Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2541, del 10 maggio 2013
Beni Ambientali.Sanabilità opera su area degradata con vincolo paesistico.

In materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancor più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento, dei valori tipici dei luoghi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02541/2013REG.PROV.COLL.

N. 08773/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8773 del 2007, proposto dalla signora Gabriella Gennaro, rappresentata e difesa dall'avvocato Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso il signor Antonio Romei (Studio BDL) in Roma, via Bocca di Leone, 78;

contro

la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Regione Puglia-Bari, in persona del Soprintendente pro tempore, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
il Comune di Taranto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito nella presente fase di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 3110/2007, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Regione Puglia-Bari e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti l’avvocato Alberto Zito, per delega dell'avvocato Sticchi Damiani, e l'avvocato dello Stato Ventrella;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. In data 26 febbraio 2004 il Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Puglia annullava, con il decreto n. 4724, il provvedimento dirigenziale n. 2230 con cui il Comune di Taranto aveva espresso parere favorevole sull'istanza presentata dalla signora Gabriella Gennaro, ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, volta al rilascio della concessione in sanatoria relativa ad un immobile realizzato al primo piano di un edificio per residenza bifamiliare ubicato in località Torretta Isola A, di proprietà della stessa signora Gennaro.

Con il decreto n. 159 del 26 febbraio 2004, il Soprintendente annullava, inoltre, il provvedimento dirigenziale n. 2229 con cui il Comune di Taranto aveva espresso parere favorevole sull'istanza della signora Gennaro, volta al rilascio della concessione in sanatoria relativa ad un abuso edilizio realizzato al piano terra dell'edificio in precedenza richiamato.

Con il provvedimento n. 3692 del 22 novembre 2004, il Comune di Taranto, preso atto dei citati decreti soprintendentizi, rigettava le istanze di concessione edilizia in sanatoria presentate dalla signora Gennaro.

Infine, in data 14 gennaio 2005, con l'ordinanza n. 136, il Comune di Taranto ingiungeva alla signora Gennaro di procedere, entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento, alla demolizione dell'immobile, con conseguente ripristino dello stato dei luoghi.

2. Avverso il decreto soprintendentizio n. 4724 del 26 febbraio 2004, il provvedimento comunale di diniego n. 3692 del 22 novembre 2004 e l’ordinanza comunale n. 136 del 14 gennaio 2005, la signora Gennaro proponeva il ricorso n. 20 del 2005 al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, che veniva respinto con la sentenza n. 3110 del 2007.

3. Avverso detta sentenza la signora Gennaro ha proposto appello, lamentando l'erroneità della medesima e l'illegittimità degli atti già censurati con il ricorso di primo grado.

In data 27 febbraio 2013 si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Con la memoria depositata il 7 marzo 2013, la signora Gennaro ha ulteriormente articolato le proprie difese.

4. All'udienza del 9 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Con il primo motivo di gravame l'appellante ha censurato l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile al caso di specie il principio “dell’inscindibilità della domanda di concessione in sanatoria inoltrata in riferimento ad un unico immobile di proprietà del privato”. Secondo la signora Gennaro, infatti, il suddetto principio non sarebbe applicabile alla fattispecie di cui è causa, stante l'assoluta “autonomia ed indipendenza, per un verso, dei manufatti oggetto delle domande di sanatoria” e, per altro verso, “dei procedimenti avviati dalla stessa odierna appellante”, mantenuti separati anche dai competenti organi dell’Amministrazione.

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che non può essere accolta la succitata tesi, basata sulla ritenuta “autonomia ed indipendenza” delle opere abusive realizzate al piano terra ed al primo piano dell’edificio di proprietà della signora Gabriele.

Deve, infatti, rilevarsi che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, “l’opera edilizia abusiva va identificata, ai fini della concessione in sanatoria, con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato […] restando irrilevante, ai fini che qui rilevano, il suo preteso frazionamento in distinte porzioni” (Cons. di Stato, Sez. V, 3 luglio 2003, n. 3974, e Sez. V, 3 marzo 2001, n. 1229).

Orbene, nel caso di specie, la asserita “autonomia ed indipendenza dei manufatti” risulta decisamente smentita dalla documentazione in atti e la decisione assunta dall’appellante di presentare due distinte istanze di sanatoria non poteva condizionare, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, l’unitarietà delle valutazioni proprie delle Amministrazioni competenti basate, viceversa, sul consolidato principio di diritto di cui si è appena detto.

5.1. Con il secondo motivo d'appello la signora Gennaro ha lamentato l'erroneità della sentenza del Tar per la Puglia che ha ritenuto infondata l'eccezione relativa alla tardività del decreto soprintendentizio n. 4724 del 26 febbraio 2004 rispetto al termine perentorio previsto dall'art. 151, comma 4, del d. Lgs. n. 490 del 1999.

Ritiene, infatti, l'appellante che tale decreto sarebbe stato emanato dall’Amministrazione oltre il termine di 60 giorni previsto dall'art. 151, comma 4, del d. Lgs. n. 490 del 1999, essendo la documentazione pervenuta alla competente Soprintendenza in data 1° ottobre 2003. Né in senso contrario potrebbe valere il fatto che in data 6 novembre 2003 la Soprintendenza avesse formulato una richiesta di integrazione istruttoria, atteso che quest’ultima sarebbe connessa esclusivamente con l'abuso edilizio realizzato al piano terra dell'immobile e non potrebbe, di conseguenza, incidere sul decorso del termine per annullare l'autorizzazione paesaggistica relativa all'abuso posto in essere con l'edificazione del primo piano.

La sospensione connessa a tale richiesta integrativa, inoltre, non sarebbe comunque sufficiente a far rientrare l'impugnato decreto di annullamento nel termine previsto dal citato art. 151, comma 4, del d. Lgs. n. 490 del 1999, in quanto l’applicazione di tale istituto implicherebbe la salvezza del periodo di tempo decorso prima della suddetta richiesta e, quindi, il superamento, in ogni caso, del termine perentorio succitato.

Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, il Collegio che il provvedimento della competente Sovrintendenza è stato emanato nel rispetto del termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 151, comma 4 del d. Lgs. n. 490 del 1999.

Dal decreto n. 4724 del 26 febbraio 2004 emerge, infatti, come, in seguito alla domanda di integrazione istruttoria rivolta dalla Soprintendenza all’Amministrazione competente ed inviata, per conoscenza, alla signora Gennaro, la predetta documentazione sia pervenuta completa alla Soprintendenza in data 30 dicembre 2003. In considerazione del fatto che il parere è stato reso il 26 febbraio 2004 non può certamente ritenersi non rispettato il predetto termine.

Per costante e consolidata giurisprudenza, infatti, il termine perentorio previsto dall’art. 151, comma 4, del Lgs. n. 490 del 1999 “decorre solo da quando il Ministero è effettivamente posto nelle condizioni di pronunciarsi e quindi da quando l’intera documentazione rilasciata sia stata ricevuta dalla stesso, non verificandosi pertanto alcuna sospensione o interruzione nel caso in cui sia necessaria un’integrazione della documentazione, bensì soltanto l’effetto della non decorrenza del termine” (Cons. di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 24).

Ne deriva che non possano trovare qui accoglimento le considerazioni proposte dall’appellante relativamente agli effetti riconducibili alla richiesta di integrazione istruttoria avanzata dalla Soprintendenza e ciò anche in considerazione del fatto che, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, l’eventuale compressione del tempo a disposizione della Soprintendenza per provvedere potrebbe compromettere l’esigenza di un efficace tutela del paesaggio, garantita dall’art. 9 della Costituzione.

A quanto precede non può opporsi, come fatto dalla signora Gennaro, il rilievo che la richiesta di integrazione istruttoria sarebbe connessa esclusivamente con l'abuso edilizio realizzato al piano terra dell'immobile e non potrebbe, di conseguenza, incidere sul decorso del termine per annullare l'autorizzazione paesaggistica relativa all'abuso posto in essere con l'edificazione del primo piano poiché, per quanto detto al precedente punto 5, le opere abusive di cui è causa soggiacciono al principio di inscindibilità delle domande di concessione in sanatoria riferite ad un unico immobile (inscindibilità che, secondo i principi generali, comunque comporta la stessa identificazione dell’abuso anche sotto i profili volumetrici).

L’accertata legittimità del provvedimento soprintendentizio, infine, rende priva di pregio la censura relativa alle determinazioni assunte dal Comune di Taranto con il provvedimento n. 3692 del 2004 con specifico riferimento al diniego di sanatoria dell’abuso perpetrato al primo piano.

5.2. Con il terzo motivo di gravame l'appellante ha lamentato l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che “il Soprintendente (abbia) fatto un uso corretto del potere di annullamento”, senza travalicare i limiti dei poteri di mero controllo di legittimità degli atti a quest'ultimo legislativamente attribuiti. Secondo la signora Gennaro, infatti, i rilievi posti dal Soprintendente alla base del decreto n. 4724 del 26 febbraio 2004 entrerebbero nel merito delle valutazioni di compatibilità ambientale già compiute dal Comune di Taranto - con conseguente violazione di quanto disposto dall'art. 151, comma 4 del d. Lgs n. 490 del 1999 - e non terrebbero oltretutto conto della circostanza che gli interventi abusivi si sarebbero inseriti “in un comparto totalmente edificato” e ricompreso “nell'ambito dei territori costruiti”.

Il motivo è infondato.

Osserva, a questo proposito, il Collegio che, come rilevato dal giudice di prime cure, il Soprintendente - nel ritenere illegittimo l’atto emesso dal Comune di Taranto in quanto nell’attuare “una inammissibile deroga al vincolo” si pone in contrasto con quest’ultimo - espone in maniera puntuale le ragioni di tale contrasto al fine di evidenziare i profili di illegittimità connessi all’azione del dirigente comunale, atteso che, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, la funzione del parere soprintendentizio è quella di verificare la compatibilità dell’opera abusiva con i valori paesistici tutelati dal vincolo.

Tale motivazione, strettamente connessa alla illegittimità del provvedimento n. 2230 del comune di Taranto, non travalica i limiti propri del sindacato estrinseco di legittimità e non svolge specifiche valutazioni di merito, essendo invece volta esclusivamente a evidenziare l’iter logico sotteso alla menzionata dichiarazione di illegittimità del provvedimento comunale.

Risulta infatti del tutto immotivata – e in contrasto logico con la realtà dei luoghi – la considerazione posta a base della autorizzazione comunale, la quale ha rilevato che l’immobile in questione, posto in prossimità del mare, “non costituisce alterazione dell’ambiente circostante, già interessato da una diffusa edificazione”.

Contrariamente a quanto affermato dall’appellante, quindi, il “sindacato” esercitato dalla Soprintendenza con il decreto n. 4724 del 26 febbraio 2004 è esente da censure, rientrando nell’ambito del suo potere il constatare la sostanziale assenza di motivazione della autorizzazione.

Il Collegio ritiene, altresì, che sotto il profilo sostanziale non può trovare condivisione la valutazione comunale sul rilievo della presenza di diffusi illeciti edilizi nella medesima zona ove è stato realizzato l’immobile oggetto degli impugnati provvedimenti: al contrario, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto esprimersi sul perché la sua demolizione non avrebbe consentito una riqualificazione del territorio.

In ogni caso, per la pacifica giurisprudenza “in materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancor più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento, dei valori tipici dei luoghi” (Cons. di Stato, Sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1813).

5.3. L'appellante con il quarto motivo di gravame ha, inoltre, lamentato l'erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha considerato legittimo il provvedimento n. 3692 del 22 novembre 2004, con il quale il dirigente della direzione “Condono Edilizio” del Comune di Taranto ha respinto le sue istanze di sanatoria.

Secondo la signora Gennaro, infatti, il citato provvedimento, per ciò che concerne l'abuso realizzato al piano terra dell'edificio, sarebbe illegittimo in quanto affetto da illegittimità derivata conseguente alla tardività del decreto soprintendentizio reso relativamente all’abuso realizzato al piano terra (n. 159 del 26 febbraio 2004) rispetto al termine perentorio previsto dall'art. 151, comma 4 del d. Lgs. n. 490 del 1999.

Il provvedimento dell’Amministrazione comunale n. 3692 del 22 novembre 2004 sarebbe, inoltre, illegittimo anche con riferimento all'abuso realizzato al primo piano dell'immobile - in quanto indice di irragionevolezza dell'azione amministrativa - in ragione del fatto che la stessa Soprintendenza, in sede si riesame dalla domanda di sanatoria proposta dall'appellata, avrebbe fatto intravedere la possibilità di sanare l'immobile nell'ambito di un piano di intervento di recupero territoriale, possibilità questa che sarebbe stata in seguito ignorata dal Comune di Taranto in sede di emanazione del provvedimento in esame.

Il motivo è infondato.

Rileva il Collegio che risulta priva di pregio la censura relativa alla violazione, da parte del decreto soprintendentizio reso relativamente all’abuso realizzato al piano terra (n. 159 del 26 febbraio 2004), del termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 151, comma 4 del d. Lgs. n. 490 del 1999.

In aggiunta a quanto già esposto relativamente al decreto soprintendentizio n. 4724 del 26 febbraio 2004, anche il decreto n. 159 del 2004 emesso in pari data risulta legittimo, in quanto adottato nei termini previsti dall’art. 151, comma 4 del d. Lgs. n. 490 del 1999 alla luce di quanto detto al precedente punto 5.1., al quale in questa sede si rinvia.

Ne deriva che il provvedimento comunale n. 3692 del 22 novembre 2004, anche nella parte relativa al diniego di sanatoria dell’abuso realizzato al piano terra dell’immobile di cui è causa, che ha trovato fondamento negli atti summenzionati, non può che considerarsi, a sua volta, esente dalla censura avanzata dall’appellante.

Osserva, inoltre, il Collegio che, a differenza di quanto da quest’ultima rilevato, il provvedimento qui in esame non può ritenersi viziato da illogicità ed irragionevolezza in relazione a quanto previsto dalla nota soprintendentizia n. 10111 dell’8 ottobre 2004.

Infatti, in assenza degli atti ammessi dalla legge riguardanti il recupero della zona (concernenti altri procedimenti e valutazioni di altro tipo), la Soprintendenza del tutto legittimamente ha esercitato il proprio potere di riesame, in relazione alla autorizzazione rilasciata dal Comune, e risultata illegittima per profili di eccesso di potere.

D’altra parte, la stessa Soprintendenza ha emesso gli atti impugnati in primo grado ben prima di pronunciarsi con la nota dell’8 ottobre 2004 e comunque ha constatato che in ogni caso l’eventuale inserimento dell’immobile nelle disposizioni del piano di intervento di recupero territoriale (P.I.R.T.) sarebbe stata condizionata “all’esecuzione di adeguati interventi di mitigazione d’impatto”, che non trovano riscontro negli atti di causa, in assenza del perfezionamento dei relativi atti.

5.4. Con il quinto motivo d'appello la signora Gennaro ha censurato la sentenza in epigrafe impugnata nella parte in cui ha ritenuto non fondati i vizi relativi al provvedimento di demolizione n. 136 del 14 gennaio 2005.

Ritiene, infatti, l'appellante che la succitata ordinanza avesse ad oggetto unicamente l'abuso edilizio realizzato al piano terra dell'edifico di sua proprietà e non l'intero immobile; che il termine di 30 giorni concesso dall'Amministrazione violerebbe il dettato dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001 il quale, in caso di demolizione, prevede un termine minimo di 90 giorni; che il provvedimento di demolizione sarebbe in ogni caso affetto da illegittimità derivata, risentendo dei vizi rilevati in ordine agli altri atti impugnati; che l'Amministrazione comunale avrebbe dovuto preventivamente valutare le istanze di riesame proposte con atto del 20 dicembre 2004 con riferimento alla circostanza che, per mero errore materiale, era stata indicata al 1980 la data di ultimazione dei lavori che viceversa erano terminati prima del 1966 e che, infine, l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto attendere, prima di emanare il provvedimento in esame, l'esito della domanda di condono urbanistico presentata ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003.

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio, in merito al rilievo che la succitata ordinanza avrebbe ad oggetto unicamente l'abuso edilizio realizzato al piano terra dell'edifico di proprietà della signora Gennaro e non l'intero immobile, che da quanto rilevato al precedente punto 5. relativamente alla unicità dell’immobile ed in considerazione del contenuto del provvedimento comunale n. 3692 del 22 novembre 2004, di cui al precedente punto 5.3., deriva che anche l’ordine di demolizione non poteva che riguardare l’intero immobile di proprietà dell’appellante e non le sue singole parti.

Per quanto concerne, invece, la censura relativa all’esiguità del termine concesso all’appellante per eseguire la demolizione disposta dal provvedimento comunale n. 136 del 14 gennaio 2005 il Collegio osserva che, come confermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, il vizio de quo integra gli estremi di una violazione meramente formale del disposto dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguente possibilità per l’odierna appellata di ottemperare all’ingiunzione in un termine non inferiore a quello previsto dalla legge.

Peraltro, poiché l’amministrazione non ha demolito l’edificio nel periodo intercorrente tra il trentunesimo e il novantesimo giorno successivo alla notifica dell’ordine di demolizione, e poiché neppure l’appellante lo ha demolito (né durante tale periodo, né successivamente), la relativa censura va considerata inammissibile per difetto di interesse.

Dalla natura meramente formale del lamentato vizio discende, poi, che quest’ultimo comunque non possa inficiare la legittimità dell’atto qui in esame (Cons. di Stato, Sez. V, 24 febbraio 2003, n. 986).

Inoltre, non può trovare accoglimento neanche la censura relativa all’illegittimità derivata dell’ordinanza di demolizione, che risentirebbe dei vizi rilevati dall’appellante in ordine agli altri atti impugnati, atteso che, in relazione a quanto precede, i provvedimenti che la presuppongono sono viceversa da considerarsi legittimi.

L’ordinanza di demolizione in esame sarebbe poi illegittima, in quanto l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto preventivamente valutare le istanze di riesame proposte con atto del 20 dicembre 2004 con riferimento alla circostanza che, per mero errore materiale, era stata indicata al 1980 la data di ultimazione dei lavori relativi al piano terra dell’immobile che viceversa erano terminati prima del 1966.

Osserva a questo proposito il Collegio che, differentemente da quanto affermato dalla signora Gennaro, l’eventuale conoscenza della circostanza che l’intervento abusivo posto in essere al piano terra dell’immobile di proprietà dell’appellata era avvenuto in data precedente rispetto all’apposizione del vincolo - avvenuta con il D.P.R. n. 616 del 1977 - non avrebbe “certamente indotto la Soprintendenza […] a diversamente concludere in merito all’assentibilità dell’intervento di cui sopra”.

La consolidata giurisprudenza in questa materia dispone, infatti, che “in sede di rilascio della concessione in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo […] l’esistenza del vincolo (stesso) va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo in questione” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6882).

Da quanto esposto deriva, dunque, che la Soprintendenza non aveva ragione per esprimere diversamente le sue valutazioni e, conseguentemente, che al Comune di Taranto non restava altra possibilità se non quella di emettere l’ordine di demolizione.

Peraltro, va respinta anche la censura secondo cui rileverebbe in qualche modo l’anno 1966 come quello in cui sono stati realizzati gli abusi, poiché non può l’interessata venire contra factum proprium e dedurre in sede giurisdizionale una circostanza ben diversa da quella indicata nella domanda di concessione.

Il Collegio rileva, infine, per quanto riguarda la censura relativa alla mancata sospensione del procedimento volto a reprime l’abuso edilizio in pendenza della domanda di condono presentata dall’appellante ai sensi dell’art. 32, comma 25 del decreto legge n. 269 del 2003, che la sospensione non opera quale effetto automatico connesso alla presentazione della domanda di condono, poiché tale effetto risulta subordinato, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, all’“astratta sanabilità” delle opere abusivamente eseguite a norma dell’art. 32, comma 27 del citato decreto legge (Cons. di Stato, Sez. V, 3 agosto 2004, n. 5412).

Ne deriva, quindi, che la mancata sospensione dell’ordinanza di demolizione invocata dall’appellante non poteva aver luogo nel caso di specie in quanto i manufatti in esame risultano, come affermato dalla stessa appellata, non conformi agli strumenti urbanistici vigenti all’epoca dell’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985 nonché realizzati in assenza di titolo abilitativo, in una zona soggetta a vincolo paesaggistico.

Peraltro, dal susseguirsi degli atti emessi in sede amministrativa, emerge che l’ordinanza di demolizione è stata emanata il 14 gennaio 2005, dopo il rigetto dell’istanza di sanatoria (di data 22 novembre 2004), sicché non sussiste il presupposto posto a base della dedotta censura.

6. Per quanto sin qui esposto l’appello deve ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.

7. Il Collegio ritiene che le spese del secondo grado di giudizio devono seguire il principio della soccombenza ed essere liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello (Ricorso n. 8773 del 2007), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio che quantifica in euro 2000,00 (duemila), oltre agli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)