Cons. Stato, Sez. V n. 4790. del 10 settembre 2012
Rifiuti. Mezzi meccanici ed elettrici conservati all’aperto ed esposti alle intemperie.

E’ indubbio come il deposito dei più variegati beni sul fondo del ricorrente (macchinari, materiali di edilizia, materiali nocivi ecc.) costituisca rifiuto ai sensi del D.Lgs n. 22/1997, allegato A, punto Q16: “qualunque sostanza, materia o prodotto” può costituire rifiuto. Inoltre, la distribuzione disarmonica e priva di uno specifico ordine dei materiali, evidenzia altresì la sussistenza del requisito del “deposito incontrollato” di cui all’art. 14 del D.Lgs n. 22/1997. L’assenza della possibilità e/o della volontà di riutilizzare i beni rinvenuti in un lasso di tempo ragionevole e certo, e dunque l’esclusione della volontà del ricorrente di disfarsene, emerge dal cattivo stato di conservazione in cui versano taluni beni. Non è verosimile la riutilizzazione di parte dei beni e dei macchinari rinvenuti sul fondo (cfr. ad es. i mezzi meccanici ed elettrici quali Bobcat e sega a nastro conservati all’aperto ed esposti alle intemperie, oppure i ponteggi ad elementi modulari non più a norma di legge), in ragione del loro degrado e delle caratteristiche intrinseche inidonee a far presumere la volontà e la possibilità di un riuso. Le modalità di accatastamento dei beni, che non risultano accorpati secondo uno specifico ordine funzionale ad un loro certo celere utilizzo, ma piuttosto disseminati in maniera sparsa ed alla rinfusa sull’area in questione , evidenziando un sostanziale disuso quantomeno in tempi rapidi (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04790/2012REG.PROV.COLL.

N. 06605/2002 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6605 del 2002, proposto da:

Rossi Robis, rappresentato e difeso dagli avv. Cristina Gandolfi, Francesca Penzo, con domicilio eletto presso Laura Giordani in Roma, via Giuseppe Avezzana, 51; contro

Comune di Guiglia, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Ferrazza, con domicilio eletto presso Claudio Ferrazza in Roma, via Monte Santo, 68;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 00767/2002, resa tra le parti, concernente ordinanza rimozione rifiuti su territorio privato - risarcimento danni

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2012 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti gli avvocati Giordani, per delega dell'Avv. Gandolfi, e Ferrazza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il signor Robis Rossi è proprietario di un terreno nel Comune di Guiglia , sito all’interno del Parco dei Sassi di Roccamalatina.

A seguito di sopralluogo del 05.05.2001 l’A.R.P.A, avendo rilevato un deposito incontrollato di rifiuti sul fondo , con successivo verbale prot. n. 6793 del 21.05.2001 ipotizzava la violazione dell’art. 14 D.Lgs n. 22/1997.

Con verbale di Polizia n. 3101 del 02.05.2001 , veniva poi contestata al signor Rossi la suddetta violazione.

Con successiva ordinanza n. 22 del 24.05.2001 del Responsabile del settore pianificazione del territorio, il Comune di Guiglia ordinava quindi la rimozione dei rifiuti.

Avverso detta ordinanza l’odierno appellante proponeva ricorso davanti al T.A.R. Emilia Romagna, chiedendone l’annullamento .

Nelle more del giudizio, con successivo atto del Dirigente del settore difesa suolo n. 54931 dell’11.06.2001, la Provincia di Modena ordinava la rimozione dei rifiuti nel rispetto del termine fissato dall’Amministrazione comunale.

Con nuovo ricorso all’anzidetto Tribunale il signor Rossi impugnava anche l’atto provinciale , chiedendone l’annullamento .

Nelle more del giudizio, peraltro, il Comune di Guiglia eseguiva d’ufficio la propria ordinanza n. 22 del 24.05.2001, rimuovendo e smaltendo i rifiuti presenti nel fondo del ricorrente.

Con sentenza depositata in cancelleria il 21.05.2002, il T.A.R. ha riunito per connessione i due ricorsi e li ha rigettati.

Avverso detta sentenza il signor Rossi ha interposto l’odierno appello , chiedendone l’integrale riforma con conseguente condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti.

Si è costituito in giudizio il Comune di Guiglia, chiedendo la reiezione del gravame e della connessa istanza risarcitoria.

Alla pubblica udienza del 13 marzo 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

DIRITTO

1. L’appello è infondato .

2. Con il primo mezzo di censura il ricorrente deduce l’erroneità della gravata sentenza, laddove ha ritenuto riconducibili nella definizione di “rifiuto” di cui al D.Lgs. n. 22/1997 i beni rinvenuti nel proprio fondo, così come sostenuto dai provvedimenti impugnati in primo grado .

Assume , a tal fine , di essere imprenditore edile e di utilizzare i materiali rinvenuti nella sua proprietà per l’esercizio dell’impresa e che , pertanto , nella specie mancherebbero i presupposti di cui agli artt. 6 e 14 del D.Lgs n. 22/1997 (natura di rifiuto e necessità o volontà di disfarsene), invece necessari ai fini dell’emanazione dei provvedimenti in contestazione .

A suo dire , infatti , il deposito di materiali edili (quali mattoni, coppi, travi, ma anche mezzi meccanici e materiale di risulta e nocivo quale eternit) ordinatamente distribuiti ed allocati sul fondo, dimostrerebbe la chiara volontà di una loro riutilizzazione e non di un abbandono quali rifiuti .

La censura non ha pregio.

Ed invero , dall’esame delle disposizioni che regolano la fattispecie risulta che “l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati”, conseguentemente chiunque violi il divieto “è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi ….” ( cfr. art.. 14 del D.Lgs n. 22/1997 all’epoca vigente).

Per rifiuto , poi , si intende “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di o abbia l’obbligo di disfarsi” ( cfr. art. 6 del medesimo D.Lgs ) .

Dopo aver sviluppato una lunga lista di beni che rientrano nella categoria dei “rifiuti”, l’allegato A, al punto Q16 riconduce al concetto di rifiuto “qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate” .

Da quanto sopra si ricava che:

a) “qualunque sostanza, materia o prodotto” può costituire rifiuto (punto Q16, allegato A);

b) il divieto sorge con l’accertamento dell’”abbandono” o del “deposito incontrollato” (art. 14);

c) in base a tali presupposti occorre altresì valutare se il detentore “si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi” del rifiuto come sopra individuato (art. 6).

Tanto premesso, è indubbio come il deposito dei più variegati beni sul fondo del ricorrente (macchinari, materiali di edilizia, materiali nocivi ecc.) costituisca rifiuto ai sensi di quanto sopra specificato alla lettera a) .

Inoltre la distribuzione disarmonica e priva di uno specifico ordine dei materiali, come risulta dalla documentazione fotografica in atti nonché dalla stessa perizia di parte del Geom. Notari del 18.03.2002 (che a pag. 1 rileva che i “materiali risultano collocati e disseminati in maniera sparsa”), evidenzia altresì la sussistenza del requisito del ”deposito incontrollato” di cui alla lettera b) .

Con riferimento al requisito di cui alla lettera c) , poi , l’assenza della possibilità e/o della volontà di riutilizzare i beni rinvenuti in un lasso di tempo ragionevole e certo, e dunque l’esclusione della volontà del ricorrente di disfarsene , emerge oggettivamente dai seguenti elementi.

In primo luogo , dal cattivo stato di conservazione in cui versano taluni beni.

Come risulta dalla stessa relazione tecnica di parte appellante, infatti ,non è verosimile la riutilizzazione di parte dei beni e dei macchinari rinvenuti sul fondo (cfr. ad es. i mezzi meccanici ed elettrici quali Bobcat e sega a nastro conservati all’aperto ed esposti alle intemperie, oppure i ponteggi ad elementi modulari non più a norma di legge), in ragione del loro degrado e delle caratteristiche intrinseche inidonee a far presumere la volontà e la possibilità di un riuso.

In secondo luogo, dalle modalità di accatastamento dei beni , che non risultano accorpati secondo uno specifico ordine funzionale ad un loro certo celere utilizzo , ma piuttosto disseminati in maniera sparsa ed alla rinfusa sull’area in questione , evidenziando un sostanziale disuso quantomeno in tempi rapidi .

Inoltre , ai sensi della disciplina del Parco dei Sassi di Roccamalatina alla specie applicabile, gli unici depositi di materiali ammessi nella zona sono quelli “attinenti attività agroforestali” (cfr. art. 3 N.T.A. del P.T.P. dei Sassi di Roccamalatina).

Ne deriva , quindi , che il materiale edile nella specie rinvenuto non poteva in ogni caso essere depositato e/o stoccato nel fondo del ricorrente , con conseguente impossibilità giuridica di un suo deposito funzionale al successivo riutilizzo.

Né , al riguardo, è condivisibile l’assunto dell’appellante secondo cui la normativa del Parco non sarebbe applicabile alla specie, semplicemente perché non richiamata nel corpo del provvedimento impugnato.

L’applicabilità delle disposizioni che regolano gli interventi nell’area de quo, infatti, non dipende dalla ricognizione che ne abbia fatto l’Amministrazione nel corso del procedimento o nel corpo del provvedimento, bensì deriva direttamente dalla normativa del parco al cui rispetto i destinatari sono comunque tenuti .

A ciò aggiungasi che , secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia , affinchè determinati beni (anche di potenziale valore economico e dunque astrattamente riutilizzabili) possano essere ricondotti al di fuori del concetto di “rifiuto”, è necessario che la possibilità del loro riutilizzo sia celere e certa , altrimenti “.. la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in via di principio, come rifiuto” (cfr. Corte Giustizia CE, Sez. III, sentenza 18.12.2007, causa C-194/05).

2. Con il secondo motivo d’appello viene dedotta l’erroneità della gravata sentenza , per non aver rilevato l’incompetenza del Dirigente comunale ad emanare provvedimenti ex art. 14 D.Lgs. n. 22/1997, asseritamente di competenza del sindaco.

La censura non coglie nel segno.

Ed invero , dopo l'entrata in vigore del t.u. enti locali (D.Lgs. n. 267/2000), la più recente e perspicua giurisprudenza anche di questa Sezione ha avuto modo di precisare che il provvedimento in questione rientra nella competenza del responsabile dell'area tecnica, e non del sindaco.

Infatti ,la lettura della disposizione di cui al 3º comma dell'art. 14 del d.lgs. n. 22/1997 che attribuisce al sindaco la possibilità di emanare ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi, deve tenere in considerazione l' art. 107, comma 5, t.u. enti locali , secondo cui le disposizioni che conferiscono agli organi di governo del comune e della provincia «l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti...»; pertanto, la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo, spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale a ciò preposto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2009 n. 3765)

3. Con il terzo motivo l’appellante deduce l’erroneità della gravata sentenza , per aver disatteso la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento che ha condotto all’emanazione del provvedimento di rimozione dei rifiuti.

La doglianza non può essere condivisa .

Ed invero , come correttamente osservato dal primo giudice , nella specie il potere esercitato dal Comune di Guiglia non presentava profili di discrezionalità tali, in relazione ai quali l’apporto collaborativo del ricorrente avrebbe potuto essere di una qualche utilità.

Al riguardo , infatti , va rilevato che:

i) ai sensi dell’art. 14 d.lgs n. 22/1997, l’ordine di disporre la rimozione dei rifiuti costituisce attività vincolata per l’Amministrazione comunale, da porre in essere al semplice accertamento dell’abbandono o del deposito incontrollato di rifiuti;

ii) come si ricava dai contenuti della relazione tecnica e dalla documentazione fotografica versata in atti , nonchè come sopra precisato , i beni ed i materiali rinvenuti sul fondo erano tutti oggettivamente riconducibili al concetto di rifiuto, e dunque necessariamente da rimuovere .

Nella specie , quindi , trova senz’altro applicazione l’art. 21 – octies della Legge n. 241/1990, in ordine alla non annullabilità degli atti adottati in violazione delle norme sul procedimento, qualora risulti che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato, trattandosi di norma di carattere processuale applicabile anche ai procedimenti conclusisi precedentemente alla sua entrata in vigore (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 giugno 2011 n. 3416).

4. Con l’ultimo motivo il ricorrente censura la gravata sentenza , laddove non ha rilevato il difetto di motivazione e di istruttoria che a suo dire affliggerebbe i provvedimenti impugnati .

Anche tale censura non ha pregio atteso che , come si evince dalla documentazione in atti, le conclusioni cui è pervenuto il Comune si fondano su un duplice accertamento predisposto dall’ARPA e dalla Polizia Municipale (la quale ha anche predisposto una compiuta analisi fotografica dei luoghi), da cui è risulta oggettivamente la qualificazione quale rifiuto dei materiali rinvenuti sul fondo, cosi come più sopra chiarito .

Conclusivamente il ricorso si appalesa infondato .

5. Dalla rilevata infondatezza nel merito del proposto gravame , discende l’infondatezza della accessiva istanza risarcitoria su cui , pertanto , non v’è motivo di immorare .

6 . Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e , come tale , da respingere.

Sussistono giusti motivi, per disporre l’intergale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge .

Spese compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente

Marzio Branca, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/09/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)