Cass. Sez. III n. 30692 del 12 luglio 2019 (UP 29 mag 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Monti
Beni ambientali.Ambito di efficacia dell’ordine di rimessione in pristino
L’ordine di rimessione in pristino ha un maggiore ambito di operatività rispetto all’ordine di demolizione, comprensiva dell’abbattimento del manufatto abusivo e non può pertanto definirsi con esso coincidente, sicché il suo mantenimento, in presenza di una sentenza di assoluzione dal reato paesaggistico originariamente contestato unitamente alla violazione urbanistica per la quale interviene condanna e conseguente ordine di demolizione ai sensi dell’art. 31, comma 9 d.P.R. 380\01 non può ritenersi giustificato.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 9 luglio 2018 ha confermato la decisione con la quale, in data 11 gennaio 2017, il Tribunale di Napoli - Sezione distaccata di Ischia, aveva affermato la responsabilità penale di Carlo MONTI in ordine al reato di cui all'art. 44, lett. c), d.P.R. 380/2001, per avere iniziato, continuato ed eseguito, quale proprietario committente, in assenza di permesso di costruire, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, opere consistenti nell'apertura, sul prospetto principale, di quattro finestre ed un portone di accesso; nella sostituzione di una scala esistente con una di nuova fattura ad un solo rampante; nella copertura con solaio della superficie del fabbricato sottostante la scala e nel completamento esterno del fabbricato (in Casamicciola Terme, accertato il 12 febbraio 2014).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con il primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, il travisamento della prova e la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., lamentando che la Corte territoriale non avrebbe proceduto ad una valutazione unitaria della prova ed osservando che avrebbe erroneamente ritenuto la abusività del manufatto preesistente, il quale, invece, sarebbe stato regolarmente acquistato nel 2012 come da rogito notarile.
In tale atto risulterebbe acquistata la piena ed esclusiva proprietà di “un piccolo fabbricato allo stato rustico con corte annessa e pertinenziale zona di terreno della superficie complessiva di mq 428”, fabbricato che nello stesso rogito verrebbe indicato come realizzato in epoca antecedente al 1 settembre 1967, come da dichiarazione di perizia giurata, datata 1976 ad esso allegata e nella quale il fabbricato viene definito come “comodo rurale in pessime condizioni statiche e manutentive”.
Aggiunge che, avuto riguardo al contenuto dell’imputazione, sarebbe stato condannato per un fatto del tutto diverso e, cioè, per la realizzazione di un manufatto di 74 metri quadri adibito ad abitazione personale, come indicato nella sentenza di primo grado e per opere che portavano indubbiamente al completamento di un manufatto abusivo di metri 74 adibito ad abitazione personale, come invece descritto nella sentenza di appello.
3. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla data di consumazione del reato, individuata dai giudici del merito sulla base di una dichiarazione testimoniale che si assume liberamente interpretata, aggiungendo che, non avendo la pubblica accusa provato con precisione il tempo del commesso reato, avrebbe dovuto trovare applicazione il principio del favor rei e la conseguente declaratoria di prescrizione del reato.
4. Con il terzo motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale avrebbe confermato integralmente la decisione del Tribunale nonostante nella stessa fosse stato ingiustamente mantenuto l'ordine di rimessione in pristino dello Stato dei luoghi nonostante l'assoluzione dalla violazione paesaggistica originariamente contestata.
5. Con il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge del vizio di motivazione in relazione alla declaratoria di inammissibilità per genericità dei motivi afferenti la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e l’applicazione della pena nel minimo, osservando che tale richiesta non era affatto generica e si fondava sulla modesta entità delle opere e l'insussistenza di compromissione dell'ambiente circostante.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
6. In data 9 maggio 2019 è pervenuta in cancelleria, a mezzo raccomandata una “nota di deposito” a firma Avv. Giuliano di Meglio con allegato atto indicato come “Permesso di costruire in sanatoria n. 3 del 12 marzo 2019.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è solo in parte fondato.
2. Va rilevato, quanto al primo motivo di ricorso, che i giudici del gravame hanno dato compiutamente conto del fatto che le opere descritte nell’imputazione erano state eseguite in prosecuzione su preesistente fabbricato abusivo.
Risulta di tutta evidenza, dalla stessa descrizione degli interventi eseguiti contenuta nel capo di imputazione, che gli stessi presuppongono la preesistenza di un manufatto, atteso che, diversamente, la descrizione della condotta risulterebbe priva di senso.
Obietta tuttavia il ricorrente che quanto evidenziato nel giudizio di merito sulla base della relazione del tecnico comunale, acquisita dal Tribunale sul consenso delle parti, non darebbe alcuna certezza della ritenuta abusività del manufatto preesistente, la legittimità del quale sarebbe invece dimostrata dal rogito notarile, i cui contenuti vengono sommariamente descritti.
Invero, dalla mera descrizione dei contenuti della relazione del tecnico comunale e del rogito notarile emerge con evidenza l’infondatezza della censura.
3. Riferisce lo stesso ricorrente che nella relazione suddetta verrebbe dato conto del fatto che il fabbricato era stato già sottoposto a sequestro in data 13/10/2005 e che ne era stata disposta la demolizione con ordinanza n. 36\2006, impugnata innanzi al TAR Campania, che era stato dissequestrato il 13/1/2010 e che in data 18/6/2012 si era accertato che non vi erano nuove opere rispetto al 2005.
Dato atto di ciò ed osservato che non vi sarebbe alcuna notizia circa l’esito del procedimento amministrativo né della esistenza o di un successivo giudizio penale, rileva come l’acquisto della proprietà da parte sua sarebbe avvenuta solo nel 2012, sulla base del rogito di cui si è detto in premessa.
Ciò premesso, rileva il Collegio come, in primo luogo, il manufatto oggetto del rogito, così come descritto in ricorso, non risulta avere alcuna corrispondenza con quanto oggetto di imputazione, trattandosi di un “comodo rurale” e non di una civile abitazione, che si assume definito, nella perizia giurata allegata (riportandone i contenuti tra virgolette) come “in pessime condizioni statiche e manutentive” nonché “costituito da un unico corpo di fabbrica di forma rettangolare e posto sul confine di proprietà … composto da due enormi stanzoni destinati alla conduzione del fondo ed alla conservazione dei prodotti agricoli”.
Inoltre, i contenuti della relazione del tecnico comunale, che è un atto pubblico, depongono inequivocabilmente per la preesistenza, sul luogo ove sono stati eseguiti gli interventi edilizi oggetto di contestazione, di un manufatto abusivo, del quale, peraltro era stata disposta la demolizione con ordinanza (n. 36\2006) la quale, ricorda però il ricorrente, è stata impugnata innanzi al giudice amministrativo senza che si conosca l’esito del relativo procedimento.
Invero, in relazione al numero dell’ordinanza ed alla collocazione delle opere (nella via Arenale del comune di Casamicciola Terme) è facilmente individuabile la sentenza n.1111/2012 emessa il 21 febbraio 2012 dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta) e depositata il 5 marzo 2012, con il quale veniva richiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 36 del giorno 1 dicembre 2006, notificata il successivo giorno 5 dello stesso mese, con cui il Dirigente dell’Area tecnica del Comune aveva ordinato, in una alla immediata sospensione dei lavori, la demolizione delle opere descritte in seno al provvedimento, eseguite alla via Arenale “in assenza dei titoli abilitativi (autorizzazione paesaggistica e DIA o permesso di costruire) prescritti dalle normative vigenti e dal R.E.C., su territorio comunale “dichiarato di notevole interesse pubblico con d. m. del 23.5.1958 e, in quanto tale, sottoposto a tutte le disposizioni contenute nel d.m. medesimo e, quindi, nel d. l.vo n. 42 del 22 gennaio 2004”, nonché (sul territorio comunale) “sottoposto a regime vincolistico del Piano Territoriale Paesistico dell’isola di Ischia, approvato con d.m. dell’8 febbraio 1999, pubblicato sulla G.U. n. 94 del 23 aprile 1999, la cui normativa esclude la realizzazione di nuove costruzioni”.
Tali opere consistevano in “una tettoia di circa mq. 15 ed alta circa mt. 2,80, costituita da pali in legno e copertura in lamiere zincate, con massetto di cemento laterale; altro manufatto di circa mq. 75 ed alto circa mt. 3,10, privo di vani, costituito da muratura in lapil-cemento in c.a….. soletta in c.a. lunga circa mt. 2,70 e larga mt. 0,90 composta da due rampe di 10 scalini ognuna con ballatoio centrale….”.
Il giudice amministrativo ha rigettato il ricorso e la sentenza non risulta essere stata mai appellata.
Sulla base di quanto sopra rilevato, in disparte il fatto che l’eventuale inottemperanza all’ordine di demolizione avrebbe comportato l’acquisizione del manufatto e dell’area di sedime al patrimonio del comune ai sensi dell’art. 31, comma 3 d.P.R. 380\01, con tutto ciò che ne consegue, è evidente che anche la descrizione delle opere contenuta nella sentenza richiamata confermano comunque la diversa tipologia e consistenza rispetto a quelle che si indicano come oggetto del rogito notarile.
Gli interventi descritti nel capo di imputazione, dunque, sono stati eseguiti su un preesistente manufatto realizzato in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo e, dunque abusivo.
Deve conseguentemente ribadirsi quanto già affermato in precedenza in relazione a questioni analoghe e, cioè che è preclusa ogni possibilità di intervento su immobili abusivi perché essi, anche se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Sez. 3, n. 30168 del 24/5/2017, Pepe, Rv. 270252; Sez. 3, n. 21490 del 19/04/2006, Pagano, Rv. 234472; Sez. 3, n. 45070 del 24/10/2008, Rubino non mass.; Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.M. in proc. Cardito, Rv. 242269; Sez. 3, n.2112 del del 2/12/2008 (dep. 2009), Pizzolante, non massimata; Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rossignoli e altri, Rv. 261330. V. anche Sez. 3, n. 8865 del 8/11/2016 (dep.2017), Visone, non massimata).
4. Parimenti insussistente risulta, sulla base delle considerazioni svolte la dedotta violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, atteso che, come si è già detto, l’imputazione è evidentemente riferita ad interventi su un manufatto preesistente abusivo che ne hanno comportato il completamento, come chiaramente indicato dai giudici del gravame e risultante dal riferimento al completamento esterno del fabbricato e dalla descrizione delle altre opere contenuta nell’imputazione.
Non risulta inoltre in alcun modo che la decisione impugnata abbia pregiudicato la possibilità di difesa dell'imputato, dovendosi a tale proposito tenersi conto non soltanto del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo tale da porlo in condizione di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio valorizzato ai fini della decisione (Sez. 2, n. 17565 del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278 ed altre prec. conf.).
5. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato.
Il capo di imputazione indica, come data di accertamento del reato, il 12 febbraio 2014 e, nella motivazione della sentenza impugnata, viene richiamato il contenuto delle dichiarazioni di una teste, denunciante, la quale aveva riferito che, all’epoca della segnalazione, aveva personalmente osservato che dall’immobile veniva ancora asportato materiale, che la Corte territoriale indica come “sfabbricidi”, dando conto dell’attendibilità della testimone, che neppure la difesa avrebbe posto in dubbio.
Il giudice del merito ha dunque escluso ogni incertezza sulla data dalla quale calcolare l'inizio della decorrenza del termine prescrizionale, individuandola in quella dell'accertamento, senza che dal provvedimento impugnato risultino evidenti contraddizioni o salti logici che consentano di ritenere censurabile in questa sede di legittimità la valutazione dei dati fattuali posti alla base di tale convincimento.
6. Ciò premesso, deve ricordarsi come il principio del "favor rei", per cui, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all'imputato, vada applicato solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili (Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 (dep. 2008), Cilia, Rv. 238850)
Tale incertezza non sussisteva nel caso di specie e dalla mera constatazione dell'avvenuta ultimazione delle opere abusive non poteva meccanicamente scaturire una situazione di incertezza sulla data del commesso reato che, infatti, la Corte territoriale ha correttamente escluso, dando corretta attuazione al principio secondo il quale in tema di reati edilizi, l'incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione che consente l'applicazione del principio del favor rei non ammette alcun automatismo e deve risultare da dati obiettivi. Il giudice è comunque tenuto all'indicazione delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche sulla base di deduzioni logiche, ad una più puntuale collocazione temporale dell'intervento abusivo (Sez. 3, n. 7065 del 7/2/2012, Croce, non massimata. In senso conforme, Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017 (dep. 2018), Zizzi e altri, Rv. 272076).
7. A non diverse conclusioni deve pervenirsi per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso.
La censura in esso formulata non è stata prospettata con i motivi di appello ed il motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile, anche se questa Corte può rilevare d’ufficio la non applicabilità della riduzione in pristino nel caso di specie.
Invero, come già stabilito dapprima dal secondo comma dell’art. 1-sexies della legge 431\85 e, successivamente, dal secondo comma dell’art. 163 del T.U. del 1999, anche il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede che alla sentenza di condanna per il reato in esso contemplato consegua l’ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato.
L'art. 181, comma secondo, stabilisce infatti espressamente che “con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza e' trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio e' stata commessa la violazione”.
L’ordine ha natura di misura amministrativa di ripristino, che non necessita di motivazione in quanto le ragioni che ne determinano l’applicazione sono desumibili dalla motivazione relativa alla verifica della sussistenza del reato.
Tale misura, inoltre, costituisce un atto dovuto per il giudice, che deve ordinarla quando non risulti già eseguita.
Il tenore letterale della disposizione richiamata, però, inequivocabilmente indica, quale presupposto per l'emanazione dell'ordine, la pronuncia di una sentenza di condanna o ad essa equiparata che, nel caso specifico, non vi è stata, avendo il Tribunale assolto l’imputato dal reato paesaggistico originariamente contestatogli.
Vero è che la condanna per il residuo reato urbanistico comporta l’ordine di demolizione del manufatto abusivamente realizzato, che il primo giudice ha correttamente impartito, disponendo tuttavia, come riportato nella sentenza impugnata anche la rimessione in pristino pur in presenza della pronuncia assolutoria di cui si è detto e tale statuizione risulta confermata dalla Corte territoriale.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte considerato la natura ed i contenuti delle due sanzioni amministrative accessorie osservando, in una occasione, che che i due ordini possono avere un contenuto identico o differenziato a seconda della fattispecie concreta cui si riferiscono (Sez. 3, n. 39001 del 26/9/2007, P.G. in proc. Salemme, Rv. 237817) ed, in altre, riconoscendo all’ordine di rimessione, che comprende tutte le ipotesi di alterazione del paesaggio e comporta la reintegrazione totale del bene nell'area protetta, un carattere di maggiore completezza ed effettività rispetto alla demolizione prevista in materia urbanistica (Sez. 3, n. 10032 del 15/01/2015, Cacace e altro, Rv. 262753).
L’ordine di rimessione in pristino ha, effettivamente, un maggiore ambito di operatività rispetto all’ordine di demolizione, comprensiva dell’abbattimento del manufatto abusivo e non può pertanto definirsi con esso coincidente, sicché il suo mantenimento, in presenza di una sentenza di assoluzione dal reato paesaggistico originariamente contestato unitamente alla violazione urbanistica per la quale interviene condanna e conseguente ordine di demolizione ai sensi dell’art. 31, comma 9 d.P.R. 380\01 non può ritenersi giustificato.
Ciò comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nella parte in cui conferma la sentenza del primo giudice anche con riferimento all’ordine di rimessione in pristino, fermo ovviamente restando l’ordine di demolizione contestualmente impartito.
8. Anche il quarto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, perché la Corte territoriale ha legittimamente ritenuto la genericità dei motivi di appello concernenti la dosimetria della pena, dando comunque atto della correttezza delle argomentazioni sviluppate dal primo giudice evidenziando, altresì, la obiettiva gravità dei fatti accertati.
Lo stesso ricorrente, inoltre, riproducendo il tenore testuale del motivo di appello, riferito “alla modesta entità delle opere in contestazione” ed alla “insussistenza di compromissione dell’ambiente circostante (neppure contestata)”, ne evidenzia la laconicità e mera assertività giustamente censurata dai giudici dell’appello.
9. Resta da osservare, infine, con riferimento alla produzione documentale, che nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non comportino un'attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (cfr. Sez. 3, n. 5722 del 7/1/2016 , Sanvitale, Rv. 266390).
Nel caso di specie, si tratta certamente di un provvedimento sopravvenuto, perché emesso, come indicato nella nota di trasmissione, il 12 marzo 2019, dopo la decisione impugnata, tuttavia la questione della eventuale rilevanza della sanatoria non è stata dedotta dal difensore presente in udienza.
Inoltre, la circostanza che gli interventi per cui è processo siano stati effettuati su immobile originariamente abusivo, come in precedenza evidenziato, escluderebbe a priori ogni possibilità di sanatoria.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’ordine di rimessione in pristino, che elimina.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in data 29/5/2019