Cass. Sez. III n. 11412 del 23 marzo 2012 (Ud. 8 feb. 2012)
Pres. De Maio Est. Petti Ric. Paoli
Beni Culturali. Beni artistici appartenenti alle parrocchie

In tema di protezione dei beni culturali, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 169, comma primo, lett a) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 che punisce l'abusiva demolizione, rimozione, modifica, restauro od esecuzione di opere di qualunque genere su beni culturali, non e' necessaria per i beni artistici appartenenti alle parrocchie la preesistenza della dichiarazione di interesse culturale del bene, giacché si presumono per legge beni culturali, se hanno valore artistico, ecc..

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 08/02/2012
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 371
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 41775/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
difensori di Paoli Ugo, nato a Borgo San Lorenzo il 22 marzo del 1940 e Simonetti Massimo, nato a Firenze il 23 giugno del 1968;
avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze del 24 febbraio del 2011;
Udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Procuratore generale nella persona del Dott. Giuseppe Volpe, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso con conseguente annullamento senza rinvio della decisione impugnata per l'insussistenza del fatto;
uditi i difensori degli imputati avv.ti Cimignani Laura e Rosana Mario, i quali hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi;
letti il ricorso e la sentenza denunciata impugnata, osserva quanto segue.
IN FATTO
La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 24 febbraio del 2011 confermava quella resa dal giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Firenze il 27 luglio del 2009, con cui Paoli Ugo e Simonetti Massimo, erano stati condannati, ciascuno, alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 600 di ammenda, quali responsabili, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169, per avere il Simonetti, quale legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori, ed il Paoli, quale direttore dei lavori, eseguito nell'oratorio di Santa Maria della Consolazione a Limite, costituente bene culturale a norma del cit. D.Lgs., art. 10, lavori comportanti la demolizione di un sottarco a sesto ribassato e la porzione di un controsoffitto affrescato nonché per avere rimosso una struttura settecentesca a gradini. Fatto accertato in Campi Bisenzio il 14 febbraio del 2007;
Nella sentenza impugnata il fatto viene ricostruito nella maniera seguente.
Nel febbraio del 2007 la Polizia Municipale di Campi Bisenzio e la Soprintendenza per i beni architettonici e storico artistici, ricevevano delle segnalazioni da alcuni parrocchiani in base alle quali erano in atto lavori abusivi all'interno dell'Oratorio di S.Maria della Consolazione a Limite, bene considerato culturale ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 10.
Il 10/2/2007 si recò sul posto per un sopralluogo un funzionario della Soprintendenza, d.ssa Zaccheddu Maria Pia, la quale prese atto che nessuna autorizzazione era stata richiesta all'ufficio di sua appartenenza, dove l'autorizzazione doveva essere richiesta per ogni tipo di intervento - anche urgente - su un bene culturale quale era da ritenersi l'Oratorio in questione.
La funzionaria rilevò che sul posto erano presenti impalcature e comunque segni di lavori in corso. Notò in particolare che erano stati demoliti un sottarco a sesto ribassato ed una porzione di controsoffitto affrescato nonché rimossa e distrutta una struttura settecentesca a gradini in legno dipinti.
Il sacerdote responsabile dell'Oratorio - don Socci Francesco - riferì alla funzionaria che il direttore dei lavori era Paoli Ugo, un geometra membro del consiglio parrocchiale che, come sarebbe emerso in seguito, anche in altre occasioni era stato incaricato dalla parrocchia di svolgere le funzioni di direttore. Il successivo 14/2/2007 era la Polizia Municipale ad effettuare a sua volta un sopralluogo presso l'Oratorio, avendo ricevuto, fra l'altro, una nota a firma del Socci, datata 13/2/2007, con la quale il sacerdote, a seguito di decreti arcivescovili, dichiarava di aver incaricato il Paoli e la ditta del Simonetti di eseguire lavori di revisione e di manutenzione ordinaria del tetto dell'Oratorio e di essersi accorto, che il /Paoli/ ed il /Simonetti/ avevano eseguito lavori eccedenti l'ordinaria manutenzione. La Polizia municipale - come riferito al primo giudice dal teste verbalizzante Garetti - effettuava rilievi fotografici sullo stato attuale ed acquisiva da un parrocchiano (il sig. Sartoni) i rilievi fotografici relativi allo stato dell'Oratorio oggetto dell'imputazione, prima dell'intervento. Il Paoli respinse la qualifica di direttore dei lavori, qualifica che neanche poteva assumere come geometra per i beni culturali, in quanto tale qualifica poteva essere assunta soltanto da un architetto.
Il Paoli fece anche presente che nel periodo in contestazione aveva avuto importanti problemi di salute e che, anche per tale ragione, non avrebbe potuto assumere la qualifica anzidetta. Il Simonetti, dal canto suo, affermò di essersi accorto che una trave del soffitto era marcia e minacciava di crollare; pertanto aveva chiesto al Paoli l'autorizzazione alla demolizione, autorizzazione che gli era stata concessa. Precisò che egli aveva ritenuto, in buona fede, che il Paoli fosse in possesso di tutte le autorizzazioni necessarie.
La Corte, dopo avere premesso che l'Oratorio in questione rientrava sicuramente tra i beni tutelati ex D.Lgs., art. 10 in quanto il D.Lgs. n. 62 del 2008, art. 2, con il quale nel testo del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10 è stato inserito l'inciso: "compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" costituiva una mera precisazione, osservava che l'autorizzazione poteva essere richiesta o dalla proprietaria o dal direttore dei lavori anche nelle ipotesi di lavori urgenti e che nella fattispecie non era stata richiesta ne' dall'una ne' dall'altro; che il Simonetti, pur non avendo l'obbligo di chiedere l'autorizzazione aveva il dovere di controllare che i lavori che stava eseguendo su un bene culturale fossero stati autorizzati e quindi rispondeva del reato in concorso con il Paoli. Avvero la sentenza hanno proposto ricorso entrambi gli imputati deducendo:
la violazione della norma incriminatrice perché l'Oratorio in questione, essendo di proprietà di un soggetto diverso dallo Stato o da altro ente pubblico, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 62 del 2008, art. 2, non era considerato bene culturale tutelabile a norma dell'art. 10 mancando la dichiarazione prevista dal cit. D.Lgs., art. 13;
Il Simonetti deduce altresì:
violazione di legge per avere la Corte attribuito al Simonetti Massimo, che non era il legale rappresentante della società che aveva eseguito i lavori, ma il direttore tecnico della medesima, la responsabilità per l'omessa richiesta dell'autorizzazione, tanto più che il reato in questione, anche se la norma usa il termine "chiunque", può essere commesso solo da soggetti che si trovino in rapporto qualificato con la cosa, come ad esempio il proprietario o il soggetto incaricato di predisporre il progetto;
violazione di legge ed omessa motivazione per avere la Corte attribuito a Simonetti Massimo la qualifica di titolare di fatto della Ediltoscana s.a.s..
IN DIRITTO
I ricorsi vanno respinti perché infondati.
Con riferimento al primo motivo, relativo alla natura di bene culturale dell'Oratorio in questione prima della modifica del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10 effettuata per mezzo del D.Lgs. n. 62 del 2008, art. 2, con cui si è inserito l'inciso "ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", si rileva in fatto che l'Oratorio in questione, come è pacifico per gli stessi ricorrenti, apparteneva ed appartiene alla Parrocchia di Santo Stefano a limite a Campi Bisenzio. Ora le Parrocchie, quali enti religiosi aventi personalità giuridica, sono considerati dallo Stato italiano a norma della L. n. 222 del 1985, art. 4 enti ecclesiastici pubblici civilmente riconosciuti. Invero il complesso parrocchiale, che comprende la chiesa aperta al culto con tutto il suo arredo, la casa parrocchiale, l'archivio parrocchiale e la biblioteca, è stato realizzato dalla comunità cristiana nel quale la stessa continua a vivere ed operare Tale complesso, quindi, oltre ad essere ambito dove la comunità prega è anche monumento da contemplare e conservare perché rappresenta la storia della comunità. La gestione di tali beni non è più di competenza esclusiva degli uffici amministrativi delle curie, ma di essi si prendono cura anche ed in primo luogo gli uffici per i beni culturali in collaborazione con gli uffici per la liturgia e per la catechesi. A tal fine in esecuzione dell'art. 12 degli Accordi di revisione del Concordato Lateranense del 18 febbraio del 1984 vengono stipulate intese tra il Ministero per i beni culturali ed il Presidente della CEI.
Stabilita la natura di ente pubblico civilmente riconosciuto della parrocchia proprietaria del bene in questione, il problema che si pone consiste nello stabilire se ai beni appartenenti alle parrocchie ed in genere agli altri enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, prima dell'inserimento dell'inciso anzidetto, potesse essere attribuita la qualifica di bene culturale allorché ovviamente, a norma del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 2, presentavano interesse artistico storico, archeologico, ecc..
Si tratta in definitiva di stabilire se l'inciso anzidetto abbia carattere innovativo o meramente interpretativo.
In proposito si osserva che il D.Lgs. n. 62 del 2008, con cui è stato inserito nell'art. 10 del Codice dei Beni culturali l'inciso in esame è stato adottato in base alla Legge Delega 6 luglio del 2002, n. 137, art. 10, comma 4, come modificato dalla L. 23 febbraio del 2006, n. 51, art. 1, con cui si era autorizzato il Governo, non solo ad adottare il Codice dei beni culturali, ma anche ad apportare le modificazioni, precisazioni ed integrazioni ritenute necessarie. Con il decreto n. 62 del 2008 sono state apportate al "Codice Urbani" ulteriori disposizioni integrative e correttive, delle quali alcune hanno matura meramente interpretativa.
Con l'inciso in esame "ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" il legislatore non ha apportato alcuna innovazione alla norma, ma ha solo reso esplicito ciò che già si desumeva dal tenore della norma stessa. Tale convincimento si desume da varie circostanze.
Anzitutto dalla stessa locuzione "ivi compresi", la quale lascia chiaramente intendere il suo significato meramente esplicativo, nel senso che tra gli enti e le persone giuridiche menzionate in precedenza dovevano includersi anche i beni appartenenti agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
In secondo luogo dall'ampia dizione contenuta nel primo comma dell'art. 10 nel testo vigente prima dell'intervento del 2008. Tale norma, nella formulazione anteriore alla modificazione intervenuta con il D.Lgs. n. 62 del 1968, art. 2, comma 1 disponeva:
"Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fini di lucro, che presentano interesse artistico, storico, ecc." Orbene le parrocchie quali enti pubblici civilmente riconosciuti anche prima della modifica rientravano nella categoria degli "altri enti pubblici" menzionati dal legislatore o comunque tra le persone giuridiche privante non aventi scopo di lucro che erano equiparate agli enti pubblici.
I beni appartenenti ai soggetti anzidetti se aventi interesse artistico, ecc., acquistano la natura di bene culturale ex lege indipendentemente dalla dichiarazione prevista dall'art. 13, salvo che attraverso l'apposito procedimento di verifica dell'interesse culturale disciplinato dall'articolo 12 non si riconosca l'inesistenza dell'interesse culturale. Invero, l'art. 10, comma 3, precisa che sono considerati beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione di cui all'art. 13, "le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico......appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1", ossia a soggetti diversi da quelli pubblici e da quelli privati non aventi scopo di lucro che sono equiparati agli enti pubblici.
Pertanto, contrariamente all'assunto dei ricorrenti, in tema di protezione delle bellezze naturali, ai fini della configurabilità del reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 169, comma 1, lett. a) che punisce l'abusiva demolizione, rimozione, modifica, restauro od esecuzione di opere di qualunque genere su beni culturali, non è necessaria per i beni artistici appartenenti alle parrocchie la preesistenza della dichiarazione di interesse culturale del bene, giacché si presumono per legge beni culturali, se hanno valore artistico, ecc. Di conseguenza, l'affermazione del funzionario della soprintendenza secondo il quale i beni delle chiese aperte al pubblico sono stati sempre considerati beni culturali, se aventi valore artistico, è conforme alle disposizioni normative che si sono succedute nel tempo in materia di tutela di beni artistici ed all'orientamento di questa Corte.
A titolo esemplificativo va ricordato che questa sezione, prima dell'entrata in vigore del Codice Urbani, che sotto tale profilo, non ha modificato sostanzialmente la legislazione previgente, con la decisione n. 1463 del 1999, rv 212391, ha statuito che "Le cose che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, appartenenti ad Enti o Istituti legalmente riconosciuti - fra i quali vanno sicuramente annoverati anche gli Istituti ecclesiastici cui fanno capo le Chiese aperte al culto - non possono essere alienate se non previa autorizzazione del Ministero competente. Ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3, il decreto impositivo del vincolo deve essere notificato solo se relativo a cose appartenenti a privati, mentre per quelle appartenenti ad Istituto legalmente riconosciuto, il vincolo è efficace a prescindere da qualsiasi notifica del provvedimento ed anche se le cose non sono state comprese negli elenchi che i rappresentanti degli Enti sono obbligati a presentare. Commette, pertanto, il reato di cui alla L. n. 1089 del 1939, art. 62 (che è di dolo generico e richiede soltanto la coscienza e volontà della alienazione) il titolare di una Parrocchia che alieni senza autorizzazione una cosa di interesse artistico appartenente ad una Chiesa aperta al pubblico".
Secondo Cass. sez. 3, n. 311 del 1999 In tema di tutela delle cose di interesse artistico e storico, nell'ipotesi in cui la "res " sia di proprietà di un ente pubblico, il provvedimento di vincolo non deve essere notificato - diversamente da quanto previsto dall'art. 3 nel caso in cui la proprietà sia privata - al detentore del bene; ciò in relazione alla disposizione del successivo art. 4, che prevede l'obbligo per i soggetti pubblici di presentare l'elenco dei beni in questione. Ne consegue che l'esecuzione di lavori di modifica o di restauro da parte del soggetto detentore, senza la autorizzazione ministeriale configura il reato di cui all'art. 59, in relazione alla L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 11.
Per le considerazioni sopra svolte appare evidente che il legislatore del 2008 con l'inciso "ivi compresi i beni degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" non ha apportato alcuna innovazione alla legislazione precedente, ma come già accennato ha reso esplicita un orientamento che si desumeva in via interpretativa. Con riferimento agli ulteriori motivi dedotti nell'interesse del Simonetti si osserva che il reato in questione, a differenza dell'art. 733 c.p., che fa riferimento alla distruzione della cosa propria (peraltro secondo l'opinione prevalente il termine "propria" contenuto nella norma non evocherebbe la nozione civilistica di proprietà, ma sarebbe idonea a ricomprendere ogni situazione giuridicamente rilevante), non contiene alcun riferimento alla cosa propria e può, quindi, essere commesso da chiunque e non solo dal proprietario della res vincolata a dagli altri soggetti equiparati al proprietario, come ad esempio il direttore dei lavori incaricato dal proprietario. In questi termini si è pronunciata la prevalente dottrina e la giurisprudenza di questa Cortesia pure con riferimento alla L. n. 1089 del 1939, art. 59, che aveva però un contenuto sovrapponibile a quello di cui all'art. 169 del Codice Urbani (cfr. Cass. sez. 3, 19 settembre 1997 n 9230; Cass. n. 2490 del 1984; n. 1308 del 1984).
Recentemente però la sezione seconda di questa Corte, con la sentenza n. 35173 del 2008, ha affermato trattarsi di un reato proprio facendo leva sulla circostanza che l'autorizzazione può essere chiesta solo da determinati soggetti aventi un rapporto qualificato con la cosa.
La tesi non convince perché la norma è rivolta a "chiunque" trasgredisca le disposizioni poste a tutela dei beni protetti e quindi non solo ai soggetti che possono chiedere l'autorizzazione. La norma infatti, come sostenuto dalla dottrina che sembra prevalere, tutela direttamente i beni, come si desume dall'inciso "i beni non possono" e solo indirettamente si riferisce ai titolari sui quali ricadono gli effetti giuridici. La tesi che circoscrive la responsabilità solo ai soggetti che possono chiedere l'autorizzazione sposta la ratio della tutela dal bene al potere di controllo riservato alla pubblica amministrazione che deve rilasciare l'autorizzazione. Questa, invero, come è stato osservato "ha valore per la sua funzionalità alla tutela del bene" e non di per sè. L'oggetto diretto della tutela è il bene, che può essere aggredito da chiunque, e non il potere di controllo riservato alla pubblica amministrazione.
In ogni caso il contrasto interpretativo nella fattispecie è irrilevante e per tale ragione la soluzione non viene rimessa alle Sezioni unite: infatti la responsabilità dei prevenuti sarebbe ugualmente evidente anche se si configurasse il reato come proprio. Invero il Paoli, come direttore dei lavori incaricato dal proprietario, ossia dal parroco - rimasto stranamente estraneo al processo - aveva il dovere di chiedere l'autorizzazione e, quindi, rientra tra i soggetti qualificati mentre il Simonetti risponde di concorso nel reato proprio del direttore dei lavori: il predetto non aveva il dovere di chiedere l'autorizzazione, ma aveva quello di controllare che i lavori che stava eseguendo fossero assentiti. Sulla compartecipazione del Simonetti la motivazione dei giudici del merito non presenta alcun profilo d'incoerenza avendo i giudici del merito accertato che era colui che aveva eseguito materialmente i lavori. Di conseguenza non era necessario stabilire la qualifica rivestita nell'ambito della società.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2012