Corte Costiruzionale sent. 398 dell'1 dicembre 2006
Tutela dell'ambiente - Norme della Regione Friuli-Venezia Giulia -
Recepimento della direttiva 2001/42/CE, in materia di valutazione
ambientalestrategica (VAS) -Recepimento della direttiva 2003/4/CE, in
materia di accesso del pubblicoall'informazione alimentare -Recepimento
della direttiva 2003/78/CE, relativa ai metodi dicampionamento e di
analisi per il controllo ufficiale dei tenori di patulina nei prodotti
alimentari.
SENTENZA N. 398
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Franco
BILE
Presidente
- Giovanni Maria
FLICK
Giudice
- Francesco
AMIRANTE
”
-
Ugo
DE
SIERVO
”
-
Romano
VACCARELLA
”
-
Paolo
MADDALENA
”
-
Alfio
FINOCCHIARO
”
-
Alfonso
QUARANTA
”
-
Franco
GALLO
”
-
Luigi
MAZZELLA
”
-
Gaetano
SILVESTRI
”
-
Sabino
CASSESE
”
- Maria Rita
SAULLE
”
-
Giuseppe
TESAURO
”
- Paolo Maria
NAPOLITANO
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio 2005, n. 11 (Disposizioni per
l'adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità
europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva
2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE. Legge comunitaria 2004),
pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 19 dell'11 maggio
2005, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,
notificato l'8 luglio 2005, depositato in cancelleria il 14 luglio 2005
ed iscritto al n. 70 del registro ricorsi del 2005.
Visto l'atto di costituzione della
Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell'udienza pubblica del 7
novembre 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l'avvocato dello Stato Maurizio
Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato
Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato
l'8 luglio 2005 e depositato il 14 luglio 2005, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso questione di legittimità
costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio
2005, n. 11 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della
Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunità europee. Attuazione della direttiva
2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE.
Legge comunitaria 2004), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della
Regione n. 19 dell'11 maggio 2005, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), all'art. 117, primo comma,
secondo comma, lettere r) e s), e quinto comma, della Costituzione, ed
all'art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e
sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari).
Il ricorrente premette che, pur non
disconoscendo la competenza delle Regioni e delle Province autonome a
recepire le direttive comunitarie, il rispetto delle attribuzioni
costituzionali di Stato e Regione deve essere valutato in relazione al
limite contenuto nel primo comma dell'art. 117 Cost., che,
«in aderenza all'obbligo di armonizzazione derivante dalla
appartenenza dell'Italia alla Unione europea, impone la
necessità della valutazione degli interessi unitari che
discendono dalla finalità della normativa comunitaria da
recepire». In questa prospettiva andrebbe interpretato anche
quanto stabilito dall'art. 16 della legge statale n. 11 del 2005.
Invece, ad avviso del Presidente del
Consiglio, la legge regionale impugnata non avrebbe tenuto conto delle
suddette esigenze unitarie, recependo direttive il cui procedimento di
attuazione da parte del legislatore statale si è
già concluso o sta per concludersi.
1.1. – Con riguardo allo
specifico contenuto della legge impugnata, il ricorso governativo
rileva, preliminarmente, che la disciplina prevista nei Capi I e II,
essendo attinente alla materia ambientale, non rientrerebbe nella
competenza regionale di cui agli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia.
1.2. – In particolare, il Capo
I della legge impugnata (artt. 2-12), recependo la direttiva 2001/42/CE
del 27 giugno 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull'ambiente), violerebbe la competenza esclusiva dello
Stato di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. L'attinenza
della normativa citata alla materia della tutela dell'ambiente
risulterebbe particolarmente evidente dalla lettura degli obiettivi
fissati dall'art. 1 della medesima direttiva (garanzia di «un
elevato livello di protezione dell'ambiente» e integrazione
di «considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e
dell'adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo
sostenibile»). Siffatti obiettivi, a detta del ricorrente,
costituiscono «standard di tutela la cui fissazione
è riservata allo Stato nel suo ruolo di organo deputato alla
cura di interessi di natura necessariamente unitaria»;
pertanto, non sarebbe consentito «un intervento (nemmeno
“sostitutivo” in sede di recepimento, come nel caso
in esame) del legislatore regionale».
Secondo la difesa erariale, quindi,
risulterebbe violato anche l'art. 117, quinto comma, Cost., che abilita
le Regioni a provvedere all'attuazione delle direttive comunitarie
nelle sole «materie di loro competenza», e l'art.
16 della legge n. 11 del 2005.
Il Presidente del Consiglio rileva,
inoltre, che con l'art. 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62
(Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004),
il Governo è stato delegato ad adottare i decreti
legislativi per l'attuazione di una serie di direttive, fra cui la
2001/42/CE, recepita dal Capo I della legge regionale impugnata.
Successivamente alla proposizione del
presente ricorso, è stato emanato il decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) che dà
attuazione alla direttiva in parola.
1.3. – Considerazioni in parte
analoghe valgono, a detta del ricorrente, anche per il Capo II della
legge impugnata (artt. 13-15), che attua la direttiva 2003/4/CE del 28
gennaio 2003 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale e che abroga la
direttiva 90/313/CEE del Consiglio). La pertinenza della normativa in
esame alla materia della tutela dell'ambiente sarebbe «fuor
di dubbio»; obiettivo della normativa comunitaria de qua
è, infatti, quello di «garantire il diritto di
accesso all'informazione ambientale detenuta dalle autorità
pubbliche».
Anche in questo caso, pertanto, il
recepimento della direttiva in parola spetterebbe allo Stato,
trattandosi di materia di sua esclusiva competenza, con conseguente
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), e quinto comma,
Cost. Al riguardo, la difesa erariale segnala che il Governo ha
predisposto una schema di decreto legislativo attuativo della direttiva
2003/4/CE; il suddetto testo, successivamente alla proposizione del
presente ricorso, è stato approvato definitivamente dal
Consiglio dei ministri ed emanato con il decreto legislativo 19 agosto
2005, n. 195 (Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del
pubblico all'informazione ambientale).
Sarebbe inoltre violato l'art. 117,
secondo comma, lettera r), Cost., a causa della
«contiguità» della normativa impugnata
con la materia del «coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e
locale», di cui alla norma costituzionale citata.
1.4. – Infine, la difesa dello
Stato censura il Capo III della legge regionale impugnata (artt.
16-17), con il quale è stata recepita la direttiva
2003/78/CE dell'11 agosto 2003 (Direttiva della Commissione relativa ai
metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei
tenori di patulina nei prodotti alimentari). In proposito, il
ricorrente rileva che la direttiva in parola è
già stata attuata con il decreto del Ministro della Salute
17 novembre 2004 (Recepimento della direttiva 2003/78/CE dell'11 agosto
2003 della Commissione, relativa ai metodi di campionamento e di
analisi per il controllo ufficiale dei tenori di patulina nei prodotti
alimentari) e che «trattasi di normativa tecnica [la quale],
per definizione, soddisfa ad esigenze unitarie a tutela della salute e
del commercio».
La difesa erariale conclude ritenendo
che il Capo III della legge impugnata violi l'art. 117, primo e quinto
comma, Cost., e l'art. 16 della legge n. 11 del 2005, «da
considerare norma interposta».
2. – Con atto depositato il 26
luglio 2005, la Regione Friuli-Venezia Giulia si è
costituita in giudizio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile ed infondato, per le ragioni esposte con separata memoria
nel corso del giudizio.
3. – In data 2 maggio 2006 la
Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria con la quale
insiste nelle conclusioni già formulate nell'atto di
costituzione.
3.1. – In particolare, la
difesa regionale, dopo aver ricostruito il quadro delle competenze
legislative e amministrative della Regione, risultanti dalle norme
statutarie, precisa che la direttiva 2001/42/CE, attuata dal Capo I
della legge impugnata, incide su diverse materie di competenza
regionale. Pertanto, la Regione Friuli-Venezia Giulia «aveva
il potere e il dovere di recepire la direttiva comunitaria, salva la
competenza statale per la fissazione di standard minimi di tutela
dell'ambiente». A detta della stessa difesa, la mancata
attuazione della direttiva, che doveva essere recepita dagli Stati
membri entro il 21 luglio 2004, per un verso, avrebbe determinato
l'illegittimità sia delle norme legislative disciplinanti i
piani oggetto di essa sia dei relativi atti amministrativi, per l'altro
verso, avrebbe esposto la Regione all'esercizio del potere sostitutivo
statale.
Peraltro, la medesima direttiva, come
ricorda la resistente, è già stata attuata dalla
Regione Veneto con la legge 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo
del territorio), e le norme relative alla valutazione ambientale
strategica (VAS) contenute in quest'ultima legge non sono state
impugnate dal Governo.
La difesa regionale esamina, poi, il
contenuto delle disposizioni contenute nel Capo I della legge
impugnata, soffermandosi in particolare sull'art. 2, in cui si
stabilisce che le disposizioni contenute nel Capo I danno attuazione
alla citata direttiva «con riferimento alle materie di
competenza regionale e nel rispetto dei principi generali desumibili
dalla medesima, nonché dei principi e criteri direttivi
generali contenuti nella normativa statale».
La Regione Friuli-Venezia Giulia
sottolinea, inoltre, come l'art. 12 della legge impugnata contenga una
ulteriore «espressa clausola di salvaguardia della competenza
statale», là dove dispone che «le
disposizioni contenute nel presente capo e nei regolamenti attuativi
sono adeguate agli eventuali principi generali successivamente
individuati dallo Stato nelle proprie materie di competenza esclusiva e
concorrente di cui all'articolo 117, secondo e terzo comma, della
Costituzione, con riferimento alla direttiva 2001/42/CE» e
che «gli atti normativi statali di cui al comma 1 si
applicano, in luogo delle disposizioni regionali in contrasto, sino
alla data di entrata in vigore della normativa regionale di
adeguamento».
Pertanto, secondo la resistente, la
legge regionale impugnata, pur precisando che le norme sulla VAS
riguardano i piani e i programmi elaborati per settori attinenti a
materie di competenza primaria o concorrente della Regione (art. 3,
comma 2, della stessa legge), con le norme di cui agli artt. 2 e 12 si
è preoccupata di fare salva la competenza statale,
«nella consapevolezza che lo Stato è titolare di
una funzione “trasversale” di tutela
dell'ambiente».
In merito alle singole censure, la
difesa regionale prende le mosse dalla presunta violazione dell'art.
117, primo comma, Cost., che, secondo il ricorrente, imporrebbe
«la necessità della valutazione degli interessi
unitari che discendono dalla finalità della normativa
comunitaria da recepire». Ad avviso della Regione, questa
censura sarebbe, innanzitutto, manifestamente inammissibile, in quanto,
trattandosi di legge di una Regione a statuto speciale, lo Stato non
avrebbe argomentato la ragione per cui si debba applicare una norma del
titolo V della parte seconda della Costituzione anziché
quelle statutarie.
In ogni caso, la predetta questione
sarebbe anche infondata. Al riguardo, la Regione, pur ammettendo che in
alcuni casi possa essere necessaria un'attuazione unitaria delle
direttive in deroga al riparto costituzionale di competenza, rileva che
tale necessità deve «derivare con evidenza dalla
normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che
ragionevolmente facciano capo all'Unione europea stessa»,
come rilevato da questa Corte nella sentenza n. 126 del 1996. Nel caso
specifico della direttiva 2001/42/CE, l'esigenza di una attuazione
unitaria non risulterebbe «in alcun modo»; d'altra
parte, osserva la resistente, il ricorso argomenta le esigenze unitarie
semplicemente affermando che le direttive 2001/42/CE e 2003/4/CE
attengono alla materia ambientale, la quale presenterebbe per sua
natura un carattere fortemente unitario. La censura sarebbe, dunque,
anche inammissibile per genericità, non essendo menzionata
alcuna norma della direttiva 2001/42/CE da cui risulti l'esigenza di
attuazione unitaria.
In merito alla presunta violazione degli
artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale, la Regione, pur reputandola
«l'unica ammissibile», ritiene la stessa
«palesemente infondata», sottolineando, in
proposito, che «è pacifico ormai da
decenni» che le Regioni, sia ordinarie sia speciali, possano
dettare norme in materia ambientale. Pertanto, la censura statale
sarebbe da rigettare, in quanto il ricorrente si è limitato
«ad affermare l'assenza di competenza regionale nella materia
dell'ambiente, affermazione del tutto infondata».
In riferimento alla presunta violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la difesa regionale,
oltre a rilevare l'inammissibilità della questione per la
mancata indicazione delle ragioni in virtù delle quali
dovrebbe applicarsi una norma del titolo V della parte seconda della
Costituzione ad una Regione a statuto speciale, ritiene che la stessa
sia anche infondata. In particolare, la resistente contesta
l'affermazione contenuta nel ricorso, secondo cui la direttiva in esame
fisserebbe standard uniformi di tutela; essa, invece, a detta della
Regione, avrebbe «carattere procedurale», come si
evincerebbe dal punto 9 della premessa della stessa direttiva.
La tutela ambientale nella direttiva in
parola sarebbe, dunque, «affidata alla valutazione
amministrativa, senza predeterminazione di soglie e standard
minimi», con la conseguenza che l'attuazione della direttiva
non ricadrebbe nell'ambito riservato alla competenza statale.
Qualora, invece, si ritenesse che la
direttiva fissi standard minimi di tutela, la resistente ritiene che la
Regione non debba aspettare l'attuazione statale, «senza
poter adottare medio tempore norme che si adeguino alla direttiva e,
dunque, senza poter adempiere gli obblighi comunitari nelle varie
materie regionali incise dalla direttiva». In particolare, si
rileva che lo Stato non ha provveduto ad attuare la detta direttiva e
che, pertanto, in mancanza di standard statali, la sua attuazione da
parte della Regione non può implicare violazione di questi
ultimi, che, come detto, non esistono.
D'altronde, proprio perché la
tutela dell'ambiente costituisce una «funzione spettante a
Stato e Regioni», queste «possono senz'altro
attuare direttive comunitarie che intervengano nelle materie regionali
con finalità di tutela dell'ambiente, nella misura in cui
non ledono la funzione statale di tutela uniforme».
La Regione avrebbe quindi legittimamente
dato attuazione alla direttiva 2001/42/CE, precisando che
ciò avveniva «con riferimento alle materie di
competenza regionale e nel rispetto dei principi generali desumibili
dalla medesima, nonché dei principi e criteri direttivi
generali contenuti nella normativa statale» (art. 2 della
legge impugnata), sancendo il dovere di adeguamento alle successive
norme statali adottate nell'esercizio delle rispettive competenze (art.
12, comma 1) e riconoscendo il diretto vigore delle sopraggiunte norme
statali (art. 12, comma 2).
Proprio in relazione alla norma da
ultimo citata, la difesa regionale osserva che mentre questa prevede
l'immediata applicazione delle norme statali, l'art. 50 del d.lgs. n.
152 del 2006 – attuativo a livello statale della citata
direttiva – dispone che le Regioni adeguino le proprie norme
alle disposizioni statali in tema di VAS entro il termine di centoventi
giorni dalla pubblicazione del presente decreto e che, in mancanza di
adeguamento, si applichino le norme statali. Secondo la resistente,
quindi, il d.lgs. n. 152 del 2006 avallerebbe l'esistenza di discipline
regionali in materia di VAS e consentirebbe l'ulteriore applicazione di
quelle discipline per centoventi giorni.
In merito alla censura fondata sull'art.
117, quinto comma, Cost., la difesa regionale afferma che la sua
infondatezza risulterebbe da quanto sopra esposto, poiché la
Regione non avrebbe legiferato «fuori materia».
3.2. – Con riferimento alla
presunta illegittimità delle norme contenute nel Capo II
della legge impugnata, la resistente, dopo averne illustrato il
contenuto, esamina le diverse censure prospettate nel ricorso dello
Stato.
Quanto al contrasto con l'art. 117,
primo comma, Cost., la difesa regionale richiama le argomentazioni
già svolte in relazione all'analoga censura avanzata contro
il Capo I della legge reg. n. 11 del 2005, sia in relazione alla
«duplice inammissibilità» della
questione (per mancata motivazione sulla applicabilità di
una norma del titolo V della parte seconda della Costituzione ad una
Regione a statuto speciale e per genericità della censura),
sia relativamente alla sua infondatezza.
Anche per quanto concerne la presunta
violazione degli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale, la difesa
regionale rinvia alle argomentazioni svolte in relazione al Capo I,
nelle quali è stato evidenziato che le Regioni sono
«pacificamente» dotate di potestà
legislativa in materia ambientale.
Inoltre, a detta della resistente, il
Capo II della legge impugnata non attiene alla materia ambientale, sia
perché non tutte le «informazioni
ambientali» hanno ad oggetto specifico l'ambiente –
ad esempio, l'art. 13, comma 1, lettere c), e) e f) –, sia
perché «l'ambiente può essere l'oggetto
delle informazioni di cui si vuole garantire la
conoscibilità, ma non è l'oggetto delle norme
impugnate».
Il Capo II della legge reg. n. 11 del
2005 sarebbe, invece, attinente, da un lato, alla materia
dell'«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla
Regione» ed a quella dell'«ordinamento degli enti
locali» (entrambe rientranti nella competenza legislativa
primaria ai sensi dell'art. 4, numeri 1 e 1-bis, dello statuto
friulano), e, dall'altro lato, tale normativa concernerebbe la
«disciplina dei rapporti tra privati e pubblica
amministrazione in relazione all'azione amministrativa (in particolare,
in relazione all'accesso ed al diritto all'informazione), anch'essa di
competenza regionale salva la determinazione statale dei livelli
essenziali delle prestazioni».
La competenza statale da ultimo
richiamata, a sua volta, non sarebbe violata, in quanto la legge reg.
n. 11 del 2005 fornirebbe una «tutela più
ampia» rispetto sia alla precedente legge 7 agosto 1990, n.
241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi), sia al successivo d.lgs. n.
195 del 2005.
Sulla base delle suddette
argomentazioni, la difesa regionale conclude per l'infondatezza della
questione di legittimità costituzionale.
Qualora, poi, si ritenesse che le norme
impugnate rientrino nella materia «tutela
dell'ambiente», la resistente ritiene che si debba escludere
che esse incidano sulla competenza statale di dettare standard uniformi
di tutela, per cui, anche in questo caso, la censura sarebbe infondata.
In merito alla presunta violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., la Regione Friuli
ritiene che tale questione sia, in primo luogo, inammissibile,
perché il ricorrente non avrebbe indicato le ragioni per cui
si debba applicare ad una Regione speciale una norma del titolo V della
parte seconda della Costituzione. Nel merito, la questione sarebbe
infondata in quanto la competenza statale in materia di coordinamento
informativo ed informatico «non può certo essere
dilatata fino a comprendere tutte le modalità di
soddisfacimento del diritto all'informazione». Al riguardo,
viene richiamata la giurisprudenza di questa Corte in cui si precisa
che quella di cui all'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost.,
è una competenza di tipo tecnico volta a rendere omogenei i
dati delle diverse amministrazioni. Nel caso in esame, invece, non
ricorrerebbero i caratteri sopra indicati.
3.3. – A parere della Regione
resistente, risulterebbe inammissibile ed infondata anche la questione
di legittimità costituzionale relativa al Capo III della
legge reg. n. 11 del 2005.
Quanto all'inammissibilità,
la Regione osserva che le norme in esame non sono oggetto di
impugnazione né nella delibera del Consiglio dei ministri
del 24 giugno 2005, né nella relazione del Dipartimento per
gli affari regionali cui la delibera rinvia.
La questione sarebbe, inoltre,
inammissibile in relazione all'art. 117, primo comma, Cost., in quanto
non è motivata l'applicabilità ad una Regione
speciale di una norma del titolo V della parte seconda della
Costituzione, ed in relazione all'art. 117, quinto comma, Cost., in
quanto «l'Avvocatura non spiega in modo sufficiente
perché le norme eccederebbero la competenza
regionale».
Nel merito, la questione sarebbe
infondata; infatti, stante l'incidenza delle norme impugnate su materie
di competenza regionale, il carattere tecnico della direttiva non
escluderebbe il potere delle Regioni di darvi attuazione.
Considerato in diritto
1. – Con ricorso notificato
l'8 luglio 2005 e depositato il 14 luglio 2005, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso questione di legittimità
costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio
2005, n. 11 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della
Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunità europee. Attuazione della direttiva
2001/42/CE, della direttiva 2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE.
Legge comunitaria 2004), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della
Regione n. 19 dell'11 maggio 2005, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), all'art. 117, primo comma,
secondo comma, lettere r) e s), e quinto comma, della Costituzione, ed
all'art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e
sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari).
2. – Per quanto riguarda il
Capo III della legge regionale impugnata, la questione è
inammissibile.
2.1. – Nessun riferimento al
suddetto Capo III compare nella deliberazione del Consiglio dei
ministri del 24 giugno 2005, avente ad oggetto la determinazione del
Governo di impugnare la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11
del 2005. Anche la relazione del Dipartimento per gli Affari regionali
della Presidenza del Consiglio dei ministri, allegata alla
deliberazione di cui sopra, prende in considerazione soltanto i Capi I
e II della predetta legge e non fa menzione alcuna del Capo III.
3. – Il ricorrente censura
innanzitutto l'intera legge regionale, per il fatto stesso di dare
attuazione a tre direttive comunitarie incidenti su materie
«aventi un carattere fortemente unitario», mentre
il primo comma dell'art. 117 Cost. imporrebbe la necessità
di una attuazione esclusivamente statale, proprio in ragione degli
«interessi unitari che discendono dalla finalità
della normativa comunitaria da recepire».
3.1. – La questione non
è fondata.
A prescindere dal fatto che il
ricorrente non motiva la richiesta di applicare una norma del titolo V
della parte seconda della Costituzione ad una legge di una Regione a
statuto speciale, bisogna ricordare che questa Corte ha già
precisato che le esigenze unitarie poste a base di un eventuale
accentramento nello Stato della competenza ad attuare una direttiva
comunitaria – in deroga al quadro costituzionale interno di
ripartizione della funzione legislativa – devono discendere
con evidenza dalla stessa normativa comunitaria, sulla base di esigenze
organizzative che ragionevolmente facciano capo all'Unione europea
(sentenza n. 126 del 1996).
Nel caso di specie, la
necessità di attuazione unitaria, da effettuarsi
esclusivamente da parte dello Stato, non emerge da alcuna norma delle
direttive in esame. Resta impregiudicato, pertanto, il quadro
costituzionale di ripartizione delle competenze legislative, che non
subisce nella fattispecie alcuna deroga ascrivibile a specifiche
esigenze unitarie evidenziate dalla normativa comunitaria. In assenza
di precise norme comunitarie che prescrivano l'accentramento
– la cui legittimità, alla luce dell'ordinamento
costituzionale interno, dovrebbe essere valutata caso per caso
– il richiamo generico, fatto dal ricorrente, al primo comma
dell'art. 117 Cost. – che si limita a prescrivere il
rispetto, da parte delle leggi statali e regionali, dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario – è
inconferente e si pone in contraddizione con il quinto comma del
medesimo art. 117, che prevede esplicitamente la competenza delle
Regioni e delle Province autonome all'attuazione degli atti dell'Unione
europea nelle materie di loro competenza.
La legittimità
dell'intervento legislativo di una Regione in funzione attuativa di una
direttiva comunitaria dipende, per quanto detto sopra, dalla sua
inerenza ad una materia attribuita alla potestà legislativa
regionale. Lo scrutinio di costituzionalità deve essere
pertanto basato sui commi secondo, terzo e quarto del citato art. 117
Cost., non già sul primo comma, come invece prospettato
dalla difesa del ricorrente.
4. – Il
Presidente del Consiglio censura in modo specifico il Capo I (artt.
2-12) della legge regionale impugnata per violazione degli artt. 4, 5 e
6 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia e
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto le norme in
esso contenute riguarderebbero una materia, la tutela dell'ambiente,
che esula dalla competenza legislativa della Regione e rientra nella
competenza esclusiva dello Stato. Le norme in parola sarebbero pure in
contrasto con l'art. 117, quinto comma, Cost., in quanto, trattandosi
di materia di competenza esclusiva dello Stato, non spetterebbe alla
Regione provvedere all'attuazione della direttiva comunitaria.
4.1. – La
questione non è fondata.
4.2. – La
direttiva 2001/42/CE, in tema di valutazione ambientale strategica
(VAS), ha «l'obiettivo di garantire un elevato livello di
protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di
considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di
piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile,
assicurando che […] venga effettuata la valutazione
ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti
significativi sull'ambiente» (art. 1). Nel punto 4 del
“considerando” della citata direttiva si precisa:
«La valutazione ambientale costituisce un importante
strumento per l'integrazione delle considerazioni di carattere
ambientale nell'elaborazione e nell'adozione di taluni piani e
programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente negli
Stati membri, in quanto garantisce che gli effetti dell'attuazione dei
piani e dei programmi in questione siano presi in considerazione
durante la loro elaborazione e prima della loro adozione».
Come si evince da
quanto sopra riportato, il legislatore comunitario pone più
volte, nel testo della direttiva, l'accento sulla necessità
di integrazione delle esigenze connesse alla tutela dell'ambiente. Tale
principio trova espresso riconoscimento nell'art. 6 del Trattato 25
marzo 1957, che istituisce la Comunità europea.
In base all'art. 3
della direttiva, i piani e programmi per i quali deve essere effettuata
la valutazione ambientale strategica sono quelli «a) che sono
elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico,
industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque,
delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o
della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di
riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I
e II della direttiva 85/337/CEE o b) per i quali, in considerazione dei
possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai
sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE».
Secondo l'art. 4 della citata direttiva 2001/42/CE, la valutazione
ambientale «deve essere effettuata durante la fase
preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua
adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa».
Inoltre, le condizioni stabilite nella suddetta norma comunitaria
«sono integrate nelle procedure degli Stati membri per
l'adozione dei piani e dei programmi o nelle procedure definite per
conformarsi alla presente direttiva».
La valutazione
ambientale strategica pervade ambiti materiali diversi. Ciò
viene reso esplicito dal punto 9 del
“considerando”, in cui si afferma che «la
presente direttiva ha carattere procedurale e le sue disposizioni
dovrebbero essere integrate nelle procedure esistenti negli Stati
membri o incorporate in procedure specificamente stabilite. Gli Stati
membri dovrebbero eventualmente tener conto del fatto che le
valutazioni saranno effettuate a diversi livelli di una gerarchia di
piani e di programmi, in modo da evitare duplicati».
4.3. – Di fronte al suindicato
quadro normativo comunitario, si deve rilevare che il Capo I della
legge regionale impugnata stabilisce: all'art. 2, che «le
disposizioni contenute nel presente capo danno attuazione nel
territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia alla direttiva
2001/42/CE con riferimento alle materie di competenza regionale e nel
rispetto dei principi generali desumibili dalla medesima,
nonché dei principi e criteri direttivi generali contenuti
nella normativa statale»; all'art. 3, comma 2, che
«si considerano avere effetti significativi sull'ambiente i
piani e i programmi elaborati per i settori agricolo, forestale, della
pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei
rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della
pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli
[…]»; all'art. 12, che «Le disposizioni
contenute nel presente capo e nei regolamenti attuativi sono adeguate
agli eventuali principi generali successivamente individuati dallo
Stato nelle proprie materie di competenza esclusiva e concorrente di
cui all'art. 117, commi 2 e 3, della Costituzione» e che
«gli atti normativi statali di cui al comma 1 si applicano in
luogo delle disposizioni regionali in contrasto, sino all'entrata in
vigore della normativa regionale di adeguamento».
4.4. – Da quanto detto si
deduce che la valutazione ambientale strategica, disciplinata dalla
direttiva 2001/42/CE, attiene alla materia «tutela
dell'ambiente». Da tale constatazione non deriva tuttavia la
conseguenza che ogni competenza regionale sia esclusa. Questa Corte ha
più volte sottolineato la peculiarità della
materia in esame, ponendo in rilievo la sua intrinseca
“trasversalità”, con la conseguenza che,
in ordine alla stessa, «si manifestano competenze diverse,
che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le
determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina
uniforme sull'intero territorio nazionale» (sentenza n. 407
del 2002), e che «la competenza esclusiva dello Stato non
è incompatibile con interventi specifici del legislatore
regionale che si attengano alle proprie competenze» (sentenza
n. 259 del 2004).
La
“trasversalità” della materia
«tutela dell'ambiente» emerge, con particolare
evidenza, con riguardo alla valutazione ambientale strategica, che
abbraccia anche settori di sicura competenza regionale. Posto
ciò, dall'esame del Capo I della legge impugnata non vengono
in rilievo norme destinate ad incidere in campi di disciplina riservati
allo Stato. A questa conclusione contribuiscono anche due clausole
– contenute nei sopra ricordati artt. 2 e 12 – in
base alle quali la legislazione regionale si adegua ai principi e
criteri generali della legislazione statale anche successiva, mentre,
nell'ipotesi di norme regionali in contrasto, le stesse vengono
automaticamente sostituite, nell'applicazione concreta, dalle norme
statali, sino a quando la Regione non provveda ad emanare leggi di
adeguamento.
In definitiva, la Regione, tramite il
Capo I della legge impugnata, da una parte, circoscrive l'attuazione da
essa data alla direttiva 2001/42/CE alle sole materie di propria
competenza, e, dall'altra, si impegna a rispettare i principi e criteri
generali della legislazione statale e ad adeguare progressivamente a
questi ultimi la propria normativa.
Non risultano pertanto violati
né gli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia né l'art. 117, secondo e quinto comma,
Cost., specularmene evocati dal ricorrente, il quale pure ha omesso
specifiche considerazioni sull'applicabilità del titolo V
della parte seconda della Costituzione ad una Regione ad autonomia
differenziata.
5. – Un'ulteriore censura
riguarda il Capo II (artt. 13-15) della legge regionale impugnata, che
attua la direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione
ambientale, per violazione: degli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia, e dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in quanto la normativa impugnata riguarderebbe una
materia, la tutela dell'ambiente, che esula dalla competenza
legislativa regionale ed appartiene invece alla competenza esclusiva
dello Stato; dell'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., in
quanto, trattandosi dell'accesso del pubblico all'informazione
ambientale, la normativa impugnata riguarderebbe una materia
“contigua” al «coordinamento informativo
statistico ed informatico dei dati dell'amministrazione statale,
regionale e locale», di competenza esclusiva dello Stato;
dell'art. 117, quinto comma, Cost., in quanto, trattandosi di materia
di competenza esclusiva dello Stato, non spetterebbe alla Regione
provvedere all'attuazione della direttiva comunitaria.
5.1. – La questione non
è fondata.
5.2. – Con riferimento alle
norme statutarie evocate dal ricorrente ed alle norme speculari di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), e quinto comma, Cost., si deve
osservare che l'oggetto delle norme impugnate non è la
tutela dell'ambiente, ma la tutela del diritto dei cittadini ad
accedere alle informazioni ambientali. Si tratta di un aspetto
specifico della più generale tematica del diritto di accesso
del pubblico ai dati ed ai documenti in possesso delle pubbliche
amministrazioni. L'art. 22, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi), modificata dalla legge 11
febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto
1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa),
dopo aver stabilito che l'accesso ai documenti amministrativi
costituisce principio generale dell'attività amministrativa
ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., precisa: «Resta ferma la potestà delle
regioni e degli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze,
di garantire livelli ulteriori di tutela». L'art. 29, comma
2, della medesima legge aggiunge: «Le regioni e gli enti
locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie
disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione
amministrativa, così come definite dai principi stabiliti
dalla presente legge».
Il Capo II della legge regionale
impugnata si attiene ai limiti tracciati dalla legislazione statale in
materia di diritto di accesso del pubblico alle informazioni,
prevedendo specifiche norme sull'informazione ambientale, che non sono
rivolte, pertanto, alla tutela dell'ambiente, ma ad una migliore
conoscenza, da parte dei cittadini, dei problemi ambientali concreti.
Ciò è confermato dall'art. 14, comma 2, della
legge regionale impugnata, il quale prevede che «il diritto
di accesso all'informazione ambientale è esercitato nei
confronti dell'amministrazione regionale e degli enti regionali secondo
le modalità stabilite dagli articoli 58 e seguenti della
legge regionale n. 7 del 2000». Il primo comma del medesimo
articolo, che si riferisce al «diritto di accesso
all'informazione ambientale in possesso delle amministrazione
pubbliche», deve essere interpretato alla luce del citato
comma 2, escludendosi pertanto che la Regione possa legiferare in
merito all'accesso ad atti, documenti o notizie in possesso di
amministrazioni statali.
5.3. – Il parametro di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. – la cui
applicazione ad una Regione a statuto speciale non è
peraltro motivata dal ricorrente – è inconferente
rispetto al presente giudizio, giacché riguarda
l'attività di coordinamento informativo e informatico, che
serve ad «assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure
e di standard omogenei, in modo da permettere la
comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica
amministrazione» (sentenza n. 17 del 2004). Nulla a che
vedere, quindi, con le norme che disciplinano l'accesso dei cittadini
all'informazione ambientale.
6. – Le considerazioni svolte
sull'infondatezza delle diverse censure della legge regionale
impugnata, avanzate dal ricorrente con riferimento a norme di rango
costituzionali, valgono a motivare la non fondatezza delle stesse con
riferimento all'art. 16 della legge statale n. 11 del 2005, quale norma
interposta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale del Capo III della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 6 maggio 2005, n. 11 (Disposizioni per
l'adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità
europee. Attuazione della direttiva 2001/42/CE, della direttiva
2003/4/CE e della direttiva 2003/78/CE. Legge comunitaria 2004),
promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
citato in epigrafe, in riferimento all'art. 117, primo e quinto comma,
della Costituzione, ed all'art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11
(Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo
dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari);
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale del Capo I della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2005, promossa dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso citato in epigrafe, in
riferimento agli artt. 4, 5 e 6 della legge costituzionale 31 gennaio
1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia),
all'art. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), e quinto comma,
Cost., ed all'art. 16 della legge n. 11 del 2005;
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale del Capo II della medesima legge
regionale promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ricorso citato in epigrafe, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6 della
legge cost. n. 1 del 1963 ed all'art. 117, primo comma, secondo comma,
lettere r) e s), e quinto comma, Cost.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre
2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 dicembre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Ambiente in genere. V.A.S.
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