Corte Costituzionale sent. 207 del 24 luglio 2012
Oggetto: Tutela del paesaggio - D.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 intitolato "Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell'art. 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni" - Previsione dell'obbligo, per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, di adottare entro centottanta giorni le norme necessarie a disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata in conformità ai criteri del d.P.R. stesso, "in ragione dell'attinenza delle disposizioni del presente decreto ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione, e della natura di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione procedimentale in esso previste" - Lamentata inidoneità di un atto di normazione secondaria a condizionare la potestà legislativa della Provincia, quantunque qualificato come attinente a "livelli essenziali delle prestazioni" e "di grande riforma economico sociale", o in subordine mancata acquisizione del parere della Provincia richiesto per gli atti di indirizzo e coordinamento.
Dispositivo: respinge il ricorso

SENTENZA N. 207

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito dell’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 25 ottobre 2010, depositato in cancelleria il 27 ottobre 2010 ed iscritto al n. 9 del registro conflitti tra enti 2010.

Visto l’atto di costituzione di Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.― Con ricorso notificato il 25 ottobre 2010 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 27 ottobre, la Provincia autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che sia dichiarato che non spetta allo Stato il potere di disciplinare, con riferimento alla Provincia autonoma di Trento, il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, così come regolato dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), in quanto rientrante nella materia della tutela del paesaggio, affidata alla potestà legislativa primaria di essa Provincia autonoma, nonché che venga conseguentemente annullato il suddetto articolato, nella parte in cui si riferisce alla Provincia autonoma, stante l’affermato contrasto con numerosi parametri statutari e costituzionali.

L’art. 6, comma 2, infatti, secondo la ricorrente, sarebbe in contrasto con l’art. 8, primo comma, numeri 1), 5), 6), «nonché integrativamente numeri 2), 3), 4), 7), 8), 11), 14), 16), 17), 18), 21), 22), 24)», e con l’art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); nonché con le norme di attuazione dello statuto di autonomia di cui: a) al decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione); b) al decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1973, n. 690 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernente tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare); c) al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); d) al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali, leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), in particolare artt. 2 e 3.

1.1.― La Provincia autonoma di Trento, preliminarmente, esamina la disposizione oggetto del conflitto, richiamandone il contenuto.

La norma oggetto di conflitto concerne il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità e stabilisce che la Provincia autonoma di Trento debba adottare «entro centottanta giorni, le norme necessarie a disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata in conformità ai criteri del decreto stesso».

1.2.― La Provincia ricorrente premette di essere titolare di potestà legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 8, numero 6), del d.P.R. n. 670 del 1972, nonché nelle materie indicate ai numeri 1), 2), 3), 4), 5), 7), 8), 11), 14), 16), 17), 18), 21), 22) e 24) del medesimo articolo statutario (quali: ordinamento degli uffici provinciali; urbanistica e piani regolatori; toponomastica; patrimonio storico, artistico e popolare; usi e costumi locali; usi civici; ordinamento delle minime proprietà colturali; porti lacuali; miniere, cave e torbiere; apicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna; viabilità; acquedotti; lavori pubblici di interesse provinciale; comunicazioni e trasporti di interesse provinciale; impianti di funivia; agricoltura e foreste; espropriazione per pubblica utilità; opere idrauliche).

Tali competenze, sottolinea la ricorrente, sarebbero state riconosciute anche dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che, all’art. 8, dispone una specifica salvaguardia, stabilendo che «nelle materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione». In ossequio a tale disposizione, recentemente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 226 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 131, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, nella parte in cui esso – contraddicendo quanto affermato nel sopra ricordato art. 8 – includeva le Province autonome di Trento e di Bolzano tra gli enti territoriali soggetti al limite della potestà legislativa esclusiva statale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Inoltre, l’art. 16 del medesimo d.P.R. n. 670 del 1972 assegna, nelle stesse materie, alla Provincia autonoma le funzioni amministrative.

Le previsioni statutarie, poi, prosegue la ricorrente, sono state attuate da una speciale normativa, tra cui, in particolare il d.P.R. n. 381 del 1974, il d.P.R. n. 115 del 1973, nonché il d.P.R. n. 690 del 1973. Per completezza, la ricorrente ricorda che tali competenze sono state esercitate dalla Provincia autonoma con proprie leggi, tra le quali, in particolare, segnala la legge provinciale 4 marzo 2008, n. l (Pianificazione urbanistica e governo del territorio), che, al Titolo III, disciplina la tutela del paesaggio e, specificamente, all’art. 68, individua gli interventi assoggettati ad autorizzazione paesaggistica. Inoltre, prosegue la Provincia autonoma, la legge provinciale 27 maggio 2008, n. 5 (Approvazione del nuovo piano urbanistico provinciale), ha anche previsto specifiche disposizioni relativamente alla carta del paesaggio e alla carta delle tutele paesistiche, in tal modo prevedendo un’efficace e completa disciplina in materia di tutela del paesaggio.

1.3.― La Provincia autonoma ritiene, conclusivamente, che, con il comma 2 dell’art. 6 del d.P.R. n. 139 del 2010, il legislatore statale sarebbe venuto a vincolare in concreto – sia relativamente ai tempi della propria legislazione, sia in relazione allo stesso contenuto – la potestà legislativa primaria provinciale in tema di tutela paesaggistica con un atto statale di natura regolamentare, laddove la suddetta potestà potrebbe essere condizionata, nei casi previsti, soltanto con atti di normazione primaria dello Stato, violando così le prerogative costituzionali della Provincia previste dal ricordato art. 8, primo comma, numero 6), dello statuto speciale. Al riguardo, la Provincia autonoma di Trento segnala che il disposto dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992, prevede – come ribadito in più sentenze della Corte – che, nelle materie di competenza provinciale, la stessa legislazione statale non opera direttamente, dovendo la legislazione provinciale essere adeguata «ai principi e norme costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5 dello Statuto speciale», recati «dai nuovi atti legislativi dello Stato».

1.4.― Non varrebbe a salvare la norma impugnata dalla lamentata illegittimità, il rilievo che essa viene a qualificare le disposizioni del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, come norme «di grande riforma economico sociale», «inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

Tale generica qualificazione, difatti, di un intero corpo normativo sarebbe – a detta della Provincia – illegittima, oltre che per l’evidente incongruità ed arbitrarietà, anche perché non corrisponderebbe alla natura del provvedimento.

Ammesso, poi, che le norme sulla autorizzazione semplificata possano effettivamente attenere ai «livelli essenziali delle prestazioni» di cui alla lettera m) dell’art. 117, secondo comma, Cost. – affermazione della quale, secondo la ricorrente, si deve dubitare dal momento che nelle sentenze n. 10 e n. 207 del 2010 si è precisato che «la lettera m) consente allo Stato solo di fissare standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto», mentre, con le disposizioni sulla autorizzazione semplificata, non si stabilisce alcuno standard quantitativo o qualitativo di prestazioni, dato che la norma regolamentare oggetto del presente conflitto ha l’esclusiva finalità di regolare lo svolgimento della attività amministrativa in una materia di competenza provinciale – le Province autonome non sarebbero, comunque, neppure in questo caso, tenute ad adeguarsi a tali norme, poiché, se così fosse, si restringerebbe illegittimamente la potestà legislativa provinciale. A conforto, la ricorrente richiama quanto ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 45 del 2010 (e già affermato nella sentenza n. 145 del 2005), cioè che le limitazioni specifiche che il nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione pone alle competenze regionali nelle proprie materie (come, ad esempio, il limite dei livelli essenziali) «operano in relazione alle Regioni speciali nel quadro dei vincoli posti dal sistema statutario, ad esempio come principi di riforma economico-sociale e non come titolo autonomo di limitazione della potestà legislativa provinciale».

1.5.― Ugualmente illegittimo e lesivo sarebbe l’art. 6, comma 2, nella parte in cui richiama i vincoli derivanti alle autonomie speciali dalla presunta «natura di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione procedimentale in esso previste».

Infatti, pur volendo ammettere che nel decreto legislativo n. 42 del 2004 vi possano essere norme siffatte, queste non sembrano poter essere quelle relative alla semplificazione delle procedure per gli interventi di lieve entità.

1.6.― Infine, e in via subordinata, la ricorrente ritiene la norma impugnata illegittima – anche qualora la si considerasse come atto di indirizzo e di coordinamento – dal momento che essa violerebbe l’art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale stabilisce, per gli atti statali di indirizzo e di coordinamento, forme specifiche «di consultazione diretta con la regione o le province autonome secondo le rispettive competenze». Il Governo, difatti, – prosegue la ricorrente – non ha acquisito lo specifico parere della Provincia, come appunto richiesto dall’art. 3, comma 3, del citato d.lgs., non potendo risultare sufficiente il coinvolgimento della Conferenza unificata, sia perché in questa ultima la posizione della Provincia non è decisiva (dato che le decisioni vengono prese a maggioranza), sia perché l’intesa della Conferenza non surroga la consultazione individuale della Provincia.

In ogni caso, conclude la Provincia, l’atto impugnato – senz’altro illegittimo per le ragioni sopra esposte – costituirebbe, altresì, violazione del principio di «legalità sostanziale», essendo stato adottato in base a quanto disposto dal comma 9 dell’art. 146 del Codice, che non appare contenere «criteri sufficienti a limitare la discrezionalità governativa e a soddisfare il principio di legalità sostanziale».

2.― Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso presentato dalla Provincia autonoma di Trento sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato.

2.1.― La difesa dello Stato osserva, preliminarmente, che è da disattendere la prima delle censure avanzate dalla ricorrente, relativa alla natura regolamentare e non legislativa della norma impugnata, in quanto il d.P.R. n. 139 del 2010 sarebbe un «regolamento di delegificazione», previsto e regolato dall’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale stabilisce, altresì, una «procedura aggravata» per la sua approvazione, richiedendo la previa intesa del Ministro con la Conferenza unificata, intesa raggiunta ed espressa all’unanimità da tutte le Regioni e dalle Province autonome.

Né il ricorso – prosegue l’Avvocatura – a tale tipologia di fonte normativa, secondo la scelta operata dal Governo, presenta profili di illegittimità, poiché sia secondo l’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), sia secondo la giurisprudenza costituzionale è consentito utilizzare un regolamento di delegificazione, salvo ipotesi di riserva assoluta di legge, proprio allo scopo di venire a disciplinare materie che possano essere qualificate come «norme di grande riforma» (sentenza n. 164 del 2009).

2.2.― Peraltro, prosegue l’Avvocatura dello Stato, l’impugnativa sarebbe, in ogni caso, inammissibile, in quanto la Provincia autonoma non sarebbe, comunque, legittimata a censurare «il ricorso operato nel caso di specie a tale strumento normativo», per due ordini di motivi. Da un lato, infatti, non avrebbe impugnato, come dovuto, l’art. 146, comma 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, norma primaria; dall’altro lato, poi, il provvedimento oggetto del conflitto è stato approvato con il parere favorevole della Conferenza unificata, di cui fa parte la Provincia autonoma di Trento, che ha, pertanto, partecipato alla formazione dell’intesa esprimendo – diversamente da quanto affermato nel ricorso – parere favorevole sul testo del provvedimento, con la conseguenza che il ricorso risulterebbe inammissibile per carenza d’interesse. La Provincia autonoma ricorrente sarebbe, infatti, «tenuta agli atti collegialmente adottati».

2.3.― Inammissibili, prosegue la resistente, risulterebbero anche i primi tre motivi di censura avanzati dalla ricorrente, in quanto essi si fonderebbero «sul contenuto sostanziale del regolamento in esame, e quindi, sulla sua intrinseca capacità di dettare norme con contenuto sostanziale di legge». In ciò vi sarebbe un evidente contrasto con la premessa fatta propria dalla Provincia per dimostrare la non vincolatività nei suoi confronti dell’atto impugnato, premessa che si fonda proprio sulla forma giuridica dello stesso, trattandosi di un regolamento e non di una legge.

2.4.― Nel merito, la censura relativa alla qualificazione della norma come «norma di grande riforma economico sociale» e «inerente ai livelli essenziali delle prestazioni», sarebbe infondata, avendo la Provincia autonoma erroneamente ritenuto che il d.P.R. n. 139 del 2010 atterrebbe alla materia della tutela del paesaggio.

Al contrario, per la difesa erariale, «la materia su cui incide la normativa censurata deve essere riguardata secondo il suo intrinseco contenuto, e non in considerazione degli effetti finali che essa sarà in grado di produrre e degli interessi ultimi che potrà soddisfare»; pertanto, essa sarebbe attinente alla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, riguardando esclusivamente il procedimento da adottare, in un’ottica di semplificazione amministrativa, per ottenere la autorizzazione paesaggistica, escludendo, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le questioni di carattere sostanziale attinenti alla tutela paesaggistica.

Quindi, il d.P.R. n. 139 del 2010, sia se lo si consideri riconducibile alla materia disciplinata dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ovvero a normativa di grande riforma economico-sociale, può legittimamente vincolare la potestà legislativa delle Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, nonché quella delle Province autonome, potendo lo Stato legittimamente emanare regolamenti di delegificazione nelle materie di propria competenza esclusiva, vincolanti anche per le Province autonome (sentenze n. 101 del 2010 e n. 61 del 2009).

2.5.― Conclusivamente, la disposizione in esame non recherebbe vulnus alcuno alla potestà legislativa primaria della ricorrente, che – in base all’intesa raggiunta – ha goduto, peraltro, di un termine ragionevole (180 giorni) per uniformare la propria normativa alle regole di semplificazione del procedimento previsto dal d.P.R. in esame.

3.― La Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria illustrativa per replicare alle eccezioni e deduzioni dell’Avvocatura dello Stato, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

3.1.― Preliminarmente, la ricorrente Provincia respinge l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla difesa statale relativamente alla mancata impugnazione, da parte di essa ricorrente, della norma primaria di cui all’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto questo ultimo non prevede l’applicazione del regolamento anche alla Provincia autonoma di Trento, «in coordinamento con l’espressa clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 8 del Codice».

Da disattendere sarebbe, anche, l’ulteriore profilo di inammissibilità, relativo alla partecipazione della Provincia autonoma ai lavori della Conferenza unificata, esprimendo la propria intesa. Infatti, la ricorrente sottolinea di non aver partecipato a tale riunione, come risulta dalla documentazione presentata.

Infondato sarebbe anche il terzo profilo di inammissibilità eccepito dalla difesa erariale, basato su una errata lettura del ricorso della Provincia, ove si afferma di «non aver ragione di censurare tale regolamento, nella parte in cui esso detta la procedura semplificata». Con questa affermazione – come appare evidente – la Provincia autonoma di Trento non ha certo voluto intendere di condividere il contenuto del regolamento impugnato, ma, semplicemente, che l’esame del contenuto di esso, nella parte in cui non le si applica, è privo di interesse per quest’ultima.

3.2.― Nel merito, la ricorrente ribadisce le ragioni dedotte nell’atto di costituzione in ordine alla fondatezza del ricorso.

4.― Anche il Presidente del Consiglio dei ministri, in data 6 ottobre 2011, ha depositato, fuori termine, una memoria.


Considerato in diritto

1.― La Provincia autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per ottenere la dichiarazione di non spettanza allo Stato del potere di disciplinare, con riferimento alla Provincia autonoma di Trento, il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, così come regolato dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), in quanto rientrante nella materia della tutela del paesaggio, affidata alla sua potestà legislativa primaria, nonché il conseguente annullamento del suddetto articolo, nella parte in cui si riferisce alla Provincia autonoma, stante l’affermato contrasto con numerosi parametri statutari e costituzionali.

1.1.― La disposizione oggetto di conflitto concerne il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità e stabilisce che in ragione dell’attinenza delle disposizioni del suddetto decreto ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e della natura di grande riforma economico sociale del Codice dei beni culturali e del paesaggio e delle norme di semplificazione procedimentale in esso previste, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità agli statuti ed alle relative norme di attuazione, adottano, entro centottanta giorni, le norme necessarie a disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata in conformità ai criteri del citato decreto.

1.2.― Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 8, primo comma, numeri 1), 5), 6), «nonché integrativamente numeri 2), 3), 4), 7), 8), 11), 14), 16), 17), 18), 21), 22), 24)», e con l’art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché con le norme di attuazione dello statuto di autonomia di cui: a) al decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione); b) al decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1973, n. 690 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernente tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare); c) al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); d) al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), in particolare artt. 2 e 3.

1.3.― La ricorrente – richiamate le proprie competenze statutarie, sia legislative primarie sia amministrative, competenze riconosciute anche dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che, all’art. 8, dispone una specifica salvaguardia, stabilendo che «nelle materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione» – lamenta che, con il provvedimento impugnato, il legislatore statale sarebbe venuto a vincolare in concreto, sia relativamente ai tempi della propria legislazione, sia in relazione allo stesso contenuto, la potestà legislativa primaria provinciale in tema di tutela paesaggistica, peraltro con un atto statale di natura regolamentare, laddove la suddetta potestà potrebbe, nei casi previsti, essere condizionata soltanto con atti di normazione primaria dello Stato.

In tal modo, prosegue la Provincia autonoma, sarebbero state violate le proprie prerogative costituzionali, previste dal ricordato art. 8, primo comma, numero 6), dello statuto speciale. Al riguardo, sottolinea, altresì, che l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992 prevede che, nelle materie di competenza provinciale, la legislazione statale non operi direttamente, dovendo la legislazione provinciale essere adeguata «ai principi e norme costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5 dello Statuto speciale», recati «dai nuovi atti legislativi dello Stato».

2.― Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso.

2.1.― Ritiene la difesa statale, innanzitutto, che l’inammissibilità del ricorso in esame si baserebbe sulla considerazione che l’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 139 del 2010 (come, del resto, l’intero regolamento) non avrebbe carattere innovativo, ma sarebbe meramente attuativo dell’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, norma primaria, alla quale sarebbe riconducibile l’asserita lesione delle prerogative della ricorrente, che, dunque, avrebbe dovuto, nei termini, essere oggetto del ricorso in via principale.

2.1.1.― L’eccezione non è fondata.

Questa Corte ha ripetutamente sottolineato «l’inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione proposti contro atti meramente conseguenziali (confermativi, riproduttivi, esplicativi, esecutivi, etc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati, con i quali era già stata esercitata la competenza contestata. In tali ipotesi, infatti, secondo la giurisprudenza costituzionale, si verificherebbe una decadenza dall’esercizio dell’azione, per il fatto che, in siffatta evenienza, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente conseguenziale, si tenterebbe in modo surrettizio, di contestare giudizialmente l’atto di cui quello impugnato è mera conseguenza e, per il quale, è già inutilmente spirato il termine» (tra le ultime, sentenza n. 369 del 2010).

Tuttavia, nel caso di specie, tali principi non risultano applicabili. Infatti, il d.P.R. n. 139 del 2010 impugnato non costituisce pedissequa attuazione della norma primaria. L’art. 146 del Codice dei beni culturali disciplina l’autorizzazione in materia paesaggistica e al comma 9 – nella parte che qui interessa – prevede che con «regolamento da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d’intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell’autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni».

Poiché l’art. 8 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevedeva che nelle materie «disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione», sussistevano ampi margini di dubbio sull’estensione della specifica disciplina relativa al rilascio dell’autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità anche alla ricorrente Provincia autonoma e, quindi, non può ritenersi che si realizzino le condizioni per una decadenza dell’esercizio dell’azione nei confronti dell’impugnato regolamento.

2.1.2.― Pertanto, poiché la menomazione delle attribuzioni lamentata dalla Provincia autonoma ricorrente «è autonomamente imputabile al provvedimento impugnato, e non già a questo quale mero e puntuale provvedimento attuativo ed esecutivo della norma censurata di incostituzionalità» (sentenza n. 386 del 2005), secondo costante giurisprudenza costituzionale, non è precluso l’esame del merito dell’odierno conflitto.

2.2.― Ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso – secondo la difesa dello Stato – risiederebbe nella partecipazione della Provincia autonoma di Trento alla Conferenza unificata che ha approvato il d.P.R. n. 139 del 2010 e che vincolerebbe la ricorrente all’esito maturato in quella sede.

2.2.1.― Anche questa eccezione deve essere disattesa, essendo ampiamente documentato il dissenso della ricorrente all’approvazione del testo nella formulazione poi divenuta definitiva, accompagnato dalla richiesta di introdurre emendamenti. Al riguardo, la Provincia autonoma ha depositato, unitamente alla memoria del 27 settembre, il verbale della riunione della Conferenza unificata del 26 novembre 2009, nel corso della quale è stato approvato lo schema del regolamento in oggetto, da cui risulta la sua mancata partecipazione a tale riunione.

La ricorrente ricorda, altresì, di aver precedentemente manifestato il proprio dissenso e richiesto modifiche all’attuale testo, prima della approvazione (come risulta dal primo “Considerato” dell’Intesa), prove che renderebbero inconferente ogni deduzione sul comportamento della Provincia autonoma in tale sede.

La giurisprudenza costante di questa Corte ha ritenuto che il dissenso manifestato anteriormente all’approvazione di normative oggetto di concertazione implica la perdurante ammissibilità del ricorso per conflitto ad opera della parte dissenziente (da ultimo, sentenza n. 275 del 2011; v. anche sentenze n. 39 del 2003, n. 507 del 2002 e n. 206 del 2001).

2.3.― Ugualmente da respingere, in quanto non fondato, è l’ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso, relativo ad una presunta attestazione di non lesività del regolamento impugnato «nella parte in cui esso detta la procedura semplificata», ricavabile da quanto avrebbe affermato la stessa Provincia di Trento nel suo ricorso.

Tale eccezione si basa unicamente su una capziosa ed errata lettura del contenuto del ricorso, in quanto la Provincia di Trento non ha, con le sue affermazioni, voluto intendere di condividere il contenuto del regolamento ma, bensì, che l’esame di disposizioni che essa ritiene non applicabili, è privo di interesse e, quindi, non oggetto di censura.

3. — Nel merito, il conflitto non è fondato.

3.1.― L’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 139 del 2010 – come sopra ricordato – concerne il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità e stabilisce che la Provincia autonoma di Trento, «in ragione dell’attinenza delle disposizioni del presente decreto ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e della natura di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione procedimentale in esso previste», debba adottare, «entro centottanta giorni, le norme necessarie a disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata in conformità ai criteri del decreto stesso».

3.2.–– La prima valutazione da compiere riguarda la fondatezza delle censure della Provincia in ordine alla lesione delle specifiche attribuzioni che le derivano dallo statuto di autonomia. La ricorrente lamenta, infatti, la violazione di quanto previsto dall’art.8, primo comma, numero 6), del d.P.R. n. 670 del 1972 che le conferisce potestà legislativa primaria nella materia della «tutela del paesaggio», al quale vanno collegate altre disposizioni statutarie e della normativa di attuazione. Fa altresì presente che non si verte in una normativa statale costituente riforma economico sociale della Repubblica, né che ad essa può essere opposto il nuovo testo del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, dato che una limitazione delle sue competenze legislative che derivasse dall’applicazione del nuovo testo dell’art. 117 Cost. verrebbe a porsi in contrasto con quanto previsto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che vieta che dalle disposizioni di tale novella costituzionale possa derivare una “reformatio in pejus” della normativa prevista dagli statuti di autonomia speciale.

La affermazione della ricorrente circa l’insussistenza, da parte delle disposizioni impugnate, dei requisiti formali perché queste possano essere ascritte nell’ambito «delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» è esatta. Già nella sentenza n. 376 del 2002 questa Corte, esaminando – alla luce dell’assetto costituzionale precedente alla revisione del 2001 – la posizione che, nella gerarchia delle fonti di produzione del diritto, venivano ad assumere i regolamenti di delegificazione, affermava che «la sostituzione di norme legislative con norme regolamentari esclude(va) di per sé che da queste ultime (potessero) trarsi principi vincolanti per le regioni». È evidente che in nulla queste conclusioni sono mutate dopo la modifica del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, e che, quindi, deve escludersi che il regolamento di delegificazione sia un veicolo normativo idoneo a delineare le grandi riforme economico-sociali che si impongono alla potestà legislativa della Provincia autonoma.

Sono, invece, erronee le altre argomentazioni della ricorrente.

Il più volte citato art. 8, primo comma, numero 6), dello statuto di autonomia riconosce una competenza legislativa primaria alla Provincia nelle questioni di merito relative alla «tutela del paesaggio». Infatti, nella sentenza n. 226 del 2009, questa Corte, affrontando la questione della legittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, con riferimento al parametro rappresentato dalla lettera s) del novellato secondo comma dell’art. 117 della Costituzione, vale a dire operando un raffronto di merito tra la «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» e la «tutela del paesaggio» dello statuto di autonomia, precisò che «la competenza statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non può operare nei confronti della Provincia autonoma di Trento in materia di tutela del paesaggio, giacché essa è espressamente riservata alla sua competenza legislativa primaria, nei limiti segnati dall’art. 4 dello statuto, i quali – come già evidenziato per l’analoga previsione statutaria della Regione Valle d’Aosta – comportano che la Provincia di Trento debba rispettare la norma fondamentale di riforma economico-sociale costituita dal citato art. 142».

Invece, nel caso in esame, la questione non riguarda aspetti sostanziali, ma concerne profili di carattere procedurale: quali, cioè, debbano essere le regole che disciplinano, con riferimento alle procedure semplificate in materia di autorizzazione paesaggistica per interventi di lieve entità, il rapporto tra la pubblica amministrazione e coloro che richiedono una prestazione rientrante in questo ambito. Si tratta di un aspetto che è estraneo alla previsione della più volte citata disposizione dello statuto speciale, il quale, quindi, da questa normativa non subisce alcuna violazione per ciò che riguarda le attribuzioni legislative che conferisce alla Provincia (né, per il parallelismo previsto dall’art.16, per le attribuzioni amministrative).

Al riguardo, è opportuno ricordare che nell’art. 4 dello statuto è ancora presente (a differenza di ciò che è avvenuto per le regioni a statuto ordinario con la modifica dell’art. 117) il limite alla potestà legislativa rappresentato dal «rispetto […] degli interessi nazionali». Si tratta di un’espressione che può avere molteplici significati, tra i quali va sicuramente ricondotto (in quanto è la disposizione costituzionale stessa che, nell’inciso, riconoscendo un fondamentale diritto della popolazione, evidenzia che il riferimento è anche rivolto allo “Stato comunità”) quello che tutti i destinatari delle leggi della Repubblica hanno il diritto di fruire, in condizioni di parità sull’intero territorio nazionale, di una procedura uniforme nell’esame di loro istanze volte ad ottenere un provvedimento amministrativo.

4.–– Poiché la normativa statutaria non impedisce questo intervento da parte dello Stato, che si pone al di fuori delle competenze legislative fissate dall’art. 8, primo comma, numero 6), del d.P.R. n. 670 del 1972 – che costituisce il presupposto logico delle altre disposizioni statutarie ed attuative invocate, le quali, quindi, non possono in modo autonomo essere poste a sostegno della tesi della Provincia – occorre effettuare un ulteriore esame per valutarne la legittimità costituzionale.

La ricorrente aveva paventato il rischio che la mancata, o erronea, applicazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 avesse portato lo Stato a far valere nei suoi confronti la normativa contenuta nel novellato art. 117 della Costituzione. Se a queste argomentazioni già si è data una risposta, resta da valutare un diverso, per certi versi opposto, dubbio, se cioè questo tipo di intervento sia consentito allo Stato dal nuovo art. 117. Infatti, l’art. 10 della legge di revisione costituzionale, se da una parte vieta che le disposizioni contenute nella suddetta legge costituzionale possano limitare le attribuzioni contenute negli statuti speciali, dall’altra le estende a questi ultimi «per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampia rispetto a quelle già attribuite». A questo, del resto, fa implicito ma chiaro riferimento la ricorrente, laddove afferma che «il divieto di regolamenti statali nelle materie regionali […] vale anche per le Regioni ordinarie». Tralasciando, in quanto non rilevanti ai fini della presente decisione, le complesse questioni interpretative che questa disposizione fa sorgere, sulle quali la Corte si è soffermata fin dalla sentenza n. 314 del 2003, occorre valutare se l’attuale art. 117 Cost. consenta allo Stato di emanare l’impugnato regolamento di semplificazione.

4.1.― È necessario, innanzitutto, individuare, con riferimento al riparto di competenze previsto per le Regioni a statuto ordinario, l’ambito materiale al quale ricondurre la disciplina oggetto dell’impugnazione della Provincia autonoma di Trento, avendo riguardo all’oggetto ed alla ratio della norma medesima, così da identificare correttamente l’interesse da essa tutelato.

4.2.— Secondo l’autoqualificazione compiuta dal legislatore statale con il sopra citato articolo, la disciplina in esame è riconducibile alla materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.», attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Nella giurisprudenza di questa Corte si è più volte affermato che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza. Per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse tutelato (da ultimo, sentenza n. 164 del 2012, vedi anche: sentenze n. 207 del 2010, n. 1 del 2008, n. 169 del 2007 e n. 447 del 2006).

4.3.― Nel caso in oggetto, l’autoqualificazione operata dal legislatore statale, benché priva di efficacia vincolante per quanto prima rilevato, è corretta.

Va infatti ricordato che l’affidamento in via esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è previsto in relazione ai «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; e che, pertanto, «si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.», essendo «strumento indispensabile per realizzare quella garanzia» (sentenza n. 164 del 2012).

In questo quadro, si deve ribadire che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (ex plurimis: sentenze n. 248 del 2011, n. 207 del 2010, n. 322 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008).

Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005), nonché «quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi» (sentenza n. 92 del 2011), attribuendo «al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n. 8 del 2011, n. 10 del 2010 e n. 134 del 2006).

4.4.― Si tratta, pertanto, come già precisato più volte da questa Corte, «non tanto di una «materia» in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).

Alla stregua di tali principi, la disciplina in questione va ricondotta all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

In questa prospettiva, infatti, anche l’attività amministrativa (quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere), come la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di evidenziare, può assurgere alla qualifica di «prestazione» della quale lo Stato è competente a fissare un «livello essenziale» a fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati (si vedano le sentenze n. 322 del 2009, n. 399 e n. 398 del 2006).

La disciplina oggetto della norma qui impugnata dalla Provincia ricorrente rientra, pertanto, in quella evoluzione in atto nel sistema amministrativo tesa ad una accentuata semplificazione di talune tipologie procedimentali. La riconducibilità ai livelli essenziali delle prestazioni della disciplina dettata dall’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 139 del 2010, è, pertanto, desumibile dall’oggettiva necessità di dettare regole del procedimento, valide in ogni contesto geografico della Repubblica, le quali, adeguandosi a canoni di proporzionalità e adeguatezza, si sovrappongano al normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione.

L’esigenza comune, che caratterizza questo tipo di attività procedurale, è quella di impedire che le funzioni amministrative risultino inutilmente gravose per i soggetti amministrati ed è volta a semplificare le procedure, evitando duplicazione di valutazioni, in un’ottica di bilanciamento tra l’interesse generale e l’interesse particolare all’esplicazione dell’attività.

4.4.1.― Del resto, più volte questa Corte ha affermato, sottoponendo a scrutinio le disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che esse definivano livelli essenziali delle prestazioni. È opportuno ricordare, al riguardo, che il legislatore statale, con l’art. 29 della legge n. 241 del 1990 – come modificato dall’art. 10 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) – al comma 2-bis, ha previsto che afferiscano ai livelli essenziali delle prestazioni le norme di legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di assicurare la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, sia quelle tese all’individuazione di un responsabile ed alla conclusione del procedimento stesso entro il termine prefissato, sia quelle relative alla durata massima dei procedimenti.

Fin dalla sentenza n. 282 del 2002, questa Corte ha sottolineato che alla base dei livelli essenziali vi è l’esigenza, che giustifica la competenza esclusiva statale, di «porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle».

Particolarmente significativa, con riferimento al presente conflitto, è la già citata sentenza n. 322 del 2009, relativa alla certificazione ambientale o di qualità rilasciata da soggetto certificatore accreditato, nella quale si afferma che la disposizione allora impugnata «mira […] ad assicurare che tutte le imprese fruiscano, in condizioni di omogeneità sull’intero territorio nazionale, ad uno stesso livello, della possibilità di avvalersi di una prestazione, corrispondente all’ottenimento di una delle certificazioni di qualità dalla stessa previste, concernenti molteplici ambiti e scopi, da parte di appositi enti certificatori, accreditati in ragione del possesso di specifici requisiti», affidando «ad un regolamento governativo (da adottarsi previo parere della Conferenza Stato-Regioni) [il] compito di individuare “le tipologie dei controlli”». Dato che la «disciplina è […] riconducibile alla materia “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, attribuita dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato», a quest’ultimo spetta, dunque, «anche la potestà normativa secondaria, con la naturale conseguenza della attribuzione del potere regolamentare».

La disposizione regolamentare oggetto del conflitto ha l’evidente finalità di predisporre modelli procedurali semplificati, in grado di accelerare i tempi che siano, nel contempo, uniformi su tutto il territorio nazionale. Chiare ed inequivocabili sono, quindi, le esigenze di uniformità della disciplina in tema di autorizzazione paesaggistica su tutto il territorio nazionale, tanto da giustificare – grazie al citato parametro (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) – che si impongano anche all’autonomia legislativa delle Regioni.

5.― Nella disposizione censurata si ravvisa l’esigenza (comune, per gli argomenti sopra esposti, ai provvedimenti di semplificazione amministrativa, a prescindere dalla materia sulla quale vengano ad incidere) «di determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome» (sentenza n. 164 del 2012).

6.― In conclusione, la materia esula dall’ambito di applicazione dello statuto di autonomia della Provincia e la riconduzione della disciplina in esame all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. comporta la non fondatezza del conflitto in oggetto.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava allo Stato disciplinare, nei confronti della Provincia autonoma di Trento, il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, come regolato dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), impugnato dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2012.