Cass. Sez. III n. 12731 del 2 aprile 2021 (UP 18 dic 2020)
Pres. Sarno Est. Andreazza Ric. Ferri
Urbanistica.Lottizzazione e legale rappresentante della società che si proclami soggetto terzo
Non ricollegabile ai principi espressi dalla Corte EDU è il caso nel quale, nello stesso giudizio, sia stata accertata la responsabilità del legale rappresentante della stessa società che si proclami soggetto terzo, sì che effettivo beneficiario dell'azione delittuosa non può non essere considerata la persona giuridica titolare del permesso a costruire in relazione al quale siano state poste in essere le condotte contestate, proprietaria dell'area abusivamente lottizzata, e a cui del resto, dallo stesso capo d’imputazione, siano state attribuite le opere di urbanizzazione ed edificazione sui terreni di cui si controverte, non potendo pertanto, in simili casi, la persona giuridica essere considerata soggetto estraneo al reato che è invece, ordinariamente, solo colui che abbia semplicemente acquistato il bene senza alcun legame intellettuale con i fatti.
RITENUTO IN FATTO
1.Ferri Salvatore, Bartoli Adriano, Partini Paolo e Partini Andrea hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 4 maggio 2018 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Siena in data 26/01/2016, ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di cui ai capi b), d), e), f), g), i), e m) dell’imputazione, confermando la pronuncia di condanna quanto al reato di cui all’art. 481 cod. pen. di cui al capo l) nonché la disposta confisca dei terreni e delle opere abusivamente realizzati
2. Con un primo motivo di ricorso Ferri Salvatore deduce, quanto alla disposta confisca dei terreni e delle opere abusivamente realizzate (in relazione al reato di lottizzazione abusiva di cui al capo b) dell’ imputazione), la violazione degli artt. 35, 39 e 57 del d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione agli artt. 369-bis e 415-bis cod. proc. pen. e 44, comma 2, del d.P.R n. 380 del 2001 per non essere la “Immobiliare Palagetto S.r.l.”, rappresentata dall’imputato, stata posta in grado di partecipare al procedimento, non avendo ricevuto alcun avviso e non potendo tale omissione essere supplita dalle notifiche all’imputato stante quanto previsto dall’art. 39 cit. secondo cui l’ente partecipa al procedimento con il proprio rappresentante, salvo che lo stesso sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. Di qui la nullità assoluta e la illegittimità della disposta confisca applicata a persone non parti del procedimento in violazione dell’art.7 Convenzione edu, come anche ritenuto dalla Corte EDU nella pronuncia G.I.E.M. contro Italia.
2.1. Con un secondo motivo lamenta che la Corte d’appello, avendo erroneamente ritenuto che per il reato di cui sub b) sia stato condannato il solo Bartoli Adriano, abbia omesso ogni motivazione sui motivi di appello proposto quanto a detto reato da Ferri e Bartali quali legali rappresentanti della Ferri Edil, prima, e Immobiliare Palagetto poi, proprietarie dei terreni e delle opere abusive, con conseguente nullità della sentenza limitatamente al reato di cui al capo b) e illegittimità della disposta confisca.
3. Con un primo motivo di ricorso Bartoli Adriano lamenta la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità e mancanza della motivazione circa la sussistenza dei presupposti di proscioglimento nel merito quanto ai reati sub e), g) e m) dell’imputazione, non avendo in particolare considerato i motivi di appello dedotti con riferimento ad ognuno di essi e in particolare incentrati sulla sua estraneità agli abusi edilizi (capi e) e g)) e sulla inesistenza del dovere di denuncia (capo m).
3.1. Con un secondo motivo, relativo al capo b), denuncia la violazione degli artt. 30 e 44 del dpr n. 380 del 2001 in relazione alla motivazione impiegata per dare conto, al di là della maturata prescrizione, della sussistenza nel merito del reato necessaria per potere disporre la confisca. In particolare la sentenza avrebbe valutato il solo profilo oggettivo del reato e non anche, come necessario alla luce della giurisprudenza ai fini di disporre la confisca, quello soggettivo, essendo stata dedotta con i motivi di appello la mancanza di colpa in chi si limiti ad attuare le norme urbanistiche deliberate dall’Amministrazione cui appartiene.
3.2. Con un terzo motivo, sempre relativo al capo b), deduce la violazione degli artt. 30 e 44 cit. e la manifesta illogicità e mancanza della motivazione quanto alla sussistenza del reato di lottizzazione; in particolare richiama i motivi di appello con cui si era dedotto che l’area oggetto dell’intervento apparteneva alla zona b) di cui al d.m. n. 1444 del 1968 per la quale l’art. 29 del regolamento urbanistico stabiliva l’attuazione secondo le schede allegate allo stesso con necessità invece dell’approvazione di un piano attuativo solo nel caso di soluzioni sostanzialmente diverse rispetto alle indicazioni grafiche nella planimetria, come ritenuto anche dalla relazione del capo del settore edilizia e urbanistica ing. Galli e dalla relazione del consulente tecnico della difesa, sicché il permesso di costruire era conforme alla disciplina urbanistica ammissiva dell’intervento diretto.
A fronte di ciò la sentenza impugnata si sarebbe limitata a sostenere che la mera sussistenza del permesso a costruire non sarebbe stata di ostacolo alla configurazione del reato di lottizzazione.
3.3. Con un quarto motivo ha dedotto la violazione degli artt. 30 e 44 cit nonché dell’art. 41 quinquies l. n. 1150 del 1942 in particolare avendo la sentenza impugnata, come già lamentato con l’atto di appello, erroneamente considerato vigente tale ultima norma nonostante ad essa abbiano fatto seguito disposizioni regionali che hanno diversamente governato la materia e che devono ritenersi espressione del potere regionale di governo del territorio ex art. 117 Cost. In particolare, rileva come, alla stregua dell’art. 55 comma 4 della legge regionale n. 1 del 2005 (e dei correlati artt. 67 e 208), ai fini della necessità del piano attuativo, il criterio della densità urbanistica e dell’altezza di cui alla l. n. 1150 del 1942 sia stato sostituito da quello regionale della complessità e rilevanza degli interventi, con conseguente legittimità del PRG del Comune di Poggibonsi ammissivo dell’intervento edilizio diretto e applicato, correttamente, dall’imputato.
3.4. Con un ultimo motivo lamenta la disposta confisca nei confronti dalla proprietaria Immobiliare Palagetto, mai intervenuta nel procedimento penale in violazione dell’art. 7 Convenzione EDU.
4. Con un primo motivo comune ad entrambi i ricorrenti Partini Paolo e Partini Andrea deducono la violazione degli artt. 181 e 429 cod. proc. pen. per indeterminatezza dei capi di imputazione sub h), i) e l) nel decreto che ha disposto il giudizio di primo grado. In particolare, nel capo h) sarebbe stata menzionata la violazione della normativa sull’altezza massima dei fabbricati frontistanti in presenza di strade ma sarebbe stata descritta altra fattispecie regolamentare (C. 4.1 D.M. 1996), ingenerando confusione. Nel capo i) sarebbe stata parzialmente omessa la descrizione del contenuto della dichiarazione prestampata nel modulo di preavviso scritto di deposito progetto; infine, nel capo l), si sarebbe omessa l’indicazione della falsità sia con riferimento alla data della comunicazione di ultimazione lavori sia con riguardo al contenuto della certificazione di conformità, non essendo stato riportato quanto prestampato a tal fine nella modulistica in uso all’epoca. Aggiungono che a seguito della relativa eccezione il G.u.p. disponeva la correzione di quelli che venivano ritenuti errori materiali. Deducono infine che, riproposta l’eccezione con l’atto di appello, la motivazione della sentenza impugnata avrebbe omesso del tutto di rispondere quanto al capo h) relativo alla contravvenzione sismica mentre, quanto ai capi i) e l), avrebbe erroneamente ritenuta esaustiva l’indicazione degli atti che si contesta asseverino il falso ideologico : la mancata indicazione si risolve infatti in una lesione del diritto di difesa che può sottostimare fatti rilevanti da provare o eccedere invece con inutile dispendio di mezzi.
4.1. Con un secondo motivo riguardante il solo Partini Paolo, deducono la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen, per avere, in relazione al capo i), la sentenza dichiarato la prescrizione e non invece assolto nel merito per il reato di falso necessariamente doloso; infatti, dall’esame della sentenza di primo grado era desumibile immediatamente la mancanza della prova del dolo nell’immutazione della verità dei fatti oggetto della asseverazione, di competenza e responsabilità certificativa, del progettista, laddove il dolo non sussiste quando il fatto non veritiero sia agevolmente rilevabile con una verifica tecnica e/o un riscontro degli elaborati progettuali, dovendo in tal caso versarsi in ipotesi di errore tecnico macroscopico non punibile. In particolare il progetto architettonico depositato in Comune e approvato dallo stesso con il rilascio del permesso di costruire prevedeva le distanze di matrice edilizio-urbanistica controllate e ritenute corrette dall’Autorità amministrativa a ciò preposta. E l’asseverazione in calce al deposito del Genio Civile dell’ottobre 2008 contestata all’imputato sarebbe stata frutto del legittimo affidamento riposto dal tecnico progettista strutturale sulla conformità del progetto architettonico, già assentito dal Comune ai fini urbanistici e di pianificazione territoriale, alla normativa urbanistica ed edilizia, come tale idoneo ad escludere la coscienza e volontà di rappresentare, attestare e certificare fatti non veri; si sarebbe trattato dunque per la Corte d’appello di limitarsi a constatare l’evidenza probatoria relativa.
4.2. Con un terzo motivo Partini Andrea lamenta la inosservanza ed erronea applicazione, in relazione alla condanna per il reato di falso ex art. 481 cod. pen. sub capo l), degli artt. 15, 64 e 65 del d.P.R. 6/6/2001 n. 380 e degli artt. 106, 108 e 109 della legge regionale Toscana vigente all’epoca dei fatti, in relazione all’art. 481 cod. pen. per la condotta di falsa attestazione contenuta nella relazione di fine lavori e certificato di rispondenza. Infatti, la legislazione statale e regionale non impone che la relazione debba essere redatta ad ultimazione integrale di tutte le opere ricomprese in un intervento progettuale assentito con atti autorizzativi e concessori della p.a. competente, ben potendo,come indicato anche dal dato normativo, essere predisposta anche con riferimento ad ultimazione di lavori relativi a “singole strutture” facenti parte di un complessivo intervento edificatorio. Nel caso di specie l’imputato avrebbe veritieramente attestato la conformità dell’opera strutturale ai requisiti richiesti dall’art. 64 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 106 della legge regionale Toscana n. 1 del 2005 posto che la relazione avrebbe riguardato il solo “fine lavori parziale” e il “termine dei lavori strutturali dei blocchi 1 e 2”, essendo pacifico, perché affermato dalla stessa sentenza, che i due edifici oggetto del permesso di costruire erano stati ultimati mentre il terzo era ancora in fase di realizzazione. Inoltre, atteso il profilo di responsabilità del direttore dei lavori come indicato dall’art. 64 cit., la falsa attestazione potrebbe riguardare le sole operazioni cui tale responsabilità si estenda.
4.3. Con un quarto motivo, infine, sempre Partini Andrea, ancora con riguardo al reato di cui al capo l), lamenta il vizio di contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione e il travisamento della prova avendo la sentenza ritenuto falsa l’attestazione in ordine alla completa rispondenza delle opere al progetto e all’osservanza delle prescrizioni di esecuzione; infatti la relazione recava come opere eseguite il solo “fine lavori parziale” e il “termine dei lavori strutturali dei blocchi 1 e 2”; né si sarebbe considerato che anche il collaudo era stato parziale.
In definitiva detta relazione sarebbe stata valutata come complessiva ed integrale mentre, invece, era parziale.
5. In data 21/2/2020 Partini Paolo e Partini Andrea hanno presentato memoria con contestuali motivi nuovi in realtà ripropositivi delle censure già svolte con i motivi originari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Quanto anzitutto al ricorso proposto da Ferri Salvatore, il primo motivo è inammissibile per difetto di legittimazione: la censura, volta a lamentare nella sostanza un difetto di contraddittorio derivante dal non essere stato consentito alla società proprietaria del terreno oggetto di intervento edilizio e dei permessi a costruire “Immobiliare Palagetto s.r.l.” di partecipare al giudizio per contrastare le ragioni a fondamento della disposta confisca è stata sollevata dall’imputato Ferri personalmente e non quale legale rappresentante di detta società, atteso che nessuna menzione del titolo di rappresentanza è stata fatta in ricorso né alcuna procura speciale (quella allegata al ricorso è, ancora una volta, stata semplicemente rilasciata da Ferri Salvatore in proprio) è stata conferita dall’imputato, in tale qualità, al difensore.
1.1. Peraltro, va osservato che, anche a volere ritenere non condivisibile quanto appena osservato sul difetto di legittimazione fondato sulla mancanza, nel ricorso, del riferimento anche alla qualità del ricorrente di legale rappresentante della Immobiliare Palagetto, il motivo sarebbe comunque, nel merito, ugualmente inammissibile per manifesta infondatezza.
Va in primo luogo premesso che la sentenza della Grande Camera della Corte EDU G.i.e.m. contro Italia del 28/06/2018 appare avere ritenuto violato l'art.7 della Convenzione EDU laddove la persona giuridica destinataria della confisca non partecipi al giudizio penale all'esito del quale detta misura venga adottata.
In particolare, la sentenza, dopo aver ricordato che, per la legge italiana, alle società a responsabilità limitata viene attribuita una autonoma personalità giuridica, distinta da quella degli amministratori e dei soci, ed evidenziato la necessità di stabilire se le persone fisiche coinvolte nei procedimenti penali trattati abbiano agito e siano state giudicate in quanto tali o come rappresentanti legali delle società, ha osservato anche che nel diritto italiano le società a responsabilità limitata non possono, in quanto tali, essere parti nel procedimento penale, nonostante la loro personalità giuridica distinta e, conseguentemente, non potevano essere legalmente rappresentate nei procedimenti penali in questione, mentre invece le azioni (e la responsabilità che ne derivava) dei loro rispettivi rappresentanti legali sono state loro direttamente attribuite; la Corte è giunta pertanto alla conclusione che, nei procedimenti in oggetto, dette società erano terze parti, come confermato dalle sentenze dei giudici nazionali.
La pronuncia ha evidenziato inoltre che la confisca di beni è imposta dal giudice penale quale conseguenza obbligatoria dell'accertamento della lottizzazione abusiva, senza che sia prevista alcuna distinzione per il caso in cui il proprietario dei beni sia una società, richiamando testualmente quanto in precedenza affermato nella sentenza Varvara e pervenendo alla conclusione che la violazione dell'art. 7 della Convenzione EDU si è configurata per il fatto che le società non erano appunto parti nel procedimento penale.
Ciò posto, è allora pregiudiziale rilevare come un tale principio appaia riguardare la posizione della persona giuridica quale vero e proprio "terzo", nel senso di soggetto del tutto estraneo ai fatti per cui si procede in sede penale e, appunto per questo, in linea di principio, e salvo prova contraria, sostanzialmente "in buona fede", tanto che la stessa sentenza appena ricordata sottolinea la necessità di verificare se le persone fisiche sottoposte a processo penale per l'abusiva lottizzazione abbiano agito e siano state processate in quanto tali o in quanto legali rappresentanti delle società (§265).
Non ricollegabile al principio espresso dalla Corte EDU appare dunque il caso nel quale, nello stesso giudizio, sia stata accertata, come nella specie, la responsabilità del legale rappresentante della stessa società che, come nel caso in esame, si proclami soggetto terzo, sì che effettivo beneficiario dell'azione delittuosa non può non essere considerata la persona giuridica titolare del permesso a costruire in relazione al quale siano state poste in essere le condotte contestate, proprietaria dell'area abusivamente lottizzata, e a cui del resto, dallo stesso capo d’imputazione, siano state attribuite le opere di urbanizzazione ed edificazione sui terreni di cui qui si controverte, non potendo pertanto, in simili casi, la persona giuridica essere considerata soggetto estraneo al reato che è invece, ordinariamente, solo colui che abbia semplicemente acquistato il bene senza alcun legame intellettuale con i fatti (in tal senso, proprio con riferimento alla veste di "legale rappresentante", già Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Alessandrini, Rv. 275756, e, pur con riferimento alla fattispecie di discarica abusiva, Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, non massimata, e Sez. 3, n. 44426 del 7/10/2004, Vangi, Rv. 230469; Sez. 3, n. 299 del 3/12/2003 (dep.2004), Andrisano, Rv. 227220; Sez. 3, n. 17349 del 29/3/2001, Mingione, Rv. 219698, secondo cui se l'attività illecita è stata posta in essere da una persona giuridica attraverso i propri organi rappresentativi, mentre a costoro è addebitabile la responsabilità penale per i singoli fatti di reato, le conseguenze patrimoniali ricadono sullo ente esponenziale in nome e per conto del quale le persone hanno agito, ad eccezione del caso in cui vi sia stata una rottura del rapporto organico, per avere l'imputato agito di propria esclusiva iniziativa).
1.2. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorrente censura nella sostanza il fatto che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi quanto ai motivi di appello svolti con riguardo alla sua intervenuta condanna in primo grado per il reato sub b) d’imputazione (nonostante la mancata formale menzione di essa nel dispositivo della sentenza), motivi con i quali si invocava invece la insussistenza del fatto e la conseguente illegittimità della disposta confisca, da ciò dunque essendo derivata la nullità sul punto della sentenza impugnata.
Ora, se è vero che, in effetti, non è dato riscontrare nella sentenza impugnata motivazione specificamente riferita all’atto di appello presentato da Ferri, va tuttavia preso atto che, da un lato, il ricorrente non riporta in alcun modo quale fosse il contenuto dei motivi di appello a fondamento dell’invocata assoluzione, sì che non è dato sapere quali fossero i profili della sentenza di primo grado censurati, e, dall’altro, la Corte ha comunque spiegato, a pagg. 13-15, in relazione alla disposta conferma della statuizione della confisca già adottata in primo grado, le ragioni (meglio esposte oltre con riguardo al ricorso di Bartoli Adriano), per le quali, pur in presenza di sopravvenuta maturata prescrizione, il fatto-reato di lottizzazione sub b) dovesse considerarsi sussistente, da tutto ciò discendendo, dunque, l’inammissibilità del motivo di ricorso in oggetto.
2. Quanto al ricorso di Bartoli Adriano, il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia reso motivazione “decisamente eccentrica e sostanzialmente inesistente” quanto ai motivi di appello con cui, in relazione ai reati edilizi di cui ai capi e) e g) e al reato ex art. 361 cod. pen. di cui al capo m), si era denunciata la estraneità rispetto ai primi due reati e la inesistenza di un dovere di denuncia quanto al terzo reato.
Va tuttavia osservato, qui implicitamente richiamandosi i postulati di Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274, che, a fronte della rilevata maturazione dei termini di prescrizione con conseguente declaratoria di estinzione dei reati, mutando, per la Corte d’appello, il parametro di valutazione del merito delle suddette fattispecie, non più rappresentato dai criteri di cui all’art. 530 cod. proc. pen. e, dunque, dalla sufficienza, ai fini dell’assoluzione, anche solo della mancanza di prova della sussistenza dei fatti ma, invece, dal criterio di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e, dunque, dalla necessaria presenza di elementi indicativi, con evidenza, della prova dell’insussistenza dei fatti stessi, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre se e quali elementi fossero connotati da una detta evidenza.
Nella specie, invece, l’avere il ricorrente continuato a ragionare in un’ottica contrassegnata dai criteri “ordinari” di cui all’art. 530 cit., quasi che non fosse intervenuta la prescrizione, correttamente dichiarata, e senza che, con riferimento a tali reati, fossero in gioco statuizioni civili o di confisca (nella specie collegata infatti al solo reato di lottizzazione sub b), ha reso le doglianze, ancor prima di ogni esame sul punto del provvedimento impugnato, inevitabilmente generiche e dunque inammissibili.
2.1. Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, tutti attinenti al reato di cui al capo b), vanno esaminati congiuntamente essendo la decisione sugli stessi caratterizzata dal preliminare presupposto logico rappresentato dalla valutazione dell’interesse di Bartoli a lamentare la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite.
Va premesso che, nella specie, la sentenza impugnata, rilevata la intervenuta prescrizione del reato di lottizzazione sub b), ha comunque, in presenza della già disposta, dal Tribunale, confisca dei terreni e delle opere, spiegato di dovere valutare nel merito (e quindi non solo ai fini dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.) la sussistenza di detto reato richiamando il principio, per vero formalmente riferibile alla sola pronuncia di primo grado (discendendo invece l’onere, per il giudice dell’impugnazione, oggi, dalla disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen.), secondo cui il proscioglimento per prescrizione non osta alla confisca del bene purché sia stato appunto reso un accertamento nel merito del reato stesso (vedi, anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 578-bis cod. proc. pen., nel senso di un tale onere per il giudice dell’appello anche in caso di disposta confisca, Sez. 3, n. 6261 del 12/01/2010, Campolongo, Rv.246187, in applicazione dei principi posti da Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
Ciò posto, come già chiarito con riferimento al ricorso presentato da Ferri, la proprietà dei terreni e delle opere risulta tuttavia, come da capo di imputazione e da sentenza di primo grado, essere stata di spettanza, dapprima della società Ferri Edil s.r.l. e, successivamente, della Immobiliare Palagetto s.r.l., quest’ultima infatti essendo divenuta tale in forza della intervenuta compravendita per stipula di atto notarile del 6/7/2008.
Ne consegue che, a fronte di tale incontestato presupposto fattuale, non è dato rinvenire in capo al ricorrente Bartoli, giudicato in relazione alla propria qualità di pubblico ufficiale dirigente del settore qualità urbana – servizio edilizia privata del Comune di Poggibonsi, alcun titolo di legittimazione a censurare la statuizione di conferma della confisca.
Se è così, dunque, non solo appare inammissibile il quinto motivo, direttamente inerente proprio la suddetta confisca, di cui viene dedotta l’illegittimità, ma sono inammissibili anche il secondo, terzo e quarto motivo.
Infatti, la mancanza di legittimazione di Bartoli a contestare la statuizione confiscatoria, oltre e riverberarsi direttamente appunto sul quinto motivo, comporta che, con riferimento al ai restanti (il secondo relativo alla componente soggettiva del fatto-reato e il terzo e quarto a quella oggettiva), la censura proponibile in questa sede dovesse essere specificamente parametrata al criterio di valutazione di cui all’art. 129, comma 2, cit., giacché, con riguardo alla sua posizione, del tutto svincolata dalla confisca, la Corte distrettuale non era tenuta a svolgere, stante la rilevata prescrizione, una plena cognitio del fatto addebitato a Bartoli nelle sue componenti oggettive e soggettive, tornando quindi ancora una volta in rilievo quanto già osservato sopra, con riguardo al primo motivo di ricorso, con riferimento ai restanti reati di cui ai capi e) g), e m) dell’imputazione.
Va, in altri termini, affermato che l’onere, per il giudice dell’impugnazione, di valutare funditus, in caso di intervenuta prescrizione, il compendio probatorio ai fini della conferma della statuizione della confisca senza potersi limitare unicamente a considerare la mancanza di elementi indicativi con evidenza delle cause di proscioglimento di cui all’art.129, comma 2, cod. proc. pen., presuppone necessariamente la sussistenza, in capo a chi tali cause invochi, di una legittimazione a dolersi della confisca stessa.
Va peraltro aggiunto che, in ogni caso, quanto al secondo motivo, lo stesso sarebbe generico.
Jnfatti la censura, nel lamentare che la sentenza impugnata, ai fini di confermare la statuizione della confisca, avrebbe considerato il solo profilo oggettivo del reato di lottizzazione abusiva e non anche quello soggettivo, si è limitata a dedurre, su tale specifico piano, il solo rilievo secondo “manca qualsivoglia profilo di colpa…nell’azione di chi si limita ad attuare le norme urbanistiche deliberate dall’amministrazione pubblica alla quale appartiene”, senza tuttavia rapportare tale astratto principio alla fattispecie concreta e, in particolare, alla condotta dell’imputato, incontestata quanto al rilascio, da parte dello stesso, del permesso di costruire e della variante caratterizzate, secondo l’accusa, dalla violazione dell’art. 41 quinquies comma 6, l.n. 1150/1942 e delle prescrizioni riportate nella scheda Regolamento Urbanistico.
Quanto poi al terzo e quarto motivo, quand’anche valutabili nel merito, va osservato come la sentenza impugnata non solo abbia rilevato la permanente vigenza dell’art.41 quinquies, comma 6, della l. n. 1150 del 1942 ma abbia anche dato atto della complessità e rilevanza degli interventi, in particolare con riferimento alla natura del complesso strutturato in tre distinti edifici per complessive svariate decine di unità abitative, che richiedevano nuove opere di urbanizzazione primaria o il potenziamento di quelle pregresse
3. Il primo motivo del ricorso di Partini Paolo e Partini Andrea è inammissibile per quanto riguardante i capi i) e h) dell’imputazione posto che, come più volte affermato da questa Corte, anche a Sezioni Unite (Sez. U., n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv.221403), la causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione (nella specie, per il capo i), rilevata dal Tribunale e, per il capo h), dalla Corte territoriale) è preclusiva, per il principio della immediata rilevabilità della causa estintiva, del rilievo di nullità prodottesi nel giudizio a maggior ragione quando, come nella specie, dette nullità abbiano natura relativa (si veda in tale ultimo senso Sez. 3, n. 19649 del 27/02/2019, S., Rv. 275749).
Con riferimento invece al capo l), per il quale la sentenza impugnata ha confermato la pronuncia di primo grado di condanna di Pardini Andrea, il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Correttamente, infatti, già il G.u.p. ebbe, in ciò seguito dalla Corte territoriale, ad escludere che la mancata indicazione, nell’imputazione, dei dati evidenziati dal ricorrente (ed in particolare la data della comunicazione di ultimazione lavori e il contenuto del prestampato in uso all’epoca), fosse tale da impedire l’individuazione della condotta di falso contestata, del resto tanto chiaramente compresa da consentire all’imputato di contestare, anche nel merito, l’addebito mossogli, in tal modo dunque essendosi fatta esatta applicazione dei principi enunciati da questa Corte secondo cui non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire appunto all'imputato di difendersi (tra le altre, Sez. 5, n. 16993 del 2/3/2020, Latini, Rv. 279090).
A ben vedere, è la stessa prospettazione difensiva che, per come strutturata, pare fare assurgere ad elementi essenziali della condotta dati circostanziali di cui, in realtà, si rimprovera la mancata considerazione in sede di valutazione della prova, così però confondendosi due piani da tenere tra loro ben distinti, ovvero quello del merito, da un lato, e quello della formulazione dell’addebito, dall’altro.
4. Il secondo motivo del ricorso, con cui si contesta la violazione dell’art. 129 cpv., cod. proc. pen. per mancata constatazione, da parte della sentenza impugnata, che ha preso atto della intervenuta estinzione del reato per prescrizione, della assenza di prova del dolo necessariamente sorreggente il reato contestato, è manifestamente infondato; la constatazione cui l’art. 129 cpv. cit. condiziona la prevalenza del proscioglimento nel merito alla declaratoria di estinzione, deve infatti risolversi, proprio in ragione della nozione implicata, in una mera presa d’atto di dati che, de visu, evidenzino di per se stessi, senza necessità di una loro interpretazione, la manifesta prova della sussistenza di cause del suddetto proscioglimento; ed invero le stesse Sez. U. Tettamanti, già richiamate sopra, hanno affermato che la constatazione (ovvero appunto percezione ictu oculi) è per definizione incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento.
Se è così, dunque, non può non rilevarsi che, anche a volere obliterare la motivazione data dalla sentenza impugnata, che ha fondato l’impossibilità di un proscioglimento nel merito sul fatto che la valutazione della conformità o meno delle opere realizzate rispetto alla disciplina urbanistica del Comune di Poggibonsi anche quanto alle dichiarazioni di asseverazione comportasse inevitabilmente risvolti di una certa complessità richiedenti un approfondimento di non immediata soluzione, lo stesso assunto del ricorrente, nel pretendere che la mancanza del dolo fosse ictu oculi rilevabile per avere il progettista fatto affidamento, nell’ambito di una sua limitata responsabilità derivante dalla invocata qualifica di progettista strutturale, alle regolarità e conformità urbanistica insita nel rilascio del permesso costruire, appare non conciliabile, laddove appare richiedere comunque una lettura combinata e un confronto tra diversi atti, con una operazione di mera e piana constatazione.
4.1. Il terzo e quarto motivo, infine, congiuntamente esaminabili perché tra loro logicamente connessi, risultano quanto meno non manifestamente infondati, dovendo dunque prendersi atto della prescrizione del reato maturata in data 24/5/2018.
A fronte della contestazione del fatto, essenzialmente riguardante due profili, ovvero quello della falsa asseverazione di ultimazione delle opere alla data del 19/11/2010 e quello della rispondenza alle prescrizioni antisismiche, la sentenza impugnata, quanto al secondo, nulla appare avere affermato, risolvendosi dunque in mancanza di motivazione sul punto, mentre, quanto al primo, nel ritenere attestata la ultimazione dei lavori, appare avere trascurato come nella attestazione in atti si precisi invece testualmente che “il presente fine lavori riguarda il termine dei lavori strutturali dei blocchi 1 e2” così rendendo non manifestamente infondata la prospettiva difensiva che, proprio su tale specificazione, aveva basato una non corretta lettura offerta dai giudici di merito.
5. In definitiva, la sentenza impugnata, nei confronti di Partini Andrea, inammissibili i restanti motivi, deve essere annullata limitatamente al capo l) per essere il reato estinto per prescrizione. Vanno invece dichiarati in toto inammissibili i ricorsi di Ferri Salvatore, Bartoli Adriano e Partini Paolo che devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Partini Andrea limitatamente al capo l) per essere il reato estinto per prescrizione e dichiara inammissibile il ricorso di Partini Andrea bel resto. Dichiara inammissibili i ricorsi di Ferri Salvatore, Bartoli Adriano e Partini Paolo e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 18 dicembre 2020