Cass. Sez. III n. 20721 del 13 luglio 2020 (CC 17 giu 2020)
Pres. Liberati Est. Gai Ric. Camuso
Beni Ambientali.Interventi in aree protette

La realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette (parchi nazionali, regionali e riserve naturali) è subordinata al rilascio di tre distinti provvedimenti, quali il permesso di costruire (se necessario avuto riguardo alla tipologia delle opere), l'autorizzazione paesaggistica e, ove previsto, il nulla osta dell'Ente parco, con la conseguenza che questi ultimi due atti amministrativi mantengono la loro autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, anche quando siano attribuiti dalla legge regionale ad un organo unico, chiamato a compiere una duplice valutazione in ragione della pluralità degli interessi presidiati dalle rispettive norme penali e della piena autonomia, rispetto a quella paesaggistica ed urbanistica, della normativa sulle aree protette

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale del riesame di Salerno ha parzialmente accolto il ricorso, ex art. 322 cod.proc.pen., proposto dalla ricorrente, legale rappresentante della società D&C Smart s.r.l.s., avverso il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania, avente ad oggetto il complesso alberghiero “Lido del Poggio” nell’ambito di indagini svolte per i reati, oggetto di incolpazione provvisoria nei confronti anche della Camuso, di cui agli artt. 110 cod.pen., 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), artt. 110 cod.pen., 181 comma 1 d.lvo n. 42 del 2004 (capo B), artt. 110 cod.pen. 734 cod.pen. (capo C), artt. 110 cod.pen., 6 e 30 legge n. 394 del 1991 (capo D), artt. 110 cod.pen. 96 e 98 del R.D. 25 luglio 1904, n. 523 (capo E), artt. 110 cod.pen., 54, 1161 cod. nav. (capo F), e per l’effetto ha annullato il decreto di sequestro in relazione alla provvisoria contestazione di cui al capo A), confermando nel resto l’impugnato provvedimento in relazione agli altri capi di incolpazione.
1.1. Il tribunale cautelare, di fronte alla contestazione di avere eseguito opere edilizie in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto rientrante nel perimetro Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diana, senza il nulla-osta dell’ente parco, su area demaniale, consistite nel mutamento di destinazione d’uso del complesso balneare denominato “Lido del Poggio” da stabilimento balneare a struttura ricettiva/alberghiera, mediante la realizzazione di n. 12 camere con 24 posti letto, in forza di SCIA e CILA, ha ritenuto che gli interventi edilizi, realizzati in forza dei predetti titoli autorizzativi, non determinassero una diversa destinazione d’uso rilevante dal punto di vista urbanistico, ai sensi dell’art. 23 ter, comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di attività comportante la ridistribuzione interna dei locali all’interno senza comunque modificare la volumetria complessiva dell’edificio di stabilimento balneare, senza ampliamento delle superfici da inquadrarsi nella tipologia di manutenzione straordinaria assentita dai titoli in possesso della ricorrente, da cui l’esclusione del fumus commissi delicti in relazione al capo A) della incolpazione provvisoria, confermandolo nel resto, con riguardo ai capi B), C), D), E) ed F), il provvedimento impugnato in presenza di realizzazione di opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza autorizzazione, senza il nulla osta dell’ente parco, innovazioni realizzate in zona di demanio marittimo che non consentiva tali opere e in presenza di concessioni demaniali illegittime,  sussistendo, infine, il periculum in mora comportando la modificazione dei luoghi per effetto delle opere realizzate un maggior carico urbanistico.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Camuso Niki, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con i primi tre motivi la ricorrente ha dedotto la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. c) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 322, 324 e 309 comma 9 cod.proc.pen. Il Tribunale del riesame si sarebbe sostituito al Giudice per le indagini preliminari nella motivazione del provvedimento, di poi carente sarebbe la motivazione sul fumus dei residui reati contestati in via provvisoria.
2.1.1. In particolare, quanto ai profili oggetto di indagine da parte del Giudice del riesame, anzitutto era stato riconosciuto che, in relazione alla contestata attività edilizia, non sussisteva mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, né vi era stato ampliamento della superficie, sì che non vi era necessità del permesso di costruire di cui all’art. 10 del d.P.R. 380 del 2001.
A fronte di ciò, peraltro, il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la cautela proprio assumendo la necessità del permesso di costruire, nonché in ragione della realizzazione della costruzione in zona di inedificabilità assoluta, a distanza di meno di dieci metri dal corso d’acqua Vallo delle Fornaci. Mentre al contrario il Tribunale del riesame aveva inteso porre a fondamento della conferma del sequestro la pretesa illegittimità delle ricevute concessioni demaniali, aspetto neppure menzionato dal Giudice per le indagini preliminari.
Il Tribunale non avrebbe però potuto, con la propria motivazione, sostituirsi al G.i.p. nelle ragioni poste alla base della misura cautelare in mancanza di autonoma valutazione tanto più che lo stesso Tribunale aveva rilevato la genericità della richiesta del Pubblico ministero.
Né erano state chiarite le ragioni dell’esistenza del fumus quanto ai capi B, C e D (v. supra), attesa la riconosciuta realizzazione di mera manutenzione straordinaria senza aumento di superficie utile o di sagoma esterna. Mentre, quanto al capo E, nulla era stato detto in sede di riesame, e non vi erano attività edilizie a meno di dieci metri dal corso d’acqua Vallone delle Fornaci, se non opere di sistemazione esterna adibite a verde.
In ogni caso erano opere riguardanti attività edilizia svolta all’interno della volumetria del complesso balneare esistente, senza modifiche dell’aspetto esteriore dello stesso e già autorizzate sotto l’aspetto paesaggistico, trattandosi pertanto di interventi esclusi, a norma del D.P.R. 31 del 2017, All. A., dalla valutazione e autorizzazione paesaggistica preventiva.
Con riferimento al capo F) la motivazione dell’ordinanza genetica sarebbe priva di autonomia e dunque non sarebbe integrabile dal tribunale del riesame il quale ha evidenziato l’assoluta genericità della contestazione nella parte in cui non specifica ragioni dell’illegittimità delle concessioni demaniali.
2.2. Col quarto e quinto motivo, in relazione alla disapplicazione delle concessioni demaniali n. 15/15 e 2/17, ed in ordine alla lamentata carenza di motivazione al riguardo, il provvedimento impugnato le aveva ritenute in contrasto con la normativa locale, che ammetteva la sola realizzazione di strutture balneari prive di destinazione turistico-ricettiva, e finalizzate a soddisfare esigenze meramente temporanee col divieto di modifiche permanenti.
Al contrario, non vi era stata alcuna modificazione della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, atteso che il passaggio da stabilimento balneare e struttura alberghiera rappresentava consentito mutamento di destinazione d’uso all’interno della medesima categoria funzionale, a norma dell’art. 23-ter del D.P.R. 380 cit.. Mentre era stato comunque riconosciuto che la successiva disciplina nazionale – cui doveva riconoscersi prevalenza, e che non prevedeva richiami alla disciplina locale - contemplava la possibilità di installare sul territorio demaniale strutture ricettive.
Oltre a ciò, la previgente disciplina locale riguardava solamente le modalità procedimentali volte al rilascio delle concessioni, e non poteva imporre limitazioni non previste dalla legge.
Per quanto poi riguardava il servizio di ricettività offerto, esso non modificava permanentemente lo stato dei luoghi, da ripristinarsi allo scadere della concessione demaniale e senza incrementi del carico urbanistico (ed in specie era stato annullato il vincolo in relazione al capo A).
Il provvedimento pertanto, confermando il sequestro sulla scorta della ritenuta illegittimità degli atti concessori, aveva in tal modo oltrepassato i limiti del potere di sindacato del giudice penale sugli atti amministrativi. Il Tribunale si era così in realtà sostituito al Giudice amministrativo, operando valutazioni che non gli competevano e definendo l’illegittimità delle concessioni senza che il Giudice per le indagini preliminari si fosse soffermato sul punto, e senza alcun evidenziato profilo di illiceità dell’atto amministrativo, facendo difetto qualsiasi contestazione in tal senso.
2.3. Col sesto e settimo motivo, infine, sono stati eccepiti violazione di legge processuale e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta esistenza del periculum.
I lavori erano infatti terminati da almeno due anni (argomento non considerato) e - in carenza di mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante – il carico urbanistico derivante dalla struttura ricettiva era del tutto marginale rispetto alla complessiva destinazione turistica dell’area.  

In data 25 maggio 2020, il difensore ha depositato memoria scritta con motivi nuovi, con cui ha insistito nel ricorso con riguardo al capo F) ha argomentato la legittimità delle concessioni demaniali n. 15/2015 e 02/2017 alla luce della modifica dell’art. 39 del Regolamento del Comune modificato con delibera n. 31 del 21/11/2016 con la quale è stato aggiunto il comma 3 che consentirebbe il rilascio delle concessioni demaniali per lo svolgimento di attività ricettiva.       
3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso non è fondato per le ragioni qui di seguito esposte.
Seguendo l’ordine logico dei motivi va anzitutto valutato il profilo di censura che attiene alla violazione dell’art. 324 comma 7 e 309 comma 9 cod.proc.pen. devoluto nella prima parte del primo motivo di ricorso.
Va ricordato che le Sezioni Unite della Corte di cassazione (S.U. n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789) hanno affermato che, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell'art. 309 cod.proc.pen., sono applicabili - in virtù del rinvio operato dall'art. 324, comma 7 dello stesso codice - in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il Tribunale del riesame ha il dovere di annullare il provvedimento genetico se questo sia privo di motivazione ovvero non contenga la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa. Dunque, secondo l’arresto delle Sezioni Unite nella citata pronunzia, è compito del Tribunale del riesame annullare ai sensi dell'art. 309 comma 9 cod.proc.pen. il decreto di sequestro solo qualora manchi di autonoma valutazione, potendo, invece, esercitare il potere di integrazione quando la motivazione del provvedimento genetico sussiste ed è apprezzabile la valutazione autonoma, non potendo supplire nel caso di assenza/apparenza di motivazione.
Ciò premesso, la censura appare infondata.
Il provvedimento impugnato, dopo avere elencato le incolpazioni provvisorie, riporta, a pag. 2, in corsivo, le motivazioni del provvedimento del G.I.P., seguite dalle prospettazioni difensive e dalle ragioni della decisione che, in parte, dissentono dalle ragioni poste a base del provvedimento del Giudice con riguardo alla sussistenza del fumus del capo A).
Il tribunale ha necessariamente vagliato il provvedimento del Giudice, che stigmatizza come un po’ conciso, ma non certo carente, come del resto si evince dalla circostanza che il provvedimento genetico è riportato per esteso. Dunque, in presenza di motivazione, tutt’altro che apparente il tribunale ben può procedere ad integrare e, come è avvenuto nel caso in esame, di dissentire annullamento nel merito in parte il provvedimento impugnato e confermarlo nel resto.
Quanto alla censura di omessa autonoma valutazione essa è meramente affermata dal ricorrente non dovendosi confondere l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, circa la genericità del capo di imputazione del capo F) con riguardo ai profili di illegittimità delle concessioni demaniali, critica diretta al Pubblico Ministero, con il profilo della valutazione autonoma che il giudice deve compiere.  
In altri termini, il tribunale dissente motivatamente dal ragionamento del giudice in punto mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante per il quale occorre il permesso a costruire, e ritiene che le opere eseguite e descritte nel capo di incolpazione siano da ricondurre nella manutenzione straordinaria per la quale erano stati presentati titoli abilitativi idonei (Scia e Cila), nel resto conferma il provvedimento impugnato ritenendo sussistenti i presupposti applicativi della misura.
5. Anche la censura che involge il capo B) non è fondata.
Deve rammentarsi che la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette (parchi nazionali, regionali e riserve naturali) è subordinata al rilascio di tre distinti provvedimenti, quali il permesso di costruire (se necessario avuto riguardo alla tipologia delle opere), l'autorizzazione paesaggistica e, ove previsto, il nulla osta dell'Ente parco, con la conseguenza che questi ultimi due atti amministrativi mantengono la loro autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio, anche quando siano attribuiti dalla legge regionale ad un organo unico, chiamato a compiere una duplice valutazione in ragione della pluralità degli interessi presidiati dalle rispettive norme penali e della piena autonomia, rispetto a quella paesaggistica ed urbanistica, della normativa sulle aree protette (Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261152 – 01).
Ciò posto, l'articolo 2, comma 1 d.P.R. n. 31 del 2017 stabilisce che "non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all'Allegato «A» ..." ossia, per quanto qui interessa, quelle oggetto del punto A.1 «Opere interne che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d'uso».
Peraltro, la ricorrente non ha dedotto nei motivi a sostegno del riesame la predetta violazione di legge, né ha allegato la situazione di fatto che avrebbe dovuto impegnare il tribunale nella verifica della ricorrenza per i presupposti per l’applicazione della norma di legge che costituisce una esenzione all’autorizzazione paesaggistica. La cognizione del tribunale del riesame resta pur sempre, anche tenuto conto dei poteri di annullamento per motivi diversi da quelli enunciati nell'atto di impugnazione, correlata al devoluto.
In tema di impugnazione delle misure cautelari reali, il c.d. "effetto devolutivo" del riesame deve essere inteso nel senso che il tribunale è tenuto a valutare, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, ogni aspetto relativo ai presupposti della misura cautelare ("fumus commissi delicti" e, nel sequestro preventivo," periculum in mora"), ma non anche a procedere all'analisi di aspetti ulteriori qualora non espressamente dedotti (Sez. 3, n. 35083 del 14/04/2016, Talano, Rv. 267508 – 01).
7. Allo stesso modo nessuna censura era stata svolta con riguardo al capo C), art. 734 cod.pen., cosicchè, qualora l'impugnazione sia limitata ad uno solo dei presupposti applicativi della misura, rispetto ai punti non oggetto di censura sussiste un obbligo motivazionale attenuato, in quanto il tribunale del riesame, in mancanza di specifiche argomentazioni della difesa, potrà limitarsi a richiamare l'ordinanza applicativa ribadendo l'adeguatezza della motivazione (Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, Valorosi, Rv. 278314 – 03). A fortiori, come nel caso in esame, la ricorrente non ha svolto alcuna censura specifica e non può ora dolersi, con il ricorso per cassazione, l’omessa motivazione in relazione a tale incolpazione.

8. Quanto al capo D) la censura è, parimenti, infondata.
La motivazione è presente ed è corretta.
Ai sensi dell’art. 6 comma 3 della legge 394 del 1991 «3. Sono vietati fuori dei centri edificati di cui all'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati, l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalita' istitutive dell'area protetta... ». All’art. 11 comma 3 è previsto: “3. Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attivita' e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.” E all’art. 13 “1. Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco e' sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco. Il nulla osta verifica la conformita' tra le disposizioni del piano e del regolamento e l'intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato”.
La legge parla di trasformazione delle costruzioni e di quelle che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e, dunque, deve essere ricompreso anche il mutamento di destinazione d’uso che è pur sempre una trasformazione incidente o almeno potenzialmente incidente sulle situazioni che determinano le misure di salvaguardia a presidio delle quali è previsto il nulla osta. Non è in discussione, nel caso in esame, la mancanza di nulla osta che la ricorrente non ritiene necessario in relazione alla manutenzione straordinaria.
Per completezza occorre rammentare che, con sentenza n. 429/2004, la Corte costituzionale ha evidenziato che “il nulla osta in questione è atto diverso dall’autorizzazione paesaggistica relativa all’intervento, agli impianti ed alle opere da realizzare all’interno del parco. Esso è un atto endoprocedimentale prodromico rispetto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”.
9. La censura in relazione alla contestazione di cui al capo E) di violazione dell’art. 96 lett. f) del R.D. 523 del 1904, che sancisce il divieto di realizzazione a meno “di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”e che ha carattere assoluto ed inderogabile (e richiede la previa autorizzazione del Ministero dei lavori pubblici) è inammissibile perché orientata ad una rivalutazione del fatto (sistemazione a verde pubblico/realizzazione di fabbrica) che è preclusa nel giudizio di legittimità ed anche quello in materia di misure cautelari reali per i quale è deducibile unicamente la violazione di legge, tra cui deve essere ricompresa solo la motivazione assente o apparente che non ricorre nel caso in esame.

10. Il quarto motivo di ricorso richiede un preventivo chiarimento per inquadrare la questione entro corretti binari. La ricorrente prospetta la violazione di legge sotto il profilo della violazione della regola di risoluzione delle antinomie tra le fonti.
Secondo la ricorrente le due concessioni demaniali sarebbero conformi alla disciplina normativa statale ovvero dell’art. 1 della Legge 494 del 1993 di conv. del d.l. 400 del 1993, che alla lett. d) consente la concessione demaniale per la gestione di strutture ricettive, e contrarie al Regolamento edilizio approvato dal Consiglio comunale (art. 39) e del Regolamento del Commissario prefettizio n. 61 del 24/04/2012, art. 9, che non le comprende.
In linea di stretto diritto, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, ogni previsione regolamentare in contrasto con norme precettive sovraordinate è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata (Consiglio di Stato IV n. 3522/2016). La giurisprudenza più recente ammette la disapplicazione da parte del giudice amministrativo dell'atto regolamentare presupposto, ancorché non impugnato, non soltanto in ipotesi di giurisdizione esclusiva, ma anche in via più generale estesa alla giurisdizione generale di legittimità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2015, nr. 515).
Tale impostazione presuppone che si versi in un’ipotesi di antinomia tra fonti del diritto soprattutto in questa materia laddove, per le ragioni a statuto ordinario, ricorre una competenza legislativa concorrente delle regioni nel quadro dei principi stabiliti dalla legge statale.
In tale ambito deve ritenersi consentito alle regioni, nel quadro della pianificazione urbanistica a tutti i livelli, nonché alle altre fonti regolamentari e agli strumenti urbanistici del Comune di adottare misure più restrittive in vista della tutela degli interessi che a loro fanno capo.
A tal proposito rileva il Collegio che l’art. 1 comma 1, del d.l. 400 del 1993, stabilisce che “la concessione dei beni demaniali marittima può essere rilasciata, oltre che per i servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per le seguenti attività..” tra cui alla lett. d) contempla la gestione di strutture ricettive. È la stessa legge statale che facoltizza il rilascio della concessione demaniale anche per la tipologia di attività, situazione che consente a norme di rango regolamentare e agli strumenti urbanistici di non consentire il rilascio per le medesime attività. Cosa avvenuta nel comune di Marina di Camerota con la previsione dell’art. 39 del Regolamento per il rilascio di concessioni dei beni del demanio comunale e marittimo anche alla luce della modifica, adottata nel 2016, che nella generica indicazione secondo cui “potranno essere rilasciate nuove concessioni, …. esclusivamente per calibrare esigenze di servizi qualificati al turismo… nonché per la creazione di attività economiche differenti da quelle dedite ai servizi balneari ..”, non si può trarre la conclusione della legittimità delle concessioni demaniali invocata dalla ricorrente.
11. Infine, anche la censura sul periculum in mora non mostra ragioni di fondatezza ed è anche in parte generico.
Rileva il Collegio che, sotto un primo profilo, il provvedimento impugnato lo àncora al maggior carico urbanistico, la motivazione è presente e non può dirsi meramente apparente.
Sotto altro profilo deve rilevarsi che il sequestro preventivo del complesso alberghiero Lido del Poggio è stato disposto nell’ambito di indagini svolte per i reati di cui artt. 110 cod.pen., 181 comma 1 d.lvo n. 42 del 2004 (capo B), artt. 110 cod.pen. 734 cod.pen. (capo C), artt. 110 cod.pen., 6 e 30 legge n. 394 del 1991 (capo D), artt. 110 cod.pen. 96 e 98 del R.D. 25 luglio 1904, n. 523 (capo E), artt. 110 cod.pen., 54, 1161 cod. nav. (capo F), reati di natura permanente, cosicchè il sequestro ha natura impeditivo della prosecuzione dell’attività criminosa e di evitare la protrazione delle conseguenze dei reati.
12. Conclusivamente il ricorsa va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/06/2020