Cass. Sez. III n. 33977 del 21 settembre 2010 (Ud. 22 giu 2010
Pres.Onorato Est. Amoresano Ric. Bertasi
Beni Culturali. Impossessamento di beni culturali
Il reato di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato è configurabile anche laddove questi siano stati rinvenuti da persona diversa dall'autore dell'impossessamento.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - Dott. GENTILE Mario - Consigliere - Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: 1) B.N., nato l'(OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26.11.2009 del Tribunale di Verona; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano; sentite le conclusioni del P.G., Dr. Guglielmo Passacantando, che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentito il difensore, avv. Massella Michele, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
1) Con ordinanza in data 26.11.2009 il Tribunale di Verona rigettava la richiesta di riesame proposta da B.N., indagato in ordine al reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 176, avverso il decreto di perquisizione e sequestro disposto dal P.M. il 15.10.2009 ed eseguito il 30.10.2009.
Rilevava il Tribunale che, a seguito della perquisizione, erano stati rinvenuti presso l'abitazione del B. numerosi reperti fossili e due metal detector, che erano stati sottoposti a sequestro.
Tanto premesso, nel rigettare le doglianze difensive, riteneva il Tribunale che non vi fosse stata alcuna esorbitanza da parte della p.g. della delega conferita dal P.M., avendo il decreto di sequestro ad oggetto, genericamente, tutti i beni pertinenti al reato, per cui non era necessaria la convalida.
Quanto al fumus, ricordato che al riesame non compete alcuna valutazione in ordine alla sussistenza degli indizi di colpevolezza (a maggior ragione in caso di sequestro probatorio), assumeva il Tribunale che gli atti di indagine accreditavano l'ipotesi di detenzione illegale, da parte del B., di reperti di natura archeologica acquistati tramite sito internet. Per la configurabilità del reato di cui all'art. 176 ipotizzato è sufficiente la semplice ricezione dei reperti, anche se rinvenuti nel sottosuolo da terzi. Nè è necessaria l'esistenza di un provvedimento amministrativo che qualifichi il bene come culturale.
Pacifico, infine, era il legame pertinenziale tra gli oggetti sequestrati ed il reato ipotizzato.
2) Ricorre per Cassazione B.N., a mezzo del difensore.
Premesso che il (OMISSIS) aveva acquistato tramite internet, dal sig. P., al prezzo di Euro 49,00, reperti fittili di epoca romana, denuncia con il primo motivo la violazione degli artt. 247 e 352 c.p.p..
Il decreto del P.M. di perquisizione e sequestro circoscriveva la ricerca ai reperti fittili di epoca romana acquistati su (OMISSIS).
Il sequestro ricadeva, invece, su 300 pezzi, tra cui comuni fossili e selci, che non avevano a che vedere con i reperti fittili acquistati dal P., per cui avrebbe dovuto essere convalidato.
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176.
Il Tribunale ha esteso per analogia in malam partem la fattispecie di reato ad ipotesi non contemplate. L'art. 176 infatti rinvia all'art. 91 che si riferisce al ritrovamento di reperti a seguito di scavi o immersioni e presuppone la ricerca illecita.
Le alienazioni ed operazioni commerciali non sono disciplinate dall'art. 176, ma dall'art. 53 (la cui violazione è sanzionata dall'art. 173 nei confronti dell'alienante ma non dell'acquirente).
In ogni caso non è configurabile il requisito dell'interesse storico culturale, essendo stati i reperti acquistati per una cifra irrisoria e tutto il materiale sequestrato non vale più di Euro 300,00; nè, comunque, vi è stata la valutazione di un esperto sulla ipotetica natura del materiale sequestrato.
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) Quanto al primo motivo, va ricordato che la p.g.. non ha un generale ed autonomo potere di sequestro. L'art. 355 c.p.p., infatti, stabilisce che il, P.M, cui spetta funzionalmente il potere di disporre il sequestro, convalidi il sequestro di iniziativa della P.G. o restituisca le cose sequestrate. Tale controllo successivo ha ovviamente la funzione di verificare che il potere discrezionale riconosciuto in materia alla polizia giudiziaria sia stato esercitato nei limiti circoscritti previsti, sia sotto il profilo dei presupposti che della natura dell'oggetto sequestrato (corpo del reato e cose a questo pertinenti).
Il legislatore ha voluto, cioè, adottare ogni cautela per impedire possibili arbitri in presenza dell'esercizio di un potere discrezionale.
E non può minimamente revocarsi in dubbio che si verta nella medesima situazione sia che la polizia operi di sua iniziativa ex art. 354 c.p.p. sia che intervenga su delega del P.M. senza che sia circoscritto e delimitato il suo potere di intervento.
Anche nel secondo caso ci si troverebbe in presenza dell'esplicazione di una discrezionalità quantomeno ai fini di stabilire se le cose da ricercare siano corpo del reato o cose a questo pertinenti.
Di guisa che va considerato sostanzialmente sequestro di polizia giudiziaria (come tale necessitante di convalida) anche quello eseguito in esecuzione di un decreto del P.M. tutte le volte in cui sia rimesso alla discrezionalità dell'organo esecutivo la individuazione del rapporto pertinenziale con il delitto.
Laddove invece il decreto dell'autorità giudiziaria sia motivato in ordine alle ragioni in forza delle quali l'oggetto del sequestro sia da considerare come corpo di reato ovvero dei motivi che determinino un collegamento tra le cose da sequestrare ed il reato per cui si procede, risulta rispettata l'esigenza sopra evidenziata.
Per cui quando, nel decreto del P.M., sia stato individuato l'oggetto del sequestro non è necessario un ulteriore intervento di controllo (esercitato già preventivamente).
3.1.1) Nel caso di specie, come ha già puntualmente evidenziato il Tribunale del riesame, con motivazione logica, convincente e non contraddittoria, il decreto del P.M. delegava alla polizia giudiziaria l'esecuzione della perquisizione e dell'eventuale sequestro di cose della medesima "categoria" (reperti archeologici) ed indicava espressamente la "pertinenzialità" con il reato per cui si procedeva (D.Lgs. 22 gennaio 2004, art. 176).
Essendo le cose sequestrate (reperti archeologici) pertinenti al reato ipotizzato, come già indicato nel decreto del P.M., non era necessaria alcuna convalida successiva.
3.2) Il Tribunale ha ritenuto la astratta configurabilità del reato contestato di cui al D.Lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 176.
Tale norma sanziona penalmente chiunque si impossessi di beni culturali indicati nell'art. 10 appartenenti allo Stato ai sensi dell'art. 91.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, dal momento che il possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato fin dal momento della loro scoperta) deve ritenersi illegittimo, il detentore ha l'onere di dimostrare di averli legittimamente acquistati ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 43, 44 e 46 (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 12087 del 27.6.1995 - Dal Lago).
A partire infatti dalla L. 20 giugno 1909, n. 364 le cose di interesse archeologico scoperte, appartengono allo Stato, per cui è onere del privato dimostrare la legittimità della provenienza dei reperti detenuti (cfr. sez. 3 n. 49439 del 4.11.2009; conf. Cass. sez. 3 n. 24654 del 3.2.2009; Cass. sez. 2 n. 12716 del 21.11.1997;
Cass. sez. 4 n. 12618 dell'1.2.2005).
E, nel caso di specie, la legittimità della provenienza non può certo farsi derivare dall'acquisto via internet.
Nè il reato è configurabile, come assume il ricorrente, soltanto a carico di chi abbia materialmente effettuato il rinvenimento, sanzionando la norma l'impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato. In tal senso, sia pure con riferimento alla previgente normativa, si è già pronunciata la giurisprudenza di questa Corte ("...non è necessario che la cosa sia stata rinvenuta dall'autore dell'impossessamento poichè questo sussiste anche se il rinvenimento sia avvenuto ad opera di terzi..." (Cass. pen. sez. 3, 11.1.1986 n. 49).
Tale interpretazione è del resto conforme alla lettera ed alla "ratio" della norma,che intende perseguire chiunque si impossessi, direttamente o indirettamente, di beni appartenenti allo Stato.
Una diversa interpretazione legittimerebbe abusi e facili elusioni del divieto.
Improprio è, poi, il richiamo del cit. D.Lgs., art. 53 e segg., le cui violazioni sono sanzionate dall'art. 173, che, palesemente, presuppongono la "legittimità" dell'acquisto e quindi della proprietà o del possesso.
3.2.1) Per la configurabilità del reato di cui all'art. 176, trattandosi di beni per legge appartenenti allo Stato, non è necessario, poi, che essi abbiano un interesse culturale qualificato, nè che siano qualificati come tali nel provvedimento amministrativo di cui al cit. D.Lgs. art. 13.
Secondo l'indirizzo interpretativo, già formatosi sotto la vigenza dell'abrogato D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Cass. sez. 3 200347922, Petroni, RV 226870; sez. 3, 200145814, Cricelli, RV 220742; cass. sez. 3 200142291, Licciardello, RV 220626) ed anche successivamente con riferimento al D.Lgs. n. 42 del 2004 (Cass. sez. 3 n. 39109 del 2006, ric. Palombo), per l'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto neppure un particolare pregio.
Allo stato del procedimento cautelare non è possibile escludere la natura "culturale" dei beni sequestrati (a tale accertamento è del resto finalizzato il sequestro probatorio).