Corte Costituzionale sent. 51 del 6 febbraio 2006
Tutela del paesaggio -Norme della Regione Sardegna -Disposizioni urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazionepaesaggistica e la tutela del territorioregionale -Norme transitorie in attesa dell'adozione, entro 12 mesi dall'entrata invigore della legge, del Piano paesaggistico regionale (PPR) -Divieto di realizzazione di nuove opere soggette a concessione edautorizzazione edilizia nonché approvazione,sottoscrizione e rinnovazione di convenzionidi lottizzazione - Divieto di realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia dafonte eolica.
SENTENZA N. 51
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, 4, commi 1 e 2, 7 e
8, comma 3, della legge della Regione Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 (Norme
urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la
tutela del territorio regionale), promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei ministri notificato il 24 gennaio 2005, depositato in cancelleria
il 2 febbraio 2005 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2005.
Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna nonché gli atti di
intervento della Associazione italiana per il WORLD WIDE FUND FOR NATURE
O.N.L.U.S., del FAI Fondo per l'Ambiente italiano e di Italia Nostra O.N.L.U.S.;
udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 2006 il Giudice relatore Ugo De
Siervo;
uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei
ministri e gli avvocati Graziano Campus e Vincenzo Cerulli Irelli per la Regione
Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 24 gennaio 2005 e depositato il successivo 2
febbraio, il Presidente del Consiglio di ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli articoli 3, 4, commi 1 e
2, 7 ed 8, comma 3, della legge della Regione Sardegna 25 novembre 2004 n. 8
(Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e
la tutela del territorio regionale), per contrasto con gli articoli 3, 97 e 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, con gli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale 27 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché
«con la disciplina nazionale in tema di tutela del paesaggio» e con l'art. 12,
comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da
fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità).
2. – Il ricorrente rileva che, con la legge in questione, la Regione Sardegna ha
provveduto a dettare norme urgenti per la salvaguardia del paesaggio, in
funzione dei tempi occorrenti per l'approvazione, secondo modalità stabilite
nello stesso provvedimento legislativo, di piani paesaggistici regionali,
destinati a sostituire i precedenti piani territoriali paesistici, tredici dei
quali, sul complessivo numero di quattordici per l'intero territorio regionale,
annullati dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna ovvero, in sede
di ricorso straordinario, dal Capo dello Stato.
Nel ricorso si premette che la Regione Sardegna vanterebbe, ai sensi degli
articoli 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia, competenze primarie in
materia di urbanistica ed edilizia, mentre, in relazione alla tutela
paesaggistica, sarebbe vincolata dalle disposizioni statali in materia, ed in
particolare dagli artt. 131 e seguenti del codice dei beni culturali e del
paesaggio approvato con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio
2002, n. 137).
Il ricorrente, inoltre, afferma che sarebbe profondamente mutata la originaria
disciplina legislativa in tema di cosiddette “misure di salvaguardia”, poiché,
«mentre per le aree assoggettate a vincolo ex lege l'articolo 1-quinquies della
legge 31 agosto 1985» (recte: del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, recante
Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse
ambientale convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431
recante Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 1985, n.
312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale. Integrazioni dell'art. 82 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977 n. 616), «vietava “ogni modificazione dell'assetto del
territorio nonché ogni opera edilizia”, “fino all'adozione da parte delle
Regioni dei piani di cui all'articolo 1-bis”», l'articolo 159 del d.lgs. n. 42
del 2004 prevederebbe invece «un particolare procedimento di autorizzazione in
via transitoria “fino all'approvazione dei piani paesaggistici, ai sensi
dell'articolo 156 ovvero ai sensi dell'articolo 143 e al conseguente adeguamento
degli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 145”».
Ancora, il ricorrente afferma che i contenuti dei piani territoriali
paesaggistici (e le deroghe ivi previste secondo la legislazione regionale, di
cui si lamenta la illegittimità costituzionale), riguarderebbero «la disciplina
d'uso sia di beni paesaggistici individuati direttamente dalla “legge Galasso”,
sia di vaste ed importanti aree, anche urbane e costiere, che erano state
specificatamente individuate come “bellezze naturali”, da distinti, motivati e
tuttora vigenti provvedimenti dell'amministrazione statale».
3. – In tale contesto, le norme contenute negli articoli 3, 4, commi 1 e 2 «e,
per certi aspetti, nello stesso articolo 7» della legge regionale impugnata
prevederebbero, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, «autonome e
non coordinate misure di salvaguardia, comportanti il divieto di realizzare
nuove opere, soggette a concessione ed autorizzazione edilizia, nelle zone
costiere, ed esclusioni e deroghe di tale divieto» che risulterebbero, «in
relazione alla disciplina generale statale, illogiche e manifestamente
irragionevoli e, conseguentemente, in contrasto con gli articoli 3, 97 della
Costituzione e con la disciplina nazionale in tema di tutela del paesaggio». I
criteri adottati nelle norme censurate, infatti, non troverebbero
giustificazione in alcuna valutazione paesaggistica; il fatto che una serie di
interventi di modifica del territorio fossero accidentalmente previsti in piani
urbanistici comunali o programmi di fabbricazione, ovvero finanziati da
particolari soggetti pubblici sarebbe, sul piano della tutela paesaggistica,
circostanza del tutto irrilevante «e tale da non giustificare o sorreggere
razionalmente alcun divieto e/o deroga». Del tutto priva di logica sarebbe
inoltre la possibilità di dar corso ad interventi ed opere, allorché le stesse
«siano previste in piani urbanistici comunali che risultino adeguati a quei
piani territoriali paesaggistici già dichiarati illegittimi dalla giurisprudenza
amministrativa per contrasto con l'interesse pubblico relativo alla tutela
paesaggistica e ambientale».
Del pari, la previsione di un divieto generale di realizzazione di nuove opere
edilizie esteso a tutta la fascia costiera compresa nei duemila metri dalla
linea di battigia, indipendentemente dalla sussistenza in concreto di un vincolo
paesaggistico, finirebbe, ad avviso del ricorrente, per paralizzare senza alcuna
plausibile ragione, «per tutto l'arco temporale della approvazione dei piani
regionali paesaggistici, una serie di iniziative ed attività che, ai sensi della
legislazione nazionale e regionale, devono considerarsi lecite, se non di
interesse generale».
Infine, l'utilizzazione della legge regionale nella concreta cura dell'interesse
paesaggistico, in particolare nell'apposizione di divieti generali e relative
deroghe, costituirebbe «cattivo uso della discrezionalità amministrativa (art.
97 Cost.)», realizzando una «sostanziale ed immotivata deroga al principio,
stabilito nella legislazione statale, per il quale l'interesse paesaggistico
deve essere (soprattutto dall'autorità regionale delegata) valutato nel
concreto».
Quanto, poi, alla disposizione di cui all'art. 8, comma 3, della legge impugnata
– la quale vieta, fino all'approvazione del piano paesistico regionale, la
realizzazione di impianti di produzione di energia eolica nell'intero territorio
della Regione, ammettendo peraltro la prosecuzione dei lavori di realizzazione
degli impianti già autorizzati solo nel caso in cui lo stato dei lavori stessi
abbia già comportato una irreversibile modificazione dei luoghi e sottoponendo a
procedura di valutazione d'impatto ambientale gli impianti già autorizzati in
assenza della medesima (sempre che i lavori non abbiano comportato una
irreversibile modificazione dello stato dei luoghi) – essa eccederebbe «dalla
competenza statutaria di cui agli articoli 3 e 4 dello Statuto d'autonomia,
ponendosi in contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione,
che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela
dell'ambiente e dei beni culturali».
Tale disposizione violerebbe, inoltre, l'art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 387 del
2003, il quale prevede che le fonti energetiche rinnovabili «sono considerate di
pubblica utilità con la conseguente dichiarazione di indifferibilità ed urgenza
dei lavori necessari alla realizzazione degli impianti».
4. – Con atto depositato il 23 febbraio 2005 si è costituita in giudizio la
Regione Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o,
comunque, infondato.
La Regione premette, in fatto, di aver esercitato la propria competenza
legislativa esclusiva in materia di “edilizia ed urbanistica”, di cui all'art.
3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale, nonché di “governo del
territorio”, dettando una disciplina volta a fronteggiare una situazione
particolarmente grave ed urgente attraverso la salvaguardia del territorio e
dell'ambiente per un periodo di tempo circoscritto, ossia fino all'approvazione
del piano paesaggistico regionale di cui all'art. 135 del codice dei beni
culturali e del paesaggio, approvazione che – in base all'art. 1, comma 1, della
legge impugnata – dovrebbe avvenire entro 12 mesi dalla entrata in vigore della
medesima legge regionale.
La Regione ricostruisce in termini diversi rispetto al ricorrente il quadro
delle competenze di cui si ritiene titolare: in base all'articolo 3, comma 1,
lettera f), dello statuto speciale, alla Regione spetterebbe una competenza
legislativa di tipo “esclusivo” o “primario” in materia di “edilizia ed
urbanistica”, onde ad essa non dovrebbe applicarsi il limite dei principi
fondamentali della materia; inoltre, anche sulla base dell'orientamento della
Corte costituzionale (sentenze n. 362 e n. 303 del 2003), secondo la quale «le
materie edilizia ed urbanistica rientrano in quella che il nuovo terzo comma
dell'articolo 117 della Costituzione definisce “governo del territorio” ed
assegna alla potestà legislativa “concorrente” delle Regioni a statuto
ordinario», alla Regione Sardegna spetterebbe, per le parti eccedenti la propria
competenza primaria, una competenza concorrente «in base al combinato disposto
del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione e dell'articolo 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001».
Quanto alla competenza in ordine alla “tutela dell'ambiente”, la Regione
richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 307 e n. 222
del 2003, n. 407 del 2002), secondo la quale anche le leggi regionali in materia
di “governo del territorio” potrebbero legittimamente assumere fra i propri
scopi le finalità di tutela ambientale. Ma soprattutto la difesa regionale
afferma che l'«imbricazione» fra l'urbanistica (o più ampiamente il governo del
territorio) e la tutela dell'ambiente, ed in particolare la tutela
paesaggistica, costituirebbe – oltre che una costante di tutta l'esperienza
storica del sistema legislativo italiano – una peculiare caratteristica della
speciale autonomia della Regione Sardegna, come definita dallo statuto e dalle
relative norme d'attuazione. Infatti, l'art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio
1975, n. 480 (Nuove norme d'attuazione dello statuto speciale della Regione
autonoma della Sardegna), nel definire i confini delle competenze esclusive
della Regione in materia di “edilizia ed urbanistica”, le attribuisce anche «la
redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all'articolo
5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (e, implicitamente, il potere di emanare
le relative misure di salvaguardia)».
Proprio sulla base di tale competenza, a seguito delle novità introdotte dalla
cosiddetta “legge Galasso” cioè la legge 8 agosto 1985, n. 431, la Regione aveva
provveduto ad approvare la legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per
l'uso e la tutela del territorio regionale), contenente la disciplina della
pianificazione regionale e, in particolare, dei “piani territoriali paesistici”
(artt. 10 e 11); legge i cui articoli 12 e 13 stabilivano norme di salvaguardia
del tutto analoghe a quelle impugnate nel presente giudizio, destinate a valere
fino alla approvazione dei piani territoriali paesistici e comunque per un
periodo non superiore a trenta mesi.
Alla luce di questo quadro delle competenze e dello stesso art. 8 del codice dei
beni culturali e del paesaggio (laddove si prevede che «nelle materie
disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle
Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano dagli
statuti e dalle relative norme di attuazione»), la Regione Sardegna sottolinea
l'erroneità dell'impostazione del ricorso del Presidente del Consiglio, secondo
la quale la Regione non avrebbe competenze proprie (ma solo delegate) che
possano riguardare la tutela dell'ambiente e del paesaggio.
5. – Quanto alle specifiche censure mosse dal ricorrente, la difesa regionale
mette anzitutto in rilievo come il ricorso lamenti «al tempo stesso,
curiosamente, sia un eccessivo rigore delle norme di salvaguardia, sia una
“irragionevole” ampiezza delle deroghe».
Tali censure, secondo la Regione, sarebbero in parte inammissibili e, comunque,
tutte infondate.
Inammissibile sarebbe il denunciato contrasto con «la disciplina nazionale in
tema di tutela del paesaggio», poiché ove il ricorrente intenda sostenere una
“incompetenza” della Regione ad intervenire in una materia di competenza
legislativa esclusiva dello Stato, la censura «sarebbe inammissibile per la
mancata indicazione del parametro costituzionale (norme dello statuto speciale,
oppure art. 117, comma 2, lettera s, della Costituzione), oltre che per la
insufficiente determinazione della censura stessa»; nell'ipotesi, invece, in cui
il ricorrente voglia far valere una violazione di principi fondamentali
contenuti nella «disciplina nazionale» evocata, la censura sarebbe egualmente
inammissibile per la mancata definizione del parametro del giudizio.
In ogni caso, la censura sarebbe infondata, sia perché la Regione avrebbe in
materia una competenza legislativa esclusiva e quindi non limitata dai principi
fondamentali della materia stabiliti dalle leggi dello Stato, sia comunque
perché non sarebbe ravvisabile alcun contrasto fra le disposizioni impugnate
della legge regionale e quelle della «disciplina generale statale» contenuta nel
codice del 2004.
La difesa regionale sostiene l'esistenza di un grave fraintendimento nelle
premesse del ricorrente, laddove quest'ultimo pretenderebbe di avvalorare la
tesi che mentre la disciplina regionale impugnata vieterebbe drasticamente
l'edificazione nelle zone costiere, invece la corrispondente disciplina statale
– individuata muovendo dal raffronto tra l'art. 1-quinquies del decreto-legge n.
312 del 1985 e l'attuale art. 159 del codice – prevederebbe «un particolare
procedimento di autorizzazione in via transitoria». Secondo la Regione, il
raffronto operato dal ricorrente tra le due indicate disposizioni statali
sarebbe «del tutto fuori luogo»: infatti, l'inedificabilità fino
all'approvazione dei piani paesistici di cui all'art. 1-quinquies non
riguarderebbe affatto le aree sottoposte al vincolo ex lege (generico e
presuntivo), oggi individuate nell'art. 142 del codice dei beni culturali ed in
origine nell'art. 1 del d.m. 21 settembre 1984, bensì «le aree ed i beni
individuati ai sensi dell'art. 2» del d.m. appena richiamato, «cioè le aree ed i
beni specificamente individuati dal Ministero con i cosiddetti 'galassini'»;
l'art. 159 del codice del 2004, invece, non avrebbe nulla a che fare con la
disciplina appena citata, e meno che mai con misure di salvaguardia, in quanto
riguarderebbe «solo le autorizzazioni paesistiche ordinarie da rilasciarsi nelle
zone soggette al vincolo paesistico permanente».
Il ricorso, in definitiva, muoverebbe da una confusione fra i vincoli paesistici
permanenti e quelli temporanei, con i relativi diversi regimi.
Da tutto ciò deriverebbe la mancanza di fondamento delle censure rivolte dal
ricorrente avverso gli artt. 3, 4, commi 1 e 2, e 7 della legge regionale
impugnata.
Quanto specificamente all'art. 3, che prevede le misure di salvaguardia, la
censura non terrebbe in alcun conto la differenza sostanziale tra il vincolo
permanente, basato sulla concreta valutazione paesaggistica che si effettua in
sede di redazione del piano paesaggistico, ed il vincolo della misura di
salvaguardia, che costituisce un limite provvisorio ma necessariamente
generalizzato, poiché ha lo scopo di impedire che, nelle more delle «concrete»
valutazioni paesaggistiche che verranno poi fatte dai piani, il territorio venga
irrimediabilmente compromesso.
Quanto all'art. 4, le deroghe previste dal legislatore regionale non sarebbero
irragionevoli. Infatti, esse riguarderebbero sia (comma 1) «attività (di ridotto
impatto ambientale: interventi di manutenzione, ecc.) corrispondenti a quelle
per cui l'articolo 149» del citato codice stabilisce deroghe all'obbligo di
autorizzazione, sia (comma 2) situazioni in cui la Regione avrebbe ritenuto di
non potere ignorare la preesistente disciplina urbanistica e di dovere tutelare
l'affidamento dei cittadini e la parità di trattamento.
Anche in relazione all'art. 7, l'infondatezza della censura risulterebbe dalla
peculiarità del caso e della relativa disciplina, che renderebbe pienamente
giustificata la deroga concernente gli «interventi pubblici».
In conclusione, secondo la Regione Sardegna, sarebbero le stesse censure in
questione a risultare del tutto irragionevoli, soprattutto in considerazione del
carattere «provvisorio» e «transitorio» della disciplina in questione, efficace
fino all'approvazione del piano paesaggistico e comunque per non più di diciotto
mesi dalla sua entrata in vigore.
6. – Anche le censure proposte nel ricorso avverso l'art. 8, comma 3, della
legge regionale impugnata, ad avviso della difesa regionale, sarebbero
inammissibili e, comunque, infondate.
La prima censura, con la quale lo Stato contesta l'eccedenza dalla competenza
spettante alla Regione in base agli artt. 3 e 4 dello statuto speciale ed il
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, sarebbe
inammissibile «per difettosa formulazione del parametro del giudizio», in quanto
nel ricorso mancherebbe ogni riferimento alla operatività della clausola
contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
La questione dovrebbe comunque ritenersi infondata. Anche quella dell'art. 8,
comma 3, dovrebbe infatti considerarsi come «disciplina che la Regione ha
emanato nell'esercizio della sua competenza legislativa esclusiva in materia di
“edilizia ed urbanistica” (e di “governo del territorio”) ovviamente soprattutto
con finalità di tutela dell'ambiente e del paesaggio». Considerato l'evidente
impatto ambientale degli impianti eolici di produzione di energia, non dovrebbe
potersi dubitare – ad avviso della resistente – della necessità di una misura di
salvaguardia anche in relazione ad essi nelle more dell'approvazione del piano
paesaggistico; ed anche in questo caso la ragionevolezza e la costituzionalità
tanto del divieto di realizzare gli impianti, quanto delle relative deroghe
sarebbero avvalorate dal carattere di provvisorietà e temporaneità.
La seconda censura, con la quale lo Stato lamenta la violazione dell'art. 12,
comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003, sarebbe inammissibile per la mancata
individuazione di un parametro costituzionale rispetto al quale la predetta
disposizione fungerebbe da «norma interposta».
Anche tale censura sarebbe in ogni caso infondata, dal momento che la pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza degli impianti in questione non osterebbe in
alcun modo alla possibilità di misure di salvaguardia per la tutela
paesaggistica in relazione ad essi. In questo senso, del resto, varrebbe
esplicitamente quanto disposto dallo stesso art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003
invocato dal ricorrente, laddove stabilisce che la costruzione degli impianti di
energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è soggetta ad una
«autorizzazione unica» di competenza della Regione «nel rispetto delle normative
vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del
patrimonio storico-artistico» (comma 3). Rileva, inoltre, la difesa regionale
che la medesima disposizione, al successivo comma 10, aggiunge che «in
Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo
svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in
particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida,
le Regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla
installazione di specifiche tipologie di impianti».
7. – Hanno depositato atto di intervento ad opponendum, in data 11 marzo 2005,
l'Associazione italiana per il WORLD WIDE FUND FOR NATURE O.N.L.U.S., il FAI
Fondo per l'Ambiente italiano e Italia Nostra O.N.L.U.S.
Gli intervenienti chiedono il rigetto del ricorso sostenendo che la Regione
Sardegna, con la legge impugnata, si sarebbe limitata ad emanare disposizioni di
salvaguardia che, lungi dall'invadere l'ambito statale, avrebbero come unico
fine quello di regolamentare l'attività urbanistica ed edilizia (oggetto di
competenza legislativa esclusiva della Regione) sino all'adozione degli
strumenti tecnici ritenuti dallo Stato più idonei per regolamentare, nel
rispetto delle competenze, il bene paesaggio anche in raccordo con le esigenze
urbanistiche locali. Infatti, dall'analisi del contenuto delle disposizioni
legislative oggetto di censura, risulterebbe di tutta evidenza che «esse tendono
a dare una regolamentazione sotto il profilo urbanistico, individuando gli
interventi edilizi cosiddetti compatibili con l'attuale stato regionale (e cioè
in assenza di qualsivoglia programmazione paesistica)».
Del tutto infondato sarebbe inoltre l'asserito contrasto della normativa in
questione con le disposizioni del codice del 2004. Il richiamo all'art. 159 del
codice, infatti, sarebbe irrilevante, dal momento che tale disposizione non
sancirebbe affatto un generale diritto ad edificare nelle aree di interesse
naturale riconosciuto, limitandosi a disciplinare l'iter di richiesta ed
emanazione delle autorizzazioni in carenza del piano paesaggistico regionale.
Né, d'altronde, la disciplina dettata in via temporanea e provvisoria dal
legislatore regionale potrebbe in alcun modo ritenersi illogica o
ingiustificata, giacché «consentire l'edificazione avrebbe certamente comportato
il serio rischio di porre nel nulla previsioni successive del Piano che
andassero ad incidere in zone profondamente trasformate a causa
dell'edificazione avvenuta nelle more di approvazione del Piano medesimo»
(sentenza della Corte costituzionale n. 379 del 1994). Del pari giustificata
sarebbe la prescrizione che consente la realizzazione delle opere già previste
dagli strumenti urbanistici attuativi se già avviate e con trasformazione
irreversibile dello stato dei luoghi.
Quanto, infine, alla censura concernente l'art. 8, comma 3, della legge
regionale impugnata, gli intervenienti osservano che gli impianti per la
produzione di energia eolica sono specificamente contemplati dall'allegato B del
d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione
dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente
disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale), rientrando
pertanto a pieno titolo tra quelli per i quali la Regione Sardegna può
richiedere, nell'ambito del governo del proprio territorio, la valutazione di
impatto ambientale.
8. – In prossimità della data fissata per la pubblica udienza, la Regione
Sardegna ha depositato una memoria nella quale riferisce che la Giunta
regionale, con delibera n. 59/36 del 13 dicembre 2005, ha adottato il piano
regionale paesistico e ha avviato l'istruttoria pubblica prevista dalla legge.
La difesa regionale ribadisce le tesi fondamentali espresse nell'atto di
costituzione, secondo le quali la Regione Sardegna godrebbe, in materia di
territorio e di paesaggio, di una autonomia legislativa «ben più ampia di quella
riconosciuta alle regioni a statuto ordinario», dal momento che l'art. 3,
lettera f), dello statuto speciale, prevede che in materia di edilizia e
urbanistica la Regione ha potestà legislativa esclusiva, ovviamente nel rispetto
della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e da
obblighi internazionali. Inoltre, in base all'art. 6 delle norme di attuazione
dello statuto (d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480), le funzioni amministrative in
materia di tutela del paesaggio sarebbero state trasferite alla Regione (e non
già delegate, come nell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, recante
Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).
Su questa base, la legge regionale n. 45 del 1989, emanata in attuazione
dell'art. 3, lettera f), dello statuto regionale, stabilisce che i piani
territoriali paesistici siano l'unico strumento di pianificazione di livello
regionale per l'uso e la tutela del territorio, di talché, nell'ordinamento
regionale sardo non sussisterebbe alcuna contrapposizione tra governo del
territorio e tutela del paesaggio. Inoltre, la possibilità di deroga della
disciplina statale sulla tutela del paesaggio, ad opera delle Regioni a statuto
speciale, sarebbe espressamente riconosciuta dall'art. 8 del codice dei beni
culturali, il quale stabilisce che «nelle materie disciplinate dal presente
codice restano ferme le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale ed
alle Province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme
di attuazione».
Con specifico riguardo alle norme censurate, la difesa regionale afferma che
esse costituirebbero solo misure temporanee di salvaguardia volte a «tutelare i
beni indicati all'art. 3, 1° comma della legge (ossia le coste sarde) per il
periodo indispensabile – non superiore comunque a diciotto mesi –
all'approvazione dei piani paesistici». D'altra parte il meccanismo utilizzato
dalla legge regionale sarebbe piuttosto comune ed utilizzato anche dal
legislatore statale.
La previsione delle misure di salvaguardia (e delle deroghe, commisurate a
specifiche situazioni di fatto o ad esigenze di sviluppo) sarebbe ragionevole
sia in considerazione del particolare pregio delle aree considerate, sia in
relazione alla situazione di incertezza che si sarebbe venuta a creare nel
territorio sardo a seguito dell'annullamento di quasi tutti i piani paesistici
regionali da parte del TAR.
Per quanto attiene alla censura concernente l'art. 8 della legge regionale
impugnata, la Regione rileva innanzitutto di essere titolare di una competenza
legislativa concorrente in materia di produzione di energia elettrica (ex art.
4, lettera e dello statuto), la quale si estenderebbe anche alla localizzazione
degli impianti di produzione di energia eolica. Inoltre, richiama la sentenza n.
383 del 2005, nella quale questa Corte avrebbe riconosciuto che tutti gli
impianti di energia elettrica, ivi compresi quelli eolici, producono un notevole
impatto sull'ambiente e sul paesaggio e che alle Regioni deve essere lasciato un
congruo margine di valutazione circa l'impatto ambientale che tutti gli
impianti, anche quelli eolici, possono produrre ai fini della loro corretta
localizzazione.
D'altra parte, la stessa legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti
in materia di energia), ed in particolare l'art. 1, comma 4, lettera i),
imporrebbe alle Regioni di farsi carico dell'impatto che gli impianti di
produzione di energia elettrica (anche eolici) producono sul territorio,
sull'ambiente e sul paesaggio.
Considerato in diritto
1 – Il Presidente del Consiglio dei ministri, ha impugnato gli articoli 3, 4,
commi 1 e 2, 7 ed 8, comma 3, della legge della Regione Sardegna 25 novembre
2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione
paesaggistica e la tutela del territorio regionale), per contrasto con gli
articoli 3, 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con gli
artt. 3 e 4 della legge costituzionale 27 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), nonché «con la disciplina nazionale in tema di tutela del
paesaggio» e con l'art. 12, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003,
n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell'elettricità).
Sostiene il ricorrente che la Regione Sardegna non sarebbe titolare di alcuna
competenza in tema di tutela paesaggistica; inoltre le disposizioni di
salvaguardia adottate, così come le deroghe previste, risulterebbero «in
relazione alla disciplina generale statale, illogiche e manifestamente
irragionevoli e, conseguentemente, in contrasto con gli artt. 3, 97 della
Costituzione e con la disciplina nazionale in tema di tutela del paesaggio»; la
norma di salvaguardia relativa alle centrali eoliche non solo sarebbe stata
adottata da un soggetto non competente in materia di tutela dell'ambiente, ma
violerebbe anche l'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.
2. – In via preliminare vanno dichiarati inammissibili gli interventi ad
opponendum dell'Associazione italiana per il WORLD WIDE FUND FOR NATURE
O.N.L.U.S., del FAI Fondo per l'Ambiente italiano e di Italia Nostra O.N.L.U.S.,
sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nei
giudizi promossi in via principale nei confronti di leggi regionali o statali
non possono intervenire soggetti diversi da quelli titolari delle attribuzioni
legislative in contestazione (fra le più recenti, v. sentenze n. 469, n. 383 e
n. 150 del 2005).
3. – Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata l'inammissibilità delle
censure rivolte nei confronti degli artt. 3, 4, commi 1 e 2, e 7 della legge
regionale impugnata, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione,
sotto i profili della intrinseca illogicità e della manifesta irragionevolezza,
nonché del «cattivo uso della discrezionalità amministrativa», a prescindere
dalla violazione del riparto di competenze tra lo Stato e la Regione. Tali
censure, infatti, risultano sommarie e meramente assertive, così contraddicendo
l'esigenza, più volte sottolineata da questa Corte, che il ricorrente esponga
specifiche argomentazioni a sostegno delle proprie doglianze (fra le molte, si
vedano le sentenze di questa Corte n. 270 del 2005, n. 423, n. 286 e n. 73 del
2004,).
4. – In accoglimento della eccezione espressamente formulata dalla parte
resistente e conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (v. sentenze n.
482 del 1991 e n. 155 del 1985), deve altresì essere dichiarata inammissibile la
censura rivolta nei confronti dell'art. 8, comma 3, della legge regionale
impugnata, sotto il profilo del contrasto con l'art. 12, comma 1, del d.lgs. n.
387 del 2003. Il ricorrente, infatti, non individua un parametro costituzionale
rispetto al quale la disposizione legislativa indicata dovrebbe fungere da norma
interposta; né, dal momento che viene invocata una disciplina attuativa della
direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE (Direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), è possibile in
alcun modo desumere dalla formulazione del ricorso, quale sia l'obbligo
comunitario rispetto al quale la norma regionale impugnata dovrebbe – in ipotesi
– ritenersi in contrasto, così violando l'art. 117, primo comma, della
Costituzione.
5. – Prima di passare all'esame delle residue censure prospettate nel ricorso
del Presidente del Consiglio dei ministri, tutte fondate sul presupposto della
incompetenza della Regione ad emanare le norme impugnate o sulla violazione
della disciplina statale in materia, occorre chiarire la natura e la portata
delle attribuzioni spettanti alla Regione Sardegna in relazione agli oggetti
disciplinati, rilevando peraltro fin da ora come il ricorrente non abbia in
alcun modo dato conto né della presenza, in tema di tutela paesaggistica, di
apposite norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Sardegna, né
della stessa esistenza di una risalente legislazione della medesima Regione in
questo specifico ambito (legge della Regione Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45,
recante “Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale”) e di cui le
disposizioni impugnate nel presente giudizio rappresentano una parziale
modificazione ed integrazione.
Le ripetute affermazioni contenute nel ricorso, secondo le quali le disposizioni
impugnate sarebbero illegittime perché «eccedono dalla competenza statutaria di
cui agli articoli 3 e 4 dello Statuto d'autonomia, ponendosi in contrasto con
l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, che riserva allo Stato la
competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dei beni culturali»,
anzitutto non prendono in considerazione che il Capo III del d.P.R. 22 maggio
1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione
autonoma della Sardegna), intitolato “Edilizia ed urbanistica”, concerne non
solo le funzioni di tipo strettamente urbanistico, ma anche le funzioni relative
ai beni culturali e ai beni ambientali; infatti, l'art. 6 dispone espressamente,
al comma 1, che «sono trasferite alla Regione autonoma della Sardegna le
attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero
della pubblica istruzione ai sensi della legge 6 agosto 1967, n. 765 ed
attribuite al Ministero dei beni culturali ed ambientali con decreto-legge 14
dicembre 1974, n. 657, convertito in legge 29 gennaio 1975, n. 5, nonché da
organi centrali e periferici di altri ministeri». Al tempo stesso, il comma 2
del medesimo art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975 prevede puntualmente che il
trasferimento di cui al primo comma «riguarda altresì la redazione e
l'approvazione dei piani territoriali paesistici, di cui all'art. 5 della legge
29 giugno 1939, n. 1497».
Tenendo presente che le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono un
sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie
che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale e non
possono essere modificate che mediante atti adottati con il procedimento
appositamente previsto negli statuti, prevalendo in tal modo sugli atti
legislativi ordinari (secondo quanto ha più volte affermato questa Corte: si
vedano, fra le molte, le sentenze n. 341 del 2001, n. 213 e n. 137 del 1998), è
evidente che la Regione Sardegna dispone, nell'esercizio delle proprie
competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di
intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale. Ciò sia sul
piano amministrativo che sul piano legislativo (in forza del cosiddetto
“principio del parallelismo” di cui all'art. 6 dello statuto speciale), fatto
salvo, in questo secondo caso, il rispetto dei limiti espressamente individuati
nell'art. 3 del medesimo statuto in riferimento alle materie affidate alla
potestà legislativa primaria della Regione (l'armonia con la Costituzione e con
i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e il rispetto degli
obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme
fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica).
A tale ultimo riguardo, va osservato che il legislatore statale conserva quindi
il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale
attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come “riforme economico-sociali”:
e ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo – del titolo di
competenza legislativa nella materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e
dei beni culturali”, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela
dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme fondamentali
contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno
continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione
Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia “edilizia
ed urbanistica” (v. sentenza n. 536 del 2002). Invece, come questa Corte ha più
volte affermato, il riparto delle competenze legislative individuato nell'art.
117 della Costituzione deve essere riferito ai soli rapporti tra lo Stato e le
Regioni ad autonomia ordinaria, salva l'applicazione dell'art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, peraltro possibile solo per le parti in
cui le Regioni ad autonomia ordinaria disponessero, sulla base del nuovo Titolo
V, di maggiori poteri rispetto alle Regioni ad autonomia speciale.
In questo quadro costituzionale di distribuzione delle competenze, il
legislatore nazionale è intervenuto con il recente codice dei beni culturali e
del paesaggio (approvato con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della
legge 6 luglio 2002, n. 137”), il cui art. 8 è esplicito nel dichiarare che
«restano ferme le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale ed alle
Province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di
attuazione». In quest'ultimo testo assume rilevante significato sistematico
anche la norma contenuta nell'art. 135, laddove lo stesso legislatore statale,
nell'individuare gli strumenti della pianificazione paesaggistica (rivolta non
più soltanto ai beni paesaggistici o ambientali ma all'intero territorio),
affida alle Regioni la scelta di approvare “piani paesaggistici” ovvero “piani
urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”,
con ciò confermando l'alternativa tra piano paesistico e piano
urbanistico-territoriale già introdotta con l'art. 1-bis del decreto-legge 27
giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale), così come convertito in legge ad opera della
legge 8 agosto 1985, n. 431.
Quanto specificamente alla Regione Sardegna, va aggiunto, infine, che proprio
sulla base dell'esplicito trasferimento di funzioni di cui alle norme di
attuazione dello statuto speciale contenute nel d.P.R. n. 480 del 1975, la
Regione – già con la citata legge n. 45 del 1989 – aveva appositamente previsto
e disciplinato i piani territoriali paesistici nell'esercizio della propria
potestà legislativa in tema di “edilizia ed urbanistica”. Questa legge, che
all'art. 12 prevedeva anche apposite “norme di salvaguardia” ad efficacia
temporanea in attesa della approvazione dei piani territoriali paesistici
(analogamente a quanto attualmente previsto con le norme impugnate), viene solo
in parte modificata dalla legge regionale n. 8 del 2004, oggetto del ricorso
governativo, particolarmente per ciò che concerne il recepimento nella Regione
Sardegna del modello di pianificazione paesaggistica fondato sul piano
urbanistico-territoriale, appunto attualmente contemplato nel richiamato art.
135, comma 1, del codice dei beni culturali.
6. – Sulla base delle considerazioni appena svolte, anche le questioni
concernenti l'asserita violazione del riparto delle competenze legislative e
della disciplina statale in materia di tutela del paesaggio devono essere
dichiarate inammissibili. Il ricorrente, infatti, muove dall'erroneo presupposto
secondo il quale la Regione Sardegna risulterebbe priva di potestà legislativa
in tema di tutela paesaggistica, omettendo conseguentemente di argomentare in
base a quale titolo la legislazione dello Stato in materia dovrebbe imporsi come
limite per il legislatore regionale e di individuare le specifiche norme
legislative statali che dovrebbero considerarsi violate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili gli interventi dell'Associazione italiana per il WORLD
WIDE FUND FOR NATURE O.N.L.U.S., del FAI Fondo per l'Ambiente italiano e di
Italia Nostra O.N.L.U.S.;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
3, 4, commi 1 e 2, 7 ed 8, comma 3, dalla legge della Regione Sardegna 25
novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la
pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale), sollevate
dal Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione agli articoli 3, 97 e
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, agli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale 27 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché
alla «disciplina nazionale in tema di tutela del paesaggio» e all'art. 12, comma
1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 6 febbraio 2006.
F.to:
Annibale MARINI, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA