Cass. Sez. III sent. 24718 del 22 giugno 2007 (Ud. 4 apr. 2007)
Pres. Lupo Est. Squassoni Ric. Biava
Rifiuti. Deposito temporaneo

Per deposito controllato si intende ogni raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto di norme tecniche elencate nella lettera m dell' art. 183 DLvo 152-2006. Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, anche se sempre soggetto ai principi di precauzione e azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti. In difetto anche di uno dei menzionati requisiti, il deposito, non più temporaneo, può considerarsi un deposito preliminare, una messa in riserva, un deposito incontrollato o abbandono o una discarica abusiva.

Svolgimento del processo

Con sentenza 21 marzo 2005, il Tribunale di Tortona ha ritenuto Biava Giacomo responsabile - condannandolo alla pena di giustizia - del reato previsto dall’art. 51 c. 2 D.L.vo 22/1997 per avere effettuato attività di recupero, trasporto, smaltimento di rifiuti non pericolosi in mancanza della prescritta autorizzazione. Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha passato in rassegna le emergenze probatorie dalle quali ha tratto il convincimento che l’imputato, munito di autorizzazione allo smaltimento di soli inerti, scaricasse su di un terreno di sua proprietà materiali derivanti dalla attività di costruzione e demolizione che contenevano anche residui ferrosi. In diritto, il Giudice ha ritenuto che la fattispecie concreta fosse sussumibile nella ipotesi di reato contestata e che non esistessero le condizioni per ritenere il deposito controllato.

Per l’annullamento della sentenza, e della ordinanza dibattimentale 5 ottobre 2004, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

- che non è provato che le condotte antidoverose fossero a lui imputabili;

- che sussistevano le condizioni di legge per ritenere il deposito controllato;

- che, il reato è estinto per prescrizione.

La prima deduzione non è fondata in quanto il Giudice ha avuto cura di indicare le fonti probatorie dalle quali ha tratto il convincimento che la gestione dei rifiuti per cui è processo fosse attribuibile allo attuale imputato; trattasi, questo, di un accertamento fattuale che, in quanto sorretto da congrua ed esaustiva motivazione, sfugge al sindacato di legittimità.

In merito alla seconda deduzione, si rileva come per deposito controllato si intenda ogni raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto di norme tecniche elencate nella lettera m) dell’art. 6 D.L.vo 22/1997 (la stessa definizione è ora contenuta nell’art. 183 lett. m) D.L.vo 152/2006).

Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, anche se sempre soggetto ai principi di precauzione e azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti.

In difetto anche di uno dei menzionati requisiti, il deposito, non più temporaneo, può considerarsi (come precisato nella sentenza 39544/2006 della 3 Sezione della Cassazione):

- un deposito preliminare, se il collocamento dei rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento (che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata dall’art. 51 c. 2 D.L.vo 22/1997, ora art. 256 c. l D.L.vo 152/2006);

- una messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero la quale, essendo una forma di gestione, richiede un titolo autorizzativo (la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dall’art. 51 c. 2 D.L.vo 22/l997 ora art. 256 c. l D.L.vo 152/2006);

- un deposito incontrollato o abbandono, quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o di recupero (condotta sanzionata come illecito amministrativo, se posta in essere da privati o come reato contravvenzionale, se tenuta da titolari di imprese o responsabili di enti a sensi degli artt. 50 c. 1, 51 c. 2 D.L.vo 22/1997, ora art. 255 c. 1, 256 c. 2 D.L.vo 152/2006).

Se, poi, l’abbandono di rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi, il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva.

Nel caso concreto, è carente una condizione indefettibile perché il deposito possa considerarsi temporaneo, cioè, il collocamento dei rifiuti nel luogo di produzione degli stessi; la condotta dello imputato era qualificabile come deposito preliminare perché finalizzata alla successiva operazione di smaltimento e di recupero.

La residua censura è meritevole di accoglimento.

Nella ordinanza dibattimentale 5 ottobre 2004, il Giudice ha precisato come sia stata constatata la cessazione della permanenza del reato in data 26 gennaio 2001, che segna il dies a quo del decorso del termine prescrizionale; pertanto, si deve concludere che è trascorso il periodo richiesto dagli artt. 157, 160 c.p. (anni quattro e mezzo tenuto conto dell’ interruzione).

Di conseguenza, la Corte (dal momento che i motivi a sostegno del ricorso non sono manifestamente infondati) annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.