
- l\'utilizzo del sottoprodotto non deve, infine, comportare per l\'ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive.
Le anzidette condizioni devono sussistere contestualmente. La mancanza di una sola di esse rende il residuo soggetto alle disposizioni sui rifiuti.
Nella fattispecie non ricorre alcuna delle anzidette condizioni perché non risulta che quel materiale provenisse dall\'attività esercitata dal prevenuto; non poteva essere riutilizzato senza trattamenti preliminari come già precisato; non era certa la stessa riutilizzazione e non risulta la mancanza di danno per l\'ambiente.
Infondato è anche il terzo motivo poiché nei reati contravvenzionali si risponde anche a titolo di colpa, per la sussistenza della quale è sufficiente che il comportamento sia stato determinato da imprudenza, negligenza o imperizia.
L\'ignoranza della legge penale scusa l\'autore dell\'illecito solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Costituzionale sentenza n, 364 del 1988). Nella fattispecie in esame correttamente i giudici del merito hanno escluso che l\'imputato abbia assolto con la dovuta diligenza l\'onere dell\'informazione che incombe su chi esercita a titolo professionale una determinata attività. D\'altra parte, l\'articolo 14 della legge n. 178 del 2002, richiamato dal prevenuto per giustificare la sua buona fede, ha sì posto delicati problemi interpretativi, ma essi riguardavano essenzialmente la compatibilità con la nozione comunitaria di rifiuto perche la norma anzidetta la restringeva, ma era comunque certo, per il tenore letterale dell\'articolo, che un determinato residuo poteva essere sottratto alla disciplina sui rifiuti solo a condizione che fosse riutilizzato senza subire trattamenti preliminari e fosse certa la riutilizzazione senza danni per l\'ambiente. Nella fattispecie, come più volte precisato, siffatte condizioni non ricorrono.
Con sentenza del 9 maggio del 2007, il tribunale di Bologna condannava Pagliaroli Marino alla pena di € 1800,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, quale responsabile del reato di cui all’articolo 51 commi 1 e 2 decreto Ronchi, perché, nella qualità di legale rappresentante dell\'impresa edile COIRIV S.N.C., aveva abbandonato kg 12.000 di rifiuti speciali costituiti da materiale edile. Fatto accertato in Loiano il 17 settembre del 2003.
Il prevenuto si era giustificato asserendo che quel materiale non era stato abbandonato, ma era stato ivi accatastato per essere riutilizzato come sottofondo per la realizzazione di un piazzale nell\'ambito della programmata ristrutturazione di tre fabbricati.
Il tribunale a fondamento della decisione osservava invece che la tesi dell\'imputato non poteva essere accolta, sia perché quel materiale non poteva essere riutilizzato senza trattamenti preliminari, in quanto era costituito da pezzature piuttosto voluminose, sia perché nell\'ambito della progettata ristrutturazione dei tre fabbricati non era prevista la realizzazione di alcun piazzale.
Ricorre per cassazione il difensore denunciando:
1) la violazione dell\'articolo 6 del decreto Ronchi - ora art 183 lettera a) del decreto legislativo n. 152 del 2006 - in merito alla nozione di rifiuto nonché omessa motivazione in ordine all\'intenzione del detentore: assume che il materiale in questione non poteva considerarsi rifiuto perché destinato ad essere riutilizzato come sottofondo e, d\'altra parte, mancherebbe la prova della volontà del prevenuto di disfarsene: il tribunale aveva omesso di considerare che la nozione di rifiuto richiede l\'intenzione del detentore di disfarsene, intenzione che nella fattispecie mancava;
2) la violazione dell\'articolo 14 legge n. 178 del 2002 e 183 lettera n) del decreto legislativo n. 152 del 2006, in merito alla nozione di sottoprodotto nonché omessa motivazione in ordine all\'applicabilità alla fattispecie di tale nozione, posto che il materiale in esame poteva considerarsi un sottoprodotto;
3) carenza dell\'elemento psicologico della colpa poiché l\'interpretazione dell\'articolo 14 della legge n. 178 del 2002 in ordine all\'utilizzazione dei residui era complessa e poteva causare in buona fede errori da parte degli operatori.
In diritto
Il ricorso va respinto perché infondato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
I primi due motivi, essendo strettamente connessi perché relativi alla nozione di rifiuto, vanno esaminati congiuntamente.
L\'articolo 6 lettera a) del decreto Ronchi definiva rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie riportate nell\'allegato A), di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l\'obbligo di disfarsene. La definizione è stata sostanzialmente riprodotta nell’articolo 183 lettera a) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e consiste in definitiva nella traduzione di quella contenuta nella direttiva comunitaria già utilizzata nel D.P.R. n. 915 del 1982. Dalla definizione dianzi indicata emerge chiaramente che il legislatore ha optato per la nozione cosiddetta "oggettiva" del rifiuto, legata, da un lato, all\'obiettiva possibilità di ricondurre determinate sostanze entro le categorie predeterminate a livello comunitario e, dall\'altro, all\'obiettiva condotta del detentore o ad un obbligo cui lo stesso è tenuto. Disfarsi di un rifiuto significa avviarlo alla sua normale destinazione costituita dal recupero o dallo smaltimento. Pertanto, se la destinazione data dal detentore ad una determinata sostanza è costituita dal recupero o dallo smaltimento, non v\'è dubbio sulla natura di rifiuto della sostanza stessa. In altri termini la natura di rifiuto di una determinata sostanza sussiste, non solo quando il detentore abbia deciso di disfarsene, ma anche quando ha l\'obbligo di disfarsene avviando la sostanza stessa al recupero o allo smaltimento. La teoria cosiddetta soggettiva della nozione del rifiuto, che privilegiava l\'intenzione del detentore, come auspicato dal ricorrente, si deve ormai ritenere superata perché respinta, sia da questa corte (cfr per tutte: cass. n 31011 del 18 giugno del 2002, Zatti), che dalla stessa giurisprudenza comunitaria.
Invero, dalla giurisprudenza comunitaria si traggono i seguenti principi relativi alla nozione di rifiuto:
- obbligo d\'interpretare in maniera estensiva la nozione dì rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli);
- il verbo «disfarsi» deve essere interpretato considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell\'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell\'ammasso e del deposito dei rifiuti (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit);
- la riutilizzazione economica di una sostanza o un di un oggetto non esclude necessariamente la sua natura di rifiuto (Corte Giustizia 28 marzo 1990, Vessoso ed altro);
- l\'applicazione delle direttive in tema di rifiuti non può dipendere dall\'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altre persone delle sostanze o degli oggetti di cui si disfa (Corte di Giustizia 28 marzo 1990 Vessovo, già citata);
- la nozione di rifiuto non esclude, in via di principio, alcun tipo di residuo, di prodotto di scarto e di altri materiali derivanti da processi industriali (Corte di Giustizia 18 dicembre 1997,Wallonie);
- il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto (Corte Giustizia 18 dicembre 1997, cit.).
Ciò premesso sulla nozione di rifiuto, si rileva che gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi costituivano rifiuti speciali ex art. 7 comma terzo lettera b) del decreto Ronchi, salvo che fossero destinati ad essere riutilizzati secondo le previsioni di cui all\'articolo 14 del D.L. 18 luglio del 2002 n. 138 convertito nella legge n. 178 del 2002, e cioè a condizione che fosse certa: a) l\'individuazione del produttore o del detentore; b) la provenienza degli stessi; c) la sede ove erano destinati; d) il loro riutilizzo in un ulteriore ciclo produttivo senza trasformazioni preliminari; e) la mancanza di danno per l\'ambiente, (cfr Cass. 46680 del 2004; 37508 del 2003). La sussistenza delle condizioni anzidette era contestuale e la mancanza di una sola di esse rendeva l\'inerte soggetto alla disciplina sui rifiuti. La nozione di rifiuto del materiale derivante da attività di demolizione e costruzione è stata ribadita con l\'articolo 184 coma terzo lettera b) del decreto legislativo n. 152 del 2006.
L\'anzidetto materiale non può essere assimilato alle terre o rocce da scavo già escluse, a determinate condizioni, dalla nozione di rifiuto, a norma della lettera f bis) dell\'articolo 8 del decreto Ronchi inserita con l’articolo 10 comma 1 legge 23 marzo 2001 n. 93.
Sotto la vigenza del decreto Ronchi la giurisprudenza prevalente di questa sezione aveva affermato la non assimilazione degli inerti alle terre e rocce da scavo, sia perché il materiale proveniente da demolizioni non è costituito soltanto da terriccio e ghiaia, come quello proveniente da scavi, ma anche da cemento, asfalto, mattoni, ecc. sostanze che costituiscono rifiuti (cfr Cass. n. 8936 del 2003; n. 12851 del 2003; 16695 del 2004), sia perché l\'attività di demolizione e costruzione che riguarda gli edifici o le strade è strutturalmente diversa dagli scavi che riguardano i terreni (Cass. 15 gennaio 2002, Dessena; nello stesso senso Cass. 14 marzo del 2002 n. 16383, Li Petri, nella quale si è sottolineato che l\'esclusione, essendo stata inserita con una legge relativa all\'esecuzione di grandi opere, doveva essere limitata appunto alle esecuzione delle grandi opere indicate nella legge Lunardi, posto che siffatta esclusione era contenuta in una legge funzionale alle esecuzione di tali opere). In ogni caso, a prescindere dal problema relativo alla limitazione dell\'esclusione alle sole terre e rocce da scavo provenienti dalle grandi opere, sul quale esisteva contrasto presso questa sezione, si può considerare assolutamente prevalente l\'orientamento in forza del quale gli inerti provenienti da demolizioni e costruzioni non erano comunque assimilabili alle terre e rocce da scavo perché previsti come rifiuti speciali dall\'articolo 7 comma 3 lettera b) del decreto Ronchi ed erano distinti dai rifiuti pericolosi provenienti dalle attività dì scavo. Questi ultimi, ossia i rifiuti provenienti dalle attività di scavo, erano esclusi dalla disciplina sui rifiuti alle condizioni stabilite con l\'articolo 1 comma 17-19 della legge 21 dicembre del 2001 n. 443, che ha interpretato autenticamente sia il comma 3 lettera b) dell\'articolo 7 del decreto Ronchi che l\'articolo 8 lettera f) bis del menzionato decreto, lettera inserita, come sopra precisato, con l\'articolo 10 comma 1 legge 23 marzo del 2001 n. 93.
La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizioni di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n. 156 del 2006, posto che continuano ad essere considerati rifiuti quelli derivanti da attività di demolizione o costruzione (articolo 184 comma terzo lettera b), mentre sono escluse dalla disciplina dei rifiuti le terre e rocce da scavo alle condizioni dettate dal legislatore con l\'articolo 186, condizioni che sono state analiticamente formulate al fine di recepire le indicazioni della Commissione europea contenute nelle varie procedure d\'infrazione aperte contro l\'Italia proprio per l\'esclusione dalla categoria dei rifiuti delle terre e rocce da scavo.
Pertanto gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l\'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento (cfr. sotto la vigenza del decreto legislativo n. 152 del 2006: Cass. n 23788 del 2007).
Il riferimento all\'articolo 14 della legge n. 178 del 2002 ed alla nozione di sottoprodotto di cui all\'articolo 183 lettera n) del decreto legislativo n. 152 del 2006, per escludere il materiale in questione dalla disciplina sui rifiuti, non è pertinente.
L\'articolo 14 è stato abrogato dall\'articolo 264 del decreto legislativo n.. 152 del 2006 e comunque, quando era in vigore, escludeva l\'applicazione della disciplina sui rifiuti ai residui di produzione a condizione però che fossero riutilizzati senza subire alcun trattamento preliminare e senza danno per l\'ambiente. Nella fattispecie quel materiale per essere riutilizzato come sottofondo doveva subire un trattamento preliminare perché era costituito da pezzature di rilevanti dimensioni, come risulta dalla sentenza impugnata. Inoltre il riutilizzo doveva essere certo e non eventuale. Nella fattispecie tale riutilizzo è stato escluso dal tribunale perché in base al progetto non era prevista la costruzione di alcun piazzale dove impiegare gli inerti in questione come sottofondo.
L\'articolo 183 lettera n) ha sì introdotto la nozione di "sottoprodotto", che non era indicata nel decreto Ronchi, ma siffatta nozione è stata subordinata a determinate condizioni imposte anch\'esse da varie decisioni comunitarie, tra le quali la nota sentenza "Palin Granit" del 2002 ed altre successive. Secondo la definizione datane dall\'art. 183 lettera n) sono dunque sottoprodotti quelli "dell\'attività dell\'impresa che, pur non costituendo l\'oggetto dell\'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell\'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo".
I sottoprodotti non sono soggetti alle disposizioni sui rifiuti qualora presentino le seguenti, ulteriori caratteristiche:
- l\'impresa che li produce non se ne disfi, non è obbligata a disfarsene e non ha deciso di disfarsene secondo l\'accezione del termine cui si è accennato in precedenza;
- i sottoprodotti vengono impiegati direttamente dall\'impresa che li produce o sono commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l\'impresa stessa direttamente per il consumo o per l\'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo: si intende come trasformazione preliminare qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo;
- l\'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale e, a tale scopo, deve essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell\'impianto dove avviene l\'effettivo utilizzo;
- l\'utilizzo del sottoprodotto non deve, infine, comportare per l\'ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive.
Le anzidette condizioni devono sussistere contestualmente. La mancanza di una sola di esse rende il residuo soggetto alle disposizioni sui rifiuti.
Nella fattispecie non ricorre alcuna delle anzidette condizioni perché non risulta che quel materiale provenisse dall\'attività esercitata dal prevenuto; non poteva essere riutilizzato senza trattamenti preliminari come già precisato; non era certa la stessa riutilizzazione e non risulta la mancanza di danno per l\'ambiente.
Infondato è anche il terzo motivo poiché nei reati contravvenzionali si risponde anche a titolo di colpa, per la sussistenza della quale è sufficiente che il comportamento sia stato determinato da imprudenza, negligenza o imperizia.
L\'ignoranza della legge penale scusa l\'autore dell\'illecito solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Costituzionale sentenza n, 364 del 1988). Nella fattispecie in esame correttamente i giudici del merito hanno escluso che l\'imputato abbia assolto con la dovuta diligenza l\'onere dell\'informazione che incombe su chi esercita a titolo professionale una determinata attività. D\'altra parte, l\'articolo 14 della legge n. 178 del 2002, richiamato dal prevenuto per giustificare la sua buona fede, ha sì posto delicati problemi interpretativi, ma essi riguardavano essenzialmente la compatibilità con la nozione comunitaria di rifiuto perche la norma anzidetta la restringeva, ma era comunque certo, per il tenore letterale dell\'articolo, che un determinato residuo poteva essere sottratto alla disciplina sui rifiuti solo a condizione che fosse riutilizzato senza subire trattamenti preliminari e fosse certa la riutilizzazione senza danni per l\'ambiente. Nella fattispecie, come più volte precisato, siffatte condizioni non ricorrono.