Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1955, del 16 aprile 2014
Elettrosmog.SRB illegittimità obbligo distanza di almeno 100 metri dagli edifici
La potestà a contenuto pianificatorio dei comuni ai sensi dell’art. 8, ultimo comma, della legge n. 36 del 2001, deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, non solo non comporta la possibilità di un divieto generalizzato di installazione in determinate zone urbanistiche, ma neppure di imporre misure di carattere generale sostanzialmente cautelative rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, qual è quella concernente la distanza di almeno 100 metri dagli edifici, poiché tanto contrasta con l’art. 4 della citata legge n. 36 del 2001, il quale riserva allo Stato la competenza a determinare i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità con criteri unitari ed in base a parametri validi su tutto il territorio nazionale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 01955/2014REG.PROV.COLL.
N. 09352/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9352 del 2007, proposto da:
Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Mario Sanino e Giovanni Zucchi, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Sanino in Roma, viale Parioli n. 180;
contro
Comune di Melfi, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Di Tommaso, con domicilio eletto presso l’avv. Serena Vona, studio legale Acampora, in Roma, via Pompeo Magno n. 1;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. BASILICATA - POTENZA n. 00209/2007, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione per implementare sistema di trasmissione UMTS
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Melfi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2014 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Celani su delega di Sanino e Petrizzi su delega di Di Tommaso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 13 aprile 2005 TIM Italia s.p.a. avanzava al Comune di Melfi istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 87, co. 3, del d.lgs. n. 259 del 2003 per implementare il sistema di trasmissione UMTS sull’impianto ubicato presso la locale centrale telefonica mediante sostituzione di alcune antenne preesistenti con altre di minor dimensione e di nuova tecnologia, nonché installazione di altra antenna e di un piccolo apparato tecnico di supporto.
Con nota 28 giugno 2005 n. 16868 il responsabile dell’area territorio e ambiente comunicava il parere negativo espresso dalla commissione edilizia nella seduta del 21 precedente, basato sulla mancanza, a corredo della pratica, dell’autorizzazione della Regione Basilicata prevista dall’art. 3, co. 1, della legge regionale della Basilicata n. 30 del 2000, del parere radioprotezionistico rilasciato dall’ARPAB e del contratto di locazione con titolo autorizzativo, nonché sulla violazione del piano comunale degli impianti di telecomunicazione approvato nel 2002, nella parte in cui vieta la realizzazione di impianti di telefonia mobile a meno di 100 metri dai fabbricati esistenti.
TIM ha impugnato il diniego e la norma del predetto piano davanti al TAR per la Basilicata, che con sentenza 23 marzo 2007 n. 209 (notificata il 17 settembre 2007) ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile ed in parte inammissibile.
Più precisamente, ha ritenuto irricevibile l’impugnazione della norma di piano, in quanto immediatamente lesiva e stante la decorrenza del termine decadenziale di 60 dalla data della domanda di autorizzazione, dovendo il richiedente diligentemente informarsi sulla normativa urbanistica vigente in materia e restando mitigato in tal modo il principio secondo cui lo strumento urbanistico va impugnato con riferimento al momento di conoscenza legale costituito dal compimento di tutte le formalità di pubblicazione, equiparato alla notifica individuale, nonché considerato che tale normativa era già nota al richiedente stesso, il quale l’aveva già impugnata nella parte in cui stabiliva la delocalizzazione del preesistente impianto. Ha poi qualificato come atti meramente esecutivi della disposizione di piano il parere negativo della commissione edilizia e la sua comunicazione (da equiparare ad atto di diniego), quindi inammissibile la loro impugnazione. Ha infine disposto la compensazione delle spese di causa, tenuto conto della sostanziale fondatezza del ricorso poiché il Comune non poteva stabilire valori di attenzione diversi da quelli determinati dallo Stato.
Con atto notificato il 14 ed il 17 novembre 2007 e depositato il 28 seguente Telecom Italia s.p.a. (subentrata a TIM) ha appellato la predetta sentenza deducendo:
1.- La norma in parola, contenuta nelle N.T.A. del piano, esplica effetto lesivo solo nel momento di adozione dell’atto applicativo, quindi può essere impugnata unitamente ad esso. Peraltro, nella specie era impugnato “ove possa occorrere”, sostenendosi l’inapplicabilità della prescrizione in relazione all’intervento di mera implementazione tecnologico di impianto installato prima dell’entrata in vigore del piano. Il piano stesso era stato precedentemente impugnato solo per la prescrizione relativa alla delocalizzazione dell’impianto, mentre all’epoca la prescrizione relativa alle distanze non era lesiva in quanto la sua violazione non era contestata. D’altra parte, trattandosi di N.T.A., quindi di norme regolamentari, esse sono disapplicabili da parte del giudice in ogni tempo e anche d’ufficio.
2.- Il ricorso era perciò ricevibile ed ammissibile, ma anche fondato in relazione ai seguenti motivi:
a.- Violazione dell’art. 87, co. 3 e 5, d.lgs. n. 259/03. Violazione dell’art. 15 disp. prel. cod. civ.. Falsa applicazione dell’art. 3, co. 1, L.R. Basilicata n. 30/2000. Eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, illogicità ed arbitrarietà.
Circa la mancanza dell’autorizzazione regionale, la disciplina per l’installazione degli impianti di telefonia mobile, prevedente quali titoli abilitativi edilizi solo la d.i.a. o l’autorizzazione (a seconda della potenza dell’impianto) è esaustivamente dettata dal cit. art. 87 del d.lgs. n. 159/03, fonte di rango più elevato, col quale contrasta l’art. 3 della L.R. n. 20/2000 che, pertanto, deve ritenersi tacitamente abrogato ai sensi dell’art. 15 disp. prel. cod. civ.
Circa la mancanza del parere dell’A.R.P.A.B., lo stesso art. 87 prevede che copia della d.i.a. o dell’istanza di autorizzazione sia contestualmente inviata al comune interessato ed all’A.R.P.A., la quale dovrà esprimere parere nei successivi 30 giorni, senza quindi stabilire che detto parere sia atto presupposto del titolo edilizio e debba perciò precederne il rilascio, concernendo il primo l’aspetto urbanistico-edilizio ed il secondo l’aspetto sanitario, con la conseguenza che è richiesto solo per la concreta attivazione dell’impianto e, d’altra parte, non è addebitabile al richiedente il ritardo dell’A.R.P.A.B.
Circa la mancanza del contratto di locazione e del titolo autorizzativo dell’impianto esistente, il traliccio è stato assentito con c.e. del 23 gennaio 1986 ed è divenuto di proprietà di TIM in quanto subentrata a SIP in virtù di cessione di ramo d’azienda efficace dal 1° marzo 2005, quindi anteriormente alla presentazione dell’istanza. Di qui l’esistenza del titolo abilitativo dell’impianto esistente e la non necessità del contratto di locazione.
b.- Falsa applicazione del Piano comunale degli impianti di teleradiocomunicazioni. Eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, arbitrarietà e manifesta ingiustizia.
Il piano comunale è se mai applicabile ai nuovi impianti da installare successivamente alla sua approvazione e non a quello in parola, realizzato anteriormente e rispetto al quale la programmata implementazione consiste in un mero intervento manutentivo di aggiornamento tecnologico.
c.- Violazione dell’art. 15 disp. prel. cod. civ.. Falsa applicazione del Piano comunale degli impianti di teleradiocomunicazioni. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, illogicità ed arbitrarietà. Invalidità derivata.
L’art. 5, co. 1, della legge regionale n. 30/2000 ha attribuito ai comuni il potere di elaborare i piani in questione, ma l’art. 8 della successiva legge n. 36/2001 ha attribuito alle regioni le funzioni concernenti l’individuazione di siti di installazione degli impianti di cui trattasi, sicché ha abrogato la detta legge regionale sulla cui base è stata adottato il piano di Melfi, in ogni caso di per sé illegittimo nella parte impugnata, come del resto incidentalmente riconosciuto dallo stesso TAR ai fini della regolamentazione delle spese.
In data 17 dicembre 2007 il Comune di Melfi si è costituito in giudizio ed ha eccepito l’improcedibilità del ricorso:
a.- per mancanza di mandato ad litem, non risultando rilasciata idonea procura speciale, come si evince dalla copia dell’atto ad esso notificata, e per la costituzione della società ricorrente TIM Italia s.p.a. (consesso societario distinto da TIM s.p.a.) in data 29 dicembre 2004, come si evince dalla iscrizione presso la camera di commercio;
b.- in quanto si formula richiesta di annullamento delle delibere consiliari 4 gennaio 2001 n. 54 e 13 febbraio 2002 n. 8 per le quali è ampiamente decorso il termine di impugnativa sia per la puntuale osservanza delle formalità di pubblicità, sia perché precedentemente impugnate.
c.- per omessa notifica del ricorso al responsabile dell’area tecnica della sezione urbanistica, firmatario del provvedimento quale soggetto rappresentante l’Ente di appartenenza, quindi autorità emanante (stante la distribuzione delle competenze di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 29 del 1993, ora art. 4 d.lgs. n. 165 del 2001) a cui va diretta la notifica.
Nel merito, ha esposto quanto segue:
a.- L’impianto è verosimilmente superiore a 20 Watt, sicché non è realizzabile mediante d.i.a. ma si richiede un’unica autorizzazione da parte dell’ente locale e delle altre amministrazioni interessate a mezzo conferenza dei servizi. A tanto consegue la necessità di titolo edilizio, considerato anche che l’art. 86 del d.lgs. n. 259/03 assimila le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria alle quali si applica la normativa edilizia vigente, cioè l’art. 3 del t.u. n. 380/2001, non contenendo lo stesso d.lgs. n. 259/03 norme modificatrici di quest’ultimo. Né la ricorrente ha documentato i vari passaggi di proprietà dell’immobile mentre alla c.e. del 1986, finalizzata esclusivamente a collegamenti interurbani di telefonia fissa, non è mai seguito il rilascio di autorizzazione al montaggio di antenne e ripetitori di telefonia mobile, necessaria a configurare presupposto per la richiesta di implementazione.
b.- Il disposto della L.R. n. 30 del 2000 non è incompatibile col disposto del d.lgs. n. 259 del 2003, sicché le due normative coesistono l’una in ambito regionale e l’altra in ambito nazionale.
c.- Il parere dell’A.R.P.A.B. è determinante, in quanto finalizzato a salvaguardare profili sanitari a cui consegue il “concerto” preventivo al rilascio della concessione tra autorità locale ed organismo regionale. Né è rinvenibile nell’art. 8 della legge n. 36 del 2001 alcuna tacita abrogazione della L.R., di cui il piano è obbligatoria attuazione ed è diretto a tutelare non la salute pubblica ma l’aspetto territoriale, urbanistico e paesaggistico. Peraltro, detto art. 8 conferisce ai comuni la competenza a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
Con ordinanza n. 6726 del 2007 è stata accolta l’istanza di sospensione della sentenza appellata, avanzata con l’appello.
Con istanza ritualmente proposta il 9 gennaio 2013 è stata nuovamente chiesta la fissazione d’udienza ai sensi dell’art. 2, co. 1, cod. proc. amm..
Con memoria del 31 ottobre 2013 TIM ha replicato alle eccezioni avversarie ed insistito per la fondatezza dell’appello anche sulla base della predetta ordinanza cautelare.
L’appello è stato chiamato all’udienza del 13 marzo 2014.
DIRITTO
1. Com’è esposto nella narrativa che precede, si controverte della comunicazione, da parte del responsabile dell’area territorio ed ambiente del Comune di Melfi, del parere “non favorevole” al rilascio di permesso di costruire espresso dalla commissione edilizia, quindi del diniego opposto all’istanza di TIM s.p.a. del 13 maggio 2005, concernente la “implementazione del sistema UMTS sull’impianto di telefonia cellulare esistente” in via Galilei di quel Comune.
Il diniego si basa sui seguenti profili:
a) mancanza dell’autorizzazione del dipartimento regionale sicurezza sociale e politica ambientale, prevista dall’art. 3, co. 1, della legge regionale della Basilicata 5 maggio 2000 n. 30;
b) mancanza del parere radioprotezionistico rilasciato dall’A.R.P.A.B. di Potenza;
c) mancanza del contratto di locazione con titolo autorizzativo;
d) collocazione dell’impianto di cui trattasi ad una distanza inferiore a 100 metri dai fabbricati esistenti, in violazione del piano comunale degli impianti di telecomunicazione approvato con deliberazione consiliare 12 febbraio 2002 n. 8.
2. In via preliminare vanno esaminate le eccezioni di improcedibilità (rectius: inammissibilità) dell’appello sollevate dall’Amministrazione appellata per mancanza di mandato ad litem in violazione dell’art. 35 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, in quanto dalla copia notificata dell’atto non risulterebbe rilasciata idonea procura speciale, e per la costituzione della società ricorrente TIM Italia s.p.a. (consesso societario distinto da TIM s.p.a.) in data 29 dicembre 2004, come si evince dall’iscrizione presso la camera di commercio, nonché per omessa notifica dell’atto all’autorità emanante, cioè al responsabile dell’area tecnica della sezione urbanistica, firmatario del provvedimento quale soggetto rappresentante l’Ente di appartenenza in ragione della distribuzione delle competenze di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 29 del 1993, ora art. 4 d.lgs. n. 165 del 2001.
Tali eccezioni devono essere disattese.
Sotto il primo profilo si osserva che proprio dalla copia dell’appello depositata dal Comune in giudizio unitamente al controricorso risulta a margine la procura speciale ad litem al difensore, peraltro conferita da soggetto munito a sua volta di procura speciale con atto di cui sono indicati gli estremi, versato in giudizio in allegato all’appello.
Quanto alla seconda eccezione, essa evidentemente si riferisce all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in cui era però specificato che TIM s.p.a. aveva ceduto il ramo d’azienda concernente le attività di “comunicazioni mobili Italia” con il precisato atto notarile (vedasi certificato notarile in data 24 febbraio 2005, in atti) a TIM Italia s.p.a., sicché quest’ultima era sicuramente titolata all’impugnativa; giova peraltro precisare che, come emerge dal certificato notarile in data 22 febbraio 2006 allegato all’appello, l’attuale appellante Telecom Italia s.p.a. è a sua volta subentrata a TIM Italia s.p.a., incorporata per fusione.
Infine, circa la terza eccezione si osserva che è ormai pacificamente assodato in giurisprudenza che la rappresentanza del comune in giudizio compete solo al sindaco e non al dirigente che ha adottato l’atto, investito unicamente del potere di promuovere o resistere alle liti (cfr., per tutte, Cons. St., Sez. V, 25 gennaio 2005 n. 155, richiamata dall’appellante).
3. Con altra deduzione in forma di eccezione il Comune di Melfi ribadisce l’assunto secondo cui sarebbe tardiva l’impugnazione del piano comunale e, quindi, inammissibile quella del consequenziale diniego. Si tratta della tesi accolta dal primo giudice, contestata da Telecom col primo motivo d’appello, il quale è fondato.
Va infatti ricordato che, in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, la giurisprudenza ha da tempo distinto le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) e le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull'osservanza di canoni estetici, sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.): mentre per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s'impone, in relazione all'immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio, a diversa conclusione deve pervenirsi, invece, con riguardo alle prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate, come detto, a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e, dunque, possono essere oggetto di censura in occasione della sua impugnazione (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 marzo 2011 n. 1868).
È evidente che, nella specie, si verte nella seconda ipotesi concernente norme tecniche di attuazione, sicché la deliberazione n. 8 del 2002 deve ritenersi tempestivamente impugnata unitamente all’atto applicativo alla stregua dell’anzidetta giurisprudenza, condivisa dal Collegio.
Oltretutto, per quanto poi si dirà in merito alla sopravvenuta inefficacia del piano per effetto della normativa statale sopravvenuta, quindi della sua non lesività, neppure sussisteva l’onere di farne oggetto di impugnazione.
4. Anche nel merito l’appello è fondato in relazione a ciascuna delle quattro ragioni giustificatrici del diniego.
4.1. In ordine alla mancanza dell’autorizzazione regionale suaccennata, prevista dalla citata legge regionale n. 30 del 2000 sulla scorta della quale (art. 5) è stato pure adottato il contestato piano, nonché della mancanza del parere A.R.P.A. Basilicata, va ancora ricordato quanto già affermato in materia dalla giurisprudenza amministrativa.
Più precisamente, è stato rilevato che le previsioni della stessa legge regionale, le quali “attribuiscono ai comuni un generalizzato potere di pianificazione delle infrastrutture della telefonia mobile, riservando alla Regione l'autorizzazione di ogni singolo impianto”, per questo “divergono da quelle della sopravvenuta normativa statale” di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 ed al d.lgs. 1° agosto 2003 n. 259, sicché “sono (…) divenute inapplicabili a seguito dell'entrata in vigore della normativa di rango superiore a contenuto incompatibile”, così come sono, nel contempo, “divenute inapplicabili le disposizioni generali dettate dai comuni in (…) attuazione” della ripetuta legge regionale n. 30 del 2000 (cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 giugno 2011 n. 3646).
In particolare, in assenza di ragioni per dissentire da detta giurisprudenza, per quanto qui rileva l’autorizzazione regionale di cui trattasi deve ritenersi superata dalle disposizioni recate dall’art. 87 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dalla legge 23 dicembre 2005 n. 266) del d.lgs. 1° agosto 2003 n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), le quali prevedono un’unica autorizzazione all’installazione di impianti radioelettrici e la modifica delle emissioni (ovvero la formazione tacita del titolo abilitativo) dell’ente locale; autorizzazione che assorbe in sé e sintetizza ogni altra autorizzazione, ivi comprese quelle richieste dal t.u. delle disposizioni in materia edilizia (cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 gennaio 2011 n. 98).
Lo stesso art. 87 del d.lg. n. 259 del 2003, inoltre, postula che il parere dell'A.R.P.A. sia richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell'impianto e non anche ai fini del perfezionamento del titolo abilitativo, perché non sussiste un onere per il richiedente di allegare siffatto parere in sede di presentazione dell'istanza di titolo edilizio, né un obbligo di far pervenire il parere medesimo all'ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell'art. 87 (cfr. cit. Cons. St., Sez. VI, n. 98 del 2011).
4.2. Pretestuoso è poi il terzo rilievo, ben sapendo il Comune di Melfi di aver assentito nel 1986 l’impianto originario in favore della S.I.P., a cui com’è noto è subentrata T.I.M.
4.3. Per quanto esposto al precedente paragrafo 4.1), la disposizione del piano comunale opposta all’istanza in parola deve ritenersi superata. In ogni caso, come peraltro dato atto dal primo giudice, la medesima disposizione è di per sé illegittima.
La potestà a contenuto pianificatorio dei comuni di fissare, ai sensi dell’art. 8, ultimo comma, della legge n. 36 del 2001 sopra menzionata, che deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, non solo non comporta la possibilità di un divieto generalizzato di installazione in determinate zone urbanistiche, ma neppure di imporre misure di carattere generale sostanzialmente cautelative rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, qual è quella concernente la distanza di almeno 100 metri dagli edifici, poiché tanto contrasta con l’art. 4 della citata legge n. 36 del 2001, il quale riserva allo Stato la competenza a determinare i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità con criteri unitari ed in base a parametri validi su tutto il territorio nazionale (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27 dicembre 2010, n. 9414).
5. In conclusione, in accoglimento dell’appello la sentenza appellata va riformata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Tenuto conto dell’emersione dei seguìti orientamenti giurisprudenziali in epoca relativamente recente, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione delle spese di entrambi i gradi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie il medesimo appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Michele Corradino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)