Cass. Sez. III sent. 23787 del 19 giugno 2007 (Ud. 4 apr. 2007)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Castiglione
Rifiuti. Inerti provenienti da demolizioni

Il decreto legislativo n 152 del 2006,con l'articolo 264 comma l lettera l ha abrogato l'articolo 14 della legge n 178 del 2002 ma continua a considerare rifiuti gli inerti provenienti da demolizione (art 184 comma terzo lettera b) . E' stata, invece, ribadita con l'articolo 186 decreto legislativo citato l'esclusione dall'ambito della disciplina dei rifiuti delle terre e rocce da scavo, a condizione però che siano effettivamente impiegate per reinterri, riempimenti ecc.., con l'osservanza delle prescrizioni previste dalla citata norma.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 giugno del 2006, la corte d’appello di Milano confermava quella pronunciata il 2 maggio del 2005 dal tribunale della medesima città, con cui Castiglione Stefano era stato condannato alla pena di mesi tre di arresto con i doppi benefici, quale responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51 comma 2, per avere, senza autorizzazione, depositato rifiuti (materiale inerte proveniente da scavi) su un suolo del quale aveva la disponibilità, così modificata l’originaria imputazione di gestione di una discarica. Fatto accertato il 5 gennaio del 2002.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato sulla base di due motivi.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo il difensore, dopo avere ribadito che il proprio cliente, imprenditore edile, aveva rinvenuto quel materiale in occasione di uno scavo e lo aveva depositato temporaneamente su un suolo condotto in affitto nell’attesa di riutilizzarlo, deduceva la violazione della norma incriminatrice perché il fatto non configurava il reato contestato, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo: dal punto di visto oggettivo perché si trattava di deposito temporaneo, che era consentito se posto in essere nei limiti e con le modalità di cui all’articolo 6, lettera m) del Decreto Ronchi: nella fattispecie il proprio assistito non aveva avuto il tempo di smaltirlo perché sorpreso prima della scadenza del trimestre; dal punto di vista soggettivo perché mancava la volontà di abbandonarlo: infatti, il prevenuto dopo il rinvenimento di quel materiale si era recato negli uffici della provincia per assumere informazioni sugli adempimenti del caso e gli era stato comunicato che aveva solo l’obbligo di smaltirlo entro tre mesi. In ogni caso quel materiale non costituiva rifiuto a norma del Decreto Legge 8 luglio del 2002, articolo 14 convertito con modificazioni nella Legge n. 178 del 2002; proprio perché destinato ad essere riutilizzato.

Con il secondo motivo eccepisce la prescrizione del reato.

Il ricorso è inammissibile per l’aspecificità del primo motivo e comunque per la manifesta infondatezza dello stesso.

L’articolo 581 c.p.p., lettera c) dispone che i motivi d’impugnazione debbano contenere: “l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni singola richiesta”. Il legislatore del 1988 ha ribadito l’esigenza di specificazione delle doglianze per garantire un minimo di serietà all’impugnazione pretendendo che i motivi siano correlati a ciascuna richiesta mediante l’indicazione chiara e precisa delle censure che si intendono muovere ai capi o ai punti della sentenza impugnata nonché delle ragioni di diritto e degli elementi fattuali che sorreggono ogni singola richiesta. Secondo l’orientamento di questa corte, si considerano aspecifici i motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai giudici del merito. La mancanza di specificità del motivo invero deve essere apprezzata, non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità conducente a mente dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c) all’inammissibilità (Cass. 18 settembre 1997 Ahemtovic; Cass. sez. 2 6 maggio 2003 Curcillo).

Nella fattispecie il ricorrente si limita a riproporre censure già avanzate nel giudizio di merito e puntualmente disattese dalla corte territoriale senza l’indicazione dei vizi del ragionamento dei giudici censurati.

Il motivo è in ogni caso manifestamente infondato perché non ricorrono le condizioni per qualificare quel raggruppamento di rifiuti come deposito temporaneo, come già precisato dalla corte territoriale.

In proposito è opportuno premettere che gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi costituivano, all’epoca del fatto, rifiuti speciali ex articolo 7 Decreto Ronchi, salvo che fossero destinati ad essere riutilizzati secondo le previsioni di cui al Decreto Legge 18 luglio 2002, n. 138, articolo 14 convertito nella Legge n. 178 del 2002 e cioè a condizione che fosse certa: a) l’individuazione del produttore o del detentore; b) la provenienza degli stessi; c) la sede ove erano destinati; il loro riutilizzo in un ulteriore ciclo produttivo senza trasformazioni preliminari; d) la mancanza di danno per l’ambiente (cfr. Cass. 46680 del 2004; 37508 del 2003).

Il Decreto Legislativo n. 152 del 2006 con l’articolo 264, comma 1, lettera I) ha abrogato la Legge n. 178 del 2002, articolo 14 ma continua a considerare rifiuti gli inerti provenienti da demolizione (articolo 184, comma 3, lettera b). E’ stata, invece, ribadita con l’articolo 186 Decreto Legislativo citato l’esclusione dall’ambito della disciplina dei rifiuti delle terre e rocce da scavo, a condizione però che siano effettivamente impiegate per reinterri, riempimenti ecc, con l’osservanza delle prescrizioni previste dalla citata norma.

Nella fattispecie l’effettivo riutilizzo non è stato in alcun modo provato. Secondo l’orientamento di questa corte il materiale proveniente da scavo di strade non è assimilabile alle terre e rocce da scavo in quanto non è costituito esclusivamente da terriccio e ghiaia ma anche da pezzi di asfalto e calcestruzzo qualificabili pacificamente come rifiuti (Cass. n. 12851 del 2003, Favale; n. 8936 del 2003; n. 39568 del 2005, Francucci).

L’assunto del ricorrente sulla configurabilità del deposito temporaneo è palesemente infondato. Invero, a norma del Decreto Ronchi, articolo 28, comma 5 (ora sostituito dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 208 comma 17), fatti comunque salvi l’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico ed il divieto di miscelazione, non era richiesta alcuna autorizzazione per il deposito temporaneo se venivano rispettate le condizioni previste dal Decreto Ronchi, articolo 6, lettera m), ora sostituito dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183 comma 1, lettera m). Il deposito temporaneo, secondo la definizione contenuta nel Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6 lettera m), ribadita con il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183 lettera m), è costituito da un raggruppamento di rifiuti prima della raccolta effettuato sul luogo di produzione, nel rispetto delle condizioni qualitative, quantitative e temporali previste dalla citata norma. Non si può quindi parlare di deposito temporaneo se i rifiuti provengono da luogo diverso da quello di produzione. Il mancato rispetto anche di una sola delle condizioni previste dalla norma da luogo ad un’attività di gestione dei rifiuti non autorizzata e quindi penalmente sanzionata (cfr. Cass. n. 3333 del 2004; 42212 del 2004).

Il deposito effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti vengono prodotti può dare luogo o ad un abbandono che, se effettuato da imprenditori o responsabili di enti, è sanzionato con la stessa pena prevista per la gestione non autorizzata dei rifiuti, o ad un deposito preliminare o stoccaggio nell’attesa dello smaltimento o del recupero. Anche lo stoccaggio come attività gestionale dei rifiuti deve essere autorizzato.

Ciò premesso, nella fattispecie, contrariamente all’assunto del ricorrente, non si può parlare di deposito temporaneo perché il raggruppamento degli inerti, secondo le ammissioni dello stesso prevenuto (ed è questa la ragione della manifesta infondatezza del motivo), non era stato effettuato nel luogo di produzione dei rifiuti, ma in altro sito del quale l’imputato aveva la disponibilità. Quindi, quand’anche quel materiale fosse stato depositato per essere successivamente reimpiegato, come assume il prevenuto, il fatto sarebbe ugualmente penalmente rilevante perché le attività di raccolta e riutilizzo dei rifiuti per il successivo recupero dovevano essere autorizzate.

Sotto il profilo psicologico si osserva che il prevenuto non può invocare a propria discolpa l’ignoranza inevitabile della legge penale o comunque la buona fede perché, quale imprenditore edile, abituato a gestire il materiale proveniente da scavi, aveva l’obbligo d’informarsi sulla normativa che disciplinava la materia.

L’inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza del primo motivo impedisce, in base all’orientamento espresso dalla Sezioni unite di questa corte con la sentenza n. 32 del 2000, de Luca nonché con la sentenza del 27 gennaio 2001, Cavalera, di dichiarare la prescrizione, maturata dopo la decisione impugnata e chiesta con il secondo motivo.

In definitiva il ricorso è stato proposto con un motivo manifestamente infondato al solo scopo di fare dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata.