Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2394, del 2 maggio 2013
Urbanistica.Edificazione in area agricola

Le esenzioni poste dall’art. 9 (Concessione gratuita) della legge n. 10/1977, non dimostrano affatto che la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale possa rilevare soltanto ai fini della concessione di benefici economici. Ciò posto, è facilmente riscontrabile che la scelta di limitare l’edificazione a scopo residenziale nelle zone agricole ai soli imprenditori agricoli a titolo principale trova solida giustificazione nell’esigenza di salvaguardare la destinazione agricola dell’area, impedendo lo snaturamento delle sue caratteristiche. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02394/2013REG.PROV.COLL.

N. 09226/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9226 del 2001, proposto da Calzolari Claudio e Venturi Loretta, rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Paolucci e Rolando Roffi, con domicilio eletto presso Massimo Letizia in Roma, viale Angelico 103;

contro

Comune di Sasso Marconi, rappresentato e difeso dapprima dall’avv. Lucio Solazzi, e indi, dopo il suo decesso, dagli avv. Antonella Micele e Carlo Visconti, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via F. Michelini Tocci 50;

nei confronti di

Provincia di Bologna, rappresentata e difesa dagli avv. Adriano Giuffre' ed Emilia Neri, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via dei Gracchi 39;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA, BOLOGNA, SEZIONE I, n. 467/2001, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sasso Marconi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti l’avv. Letizia su delega dell'avv. Paolucci, l’avv. Micele, ed infine l’avv. Francesca Giuffrè su delega dell'avv. Adriano Giuffrè;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Gli attuali appellanti, proprietari di un podere in zona agricola del Comune di Sasso Marconi, dopo avere ottenuto da tale Ente il rilascio di una concessione edilizia, il 13 luglio 1995, per la costruzione di una rimessa destinata al ricovero di macchine agricole, costituita da un solo piano seminterrato, realizzavano in sito un ulteriore piano sopraelevato ed un piano sottotetto, per uso residenziale.

Il Comune ingiungeva la demolizione delle opere abusive con ordinanza in data 23 novembre 1998, che formava oggetto di un primo ricorso da parte degli interessati dinanzi al locale T.A.R.

I medesimi presentavano poco dopo una domanda di concessione in sanatoria dell’abuso ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985.

La concessione veniva però denegata con provvedimento comunale del 22 luglio 1999, sul rilievo che l’intervento mancava dei presupposti di cui all’art. 13 delle Norme Tecniche di Attuazione del p.r.g..

Da qui un secondo ricorso al Tribunale competente da parte dei richiedenti, che impugnavano, oltre che il diniego di sanatoria, anche la variante di p.r.g., approvata dalla Giunta provinciale di Bologna con delibera del 26 luglio 1999, di cui tale diniego costituiva applicazione.

Resistevano ai ricorsi gli intimati Comune e Provincia (questa limitatamente al secondo gravame).

All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 467/2001 in epigrafe, riuniti i ricorsi, mentre dichiarava improcedibile il primo per sopravvenuta carenza di interesse, ritenendo che con la presentazione della domanda di sanatoria la precedente ingiunzione a demolire avesse perduto efficacia (ferma la necessità di un nuovo provvedimento sanzionatorio in caso di definitivo diniego della sanatoria), respingeva il secondo gravame, reputandolo infondato.

Donde il presente appello degli interessati dinanzi alla Sezione, impugnativa con la quale la sentenza in epigrafe veniva avversata nella sola parte in cui reiettiva del secondo dei ricorsi di prime cure (la declaratoria di improcedibilità emessa dal T.A.R. sulla prima impugnativa passava quindi in giudicato).

Resistevano all’appello il Comune di Sasso Marconi e la Provincia di Bologna, che ne deducevano l’infondatezza.

Le posizioni delle parti venivano riprese e sviluppate con successive memorie, anche in replica.

Alla pubblica udienza del 9 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

1 La Sezione deve dare preliminarmente atto che con il presente gravame è stata riproposta solo una parte delle censure sollevate in primo grado avverso il diniego di concessione in sanatoria e la sottostante variante di p.r.g..

Le doglianze di violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché di eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e travisamento, non essendo state confermate in questo grado di giudizio, devono pertanto reputarsi già respinte in forma definitiva con la pronunzia del Tribunale.

2 Il primo motivo di appello investe l’art. 13 delle Norme Tecniche di Attuazione del p.r.g., norma il cui contenuto, poco prima ridefinito in sede di variante, è stato posto a base del diniego di sanatoria.

2a Le critiche di parte si incentrano, anche in questo grado di giudizio, sulla circostanza che la norma di piano, per la legittimazione agli interventi edilizi di nuova costruzione, ricostruzione o ampliamento per uso abitativo in zona agricola, esige nel richiedente la qualità di imprenditore agricolo a titolo principale.

Gli interessati, pur riferendo di dedicare “buona parte del proprio tempo lavorativo all’attività di coltivazione”, ammettono di non essere in grado di dimostrare che i ricavi della loro attività agricola raggiungano la soglia di almeno i due terzi del loro reddito globale da lavoro. Da qui la loro carenza della qualifica anzidetta.

Essi contestano, tuttavia, la legittimità della previsione comunale che esige la titolarità di quest’ultima.

A loro avviso la disposizione realizzerebbe un’inammissibile disparità di trattamento in danno dei proprietari agricoltori a titolo diverso da quello principale (“ma pur sempre agricoltori”), interdicendo solo a loro la possibilità di vivere sul fondo.

Sempre secondo gli interessati, il possesso della qualifica indicata potrebbe essere preteso unicamente ai fini dell’accesso a benefici economici (giusta l’art. 9 della legge n. 10 del 1977), e non anche ai fini della legittimazione all’attività edilizia. Una restrizione di questo secondo tipo sarebbe incomprensibile, giacché laratio della normativa comunale, intesa a preservare le condizioni per l’esercizio dell’attività agricola, potrebbe essere parimenti soddisfatta da agricoltori attivi a titolo diverso da quello principale, la cui presenza costante sul fondo non potrebbe non avvantaggiarne comunque l’attività.

Viene altresì dedotto che il Comune, nel pronunziarsi sull’istanza di concessione, non avrebbe potuto limitarsi al solo aspetto della (carente) qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, ma avrebbe dovuto spingersi a valutare anche l’indispensabilità della costruzione, nonché la sua connessione funzionale con il fondo agricolo.

Parte ricorrente si rappresenta, infine, la possibilità che la norma comunale contestata sia riproduttiva di una previsione regionale o statale di natura legislativa (alludendo all’art. 40 della L.R. n. 47/1978), e per tale eventualità solleva una questione di legittimità costituzionale della regola di legge per contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione.

2b Osserva la Sezione che il diniego di concessione in sanatoria oggetto di gravame opera un univoco richiamo ai presupposti richiesti dall’art. 13 delle Norme Tecniche di Attuazione del p.r.g.. Il diniego ha fatto seguito, del resto, ad una richiesta comunale agli istanti, rimasta inadempiuta, di documentare il possesso, da parte loro, della qualità di “Imprenditore Agricolo a titolo principale”, oltre che di produrre il loro Piano di sviluppo Aziendale (da sottoporre all’approvazione della Provincia).

L’art. 13 cit. pone invero, per gli interventi di nuova costruzione, ricostruzione o ampliamento per uso abitativo in zona agricola, il requisito della qualità di imprenditore agricolo a titolo principale in capo al richiedente.

Alla luce del tenore di tale previsione di piano, e stante la mancata dimostrazione del possesso del requisito da parte degli interessati, il diniego impugnato costituiva, dunque, un atto dovuto, senza che il Comune fosse tenuto in concreto a prendere in considerazione alcun ulteriore elemento.

2c Va altresì osservato che l’art. 13 cit., nella parte in cui esige il requisito suddetto, si conforma, a sua volta, all’art. 40 della L.R. n. 47/1978, del quale costituisce una lineare applicazione.

L’articolo di legge, invero, dopo avere stabilito in via di principio che “Le nuove costruzioni residenziali non al diretto servizio della produzione agricola e delle esigenze dei lavoratori agricoli e dei loro familiari sono incompatibili con le destinazioni d'uso delle zone agricole”, puntualizza che “Le nuove costruzioni residenziali si intendono come funzionali alla produzione agricola quando sono realizzate in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze economiche, sociali, civili e culturali” del coltivatore diretto proprietario e del coltivatore diretto affittuario, nonché di altre figure comunque aventi “la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi del primo comma dell' articolo 7 della legge regionale 5 maggio 1977, n. 18”.

La disciplina regionale, pertanto, se da una parte stabilisce un divieto di principio per le nuove costruzioni residenziali nelle zone agricole, al tempo stesso ammette una deroga al divieto, unicamente, però, per le costruzioni giustificate dall’essere al diretto servizio della produzione agricola e delle esigenze dei lavoratori agricoli.

Lo stesso legislatore regionale, inoltre, nel dettare il necessario criterio specificativo di questa ipotesi derogatoria, con scelta immune da vizi logici la impernia –per quanto qui rileva- sulla nozione di imprenditore agricolo a titolo principale.

Si conferma allora che la disciplina di piano del Comune di Sasso Marconi trova puntuale fondamento, per il profilo oggetto di controversia, nell’art. 40 della L.R. n. 47/1978.

2d Ne consegue che le sorti del motivo in esame dipendono fondamentalmente da quelle dei dubbi di legittimità costituzionale che sono stati espressi dalle attuali appellanti a carico di tale norma di legge.

Come ha ben osservato la difesa provinciale, infatti, le esenzioni poste dall’art. 9 della legge n. 10/1977, diversamente da quanto parte appellante apoditticamente afferma, non dimostrano affatto che la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale possa rilevare soltanto ai fini della concessione di benefici economici.

2e Ciò posto, è agevole convenire con la difesa delle Amministrazioni appellate che la scelta di limitare l’edificazione a scopo residenziale nelle zone agricole ai soli imprenditori agricoli a titolo principale trova solida giustificazione nell’esigenza di salvaguardare la destinazione agricola dell’area, impedendo lo snaturamento delle sue caratteristiche (quale quello realizzatosi nella fattispecie, in cui si è partiti da una concessione rilasciata per una rimessa per macchine agricole per costruire poi, di fatto, una villetta).

La Sezione condivide quindi la valutazione di manifesta infondatezza espressa dal primo Giudice sui dubbi di legittimità costituzionale formulati in merito dall’attuale parte appellante. E questo sin dal rilievo del T.A.R. che ha escluso la sussistenza di una censurabile disparità di trattamento, facendo notare come la regola dettata dal legislatore regionale in punto di edificabilità si ricolleghi non tanto ad una distinzione tra soggetti, quanto alla destinazione obiettiva degli immobili interessati.

La Corte Costituzionale si è difatti già pronunciata con chiarezza su queste tematiche.

Con riferimento alla legge della Regione Lombardia 7 giugno 1980 n. 93 (Norme in materia di edificazione nelle zone agricole), sospettata di incostituzionalità nella parte in cui la realizzazione di opere non destinate alla residenza era subordinata al possesso di particolari requisiti soggettivi (qualità di imprenditore agricolo o di figure assimilate) e all'accertamento di un collegamento funzionale delle opere stesse con l'attività di agricoltura, la Corte, con la sentenza n. 167 del 16 maggio 1995, ha giudicato manifestamente infondati i dubbi dei quali era stata investita, sulla base della seguente motivazione:

“Considerato che gli artt. 2, primo comma, e 3 della legge della Regione Lombardia n. 93 del 1980, oggetto di contestazione da parte del giudice a quo, sono frutto di un'insindacabile scelta del legislatore regionale, diretta a limitare l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture, scelta che ha il proprio fondamento nell'art. 44 della Costituzione, il quale, " fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali", facoltizza il legislatore, anche regionale, a predisporre aiuti e sostegni all'impresa agricola e alla proprietà coltivatrice;

che, rispetto a tale ratio legislativa, non può essere affatto considerata un'irragionevole discriminazione, lesiva dell'art. 3 della Costituzione, la subordinazione del rilascio della concessione edilizia sia al possesso della qualità di imprenditore agricolo o di altra figura assimilata, sia all'accertamento di un collegamento funzionale dell'opera con l'attività agricola,essendo elementi volti a denotare la destinazione effettiva delle opere alla conduzione del fondo o, in genere, alla attività di agricoltura;

che, inoltre, del pari manifestamente infondata risulta la pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione sotto il profilo della lesione dei principi fondamentali desumibili dalle leggi statali in materia urbanistica, poiché, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. ordinanze nn. 714 e 709 del 1988), mentre rientra nei poteri del legislatore in tema di disciplina urbanistica sottoporre a un trattamento differenziato tanto le zone agricole rispetto ad altre zone, quanto, all'interno della stessa zona, la posizione degli imprenditori agricoli o di altre figure assimilate rispetto a quella di soggetti diversi, nello stesso tempo l'indicata differenziazione è saldamente stabilita in disposizioni di legge statale, segnatamente nell'art. 9 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, recante "Norme per la edificabilità dei suoli" (a nulla rilevando, invece, gli altri articoli di legge citati dal giudice a quo);

che, infine, la previsione in una legge regionale dei requisiti, soggettivi e oggettivi, per il rilascio di una concessione edilizia in zona agricola non può essere minimamente considerata lesiva dei principi vòlti a garantire l'autonomia comunale, ai sensi degli artt. 5 e 128 della Costituzione;” (C.Cost., n. 167/1995).

Già prima, peraltro, la Corte costituzionale si era espressa nello stesso senso sul conto della legge regionale della Toscana 19 febbraio 1979, n. 10, che, nel disciplinare le nuove costruzioni in zone agricole e i nuovi edifici rurali per uso abitativo, nonché le modificazioni degli stessi, non si sarebbe limitata a prevedere particolari zone di rispetto agricolo, ma avrebbe disposto un vincolo inedificativo generalizzato escludendolo solo nei confronti della categoria degli agricoltori.

Con la sentenza n. 709 del 23 giugno 1988 la Corte anche in tal caso ha concluso per la manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità, facendo notare, in particolare, che “le norme in questione non determinano alcuna disparità di trattamento, in quanto la valutazione sulla edificabilità delle zone agricole non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma solo alla particolare destinazione dei beni”.

2e Per le ragioni esposte, il primo mezzo del presente appello deve essere nel suo insieme disatteso.

3 Il secondo motivo di appello investe la delibera di approvazione della variante di p.r.g. sopra menzionata, nella parte in cui assunta dalla Giunta della Provincia in luogo del relativo Consiglio.

3a Gli appellanti deducono che la competenza in materia, vertendosi in tema di piani urbanistici, avrebbe dovuto far capo all’organo consiliare della Provincia: questo sia alla luce dell’art. 32 della legge n. 142 del 1990 (poi trasfuso nell’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000), sia alla stregua dello statuto provinciale.

Poiché, però, la competenza all’approvazione degli strumenti urbanistici è stata attribuita dal legislatore regionale, con gli artt. 14 e 15 della L.R. n. 47/1978, come modificati dagli artt. 11 e 12 dalla L.R. n. 6/1995, proprio agli organi giuntali delle Province, gli appellanti sollevano avverso tale scelta normativa dei dubbi di costituzionalità, denunziando la violazione dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale in materia di ordinamento degli enti locali.

Con il presente appello si assume, infatti, che, se è vero che il legislatore regionale può indubbiamente disporre, anche in materia urbanistica, una delega di funzioni all’Ente Provincia, in seno a quest’ultimo, però, le competenze degli organi non potrebbero essere, nell’occasione, in alcun modo alterate, dovendo trovare inderogabile applicazione, anche alla luce dell’art. 1, ult. comma, del d.lgs. n. 267/2000, le regole generali poste dalla legge dello Stato e dallo statuto.

3b La Sezione ritiene che anche questi dubbi siano manifestamente infondati.

La menzionata legge regionale ha investito ex professo della funzione di approvazione degli strumenti urbanistici proprio le Giunte provinciali. E tale scelta non si pone in alcun modo in rapporto conflittuale con le previsioni dell’art. 32 della legge n. 142/1990 (né tantomeno con quelle, similari, del d.lgs. n. 267/2000: ciò già per la semplice quanto assorbente ragione che la relativa fonte, a partire dal suo articolo 1, è di gran lunga posteriore alla norma regionale in disamina).

Il punto è che le competenze in materia urbanistica attribuite dalla legge della Regione Emilia Romagna ai locali Enti provinciali, attenendo all’approvazione degli strumenti urbanistici, non possono essere fatte rientrare tra le funzioni di indirizzo e controllo attribuite dalla legge n. 142/1990 agli organi consiliari.

Le previsioni della legge statale che parte appellante invoca, infatti, e che integrano solo un numerus clausus di “atti fondamentali”, hanno riguardo unicamente al riparto delle competenze per l’esercizio delle funzioni che degli enti locali sono proprie, senza la pretesa di disciplinare anche l’esercizio di funzioni che gli enti locali, invece, non hanno, se non in forza di eventuali deleghe regionali. E che in questo specifico caso sono possedute dagli stessi enti solo negli esatti termini previsti dalla relativa fonte di delega.

Del resto, prospettazioni simili a quella in trattazione sono state già respinte senza incertezze da questo Consiglio, che vi ha rinvenuto il difetto di confondere “la competenza dell’organo assembleare (nel caso di specie, il Consiglio comunale del Comune di Imola) che adotta l’atto, con la competenza che fa invece capo all’ente che è tenuto all’approvazione di quell’atto … . E’ fuori discussione, infatti, che l’attività pianificatoria comunale appartiene alla potestà dell’ente locale comunale, il quale, quindi, non può che provvedervi se non per il tramite del proprio organo assembleare, alla stregua peraltro di tutti gli atti a carattere generale, così come espressamente previsto dall’art. 42, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 267 del 2000, ma tale competenza non si estende all’ente approvante (Regione o, come nel caso di specie, Provincia delegata), in quanto non si tratta di attività programmatoria propria ma di approvazione (controllo) di attività programmatoria dell’ente locale” (C.d.S., IV, 4 maggio 2004, n. 2740).

Per quanto osservato, quindi, la Regione, nell’esercizio della propria competenza legislativa sulle materie rientranti nelle sue attribuzioni, quale quella urbanistica, può discrezionalmente scegliere gli organi degli enti delegati sui quali appuntare in concreto l’esercizio della funzione delegata (nello specifico, l’approvazione degli strumenti urbanistici). Ed è solo in difetto di indicazioni regionali specifiche che possono trovare applicazione le regole generali della disciplina statale. Come questa Sezione ha avuto già modo di puntualizzare, “quando la regione stessa conferisce le competenze in materia di approvazione genericamente alla provincia e non ad un suo organo specifico, deve ritenersi che il riparto di competenze segua, in tal caso, i normali canoni propri della disciplina di principio statale; disciplina che può anche essere derogata da apposite norme regionali sopravvenute, ma che, in assenza di tali deroghe, rimane ferma e impregiudicata” (C.d.S., V, 14 marzo 2003, n. 4596).

In conclusione, risulta pertanto ineccepibile la considerazione di fondo del T.A.R. che l’art. 32 della legge n. 142/1990, nel mentre regola inderogabilmente i rapporti tra Giunta e Consiglio in ordine alle materie proprie dell’ente locale, non assurge, però, a norma di principio fondamentale della materia urbanistica, con la conseguenza che la Regione che ritenga di delegare alla Provincia l’approvazione dei piani urbanistici non è vincolata al rispetto del relativo schema organizzatorio.

4 Le considerazioni che precedono comportano, dunque, l’infondatezza dell’appello, che di riflesso non può che essere rigettato.

Le spese processuali del presente grado di giudizio possono essere tuttavia equitativamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Carlo Schilardi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)